GELASIO

ἀββᾶ Γελασίου

1. Di Abba Gelasio si diceva che possedeva una Bibbia di cuoio del valore di diciotto pezzi d’argento. In effetti conteneva tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. L’aveva messa in Chiesa perché tutti i fratelli che lo desideravano potessero leggerla. Un fratello sconosciuto venne a trovare il vecchio e, vedendo la Bibbia, volle averla e la rubò mentre se ne andava. L’anziano non gli corse dietro per prenderla, pur sapendo cosa stava facendo. Allora il fratello andò in città e cercò di venderla e, trovato un acquirente, gli chiese tredici pezzi d’argento. L’acquirente gli disse: “Prima prestamela, così la esaminerò e poi ti darò il prezzo”. Così gliela diede. Prendendola, l’acquirente la portò ad Abba Gelasio perché la esaminasse e gli comunicò il prezzo che il venditore aveva stabilito. Il vecchio gli disse: “Comprala, perché è bella e vale il prezzo che mi hai detto”. Quest’uomo, quando tornò, disse al venditore qualcosa di molto diverso e non quello che gli aveva detto l’anziano. L’ho mostrata ad Abba Gelasio”, disse, “e mi ha risposto che era cara e non valeva il prezzo che dicevi tu”. Sentendo questo, chiese: “L’anziano non ha detto altro?” “No”, rispose. Allora il venditore disse: “Non voglio più venderla”. Pieno di rimorsi, andò a cercare l’anziano, per fare penitenza e chiedergli di riprendersi il libro. Ma l’anziano non voleva porre rimedio alla perdita. Allora il fratello gli disse: “Se non la riprendi, non avrò pace”. L’anziano rispose: “Se non avrai pace, allora la riprenderò”. Così il fratello rimase lì fino alla morte, edificato dallo stile di vita dell’anziano.

2. Una cella circondata da un appezzamento di terreno era stata lasciata ad Abba Gelasio da un anziano, anch’egli monaco, che aveva la sua dimora nei pressi di Nicopoli. Ora, un parente del defunto che era un contadino al servizio di Bacato, che allora era governatore a Nicopoli in Palestina, andò a cercare Bacato, chiedendogli di ricevere l’appezzamento di terra, perché, secondo la legge, doveva tornare a lui. Bacato era un uomo violento e cercò di sottrarre il campo ad Abba Gelasio con la forza. Ma il nostro Abba Gelasio, non volendo che una cella monastica fosse ceduta a un secolare, non volle cedere il terreno. Bacato, accortosi che le bestie da soma di Abba Gelasio trasportavano olive dal campo che gli era stato lasciato, le fece deviare con la forza dal loro percorso e prese le olive per sé; a stento restituì le bestie con i loro conducenti, avendo fatto subire loro degli oltraggi. Il vecchio benedetto non reclamò i frutti, ma non cedette il possesso della terra per il motivo che abbiamo esposto sopra. Furioso con lui, Bacato, che aveva anche altre questioni da sbrigare (perché amava le cause), si diresse a Costantinopoli, facendo il viaggio a piedi. Giunto nei pressi di Antiochia, dove la fama di San Simeone brillava di grande splendore, sentì parlare di lui (era davvero un uomo eminente) e, da cristiano, desiderò vedere il santo. Il beato Simeone, dall’alto della sua colonna, lo vide appena entrato nel monastero e gli chiese: “Da dove vieni e dove vai?” Egli rispose: “Vengo dalla Palestina e sto andando a Costantinopoli”. E continuò: “E per quali ragioni?”. Bacato rispose: “Per molte questioni. Spero, grazie alle preghiere della vostra santità, di tornare e di inchinarmi davanti alle vostre orme sante”. Allora San Simeone gli disse: “Disgraziato, non vorrai dire che stai per agire contro l’uomo di Dio. Ma la tua strada non ti è favorevole e non rivedrai più la tua casa. Se vuoi seguire il mio consiglio, lascia queste parti e corri da lui a chiedergli perdono, se sarai ancora vivo quando arriverai in quel luogo”. Immediatamente Bacato fu colto dalla febbre. I suoi compagni di viaggio lo misero su una lettiga ed egli si affrettò, secondo la parola di San Simeone, a raggiungere Abba Gelasio e a chiedergli perdono. Ma quando giunse a Beirut, morì senza rivedere la sua casa, secondo la profezia del vecchio. È stato suo figlio, anch’egli chiamato Bacato, a raccontarlo a molti uomini fidati, nello stesso momento in cui raccontava la morte del padre.

3. Molti dei suoi discepoli raccontavano anche quanto segue: Un giorno qualcuno aveva portato loro un pesce e, una volta cotto, il cuoco lo portò al cellerario. Un motivo urgente costrinse quest’ultimo a lasciare il magazzino. Così lasciò il pesce a terra in un piatto, chiedendo a un giovane discepolo di Abba Gelasio di occuparsene per un po’ fino al suo ritorno. Il ragazzino fu preso dal desiderio e cominciò a mangiare il pesce con avidità. Il cellerario al suo ritorno, trovandolo che mangiava, si arrabbiò con il bambino che era seduto a terra e senza badare a ciò che faceva gli diede un calcio. Colpito in una parte mortale, per la forza demoniaca, il giovinetto emise lo spirito e morì. Il cantiniere, preso dalla paura, lo adagiò sul proprio letto, lo coprì e andò a gettarsi ai piedi di Abba Gelasio, raccontandogli l’accaduto. Gelasio gli consigliò di non parlarne con nessuno e gli ordinò di portare il ragazzo, quando tutti fossero andati a riposare la sera, al diaconicum, di metterlo davanti all’altare e poi di ritirarsi. Giunto al diaconicum, il vecchio continuò a pregare; all’ora della salmodia notturna, quando i confratelli si riunirono, il vecchio si ritirò, seguito dal piccolo discepolo. Nessuno seppe cosa era stato fatto, tranne lui e il cellerario, fino alla sua morte.

4. Non solo i suoi discepoli, ma anche molti di coloro che lo incontrarono, raccontarono spesso di Abba Gelasio. Al tempo del sinodo ecumenico di Calcedonia, Teodosio, che aveva preso l’iniziativa nello scisma di Dioscoro in Palestina, prevedendo che i vescovi sarebbero tornati alle loro chiese particolari (perché anche lui era presente a Calcedonia, espulso dalla patria perché il suo destino era quello di fomentare problemi), si precipitò da Abba Gelasio nel suo monastero. Gli parlò, opponendosi al sinodo, dicendo che l’insegnamento di Nestorio aveva prevalso. Con questo mezzo pensava di conquistare il santo uomo e di portarlo alla sua stessa delusione e al suo scisma. Ma egli, per il portamento del suo interlocutore e per la prudenza che Dio gli aveva ispirato, comprese la natura dannosa delle sue parole. Non solo non si unì a questo apostata, come fecero quasi tutti gli altri, ma lo mandò via coperto di rimproveri. Anzi, fece venire in mezzo a loro il giovane bambino che aveva risuscitato dai morti e parlò così, con grande rispetto: “Se vuoi discutere sulla fede, hai vicino a te chi ti ascolterà e ti risponderà; per quanto mi riguarda, non ho tempo di ascoltarti”. Queste parole riempirono Teodosio di confusione. In fretta e furia partì per la città santa e lì portò tutti i monaci dalla sua parte, con il pretesto di un fervente zelo. Poi, sfruttando questo aiuto, si impadronì del trono di Gerusalemme. Aveva preparato tale posizione per sé con assassinii e fece molte cose contrarie alla legge divina e ai precetti canonici. Divenuto padrone e raggiunto il suo scopo, imponendo le mani a molti vescovi per metterli sui troni dei vescovi che non si erano ancora ritirati, fece venire da sé Abba Gelasio. Lo invitò nel santuario, cercando di conquistarlo, pur temendolo. Quando Gelasio entrò nel santuario, Teodosio gli disse: “Anatemizza Giovenale”. Ma egli rimase impassibile e rispose: “Non conosco altro vescovo di Gerusalemme all’infuori di Giovenale”. Teodosio, temendo che altri imitassero il suo santo zelo, ordinò di cacciarlo dalla chiesa, coprendolo di ridicolo. Gli scismatici lo presero e gli misero intorno delle fascine, minacciando di bruciarlo. Ma vedendo che nemmeno questo lo faceva desistere né lo spaventava e temendo una sollevazione popolare, poiché era molto celebre (tutto ciò gli era stato concesso dalla Provvidenza dall’alto), mandarono via sano e salvo il nostro martire, che si era offerto in olocausto a Cristo.

5. Di lui si diceva che in gioventù aveva condotto una vita di povertà come anacoreta. A quel tempo nella stessa regione c’erano molti altri uomini che, con lui, avevano abbracciato la stessa vita. Tra loro c’era un anziano di grandissima semplicità e povertà, che visse fino alla fine in una sola cella, anche se in età avanzata aveva dei discepoli. I particolari atti di ascetismo di questo vecchio erano stati di guardarsi dall’avere due tuniche e fino al giorno della sua morte di non pensare all’indomani mentre era con i suoi compagni. Quando Abba Gelasio, con l’assistenza divina, fondò il suo monastero, ricevette molti doni e acquistò anche bestie da soma e bestiame, necessari per il monastero. Colui che all’inizio rivelò al divino Pacomio che avrebbe costruito un monastero, gli venne in aiuto per tutta la durata della fondazione. L’anziano, di cui abbiamo parlato sopra, vedendolo impegnato in questo, e volendo conservare il grande amore che aveva per lui, gli disse: “Abba Gelasio, temo che il tuo spirito sarà reso schiavo dalle terre e da tutti gli altri beni del monastero”. Ma egli rispose: “Il tuo spirito è più schiavo dell’ago con cui lavori che lo spirito di Gelasio di questi beni”.

6. Si dice che Abba Gelasio fosse spesso assalito dal pensiero di andare nel deserto. Un giorno disse al suo discepolo: “Fammi il favore, fratello, di sopportare qualsiasi cosa io faccia e non dirmi nulla per tutta questa settimana”. Presa una canna, cominciò a camminare nel suo piccolo atrio. Quando fu stanco, si sedette un po’, poi si alzò di nuovo per camminare. Quando arrivò la sera, disse a sé stesso: “Chi cammina nel deserto non mangia pane, ma erbe; quindi, poiché sei stanco, mangia qualche verdura”. Lo fece, poi disse di nuovo a sé stesso: “Chi è nel deserto non si corica in un letto, ma all’aria aperta; fai lo stesso”. Così si sdraiò e dormì nell’atrio. Camminò così per tre giorni nel monastero, mangiando qualche foglia di cicoria la sera e dormendo tutta la notte all’aria aperta e si stancò. Allora, riprendendo il pensiero che lo turbava, lo confutò con queste parole: “Se non sei in grado di compiere le opere del deserto, vivi pazientemente nella tua cella, piangendo i tuoi peccati, senza vagare qua e là. Perché l’occhio di Dio vede sempre le opere dell’uomo e nulla gli sfugge ed egli conosce coloro che fanno il bene”.

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