Il monastero di San Nicodemo di Kellerana: una storia di resistenza ortodossa alla latinizzazione.

Il monastero di San Nicodemo di Kellerana: una storia di resistenza ortodossa alla latinizzazione.

“Nel contesto meridionale il monachesimo italo- greco aveva avuto un’ampia diffusione, andando ad interessare soprattutto quelle regioni maggiormente soggette alla presenza bizantina nei secoli dell’Alto Medioevo. Tra queste la Calabria aveva avuto un ruolo particolarmente importante nello stanziamento di comunità monastiche italo-greche, sia per le carat-teristiche orografiche della regione, geomorfologica-mente ideale per l’isolamento e la preghiera, sia per le qualità del territorio, idoneo allo sfruttamento agricolo-pastorale. Inoltre lo sviluppo del monachesimo greco in Calabria trovò terreno fertile in un habitat in cui il dominio bizantino aveva avuto una sua continuità, andando a costituire un importante collante culturale per la nascita dei monasteri”. [1]

Uno di questi fu l’antico monastero del Kellerana, che nel X secolo era abitato da monaci calabro ortodossi di rito greco, che fu meta di devozione e di pellegrinaggio da parte di fedeli richiamati dai miracoli di San Nicodemo che qui visse in quegli anni. Divenne quindi punto di riferimento religioso e spirituale per tutta la Calabria.

La sua resistenza alla latinizzazione fu strenua e consentì ai monaci di celebrare la Divina Liturgia per alcuni secoli ancora sotto il dominio Normanno e dopo la sconfitta di Costantinopoli. Oggi se ne conservano solo dei ruderi sui quali è edificata una Chiesa latina.

Durante la fase storica che vide la dominazione dai Normanni sotto l’egida dei Papi di Roma, nell’anno 1081, il monastero fu sottoposto autoritariamente all’abbazia benedettina della Santissima Trinità di Mileto dal conte Ruggero e il provvedimento venne confermato nel 1091 e ancora nel 1102 e sanzionato dai papi Eugenio III (24 febbraio 1151) e Alessandro III (16 luglio 1170 e 19 marzo 1179).

Il monastero non si piegò a questi ordini e resistette fieramente sia all’assoggettamento che alla latinizzazione e questo portò a duri scontri con i monaci benedettini che non avevano nessuna intenzione di soccombere alla resistenza di un centro monastico fiorente anche dal punto di vista economico e venerato; ricorsero quindi alla Santa Sede che incaricò il vescovo di Tropea di dirimere la questione.

Il vescovo convocò i monaci di San Nicodemo a comparire davanti a lui, ma questi ultimi rifiutarono e furono scomunicati. Nonostante ciò i monaci non si piegarono e continuarono a celebrare con rito bizantino. Papa Alessandro IV il 21 gennaio 1255 diede incarico al decano e al cantore della cattedrale di Tropea di dare esecuzione alla scomunica. Poco tempo dopo la crisi si riacutizzò per l’intervento del legato pontificio, cardinale Pandolfo, che incaricò Pietro, abate di Lamezia di giudicare la questione, ma l’intervento del vescovo di Gerace Paolo dimostrò che il monastero era sempre stato soggetto alla sua giurisdizione. In conseguenza di ciò i benedettini invasero con la forza il monastero, ma furono successivamente respinti dai monaci ortodossi con l’appoggio del Vescovo di Gerace e dei canonici.

“Per questi fatti il vescovo Drogone di Tropea comminò la scomunica sia ai monaci sia al vescovo di Gerace. Comunque questa ennesima scomunica non ebbe effetto e i monaci si mantennero sempre indipendenti e continuarono a celebrare con rito greco-bizantino. Nel 1433, il monastero dava la ragguardevole rendita di 100 ducati d’oro. La relazione scritta riguardo alla visita effettuata nel 1483 dal vescovo di Gerace Atanasio Calkeopulo (traslitterato anche come Chalkeopulos o Calceopulo) lo segnala in piena attività ed in ottimo stato, per quanto già all’epoca parte del patrimonio storico fosse stata coattivamente trasferita a Mileto e in seguito a Roma per volontà papale, ciò però causò la dispersione dei reperti in varie biblioteche; qualche platea [2] giunse fino a San Pietroburgo. Nel 1485 anche la diocesi di Gerace, e di conseguenza il monastero, passò al rito latino. Per il monastero ciò segnò l’inizio di una rapida decadenza. Nel 1501 i monaci si trasferirono nella grangia di San Biagio in Mammola e l’antico monastero abbandonato andò in rovina, oggi se ne possono vedere i resti presenti nelle vicinanze del santuario latino. Il monastero di Mammola fu poi soppresso dai francesi nel 1807.” [3]

La mole documentaria oggi disponibile testimonia l’affermarsi del potere normanno nella regione sia sul piano militare che su quello religioso. I documenti parlano di una fervente attività riformatrice filooccidentale durante gli anni della conquista della Calabria. Questa spinta è dovuta ad una serie di accordi con il papato che richiedeva fortemente l’inizio della ben nota politica di latinizzazione del Meridione. Il Sud d’Italia infatti rimase per molti secoli parte dell’Impero Romano che in Oriente resistette molto oltre le ondate barbariche che disgregarono l’occidente. Ricordiamo ancora che è una truffa scientifica l’etichetta di “Imper ROmano d’Oriente” visto che non fu altro che la continuazione del medesimo Impero Romano fino al 1453. Già Costantino, infatti, traslò la capitlae dell’unico Impero Romano in Oriente, nella città che fondò appositamente e che chiamo proprio Costantinopoli. Anche il termine “bizantino” è oggi molto criticato dagli storici visto che è inesistente nei documenti ufficiali dove i cittadini e i regnanti dell’Impero si definivano semplicemente come “romani”.

Questa specifica ci dice che per molti secoli, dopo la caduta dell’Impero Romano in Occidente, le diocesi calabre e del Sud d’Italia, con alterne vicende legate ai fatti militari e politici, erano rimaste sotto l’obbedienza del Patriarcato costantinopolitano.

Gli accordi tra i nuovi conquistatori normanni e il Papato nascevano dagli interessi di tipo economico e politico da entrambi le parti e si tradussero in una radicale riforma del clero e dell’organizzazione diocesana in tutti i territori conquistati.

In i centri conquistati dai Normanni, “le cattedre vescovili vennero affidate a prelati di origine normanna o franca, i quali potevano così assicurare la fedeltà del clero ai nuovi conquistatori in un periodo di assestamento e riorganizzazione della regione. Quest’ultima necessità può essere chiarita ricordando l’episodio del 1059, narrato da Goffredo Malaterra, durante il quale Ruggero d’Altavilla dovette abbandonare l’assedio del castrum di Oppido per dirigersi verso S. Martino in valle Salinarum, che stava per essere assalito da un esercito bizantino sotto il comando del vescovo di Cassano. L’avvenimento può naturalmente suggerire come in quegli anni esistevano nella regione delle sacche di resistenza bizantina guidata dal clero greco, contro cui dovettero intervenire i Normanni per assicurarsi il controllo stabile del territorio. Sulla scia di questa politica vennero progressivamente sostituiti i vecchi vescovi greci con nuovi prelati officianti il rito latino: troviamo, fin dal 1059, Arnolfo nella sede di Cosenza; altrettanti vescovi latini nelle sedi di Bisignano, Cassano e Nicastro già in questi primi momenti della conquista; a Reggio si ha un vescovo latino almeno dal
1090 (…) Sono i fratelli Roberto e Ruggero d’Altavilla, attraverso una serie di fondazioni, ad avviare in Calabria l’istallazione delle comunità monastiche occidentali seguendo un itinerario che, dal Nord al Sud della regione, sembra seguire la progressione della conquista”. [4]

Resti dell’antico monastero del Kellerana del Sec. X presenti nel Santuario

Le Tre croci presenti sulla cima del monte Kellerana che guardano lo Ionio, il Tirreno ed il santuario


NOTE:

[1] Fabio Lico, I monasteri italo-greci nella Calabria normanna https://www.academia.edu/123010883/I_monasteri_italo_greci_nella_Calabria_normanna

[2] È detta “platea” un documento, spesso proveniente da un ente ecclesiastico (monastero, chiesa o diocesi), contenente un inventario dei possedimenti.

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_di_San_Nicodemo

[4] Fabio Lico, I monasteri italo-greci nella Calabria normanna, op. cit.

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