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P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (III)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word, vol. 11, n. 6 (novembre-dicembre 1975), 228-239.

Parte III. Come non leggere i Santi Padri

È stato detto abbastanza per indicare la serietà e la sobrietà con cui bisogna accostarsi allo studio dei Santi Padri. Ma proprio l’abitudine alla spensieratezza dell’uomo del Novecento, a non prendere sul serio nemmeno gli argomenti più solenni, a “giocare con le idee” – come fanno oggi gli studiosi nelle università – rende necessario guardare più da vicino alcuni errori comuni che sono stati commessi dai cristiani ortodossi nominali nel loro studio o insegnamento dei Santi Padri. Sarà necessario qui citare nomi e pubblicazioni per conoscere con precisione le trappole in cui molti sono già caduti. Questo esame ci permetterà di vedere più chiaramente come non avvicinarci ai Santi Padri.

LA PRIMA TRAPPOLA: il dilettantismo

L’abisso, in cui solitamente cadono i più spensierati tra coloro che sono interessati alla teologia o alla spiritualità ortodossa, è più evidente negli incontri “ecumenici” di vario tipo, conferenze, “ritiri” e simili. Tali incontri sono una specialità della English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, come riportato nel loro giornale, Sobornost. Qui possiamo leggere, ad esempio, in un discorso sui Padri del deserto di un presunto sacerdote ortodosso: “I Padri del deserto possono svolgere un ruolo estremamente importante per noi. Possono essere per tutti noi un meraviglioso luogo di incontro ecumenico.” [nota: Archimandrita Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.] Può l’oratore essere così ingenuo da non sapere che il Padre che desidera studiare, come tutti i Santi Padri, rimarrebbe inorridito nell’apprendere che le sue parole vengono usate per insegnare l’arte della preghiera agli eterodossi? È una delle regole di cortesia in tali incontri “ecumenici” che gli eterodossi non siano informati che il primo prerequisito per studiare i Padri è avere la stessa fede dei Padri dell’Ortodossia. Senza questo prerequisito ogni istruzione nella preghiera e nella dottrina spirituale è solo un inganno, un mezzo per intrappolare ulteriormente l’ascoltatore eterodosso nei propri errori. Questo non è giusto nei confronti di chi ascolta, non è serio da parte di chi parla, è esattamente come non intraprendere affatto lo studio o l’insegnamento dei Santi Padri.

Nello stesso periodico si legge di un “pellegrinaggio in Gran Bretagna” nel quale un gruppo di protestanti ha assistito alle funzioni di varie sette e poi ad una liturgia ortodossa, nella quale “il Padre ha tenuto un discorso molto chiaro e illuminante sul tema dell’Eucaristia” (Sobornost,Estate, 1969, pag. 680). Indubbiamente il Padre ha citato i Santi Padri nel suo discorso, ma non ha portato comprensione ai suoi ascoltatori; li ha solo confusi ancora di più permettendo loro di pensare ora che l’Ortodossia sia solo un’altra delle sette che stavano visitando, e che la dottrina ortodossa dell’Eucaristia può aiutarli a comprendere meglio i loro servizi luterani o anglicani. In un resoconto di un “ritiro ecumenico” nello stesso numero (p. 684), troviamo un risultato della predicazione della “teologia ortodossa” in tali condizioni. Dopo aver assistito a una liturgia ortodossa, i partecipanti al ritiro hanno partecipato a un “servizio di comunione battista”, che è stato “una boccata d’aria fresca”. “Particolarmente rinfrescante è stato il piccolo sermone sul tema della gioia della risurrezione. Quelli di noi che conoscono la Chiesa ortodossa hanno trovato la stessa verità espressa lì e siamo stati felici di trovarla anche in un servizio battista”. Gli ortodossi che incoraggiano questo dilettantismo insensibile hanno senza dubbio dimenticato l’ingiunzione scritturale: Non gettate le vostre perle davanti ai porci“.

Ultimamente la stessa Fellowship ha ampliato il suo dilettantismo, seguendo l’ultima moda intellettuale, per includere conferenze sul Sufismo e altre tradizioni religiose non cristiane, che probabilmente arricchiscono la “spiritualità” degli ascoltatori proprio come l’Ortodossia ha fatto per loro fino ad ora.

Lo stesso atteggiamento spirituale corrotto può essere visto, a un livello più sofisticato, nelle “dichiarazioni concordate” che di tanto in tanto escono dalle “consultazioni di teologi”, siano esse ortodosso-cattoliche, ortodosso-anglicane o simili. Queste “dichiarazioni concordate” su argomenti come “l’Eucaristia” o “la natura della Chiesa” sono, ancora una volta, un esercizio di cortesia “ecumenica” che non accenna nemmeno agli eterodossi (supponenso che i “teologi ortodossi” presenti lo sappiano) che, qualunque sia la definizione di tale realtà “concordata”, gli eterodossi, non avendo l’esperienza di vivere nella Chiesa di Cristo, non ne conoscono la realtà. Tali “teologi” non esitano nemmeno a cercare un “accordo” sulla spiritualità stessa laddove, se mai, l’impossibilità di un accordo dovrebbe essere evidente. Coloro che possono credere, come dichiara il “Messaggio” ufficiale del “Simposio ortodosso-cistercense” (Oxford, 1973), che i monaci cattolici, ortodossi e anglicani abbiano una “profonda unità tra di loro, in quanto membri di comunità monastiche provenienti da diverse tradizioni ecclesiali”, sicuramente pensano secondo la saggezza corrotta di questo mondo e le sue mode “ecumeniche”, e non in accordo con la tradizione monastico-spirituale ortodossa, che è rigorosa nella sua insistenza sulla purezza della fede. Lo scopo e il tono mondano di questi “dialoghi” è reso abbastanza chiaro in una relazione sullo stesso Simposio, che indica che questo “dialogo” sta per essere ampliato per includere il monachesimo non cristiano, cosa che permetterà “al nostro comune monachesimo cristiano… di identificarsi in qualche modo reale con il monachesimo del buddismo e dell’induismo” [Diakonia, 1974, n. 4, pag. 380-392]. Per quanto i partecipanti a questo Simposio si immaginino sofisticati, il loro dilettantismo non è affatto superiore a quello dei laici protestanti che si lasciano impressionare tanto dal servizio di comunione battista quanto dalla liturgia ortodossa.

Ancora, si può leggere, in un periodico “ortodosso”, un resoconto di un “Istituto Ecumenico di Spiritualità” (cattolico-protestante-ortodosso) tenutosi al Seminario di San Vladimir a New York nel 1969, dove un discorso fu tenuto dal “professore ortodosso Nicholas Arseniev, di larghe vedute, sulla spiritualità cristiana in Oriente e in Occidente. Un sacerdote ortodosso riporta così il suo intervento: “Una delle affermazioni più sorprendenti del professore è stata che esiste già un’unità cristiana nei santi di tutte le tradizioni cristiane. Sarebbe interessante cercare di elaborare le implicazioni di ciò per una trattazione della divisioni dottrinali e istituzionali che pure esistono chiaramente.”[nota: P. Thomas Hopko, in San Vladimir’s Theological Quarterly , 1969, n. 4, pag. 225, 231]. Le deviazioni dottrinali degli ecumenisti “ortodossi” sono già abbastanza gravi, ma quando si tratta di spiritualità non sembrano esserci limiti di sorta a ciò che si può dire o credere – un’indicazione di quanto remote e vaghe siano diventate la tradizione e l’esperienza della genuina spiritualità ortodossa per i “teologi ortodossi” di oggi. Uno studio vero e serio di “spiritualità comparata” potrebbe sì essere fatto, ma non produrrà mai una “affermazione concordata”. Per fare solo un esempio: il primo esempio di “spiritualità occidentale” citato dal dottor Arseniev e da quasi tutti gli altri è Francesco d’Assisi, che secondo lo standard della spiritualità ortodossa è un classico esempio di monaco che si è smarrito spiritualmente ed è caduto in inganno (prelest ) ed era venerato come santo solo perché l’Occidente era già caduto nell’apostasia e aveva perso lo standard ortodosso di vita spirituale. Nel nostro studio della tradizione spirituale ortodossa in questo libro* sarà necessario sottolineare (per contrasto) proprio dove Francesco e più tardi i “santi” occidentali si smarrirono; per ora è sufficiente indicare che l’atteggiamento che produce tali “istituti ecumenici” e “dichiarazioni concordate” è in fondo lo stesso atteggiamento di dilettantismo frivolo che abbiamo già esaminato più sopra a un livello più popolare.

La causa principale di questo atteggiamento spiritualmente patologico probabilmente non è tanto l’atteggiamento intellettuale sbagliato del relativismo teologico che prevale negli ambienti “ecumenici”, quanto piuttosto qualcosa di più profondo, qualcosa che coinvolge l’intera personalità e il modo di vivere della maggior parte dei “cristiani” oggi. Se ne può intravedere un assaggio nel commento di uno studente ortodosso dell'”Istituto Ecumenico”, sponsorizzato dal Consiglio Mondiale delle Chiese a Bossey, in Svizzera. Parlando del valore “dell’incontro personale con tanti approcci diversi che non avevamo sperimentato prima”, rileva che “le migliori discussioni” (che riguardavano il tema dell'”Evangelizzazione”) “non sono avvenute durante le sessioni plenarie, ma piuttosto quando si è seduti accanto al caminetto a bere un bicchiere di vino. [Trimestrale teologico di San Vladimir , 1969, n. 3, pag. 164] Questa osservazione quasi casuale rivela molto di più della “spensieratezza” della vita contemporanea; indica un intero atteggiamento moderno nei confronti della Chiesa e della sua teologia e pratica. Ma questo ci porta alla seconda insidia fondamentale che dobbiamo evitare nello studio dei Santi Padri.

LA SECONDA TRAPPOLA: “La teologia con la sigaretta”

Non solo gli incontri “ecumenici” possono essere leggeri e frivoli; si può notare esattamente lo stesso tono nei convegni e nei “ritiri” “ortodossi”, e nelle riunioni dei “teologi ortodossi”. I Santi Padri non sono sempre direttamente coinvolti o discussi in tali incontri, ma la consapevolezza dello spirito di tali incontri ci preparerà a comprendere il background che i cristiani ortodossi apparentemente seri portano con sé quando iniziano a studiare spiritualità e teologia.

Una delle più grandi organizzazioni “ortodosse” negli Stati Uniti soni i “Clubs Federati Russo-Ortodossi” (FROC), composti principalmente da membri dell’ex Metropolia russo-americana, che tiene un congresso annuale le cui attività sono abbastanza tipiche dell'”Ortodossia” in America. Il numero di ottobre 1973 del Russian Catholic Journal è dedicato alla Convenzione del 1973, in cui il vescovo Dimitry di Hartford ha detto ai delegati: “Quello che vedo qui, e lo dico in tutta sincerità, è che il FROC è potenzialmente la più grande forza spirituale in tutta l’ortodossia americana” (p. 18). È vero che al Congresso partecipa un certo numero di ecclesiastici, di solito compreso il metropolita Ireney, che ci sono servizi religiosi giornalieri e che c’è sempre un seminario su un argomento religioso. Significativamente, durante il seminario di quest’anno (intitolato, nello spirito degli “ortodossi americani”, “Cosa? Ancora Digiuno?”), “sono sorte domande sull’osservanza del sabato sera come periodo di preparazione alla domenica. I conflitti sorgono perché gli stili di vita americani hanno reso il sabato sera la ‘notte sociale’ della settimana.” Un prete presente ha dato una risposta ortodossa a questa domanda: «Il sabato sera si raccomanda la partecipazione ai Vespri, la confessione e la serata tranquilla» (p. 28). Ma per gli organizzatori della Convention non c’era ovviamente alcun “conflitto” di sorta: prevedevano (come in ogni Convention) un ballo del sabato sera in pieno “stile di vita americano”, e le altre sere divertimenti simili, incluso un “Teenage Frolic” con un “gruppo Rock and Roll”, un finto casinò “con un ambiente che ricorda Las Vegas” e alcune istruzioni per uomini nell'”arte ‘culturale’ della danza del ventre” (p. 24). Le immagini che accompagnano gli articoli mostrano alcune di queste frivolezze, il che in effetti ci assicura che gli americani “ortodossi” non sono affatto indietro rispetto ai loro connazionali nella ricerca di divertimenti spudoratamente insensati, intervallati da fotografie solenni della Divina Liturgia. Questa miscela di sacro e frivolo è oggi considerata “normale” nell'”Ortodossia americana”; questa organizzazione è (ripetiamo le parole del vescovo) “potenzialmente la più grande forza spirituale di tutta l’ortodossia americana”. Ma quale preparazione spirituale può portare una persona alla Divina Liturgia dopo aver trascorso la sera precedente celebrando lo spirito di questo mondo e aver dedicato molte ore durante il fine settimana a divertimenti del tutto frivoli? Un osservatore sobrio può solo rispondere: tale persona porta con sé lo spirito mondano, la mondanità è l’aria stessa che respira; e quindi per lui l’Ortodossia stessa rientra nello “stile di vita” americano “casual”. Se una persona del genere cominciasse a leggere i Santi Padri, che parlano di un modo di vivere completamente diverso, o li troverebbe del tutto irrilevanti per il suo modo di vivere, oppure sarebbe costretto a distorcere il loro insegnamento per renderlo applicabile al suo modo di vivere.

Consideriamo ora un incontro “ortodosso” più serio, dove vengono effettivamente menzionati i Santi Padri: le “Conferenze” annuali della “Orthodox Campus Commission”. Il numero dell’autunno 1975 della rivista Concern presenta alcune fotografie della Conferenza del 1975, il cui scopo era del tutto “spirituale”: lo stesso spirito “informale”, con giovani donne in pantaloncini corti (che fa vergognare anche la Convenzione FROC!), e il prete che pronuncia un “discorso principale” con la mano in tasca… e in una tale atmosfera i cristiani ortodossi discutono argomenti come “Lo Spirito Santo nella Chiesa ortodossa”. Lo stesso numero di Concern ci offre uno spaccato di ciò che accade nelle menti di queste persone apparentemente “casual”. Una nuova rubrica sulla “liberazione delle donne” (con un titolo così volutamente volgare che non è necessario ripeterlo qui) è curata da una giovane e intelligente convertita: “Quando mi sono convertita all’Ortodossia, ho sentito di essere consapevole della maggior parte dei problemi che si incontravano nella Chiesa. Sapevo dello scandaloso etnicismo che divide la Chiesa, delle liti e delle fazioni che affliggono le parrocchie, dell’ignoranza religiosa…”. L’articolista procede poi a sostenere la “riforma” del tradizionale periodo di quaranta giorni per “riammettere in chiesa” una donna dopo il parto, così come altri atteggiamenti del “vecchio mondo” che questa “illuminata” americana moderna trova “ingiusti”. Forse non ha mai incontrato un autentico ecclesiastico o laico ortodosso che potesse spiegarle il significato o trasmetterle il tono dell’autentico stile di vita ortodosso; forse, se lo incontrasse, non vorrebbe nemmeno capirlo, né comprendere che il peggiore dei “problemi” di un convertito oggi non risiede affatto nell’ambiente ortodosso, facilmente criticabile, ma piuttosto nella mente e nell’atteggiamento dei convertiti stessi. Lo stile di vita che si riflette in Concern non è lo stile di vita ortodosso e il suo stesso tono rende quasi impossibile qualsiasi approccio allo stile di vita ortodosso. Questi periodici e conferenze riflettono la maggioranza dei giovani di oggi, viziati, egocentrici e frivoli, che quando si avvicinano alla religione si aspettano di trovare “spiritualità con comodità”, qualcosa di immediatamente ragionevole per le loro menti immature che sono state stupefatte dalla loro “educazione moderna”. I giovani – e molti ecclesiastici anziani di oggi, essendo stati essi stessi esposti all’atmosfera mondana in cui i giovani crescono – a volte si abbassano a lusingare le facili critiche dei giovani nei confronti dei loro anziani e dei loro “ghetti” ortodossi e nel migliore dei casi tengono impotenti lezioni accademiche su argomenti molto al di sopra delle loro possibilità. A cosa serve parlare a questi giovani di “Deificazione” o “Della via dei santi” (Concern, autunno 1974) – concetti che, certo, sono intellettualmente comprensibili per gli studenti universitari di oggi, ma per i quali sono emotivamente e spiritualmente totalmente impreparati, non conoscendo l’ABC di ciò che significa lottare nella vita ortodossa e separarsi dal proprio background mondano e dalla propria educazione? Senza questa preparazione e formazione all’ABC della vita spirituale e senza la consapevolezza della differenza tra la mondanità e lo stile di vita ortodosso, queste lezioni non possono avere alcun risultato spirituale fruttuoso.

Considerando questo contesto da cui stanno emergendo i giovani cristiani ortodossi di oggi in America (e in tutto il mondo libero), non ci si sorprende di scoprire la generale mancanza di serietà nella maggior parte delle opere – conferenze, articoli, libri – sulla teologia e la spiritualità ortodossa di oggi; e il messaggio anche dei migliori docenti e scrittori del “mainstream” delle giurisdizioni ortodosse di oggi sembra stranamente impotente, senza forza spirituale. Anche a livello più popolare, la vita della parrocchia ortodossa ordinaria dà oggi un’impressione di inerzia spirituale molto simile a quella dei “teologi ortodossi” di oggi. Perché?

L’impotenza dell’Ortodossia così ampiamente espressa e vissuta oggi è senza dubbio essa stessa un prodotto della povertà, della mancanza di serietà della vita contemporanea. L’Ortodossia oggi, con i suoi sacerdoti, teologi e fedeli, è diventata mondana. I giovani che provengono da case confortevoli e accettano o cercano (i “nativi ortodossi” e i “convertiti” si assomigliano in questo senso) una religione che non sia lontana dalla vita soddisfatta che hanno conosciuto; i professori e i docenti il ​​cui ambiente è il mondo accademico dove, notoriamente, nulla è accettato come definitivamente serio, come una questione di vita o di morte; l’atmosfera accademica di mondanità compiaciuta in cui hanno luogo quasi tutti i “ritiri”, le “conferenze” e gli “istituti” – tutti questi fattori si uniscono per produrre un’atmosfera artificiale, da serra, in cui, qualunque cosa venga detta riguardo a esaltate verità o esperienze ortodosse, per il contesto stesso in cui viene detta e in virtù dell’orientamento mondano di chi parla e di chi ascolta, non può colpire le profondità dell’anima e produrre l’impegno profondo che un tempo era normale per i cristiani ortodossi. In contrasto con questa atmosfera da serra, l’educazione ortodossa naturale, la trasmissione naturale dell’Ortodossia stessa, avviene in quello che era accettato come l’ambiente ortodosso naturale: il monastero, dove non solo i novizi ma anche i pii laici vengono istruiti tanto dall’atmosfera di un luogo sacro quanto dalla conversazione con un anziano particolarmente venerato, o la normale parrocchia, se il suo sacerdote è di mentalità “all’antica”, infuocato dall’Ortodossia e talmente desideroso della salvezza del suo gregge da non scusare i loro peccati e le loro abitudini mondane, ma da esortarli sempre a una vita spirituale più elevata; anche la scuola teologica, se di vecchio tipo e non modellata sulle università secolari dell’Occidente, dove c’è la possibilità di entrare in contatto vivo con veri studiosi ortodossi che vivono realmente la loro fede e pensano secondo la “vecchia scuola” di fede e pietà. Ma tutto questo – quello che un tempo era considerato il normale ambiente ortodosso – oggi è disdegnato dai cristiani ortodossi che sono in armonia con l’ambiente artificiale del mondo moderno, e non fa più parte nemmeno dell’esperienza della nuova generazione. Nell’emigrazione russa, i “teologi” della nuova scuola, desiderosi di essere in armonia con la moda intellettuale, di citare l’ultima dottrina cattolica o protestante, di adottare tutto il tono “casual” della vita contemporanea e soprattutto del mondo accademico, sono stati giustamente chiamati “teologi con la sigaretta”. Con altrettanta giustificazione si potrebbero chiamare “teologi davanti a un bicchiere di vino”, o sostenitori della “teologia a stomaco pieno” o della “spiritualità con comodità”. Il loro messaggio non ha forza, perché essi stessi sono completamente di questo mondo e si rivolgono a persone mondane in un’atmosfera mondana: da tutto ciò non derivano imprese ortodosse, ma solo chiacchiere e frasi vuote e pompose.

Un riflesso accurato di questo spirito, a livello popolare, può essere visto in un breve articolo scritto da un importante laico dell’arcidiocesi greca in America e pubblicato nel giornale ufficiale di questa giurisdizione. Evidentemente influenzato dal “revival patristico” che ha colpito l’arcidiocesi greca e il suo seminario alcuni anni fa, questo laico scrive: “La frase ‘stare fermi’ è oggi molto necessaria. È in realtà una parte importante della nostra tradizione ortodossa, ma il mondo veloce in cui viviamo sembra escluderla dai nostri programmi”. Per trovare questo silenzio, egli raccomanda di “cominciare, anche nelle nostre case… A tavola, prima di mangiare, invece di una preghiera recitata, perché non un minuto di preghiera silenziosa e poi recitare insieme il “Padre nostro”? Potremmo sperimentarlo anche nelle nostre parrocchie durante le funzioni. Non c’è bisogno di aggiungere o togliere nulla. Alla fine della funzione basta rinunciare a qualsiasi preghiera udibile, canto o movimento, e stare in silenzio, ognuno di noi pregando per la presenza di Dio nella propria vita. Il silenzio e la disciplina corporea fanno parte della nostra tradizione ortodossa. Nei secoli passati era chiamato, nella Chiesa orientale, “movimento esicasta”… Stare fermi. È un inizio verso il rinnovamento interiore di cui tutti abbiamo bisogno e che dovremmo cercare”. (The Orthodox Observer, 17 settembre 1975, p. 7).

L’autore, ovviamente, ha buone intenzioni, ma, come le stesse chiese ortodosse di oggi, è bloccato nella trappola del pensiero mondano che gli rende impossibile vedere le cose nel normale modo ortodosso. Inutile dire che se si intende leggere i Santi Padri e sottoporsi ad un “risveglio patristico” solo per inserire di tanto in tanto nella propria agenda un momento di silenzio puramente esteriore (che ovviamente viene riempito interiormente con il tono mondano di tutta la vita al di fuori di quel momento!) e inflazionandolo con il nome esaltato di esicasmo – allora è meglio non leggere affatto i Santi Padri, perché questa lettura ci porterà semplicemente a diventare ipocriti e impostori, non più capaci delle organizzazioni giovanili ortodosse di separare il sacro e il frivolo. Per avvicinarsi ai Santi Padri bisogna sforzarsi di uscire da questa atmosfera mondana, dopo averla riconosciuta per quello che è. Una persona che si trova a suo agio nell’atmosfera degli odierni “ritiri…, conferenze” e “istituti” ortodossi non può sentirsi a suo agio nel mondo della genuina spiritualità ortodossa, che ha un “tono” totalmente diverso da quello attuale in queste tipiche espressioni della mondanità “religiosa”. Dobbiamo affrontare una verità dolorosa ma necessaria: una persona che legge seriamente i Santi Padri e che lotta secondo le sue forze (anche se a un livello molto primitivo) per condurre una vita spirituale ortodossa, deve essere al di fuori dei tempi, deve essere estranea all’atmosfera dei movimenti e delle discussioni “religiose” contemporanee, deve sforzarsi consapevolmente di condurre una vita molto diversa da quella riflessa in quasi tutti i libri e i periodici “ortodossi” di oggi. Tutto questo, a dire il vero, è più facile a dirsi che a farsi; ma ci sono alcuni aiuti di carattere generale che possono aiutarci in questa lotta. Su questi torneremo dopo aver esaminato brevemente un’altra insidia da evitare nello studio dei Santi Padri.

LA TERZA TRAPPOLA: “Zelo non secondo conoscenza” (Romani 10,2)

Data l’impotenza e l’insipienza dell'”ortodossia” mondana di oggi, non sorprende che alcuni, anche in mezzo alle organizzazioni “ortodosse” mondane, intravedano il fuoco della vera ortodossia contenuto nei servizi divini e negli scritti patristici e, tenendolo come standard contro coloro che si accontentano di una religione mondana, diventino zelatori della vera vita e della vera fede ortodossa. Di per sé, questo è lodevole; ma nella pratica reale non è così facile sfuggire alle reti della mondanità, e troppo spesso questi zelatori non solo mostrano molti segni della mondanità che desiderano sfuggire, ma sono anche condotti fuori dal regno della tradizione ortodossa in qualcosa di più simile a un settarismo febbrile.

L’esempio più eclatante di questo “zelo non conforme alla conoscenza” si trova nell’attuale movimento “carismatico”. Non è necessario descrivere qui questo movimento. [Una descrizione dettagliata può essere letta in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.] Ogni numero della rivista “carismatica ortodossa”, The Logos, rende sempre più chiaro che i cristiani ortodossi che sono stati attratti da questo movimento non hanno un solido background nell’esperienza del cristianesimo patristico e le loro apologie sono quasi interamente protestanti nel linguaggio e nel tono. The Logos, a dire il vero, cita scritti di San Simeone il Nuovo Teologo e di San Serafino di Sarov sul tema del cristianesimo patristico. Serafino di Sarov sull’acquisizione dello Spirito Santo; ma il contrasto tra questi veri insegnamenti ortodossi sullo Spirito Santo e le esperienze protestanti descritte nella stessa rivista è così evidente che si tratta di due realtà completamente diverse: una, lo Spirito Santo, che viene solo a coloro che lottano nella vera vita ortodossa, ma non (in questi ultimi tempi) in modo spettacolare; e un’altra, lo “spirito religioso ecumenista dei tempi”, che si impossessa proprio di coloro che rinunciano (o non hanno mai conosciuto) lo stile di vita ortodosso “esclusivo” e si “aprono” a una nuova rivelazione accessibile a tutti, indipendentemente dalla setta. Chi studia attentamente i Santi Padri e applica il loro insegnamento alla propria vita sarà in grado di individuare in questo movimento i segni rivelatori dell’inganno spirituale (prelest), e riconoscerà anche le pratiche e i toni poco ortodossi che lo caratterizzano.

Esiste anche una forma abbastanza poco spettacolare di “zelo non secondo conoscenza” che può essere più che un pericolo per il cristiano ortodosso ordinario e serio, perché può portarlo fuori strada nella sua vita spirituale personale senza essere rivelato da nessuno dei segni più evidenti dell’inganno spirituale. Questo è un pericolo soprattutto per i nuovi convertiti, per i novizi nei monasteri e, in una parola, per tutti coloro il cui fanatismo è giovane, in gran parte non testato dall’esperienza e non temperato dalla prudenza.

Questo tipo di zelo è il prodotto dell’unione di due atteggiamenti fondamentali. In primo luogo, c’è l’alto idealismo che è ispirato soprattutto da resoconti di chi ha dimorato nel deserto, delle severe imprese ascetiche, degli stati spirituali elevati. Questo idealismo in sé è buono ed è caratteristico di ogni vero fanatismo per la vita spirituale; ma per essere fruttuosa deve essere temperata dall’esperienza concreta delle difficoltà della lotta spirituale e dall’umiltà che nasce da questa lotta, se è genuina. Senza questo temperamento si perderà il contatto con la realtà della vita spirituale e sarà reso infruttuoso seguendo – per citare ancora le parole del vescovo Ignazio – «un sogno impossibile di una vita perfetta raffigurata in modo vivido e seducente nella sua immaginazione». Per rendere fruttuoso questo idealismo bisogna scoprire come seguire il consiglio del vescovo Ignazio (L’Arena, cap. 10).

In secondo luogo, a questo idealismo ingannevole si aggiunge, soprattutto nella nostra epoca razionalistica, un atteggiamento estremamente critico nei confronti di tutto ciò che non è all’altezza dello standard incredibilmente elevato del novizio. Questa è la causa principale della disillusione che spesso colpisce i convertiti e i novizi dopo che il loro primo entusiasmo per l’Ortodossia o la vita monastica si è affievolito. Questa disillusione è un segno sicuro che il loro approccio alla vita spirituale e alla lettura dei Santi Padri è stato unilaterale, con un’enfasi eccessiva sulla conoscenza astratta che gonfia, e una mancanza di enfasi o totale inconsapevolezza del dolore del cuore che deve accompagnare la lotta spirituale. È il caso del novizio che scopre che la regola del digiuno nel monastero da lui scelto non è all’altezza di quella che ha letto tra i Padri del deserto, o che il Tipico dei servizi divini non è seguito alla lettera, o che il suo padre spirituale ha difetti umani come chiunque altro e non è effettivamente un “anziano portatore di Dio”; ma questo stesso novizio è il primo che crollerebbe in breve tempo sotto una regola di digiuno o con un Tipico inadatto ai nostri giorni spiritualmente deboli, e che trova impossibile offrire al suo padre spirituale la fiducia senza la quale non può essere affatto spiritualmente guidato. Le persone che vivono nel mondo possono trovare esatti parallelismi con questa situazione monastica nei nuovi convertiti nelle parrocchie ortodosse di oggi.

L’insegnamento patristico sul dolore del cuore è uno degli insegnamenti più importanti dei nostri giorni in cui la “conoscenza mentale” è eccessivamente enfatizzata a scapito del corretto sviluppo della vita emotiva e spirituale. Di questo si parlerà negli appositi capitoli di questa Patrologia. La mancanza di questa esperienza essenziale è ciò che soprattutto è responsabile del dilettantismo, della banalità, della mancanza di serietà nello studio ordinario dei Santi Padri oggi; senza di essa non è possibile applicare alla propria vita gli insegnamenti dei Santi Padri. Si può raggiungere il livello più alto di comprensione con la mente dell’insegnamento dei Santi Padri, si possono avere “a portata di mano” citazioni dei Santi Padri su ogni argomento immaginabile, come quelli descritti nei libri patristici, possono anche conoscere perfettamente tutte le insidie ​​in cui è possibile cadere nella vita spirituale – e tuttavia, senza pena di cuore, si può essere un fico sterile, un noioso “esperto di tutto” che è sempre “corretto”, ovvero un esperto in tutte le esperienze “carismatiche” attuali, che non conosce e non può trasmettere il vero spirito dei Santi Padri.

Tutto quanto sopra detto non è affatto un catalogo completo dei modi per non leggere o avvicinarsi ai Santi Padri. Si tratta solo di una serie di accenni sui molti modi in cui è possibile avvicinarsi erroneamente ai Santi Padri, e quindi non trarre alcun beneficio o addirittura subire qualche danno dalla loro lettura. È un tentativo di avvertire il cristiano ortodosso che lo studio dei Santi Padri è una questione seria che non dovrebbe essere presa alla leggera, secondo nessuna delle mode intellettuali dei nostri tempi. Ma questo avvertimento non dovrebbe spaventare il cristiano ortodosso serio. La lettura dei Santi Padri è, infatti, cosa indispensabile per chi tiene alla propria salvezza e desidera realizzarla con timore e tremore; ma bisogna arrivare a questa lettura in modo pratico per sfruttarla al massimo.

Nota finale:

Sembra che questi articoli volessero rappresentare l’inizio di un libro intitolato I Santi Padri della spiritualità ortodossa. Sfortunatamente, questa serie di articoli si è conclusa con questa terza puntata.

English version

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part III. How Not to Read the Holy Fathers

ENOUGH HAS BEEN SAID to indicate the seriousness and sobriety with which one must approach the study of the Holy Fathers. But the very habit of light-mindedness in 20th-century man, of not taking seriously even the most solemn subjects, of “playing with ideas”—which is what scholars at universities now do—makes it necessary for us to look more closely at some common mistakes which have been made by nominal Orthodox Christians in their study or teaching of the Holy Fathers. It will be necessary here to cite names and publications in order to know precisely the pitfalls into which many have already fallen. This examination will enable us to see more clearly how not to approach the Holy Fathers.

THE FIRST PITFALL: DILETTANTISM

This, the pit into which the most light-minded of those interested in Orthodox theology or spirituality usually fall, is most apparent in “ecumenical” gatherings of many kinds conferences, “retreats,” and the like. Such gatherings are a specialty of the English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, as reflected in its journal, Sobornost. Here we may read, for example, in an address on the Desert Fathers by a supposedly Orthodox clergyman, “The Fathers of the Desert can play an extremely important role for us. They can be for all of us a wonderful place of ecumenical meeting.” [1] Can the speaker be so naive as not to know that the Father he wishes to study, like all the Holy Fathers, would be horrified to learn that his words were being used to teach the art of prayer to the heterodox? It is one of the rules of politeness at such “ecumenical” gatherings that the heterodox are not informed that the first prerequisite for studying the Fathers is to have the same faith as the Fathers of Orthodoxy. Without this prerequisite all instruction in prayer and spiritual doctrine is only a deception, a means for further entangling the heterodox listener in his own errors. This is not fair to the listener; it it is not serious on the part of the speaker; it is exactly how not to undertake the study or the teaching of the Holy Fathers.

In the same periodical one may read of a “pilgrimage to Britain” wherein a group of Protestants attended services of various sects and then an Orthodox Liturgy, at which “the Father made a very clear and illuminating address on the topic of the Eucharist (Sobornost,Summer, 1969, p. 680). Undoubtedly the Father quoted the Holy Fathers in his address—but he did not bring understanding to his listeners; he only confused them the more by allowing them now to think that Orthodoxy is just another of the sects they were visiting, and that the Orthodox doctrine of the Eucharist can help them the better to understand their Lutheran or Anglican services. In an account of an “Ecumenical Retreat” in the same issue (p. 684), we find a result of the preaching of “Orthodox theology” under such conditions. After attending an Orthodox Liturgy, the retreatants attended a “Baptist Communion service,” which was “a breath of fresh air.” “Particularly refreshing was the little sermon on the note of Resurrection joy. Those of us who know the Orthodox Church have found the same truth expressed there and we were happy to find it in a Baptist service also.” The Orthodox encouragers of such insensitive dilettantism have doubtless forgotten the Scriptural injunction: Cast not your pearls before swine.

Of late the same Fellowship has broadened its dilettantism, following the latest intellectual fashion, to include lectures on Sufism and other non-Christian religious traditions, which probably enrich the “spirituality” of the listeners in much the way Orthodoxy has been doing it for them up to now.

The same corrupt spiritual attitude may be seen on a more sophisticated level in the “agreed statements” that issue now and again from “consultations of theologians,” whether Orthodox-Roman Catholic, Orthodox-Anglican, or the like. These “agreed statements,” on such subjects as “the Eucharist” or “the nature of the Church” are, again, an exercise in “ecumenical” politeness which does not even hint to the heterodox (if the “Orthodox theologians” present even know it) that, whatever definition of such realities might be “agreed upon,” the heterodox, being without the experience of living in the Church of Christ, lack the reality thereof. Such “theologians” do not hesitate even to seek some “agreement” on spirituality itself where, if anywhere, the impossibility of any agreement should be glaringly evident. Those who can believe, as the official “Message” of the “Orthodox-Cistercian Symposium” (Oxford, 1973) declares, that Roman Catholic, Orthodox and Anglican monastics have a “deep unity between us, as members of monastic communities coming from different Church traditions,” surely are thinking according to the corrupt wisdom of this world and its “ecumenical” fashions, and not in accordance with the Orthodox monastic-spiritual tradition, which is strict in its insistence on purity of faith. The worldly purpose and tone of such “dialogues” is made quite clear in a report on the same Symposium, which indicates that this “dialogue” is now going to be broadened to include non-Christian monasticism, something which will enable “our common Christian monasticism… to identify in some real way with the monasticism of Buddhism and Hinduism.”[2] However sophisticated the participants in this Symposium may imagine themselves to be, their dilettantism is by no means superior to that of the Protestant laymen who are awed just as much by the Baptist communion service as by the Orthodox Liturgy.

Again, one may read, in an “Orthodox” periodical, an account of an “Ecumenical Institute on Spirituality” (Catholic-Protestant-Orthodox) held at St. Vladimir’s Seminary in New York in 1969, where a talk was given by the “broad-minded” Orthodox professor Nicholas Arseniev on Christian spirituality East and West. An Orthodox priest thus reports his talk: “One of the professor’s most striking assertions was that there already exists a Christian unity in the saints of all Christian traditions. It would be interesting to try to work out the implications of this for a treatment of the doctrinal and institutional divisions which also clearly exist.”[3] The doctrinal deviations of “Orthodox” ecumenists are bad enough, but when it comes to spirituality there seem to be no bounds whatever to what may be said or believed—an indication of how remote and vague the tradition and experience of genuine Orthodox spirituality have become to the “Orthodox theologians” of today. A true and serious study of “comparative spirituality” could indeed be made, but it will never produce an “agreed statement.” To take only one example: the prime example of “Western spirituality” cited by Dr. Arseniev and nearly everyone else is Francis of Assisi, who according to the standard of Orthodox spirituality is a classic example of a monk who went spiritually astray and fell into deception (prelest) and was revered as a saint only because the West had already fallen into apostasy and lost the Orthodox standard of spiritual life. In our study of the Orthodox spiritual tradition in this book* it will be necessary to point out (by way of contrast) precisely where Francis and later Western “saints” went astray; for the present, it is enough to indicate that the attitude which produces such “ecumenical institutes” and “agreed statements” is basically the same attitude of frivolous dilettantism which we have already examined on a more popular level above.

The main cause of this spiritually pathological attitude is probably not so much the wrong intellectual attitude of theological relativism which prevails in “ecumenical” circles, as it is something deeper, something involved in the whole personality and way of life of most “Christians” today. One may see a glimpse of this in the comment of one Orthodox student at the “Ecumenical Institute,” sponsored by the World Council of Churches at Bossey, Switzerland. Speaking of the value of “the personal encounter with so many different approaches which we had not previously experienced,” he notes that “the best discussions” (which were on the subject of “Evangelism”) “took place not during the plenary sessions, but rather when sitting by the fireplace drinking a glass of wine.”[4] This almost off-hand remark reveals more than the “casualness” of contemporary life; it indicates a whole modern attitude toward the. Church and her theology and practice. But this brings us to the second basic pitfall we must avoid in our study of the Holy Fathers.

THE SECOND PITFALL: “THEOLOGY WITH A CIGARETTE”

It is not only “ecumenical” gatherings which can be light-minded and frivolous; one may note precisely the same tone at “Orthodox” conventions and “retreats,” and at gatherings of “Orthodox theologians.” The Holy Fathers are not always directly involved or discussed in such gatherings, but an awareness of the spirit of such gatherings will prepare us to understand the background which seemingly serious Orthodox Christians bring with them when they begin to study spirituality and theology.

One of the largest “Orthodox” organizations in the United States is the “Federated Russian Orthodox Clubs,” consisting chiefly of members of the former Russian-American Metropolia, which has a yearly convention whose activities are quite typical of “Orthodoxy” in America. The October, 1973, issue of The Russian Orthodox Journal is devoted to the Convention of 1973, atwhich Bishop Dimitry of Hartford told the delegates: “What I see here, and I mean this extremely sincerely, is that the FROC is potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy” (p. 18). It is true that a number of clergymen attend the Convention, usually including Metropolitan Ireney, that there are daily religious services, and that there is always a seminar on a religious subject. Significantly, during this year’s seminar (entitled, in the “American Orthodox” spirit, “What? Lent Again?”), “questions arose about observing Saturday evening as a preparation period for Sunday. Conflicts arise because American life styles have made Saturday night the ‘social night’ of the week.” One priest who was present gave an Orthodox answer to this, question: “On Saturday evening he advocates attendance at Vespers, confession, and a quiet evening” (p. 28). But for the Convention planners there was quite obviously no “conflict” whatever: they provided (as at every Convention) a Saturday-night dance fully in the “American life-style,” and on other nights similar amusements, including a “Teenage Frolic” with a “Rock and Roll band,” an imitation gambling casino “with an environment reminiscent of Las Vegas,” and some instruction for men in “the ‘cultural’ art of belly dancing” (p. 24). The pictures accompanying the articles show some of these frivolities, which indeed assure us that “Orthodox” Americans are by no means behind their fellow countrymen in their pursuit of shamelessly inane entertainments—interspersed with solemn photographs of the Divine Liturgy. This mixture of the sacred and the frivolous is considered “normal” in “American Orthodoxy” today; this organization is (let us repeat the bishop’s words) “potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy.” But what spiritual preparation can a person bring to the Divine Liturgy when he has spent the previous evening celebrating the spirit of this world, and has spent many hours during the weekend at totally frivolous entertainments? A sober observer can only reply: Such a person brings the worldly spirit with him, worldliness is the very air he breathes; and therefore for him Orthodoxy itself enters into the “casual” American “life-style.” If such a person were to begin reading the Holy Fathers, which speak of a totally different way of life, he would either find them totally irrelevant to his own way of life, or else would be required to distort their teaching in order to make it applicable to his way of life.

Let us look now at a more serious “Orthodox” gathering, where the Holy Fathers are indeed mentioned: the yearly “Conferences” of the “Orthodox Campus Commission.” The Fall, 1975,issue of Concern magazine gives a number of photographs of the 1975 Conference, whose aim was entirely “spiritual”: the same “casual” spirit, with young ladies in shorts (which puts even the FROC Convention to shame!), and the priest delivering a “main address” with his hand in his pocket… and in such an atmosphere Orthodox Christians discuss such subjects as “The Holy Spirit in the Orthodox Church.” The same issue of Concern gives us an insight into what goes on in the minds of such outwardly “casual” people. A new “women’s liberation” column (with a title so deliberately vulgar that we need not repeat it here) is edited by a smart young convert: “When I converted to Orthodoxy, I felt that I was aware of most of the problems that I would meet in the Church. I knew of the scandalous ethnicism that divides the Church, of the quarrels and factions that plague parishes, and of the religious ignorance…” This columnist then proceeds to advocate the “reform” of the traditional forty-day period for “churching” a woman after childbirth, as well as other “old-world” attitudes which this “enlightened” modern American finds “unfair.” Perhaps she has never met a genuine Orthodox clergyman or layman who could explain to her the meaning or convey to her the tone of the authentic Orthodox way of life; perhaps if she did encounter such a one, she might not even wish to understand him, nor to comprehend that the worst of a convert’s “problems” today are not in the easily-criticized Orthodox environment at all, but rather in the mind and attitude of the converts themselves. The way of life reflected in Concern isnot the Orthodox way of life, and its very tone makes any approach to the Orthodox way of life almost impossible. Such periodicals and conferences reflect the majority of pampered, self-centered, frivolous young people of today who, when they come to religion, expect to find “spirituality with comfort,” something which is instantly reasonable to their immature minds which have been stupefied by their “modern education.” The young—and many older clergymen of today, themselves having been exposed to the worldly atmosphere in which young people are growing up—sometimes stoop to flattering the young people’s easy criticism of their elders and their Orthodox “ghettos,” and at best give powerless academic lectures on subjects far over their heads. Of what benefit is it to speak to such young people on “Deification” or “The Way of the Saints” (Concern, Fall, 1974)—concepts which, to be sure, are intellectually comprehensible to college students today, but for which they are emotionally and spiritually totally unprepared, not knowing the ABCs of what it means to struggle in the Orthodox life and separate oneself from one’s own worldly background and upbringing? Without such preparation and training in the ABC’s of spiritual life, and an awareness of the difference between worldliness and the Orthodox way of life, such lectures can have no fruitful spiritual result.

Seeing this background from which today’s young Orthodox Christians are emerging in America (and throughout the free world), one is not surprised to discover the general lack of seriousness in most works—lectures, articles, books—on Orthodox theology and spirituality today; and the message of even the best lecturers and writers in the “mainstream” of the Orthodox jurisdictions today seems strangely powerless, without spiritual force. On a more popular level also, the life of the ordinary Orthodox parish today gives an impression of spiritual inertia quite similar to that of today’s “Orthodox theologians.” Why is this?

The powerlessness of Orthodoxy as it is so widely expressed and lived today is doubtless itself a product of the poverty, the lack of seriousness, of contemporary life. Orthodoxy today, with its priests and theologians and faithful, has become worldly. The young people who come from comfortable homes and either accept or seek (the “native Orthodox” and “converts” being alike in this regard) a religion that is not remote from the self-satisfied life they have known; the professors and lecturers whose milieu is the academic world where, notoriously, nothing is accepted as ultimately serious, a matter of life or death; the very academic atmosphere of self-satisfied worldliness in which almost all ”retreats” and “conferences” and “institutes” take place—all of these factors join together to produce an artificial, hothouse atmosphere in which, no matter what might be said concerning exalted Orthodox truths or experiences, by the very context in which it is said and by virtue of the worldly orientation of both speaker and listener, it cannot strike to the depths of the soul and produce the profound commitment which used to be normal to Orthodox Christians. By contrast to this hothouse atmosphere, the natural Orthodox education, the natural transmission of Orthodoxy itself, occurs in what used to be accepted as the natural Orthodox environment: the monastery, where not only novices but also pious laymen come to be instructed as much by the atmosphere of a holy place as by the conversation of a particularly revered elder, the normal parish, if its priest is of the “old-fashioned” mentality, on fire with Orthodoxy and so desirous for the salvation of his flock that he will not excuse their sins and worldly habits but is always urging them to a higher spiritual life; even the theological school, if it is of the old type and not modelled on the secular universities of the West, where there is opportunity to make living contact with true Orthodox scholars who actually live their faith and think according to the “old school” of faith and piety. But all of this—what used to be regarded as the normal Orthodox environment—is now disdained by Orthodox Christians who are in harmony with the artificial environment of the modern world, and is no longer even part of the experience of the new generation. In the Russian emigration, the “theologians” of the new school, who are eager to be in harmony with intellectual fashion, to quote the latest Roman Catholic or Protestant scholarship, to adopt the whole “casual” tone of contemporary life and especially of the academic world—have been aptly called “theologians with a cigarette.” With equal justification one might call them “theologians over a wine glass,” or advocates of “theology on a full stomach” or “spirituality with comfort.” Their message has no power, because they themselves are entirely of this world and address worldly people in a worldly atmosphere—from all this it is not Orthodox exploits that come, but only idle talk and empty, pompous phrases.

An accurate reflection of this spirit on a popular level may be seen in a brief article written by a prominent layman of the Greek Archdiocese in America and published in the official newspaper of this jurisdiction. Obviously influenced by the ”patristic revival” which hit the Greek Archdiocese and its seminary some years ago, this layman writes: “The phrase ‘to be still’ is a much needed one today. It is actually an important part of our Orthodox tradition, but the fast world in which we live seems to crowd it out of our schedule.” To find this silence he advocates “making a beginning, even in our homes… At the table before eating, instead of a rote prayer why not a minute of silent prayer, and then jointly reciting the ‘Our Father’? We could also experiment with this in our parishes during the services. Nothing need be added or detracted. At the end of the service merely forego any audible prayer, chanting, singing or movement, and just stand in silence, each of us praying for God’s presence in our lives. Silence and body discipline are very much part of our Orthodox tradition. In centuries past it was called in the Eastern Church, the ‘hesychast movement’… To be still. That is a beginning toward the inner renewal we all need, and should be seeking.” (The Orthodox Observer, Sept. 17, 1975, p. 7.)

The author obviously means well, but like the Orthodox churches themselves today he is caught in a trap of worldly thinking which makes it impossible for him to see things in the normal Orthodox way. Needless to say, if one is going to read the Holy Fathers and undergo a “Patristic revival” only in order to fit into one’s schedule now and then a moment of purely outward silence (which is obviously filled inwardly with the worldly tone of one’s whole life outside of that moment!) and to inflate it with the exalted name of hesychasm—then it is better not to read the Holy Fathers at all, for this reading will simply lead us to become hypocrites and fakers, no more able than the Orthodox youth organizations to separate the sacred and the frivolous. In order to approach the Holy Fathers one must be striving to get out of this worldly atmosphere, after recognizing it for what it is. A person who is at home in the atmosphere of today’s Orthodox “retreats …, conferences,” and “institutes” cannot he at home in the world of genuine Orthodox spirituality, which has a totally different “tone” from that which is present in these typical expressions of “religious” worldliness. We must face squarely a painful but necessary truth: a person who is seriously reading the Holy Fathers and who is struggling according to his strength (even if on a very primitive level) to lead an Orthodox spiritual life—must be out of step with the times, must be a stranger to the atmosphere of contemporary “religious” movements and discussions, must be consciously striving to lead a life quite different from that reflected in almost all “Orthodox” books and periodicals today. All this, to be sure, is easier said than done; but there are some helps of a general nature which can aid us in this struggle. To these we shall return after a brief examination of yet one more pitfall to avoid in our study of the Holy Fathers.

THE THIRD PITFALL:

“ZEAL NOT ACCORDING TO KNOWLEDGE”(Rom. 10:2)

Given the powerlessness and insipidity of worldly “Orthodoxy” today, it is not surprising that some, even in the midst of worldly “Orthodox” organizations, should catch a glimpse of the fire of true Orthodoxy which is contained in the Divine services and in the Patristic writings, and, holding it as a standard against those who are satisfied with a worldly religion, should become zealots of true Orthodox life and faith. In itself, this is praiseworthy; but in actual practice it is not so easy to escape the nets of worldliness, and all too often such zealots not only show many signs of the worldliness they desire to escape, but also are led outside the realm of Orthodox tradition altogether into something more like a feverish sectarianism.

The most striking example of such “zeal not according to knowledge” is to be seen in the present-day “charismatic” movement. There is no need here to describe this movement.[5] Each issue of the “Orthodox charismatic” magazine, The Logos, makes it ever clearer that those among Orthodox Christians who have been drawn into this movement have no solid background in the experience of Patristic Christianity, and their apologies are almost entirely Protestant in language and tone. The Logos, to be sure, has quoted writings of St. Simeon the New Theologian and St. Seraphim of Sarov on the acquisition of the Holy Spirit; but the contrast between these true Orthodox teachings on the Holy Spirit and the Protestant experiences described in the same magazine is so glaring that it is obvious that there are two entirely different realities involved: one, the Holy Spirit, Who comes only to those struggling in the true Orthodox life, but not (in these latter times) in any spectacular way; and quite another, the ecumenist religious “spirit of the times,” which takes possession precisely of those who give up (or never knew) the “exclusive” Orthodox way of life and “open” themselves to a new revelation accessible to all no matter of what sect. One who is carefully studying the Holy Fathers and applying their teaching to his own life will be able to detect in such a movement the tell-tale signs of spiritual deception (prelest), and also will recognize the quite un-Orthodox practices and tone which characterize it.

There is also a quite unspectacular form of “zeal not according to knowledge” which can be more of a danger to the ordinary serious Orthodox Christian, because it can lead him astray in his personal spiritual life without being revealed by any of the more obvious signs of spiritual deception. This is a danger especially for new converts, for novices in monasteries—and, in a word, for everyone whose zealotry is young, largely untested by experience, and untempered by prudence.

This kind of zeal is the product of the joining together of two basic attitudes. First, there is the high idealism which is inspired especially by accounts of desert-dwelling, severe ascetic exploits, exalted spiritual states. This idealism in itself is good, and it is characteristic of all true zealotry for spiritual life; but in order to be fruitful it must be tempered by actual experience of the difficulties of spiritual struggle, and by the humility born of this struggle if it is genuine. Without this tempering it will lose contact with the reality of spiritual life and be made fruitless by following—to cite again the words of Bishop Ignatius—”an impossible dream of a perfect life pictured vividly and alluringly in his imagination.” To make this idealism fruitful one must find out how to follow the counsel of Bishop Ignatius: “Do not trust your thoughts, opinions, dreams, impulses or inclinations, even though they offer you or put before you in an attractive guise the most holy monastic life” (The Arena, ch. 10).

Second, there is joined to this deceptive idealism, especially in our rationalistic age, an extremely critical attitude applied to whatever does not measure up to the novice’s impossibly high standard. This is the chief cause of the disillusionment which often strikes converts and novices after their first burst of enthusiasm for Orthodoxy or monastic life has faded away. This disillusionment is a sure sign that their approach to spiritual life and to the reading of the Holy Fathers has been one-sided, with an over-emphasis on abstract knowledge that puffs one up, and a lack of emphasis or total unawareness of the pain of heart which must accompany spiritual struggle. This is the case with the novice who discovers that the rule of fasting in the monastery he has chosen does not measure up to that which he has read about among the desert Fathers, or that the Typicon of Divine services is not followed to the letter, or that his spiritual father has human failings like anyone else and is not actually a “God-bearing Elder”; but this same novice is the very first one who would collapse in a short while under a rule of fasting or a Typicon unsuited to our spiritually feeble days, and who finds it impossible to offer the trust to his spiritual-father without which he cannot be spiritually guided at all. People living in the world can find exact parallels to this monastic situation in new converts in Orthodox parishes today.

The Patristic teaching on pain of heart isone of the most important teachings for our days when “head-knowledge” is so much over-emphasized at the expense of the proper development of emotional and spiritual life. This will be discussed in the appropriate chapters of this Patrology. The lack of this essential experience is what above all is responsible for the dilettantism, the triviality, the want of seriousness in the ordinary study of the Holy Fathers today; without it, one cannot apply the teachings of the Holy Fathers to one’s own life. One may attain to the very highest level of understanding with the mind the teaching of the Holy Fathers, may have “at one’s fingertips” quotes from the Holy Fathers on every conceivable subject, may have “spiritual experiences” which seem to be those described in the Patristic books, may even know perfectly all the pitfalls into which it is possible to fall in spiritual life—and still, without pain of heart, one can be a barren fig tree, a boring “know-it-all” who is always “correct,” or an adept in all the present-day “charismatic” experiences, who does not know and cannot convey the true spirit of the Holy Fathers.

All that has been said above is by no means a complete catalogue of the ways not to read or approach the Holy Fathers. It is only a series of hints as to the many ways in which it is possible to approach the Holy Fathers wrongly, and therefore derive no benefit or even be harmed from reading them. It is an attempt to warn the Orthodox Christian that the study of the Holy Fathers is a serious matter which should not be undertaken lightly, according to any of the intellectual fashions of our times. But this warning should not frighten away the serious Orthodox Christian. The reading of the Holy Fathers is, indeed, an indispensable thing for one who values his salvation and wishes to work it out with fear and trembling; but one must come to this reading in a practical way so as to make maximum use of it.

Endnotes

1. Archimandrite Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.

2. Diakonia, 1974, no. 4, pages 380, 392.

3. Fr. Thomas Hopko, in St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 4, p. 225, 231.

4. St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 3, p. 164.

5.  A detailed description may be read in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.

From The Orthodox Word, Vol. 11, No. 6 (Nov.-Dec., 1975), 228-239.  It appears to have been the start of a book entitled The Holy Fathers of Orthodox Spirituality.  Unfortunately, this series ended with this third installment.




P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (II)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word, vol. 11, n. 1 (gennaio-febbraio 1975), p. 35-41.

I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa

Parte II. Come leggere i Santi Padri

LA PRESENTE PATROLOGIA prenderà in esame i Padri della spiritualità ortodossa; pertanto, il suo scopo e i suoi fini sono piuttosto diversi dal corso ordinario di Patrologia nel seminario. Il nostro scopo in queste pagine sarà duplice:

  • Presentare il fondamento teologico ortodosso della vita spirituale: la natura e l’obiettivo della lotta spirituale, la visione patristica della natura umana, il carattere dell’attività della grazia divina e dello sforzo umano, ecc. .; 
  • e dare l’insegnamento pratico su come vivere questa vita spirituale ortodossa, con una caratterizzazione degli stati spirituali, sia buoni che cattivi, che si possono incontrare o attraversare nella lotta spirituale. Pertanto, le questioni strettamente dogmatiche riguardanti la natura di Dio, la Santissima Trinità, l’Incarnazione del Figlio di Dio, la processione dello Spirito Santo e simili, saranno toccati solo quando questi riguardano questioni di vita spirituale; e molti Santi Padri i cui scritti trattano principalmente di queste questioni dogmatiche e che toccano solo secondariamente questioni di vita spirituale, per così dire, non verranno discussi affatto. In una parola, questo sarà principalmente uno studio dei Padri della Filocalia, quella raccolta di scritti spirituali ortodossi che fu composta agli albori dell’età contemporanea, poco prima dello scoppio della feroce Rivoluzione in Francia, i cui effetti finali stiamo assistendo ai nostri giorni di dominio ateo e anarchia.

Nel secolo attuale c’è stato un notevole aumento di interesse per la Filocalia e i suoi Santi Padri. In particolare, i Padri più recenti come San Simeone il Nuovo Teologo, San Gregorio il Sinaita e San Gregorio Palamas, hanno cominciato ad essere studiati e alcuni dei loro scritti sono stati tradotti e stampati in inglese e in altre lingue occidentali. Si potrebbe addirittura dire che in alcuni ambienti seminariali e accademici sono “diventati di moda“, in netto contrasto con il XIX secolo, quando non erano affatto “di moda” nemmeno nella maggior parte delle accademie teologiche ortodosse (a differenza dei migliori monasteri che conservarono sempre santi i loro ricordi e vissero attraverso i loro scritti).

Ma proprio questo fatto presenta un grande pericolo che occorre qui sottolineare. Il “diventare di moda” degli scritti spirituali più profondi non è affatto necessariamente una cosa positiva. In effetti, è molto meglio che i nomi di questi Padri rimangano del tutto sconosciuti piuttosto che siano semplicemente l’occupazione di studiosi razionalisti e “pazzi convertiti” che non traggono alcun beneficio spirituale da loro ma aumentano solo il loro insensato orgoglio di “conoscere meglio” riguardo loro più di chiunque altro o, peggio ancora, iniziano a seguire le istruzioni spirituali contenute nei loro scritti senza una preparazione sufficiente e senza alcuna guida spirituale. Tutto ciò, certo, non significa che chi ama la verità debba abbandonare la lettura dei Santi Padri; Dio non voglia! Ma significa che tutti noi – studiosi, monaci, o semplici laici – dobbiamo avvicinarci a questi Padri con il timore di Dio, con umiltà e con una grande sfiducia nella nostra saggezza e nel nostro giudizio. Ci avviciniamo a loro con lo scopo di imparare, e prima di tutto dobbiamo ammettere, dunque, che per questo motivo abbiamo bisogno di un insegnante. E gli insegnanti esistono: nei nostri tempi in cui gli Anziani portatori di Dio sono scomparsi, i nostri insegnanti devono essere quei Padri che, soprattutto nei tempi a noi vicini, ci hanno detto specificamente come leggere – e come non leggere – gli scritti ortodossi. sulla vita spirituale. Se lo stesso beato Paisius Velichkovsky, il compilatore della prima Filocalia slava, fu “preso da paura” quando apprese che tali libri sarebbero stati stampati e non più circolati sotto forma di manoscritti in alcuni pochi monasteri, allora quanto più dobbiamo avvicinarci a loro con timore e comprendere la causa della sua paura, affinché non si abbatta su di noi la catastrofe spirituale da lui prevista.

Il beato Paisius, nella sua lettera all’archimandrita Teodosio dell’Eremo di San Sofronio, [nota: dall’edizione di Optina della Vita e degli Scritti dell’anziano Paisius, pp. 265-267] scriveva: “Per quanto riguarda la pubblicazione a stampa dei libri patristici, sia in lingua greca che in lingua slava, sono colto da gioia e timore. Da gioia, perché non saranno consegnati all’oblio definitivo e gli zelatori potranno più facilmente acquisirli; da timore, perché sono spaventato e tremo per il fatto che vengano offerti, come se potessero essere venduti come gli altri libri, non solo ai monaci, ma anche a tutti i cristiani ortodossi, e per il fatto che questi ultimi, avendo studiato l’opera della preghiera mentale in modo autonomo, senza l’istruzione di coloro che sono esperti in essa, possano cadere nell’inganno, e per il fatto che a causa dell’inganno i vanitosi possano essere blasfemi contro quest’opera santa e irreprensibile, che è stata testimoniata da moltissimi grandi e Santi Padri … e che a causa delle blasfemie seguano dubbi sull’insegnamento dei nostri Padri portatori di Dio”. La pratica della Preghiera mentale di Gesù, continua il Beato Paisius, è possibile solo nelle condizioni di obbedienza monastica.

Pochi sono, a dire il vero, nei nostri ultimi tempi di debole lotta ascetica, che lottano per le vette della preghiera mentale (o addirittura sanno cosa potrebbe essere); ma gli avvertimenti del Beato Paisius e di altri Santi Padri valgono anche per le difficoltà minori di molti cristiani ortodossi oggi. Chiunque legga la Filocalia e altri scritti dei Santi Padri, e anche molte Vite di Santi, incontrerà passaggi sulla preghiera mentale, sulla visione divina, sulla divinizzazione e su altri stati spirituali elevati, ed è essenziale per il cristiano ortodosso sapere cosa dovrebbe pensare e sentire a riguardo.

Vediamo dunque cosa dicono i Santi Padri di questo, e del nostro approccio ai Santi Padri in generale.

Il Beato Macario Anziano di Optina (+ 1860) ritenne necessario scrivere uno speciale “Avvertimento a coloro che leggono libri patristici spirituali e desiderano praticare la Preghiera mentale di Gesù” [nota: nella raccolta Lettere ai monaci, Mosca, 1862, pp. 358-380 (in russo)]. Qui questo grande Padre quasi del nostro secolo ci dice chiaramente quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti di questi stati spirituali: «I santi e teofori Padri hanno scritto dei grandi doni spirituali non perché qualcuno si sforzi indiscriminatamente di riceverli, ma affinché coloro che non li hanno, sentendo parlare di doni e rivelazioni così eccelsi, ricevuti da coloro che ne furono degni, riconoscano la propria profonda infermità e grande insufficienza, e siano involontariamente inclini all’umiltà, che è più necessaria a chi cerca salvezza che tutte le altre opere e virtù.” Ancora, San Giovanni della Scala (VI secolo) scrive: “Come un povero, vedendo i tesori reali, tanto più riconosce la propria povertà; così anche lo spirito, leggendo i resoconti delle grandi imprese dei Santi Padri, involontariamente è tanto più umiliato nel suo modo di pensare” (Gradino 26,25). Pertanto, il nostro primo approccio agli scritti dei Santi Padri deve essere di umiltà.

Scrive ancora san Giovanni della Scala: «Ammirare le fatiche dei santi è cosa lodevole; emularli salva le anime; ma desiderare all’improvviso di divenire loro imitatori è insensato e impossibile» (Gradino 4,42). Sant’Isacco il Siro (VI secolo) insegna nella sua seconda Omelia (come riassunta dall’Anziano Macario di Optina, op. cit. , p .364): “Coloro che cercano nella preghiera dolci sensazioni spirituali con aspettativa, e soprattutto coloro che tendono prematuramente alla visione e alla contemplazione spirituale, cadono nell’inganno del nemico e nel regno delle tenebre e dell’oscurità della mente, essendo abbandonati dall’aiuto di Dio e consegnati ai demoni per scherno a causa della loro orgogliosa ricerca al di sopra della loro misura e del loro valore.” Dobbiamo quindi rivolgerci ai Santi Padri con l’umile intenzione di iniziare la vita spirituale dal gradino più basso e senza nemmeno sognare di raggiungere quegli stati spirituali elevati che sono totalmente al di là delle nostre capacità. San Nilo di Sora (+ 1508), grande Padre russo dei tempi più recenti, scrive nella sua Regola Monastica (cap. 2): «Che diremo di coloro che, nel loro corpo mortale, hanno gustato il cibo immortale, che sono stati trovati degni di ricevere in questa vita transitoria una parte delle gioie che ci attendono nella patria celeste?. .. Noi, gravati di molti peccati e preda di passioni, siamo indegni anche di udire tali parole. Tuttavia, riponendo la nostra speranza nella grazia di Dio, siamo incoraggiati a conservare nella nostra mente le parole delle Sacre Scritture, affinché possiamo almeno crescere nella consapevolezza del degrado in cui sguazziamo.”

Per aiutare il nostro umile intento di leggere i Santi Padri, dobbiamo iniziare con i libri patristici elementari, quelli che insegnano l'”ABC”. Un novizio di Gaza del VI secolo scrisse una volta al grande anziano chiaroveggente San Barsanufio, proprio nello spirito dell’inesperto studente ortodosso di oggi: “Ho dei libri dogmatici e quando li leggo sento che la mia mente si trasferisce dai pensieri appassionati alla contemplazione dei dogmi”. A questo il santo anziano rispose: “Non vorrei che ti occupassi di questi libri, perché esaltano la mente in alto; ma è meglio studiare le parole degli anziani che umiliano la mente in basso. Non ho detto questo per sminuire i libri dogmatici, ma vi do solo un consiglio, perché i cibi sono diversi”. (Domande e risposte, n. 544). Uno scopo importante di questa Patrologia sarà proprio quello di indicare quali libri patristici sono più adatti ai principianti e quali vanno lasciati in un secondo momento.

Ancora una volta diciamo che diversi libri patristici sulla vita spirituale sono adatti ai cristiani ortodossi nelle loro diverse condizioni di vita: ciò che è adatto soprattutto ai solitari non è direttamente applicabile ai monaci che vivono la vita comune; ciò che vale per i monaci in generale non avrà diretta rilevanza per i laici; e in ogni condizione il cibo spirituale adatto a chi ha una certa esperienza può risultare del tutto indigeribile per i principianti. Una volta che si è raggiunto un certo equilibrio nella vita spirituale mediante la pratica attiva dei comandamenti di Dio nell’ambito della disciplina della Chiesa ortodossa, con la lettura fruttuosa degli scritti più elementari dei Santi Padri e con la guida spirituale dei padri viventi, allora si può ricevere molto beneficio spirituale da tutti gli scritti dei Santi Padri, applicandoli alla propria condizione di vita. Il Vescovo Ignazio Brianchaninov ha scritto al rbiguardo: “Si è notato che i novizi non riescono mai ad adattare i libri alla loro condizione, ma sono invariabilmente attratti dalla tendenza del libro. Se un libro dà consigli sul silenzio e mostra l’abbondanza di frutti spirituali di chi è raccolto in un profondo silenzio, il principiante ha sempre un fortissimo desiderio di ritirarsi nella solitudine, in un deserto disabitato. Se un libro parla di obbedienza incondizionata sotto la direzione di un Padre portatore di Spirito, il principiante svilupperà inevitabilmente il desiderio della vita più severa nella completa sottomissione ad un Anziano. Dio non ha dato al nostro tempo nessuno di questi due modi di vita. (L’Arena , cap. 10). Ciò che il Vescovo Ignazio dice qui sui monaci si riferisce anche ai laici, tenendo conto delle diverse condizioni della vita laicale. Al termine di questa Introduzione verranno fatti commenti particolari riguardanti la lettura spirituale per i laici.

San Barsanufio indica in un’altra Risposta (n. 62) un’altra cosa molto importante per noi che ci avviciniamo ai Santi Padri in modo troppo accademico: «Chi ha cura della propria salvezza non dovrebbe affatto chiedere [agli Anziani, cioè leggere i libri patristici ] solo per acquisire la conoscenza, poiché la conoscenza gonfia (1 Cor 8,1), come dice l’Apostolo; ma è quanto mai opportuno interrogarsi sulle passioni e su come si deve vivere la propria vita, cioè come salvarsi; poiché questo è necessario e conduce alla salvezza. Pertanto, non bisogna leggere i Santi Padri per mera curiosità o come esercizio accademico, senza l’intenzione attiva di mettere in pratica ciò che insegnano, secondo il proprio livello spirituale. I “teologi” accademici moderni hanno dimostrato abbastanza chiaramente che è possibile avere molte informazioni astratte sui Santi Padri senza alcuna conoscenza spirituale. Di essi san Macario il Grande dice (Omelia 17,9): “Proprio come uno vestito di stracci da mendicante potrebbe vedersi nel sonno come un uomo ricco, ma svegliandosi dal sonno si vede di nuovo povero e nudo, così anche coloro che deliberano sulla vita spirituale sembrano parlare logicamente, ma poiché ciò di cui parlano non è verificato nella mente da alcun tipo di esperienza, potere e conferma, rimangono in una sorta di fantasia”.

Una prova per verificare se la nostra lettura dei Santi Padri sia accademica o reale è indicata da San Barsanufio nella sua risposta a un novizio che si sentiva altezzoso e orgoglioso quando parlava dei Santi Padri (Risposta n. 697): “Quando tu conversi sulla vita dei Santi Padri e sulle loro risposte, dovresti condannare te stesso, dicendo: Guai a me! Come posso parlare delle virtù dei Padri, mentre io stesso non ho acquisito nulla di simile e non ho fatto alcun progresso? E io vivo istruendo gli altri a loro vantaggio; come potrebbe non adempiersi in me la parola dell’Apostolo: Tu che insegni agli altri, non insegni a te stesso? ” (Rm 2,21). L’insegnamento dei Santi Padri deve essere di auto-rimprovero.

Infine, dobbiamo ricordare che lo scopo principale della lettura dei Santi Padri non è quello di darci una sorta di “godimento spirituale” o di confermarci nella nostra rettitudine o conoscenza superiore o stato “contemplativo”, ma esclusivamente di aiutarci nella pratica del sentiero attivo della virtù. Molti Santi Padri discutono della distinzione tra vita “attiva” e vita “contemplativa” (o, più propriamente, “noetica”), ed è bene qui sottolineare che non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, di una qualche artificiosa distinzione tra coloro che conducono una vita “ordinaria” di “Ortodossia esteriore” o di semplici “buone azioni”, e una vita “interiore” coltivata solo dai monaci o da qualche élite intellettuale; affatto. C’è solo una vita spirituale ortodossa, ed è vissuta da ogni lottatore ortodosso, sia monaco che laico, principiante o avanzato; “azione” o “pratica” (praxis in greco) è la via, e la “visione” (theoria) o “divinizzazione” è la fine. Quasi tutti gli scritti patristici si riferiscono alla vita dell’azione, non alla vita della visione; quando viene menzionata quest’ultima, è per ricordarci lo scopo delle nostre fatiche e delle nostre lotte, che in questa vita è gustato profondamente solo da alcuni dei grandi Santi, ma nella sua pienezza è conosciuto solo nell’era a venire. Anche gli scritti più elevati della Filocalia, come scrive il vescovo Teofane il Recluso nella prefazione dell’ultimo volume della Filocalia in lingua russa, “non hanno avuto in mente la vita noetica, ma quasi esclusivamente la vita attiva”.

Anche con questa introduzione, a dire il vero, il cristiano ortodosso che vive nel nostro secolo di conoscenza gonfiata non sfuggirà ad alcune delle trappole in agguato per chi desidera leggere i Santi Padri nel loro pieno significato e contesto ortodosso. Fermiamoci quindi qui, prima di iniziare la Patrologia vera e propria, ed esaminiamo brevemente alcuni degli errori che sono stati commessi dai lettori contemporanei dei Santi Padri, con l’intento di formarci un’idea ancora più chiara su come non leggere i Santi Padri . .

ENGLISH VERSION

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part II. How to Read the Holy Fathers

THE PRESENT PATROLOGY will present the Fathers of Orthodox spirituality;therefore, its scope and aims are rather different from the ordinary seminary course in Patrology. Our aim in these pages will be twofold: (1) To present the Orthodox theological foundation of spiritual life —the nature and goal of spiritual struggle, the Patristic view of human nature, the character of the activity of Divine grace and human effort, etc.; and (2) to give, the practical teaching on living this Orthodox spiritual life, with a characterization of the spiritual states, both good and bad, which one may encounter or pass through in the spiritual struggle. Thus, strictly dogmatic questions concerning the nature of God, the Holy Trinity, the Incarnation of the Son of God, the Procession of the Holy Spirit, and the like, will be touched on only as these are involved in questions of spiritual life; and many Holy Fathers whose writings deal principally with these dogmatic questions and which touch on questions of spiritual life only secondarily, as it were, will not be discussed at all. In a word, this will be primarily a study of the Fathers of the Philokalia, that collection of Orthodox spiritual writings which was made at the dawn of the contemporary age, just before the outbreak of the fierce Revolution in France whose final effects we are witnessing in our own days of atheist rule and anarchy.

In the present century there has been a noticeable increase of interest in the Philokalia and its Holy Fathers. In particular, the more recent Fathers such as St. Simeon the New Theologian, St. Gregory the Sinaite, and St. Gregory Palamas, have begun to be studied and a few of their writings translated and printed in English and other Western languages. One might even say that in some seminary and academic circles they have “come into fashion,” in sharp contrast to the 19th century, when they were not “in fashion” at all even in most Orthodox theological academies (as opposed to the best monasteries, which always preserved their memories as holy and lived by their writings).

But this very fact presents a great danger which must here be emphasized. The “coming into fashion” of the profoundest spiritual writings is by no means necessarily a good thing. In fact, it is far better that the names of these Fathers remain altogether unknown than that they be merely the occupation of rationalist scholars and “crazy converts” who derive no spiritual benefit from them but only increase their senseless pride at “knowing better” about them than anyone else, or—even worse—begin to follow the spiritual instructions in their writings without sufficient preparation and without any spiritual guidance. All of this, to be sure, does not mean that the lover of truth should abandon the reading of the Holy Fathers; God forbid! But it does mean that all of us—scholar, monk, or simple layman—must approach these Fathers with the fear of God, with humility, and with a great distrust of our own wisdom and judgment. We approach them in order to learn, and first of all we must admit that for this we require a teacher. And teachers do exist: in our times when the God-bearing Elders have vanished, our teachers must be those Fathers who, especially in the times close to us, have told us specifically how to read—and how not to read—the Orthodox writings on the spiritual life. If the Blessed Elder Paisius Velichkovsky himself, the compiler of the first Slavonic Philokalia, was “seized with fear” on learning that such books were to be printed and no longer circulated in manuscript form among some few monasteries, then how much the more must we approach them with fear and and understand the cause of his fear, lest there come upon us the spiritual catastrophe which he foresaw.

Blessed Paisius, in his letter to Archimandrite Theodosius of the St. Sophronius Hermitage,[1] wrote: “Concerning the publication in print of the Patristic books, both in the Greek and Slavonic languages, I am seized both with joy and fear. With joy, because they will not be given over to final oblivion, and zealots may the more easily acquire them; with fear, being frightened and trembling lest they be offered, as a thing which can be sold even like other books, not only to monks, but also to all Orthodox Christians, and lest these latter, having studied the work of mental prayer in a self-willed way, without instruction from those who are experienced in it, might fall into deception, and lest because of the deception the vain-minded might blaspheme against this holy and irreproachable work, which has been testified to by very many great Holy Fathers… and lest because of the blasphemies there follow doubt concerning the teaching of our God-bearing Fathers.” The practice of the mental Prayer of Jesus, Blessed Paisius continues, is possible only under the conditions of monastic obedience.

Few are they, to be sure, in our latter times of feeble ascetic struggle, who strive for the heights of mental prayer (or even know what this might be); but the warnings of Blessed Paisius and other Holy Fathers hold true also for the lesser struggles of many Orthodox Christians today. Anyone who reads the Philokalia and other writings of the Holy Fathers, and even many Lives of Saints, will encounter passages about mental prayer, about Divine vision, about deification, and about other exalted spiritual states, and it is essential for the Orthodox Christian to know what he should think and feel about these.

Let us, therefore, see what the Holy Fathers say of this, and of our approach to the Holy Fathers in general.

The Blessed Elder Macarius of Optina (+ 1860) found it necessary to write a special “Warning to those reading spiritual Patristic books and desiring to practice the mental Prayer of Jesus.” [2] Here this great Father almost of our own century tells us clearly what our attitude should be to these spiritual states: “The holy and God-bearing Fathers wrote about great spiritual gifts not so that anyone might strive indiscriminately to receive them, but so that those who do not have them, hearing about such exalted gifts and revelations which were received by those who were worthy, might acknowledge their own profound infirmity and great insufficiency, and might involuntarily be inclined to humility, which is more necessary for those seeking salvation than all other works and virtues.” Again, St. John of the Ladder (6th century) writes: “Just as a pauper, seeing the royal treasures, all the more acknowledges his own poverty; so also the spirit, reading the accounts of the great deeds of the Holy Fathers, involuntarily is all the more humbled in its way of thought” (Step 26:25). Thus, our first approach to the writings of the Holy Fathers must be one of humility.

Again, St. John of the Ladder writes: “To admire the labors of the Saints is praiseworthy; to emulate them is soul-saving; but to desire suddenly to become their imitators is senseless and impossible” (Step 4:42). St. Isaac the Syrian (6th century) teaches in his second Homily (as summarized by Elder Macarius of Optina, op. cit.,p364): “Those who seek in prayer sweet  spiritual sensations with expectation, and especially those who strive prematurely for vision and spiritual contemplation, fall into the deception of the enemy and into the realm of darkness and the obscurity of the mind, being abandoned by the help of God and given over to demons for mockery because of their prideful seeking above their measure and worth.” Thus, we must come to the Holy Fathers with the humble intention of beginning the spiritual life at the lowest step,and not even dreaming of ourselves attaining those exalted spiritual states, which are totally beyond us. St. Nilus of Sora (+ 1508), a great Russian Father of more recent times, writes in his Monastic Rule (ch. 2), “What shall we say of those who, in their mortal body, have tasted immortal food, who have been found worthy to receive in this transitory life a portion of the joys that await us in our heavenly homeland?… We who are burdened with many sins and preyed upon by passions are unworthy even of hearing such words. Nevertheless, placing our hope in the grace of God, we are encouraged to keep the words of the holy writings in our minds, so that we may at least grow in awareness of the degradation in which we wallow.”

To aid our humble intention in reading the Holy Fathers, we must begin with the elementary Patristic books, those which teach the “ABCs.” A 6th-century novice of Gaza once wrote to the great clairvoyant Elder, St. Barsanuphius, much in the spirit of the inexperienced Orthodox student of today: “I have dogmatic books and when reading them I feel that my mind is transferred from passionate thoughts to the contemplation of dogmas.” To this the holy Elder replied: “I would not want you to be occupied with these books, because they exalt the mind on high; but it is better to study the words of the Elders which humble the mind downward. I have said this not in order to belittle the dogmatic books, but I only give you counsel; for foods are different.” (Questions and Answers, no. 544). An important purpose of this Patrology will be precisely to indicate which Patristic books are more suitable for beginners, and which should be left until later.

Again, different Patristic books on the spiritual life am suitable for Orthodox Christians in different conditions of life: that which is suitable especially for solitaries is not directly applicable to monks living the common life; that which applies to monks in general will not be directly relevant for laymen; and in every condition, the spiritual food which is suitable for those with some experience may be entirely indigestible for beginners. Once one has achieved a certain balance in spiritual life by means of active practice of God’s commandments within the discipline of the Orthodox Church, by fruitful reading of the more elementary writings of the Holy Fathers, and by spiritual guidance from living fathers—then one can receive much spiritual benefit from all the writings of the Holy Fathers, applying them to one’s own condition of life. Bishop Ignatius Brianchaninov has written concerning this: “It has been noticed that novices can never adapt books to their condition, but are invariably drawn by the tendency of the book. If a book gives counsels on silence and shows the abundance of spiritual fruits that are gathered in profound silence, the beginner invariably has the strongest desire to go off into solitude, to an uninhabited desert. If a book speaks of unconditional obedience under the direction of a Spirit-bearing Father, the beginner will inevitably develop a, desire for the strictest life in complete submission to an Elder. God has not given to our time either of these two ways of life. But the books of the Holy Fathers describing these states can influence a beginner so strongly that out of inexperience and ignorance he can easily decide to leave the place where he is living and where he has every convenience to work out his salvation and make spiritual progress by putting into practice the evangelical commandments, for an impossible dream of a perfect life pictured vividly and alluringly in his imagination.” Therefore, he concludes: “Do not trust your thoughts, opinions, dreams, impulses or inclinations, even though they offer you or put before you in an attractive guise the most holy monastic life” (The Arena, ch. 10). What Bishop Ignatius says here about monks refers also to laymen, with allowance made for the different conditions of lay life. Particular comments will be made at the end of this Introduction concerning spiritual reading for laymen.

St. Barsanuphius indicates in another Answer (no. 62) something else very important for us who approach the Holy Fathers much too academically: “One who is taking care for his salvation should not at all ask [the Elders, i.e., read Patristic books] for the acquiring only of knowledge, for knowledge puffeth up (I Cor. 8:1), as the Apostle says; but it is most fitting to ask about the passions and about how one should live one’s life, that is, how to be saved; for this is necessary, and leads to salvation.” Thus, one is not to read the Holy Fathers out of mere curiosity or as an academic exercise, without the active intention to practice what they teach, according to one’s spiritual level. Modern academic “theologians” have dearly enough demonstrated that it is possible to have much abstract information about the Holy Fathers without any spiritual knowledge at all. Of such ones St. Macarius the Great says (Homily 17:9): “Just as one clothed in beggarly garments might see himself in sleep as a rich man, but on waking from sleep again sees himself poor and naked, so also those who deliberate about the spiritual life seem to speak logically, but inasmuch as that of which they speak is not verified in the mind by any kind of experience, power, and confirmation, they remain in a kind of fantasy.”

One test of whether our reading of the Holy Fathers is academic or real is indicated by St. Barsanuphius in his answer to a novice who found that he became haughty and proud when speaking of the Holy Fathers (Answer no. 697): “When you converse about the life of the Holy Fathers and about their Answers, you should condemn yourself, saying: Woe is me! How can I speak of the virtues of the Fathers, while I myself have acquired nothing like that and have not advanced at all? And I live, instructing others for their benefit; how can there not be fulfilled in me the word of the Apostle: Thou that teachest another, teachest thou not thyself?“(Rom. 2:21.) Thus, one’s constant attitude toward the teaching of the Holy Fathers must be one of self-reproach.

Finally, we must remember that the whole purpose of reading the Holy Fathers is, not to give us some kind of “spiritual enjoyment” or confirm us in our own righteousness or superior knowledge or “contemplative” state, but solely to aid us in the practice of the active path of virtue. Many of the Holy Fathers discuss the distinction between the “active” and the “contemplative” (or, more properly, “noetic”) life, and it should be emphasized here that this does not refer, as some might think, to any artificial distinction between those leading the “ordinary” life of “outward Orthodoxy” or mere “good deeds,” and an “inward” life cultivated only by monastics or some intellectual elite; not at all. There is only one Orthodox spiritual life, and it is lived by every Orthodox struggler, whether monastic or layman, whether beginner or advanced; “action” or “practice” (praxis in Greek) is the way, and “Vision” (theoria)or “deification” is the end. Almost all the Patristic writings refer to the life of action, not the life of vision; when the latter is mentioned, it is to remind us of the goal of our labors and struggles, which in this life is tasted deeply only by a few of the great Saints, but in its fullness is known only in the age to come. Even the most exalted writings of the Philokalia, as Bishop Theophan the Recluse wrote in the preface of the final volume of the Russian-language Philokalia, “have had in view not the noetic, but almost exclusively the active life.”

Even with this introduction, to be sure, the Orthodox Christian living in our century of puffed-up knowledge will not escape some of the pitfalls lying in wait for one who wishes to read the Holy Fathers in their full Orthodox meaning and context. Therefore, let us stop here, before beginning the Patrology itself, and examine briefly some of the mistakes which have been made by contemporary readers of the Holy Fathers, with the intention of thereby forming a yet dearer notion of how not to read the Holy Fathers.

Endnotes

1.  From the Optina Edition of the Life and Writings of Elder Paisius, pp, 265-267.

2.  In his collected Letters to Monks, Moscow, 1862, pp. 358-380 (in Russian).

From The Orthodox Word, Vol. 11, No.1 (Jan.-Feb.., 1975), 35-41.




P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (I)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word , vol. 10, n. 5 (settembre-ottobre 1974), pp. 188-195.

I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa

Parte I. L’ispirazione e la guida sicura al vero cristianesimo oggi

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede… Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, (Ebrei 13,7- 9)

NON C’È MAI STATA un’epoca di falsi maestri come questo pietoso XX secolo, così ricco di doni materiali e così povero di mente e di anima. Ogni opinione immaginabile, anche la più assurda, anche quelle finora respinte dal consenso universale di tutti i popoli civili, ha ora la sua piattaforma e il suo “maestro”. Alcuni di questi insegnanti vengono con dimostrazioni o promesse di “potere spirituale” e falsi miracoli, come fanno alcuni occultisti e “carismatici”; ma la maggior parte dei maestri contemporanei non offre altro che un debole miscuglio di idee non digerite che hanno ricevuto “dal nulla”, per così dire, o da qualche moderno autoproclamatosi “uomo saggio” (o donna) che ne sa più di tutti gli antichi per il solo fatto di vivere nei nostri “illuminati” tempi moderni. Di conseguenza, la filosofia ha mille scuole e il “cristianesimo” mille sette. Dove si trova la verità in tutto questo, se mai si possa trovare in questi tempi forvianti?

In un solo luogo si trova la fonte del vero insegnamento, proveniente da Dio stesso, non diminuito nei secoli ma sempre fresco, unico in tutti coloro che veramente lo insegnano, conducendo coloro che lo seguono alla salvezza eterna. Questo luogo è la Chiesa Ortodossa di Cristo, la fonte è la grazia dello Spirito Santo, e i veri maestri della dottrina divina che scaturisce da questa fonte sono i Santi Padri della Chiesa Ortodossa.

Ahimè! Quanti pochi cristiani ortodossi lo sanno, e ne sanno abbastanza per bere da questa fonte! Quanti gerarchi contemporanei conducono i loro greggi, non sui veri pascoli dell’anima, i Santi Padri, ma lungo i sentieri rovinosi dei moderni saggi che promettono qualcosa di “nuovo” e si sforzano solo di far dimenticare ai cristiani il vero insegnamento dei Santi Padri, un insegnamento che – è del tutto vero – è del tutto in disaccordo con le false idee che governano i tempi moderni.

L’insegnamento ortodosso dei Santi Padri non è qualcosa di un’epoca, sia “antica” che “moderna”. Esso è stato trasmesso ininterrottamente dal tempo di Cristo e dei suoi Apostoli fino ai giorni nostri, e non c’è mai stato un momento in cui sia stato necessario ritrovare un insegnamento patristico “perduto”. Anche quando molti cristiani ortodossi possono aver trascurato questo insegnamento (come avviene, ad esempio, ai nostri giorni), i suoi veri rappresentanti lo stavano ancora tramandando a coloro che erano affamati di riceverlo. Ci sono state grandi epoche patristiche, come l’epoca folgorante del IV secolo, e ci sono stati periodi di declino nella consapevolezza patristica tra i cristiani ortodossi; ma non c’è stato periodo fin dalla fondazione stessa della Chiesa di Cristo sulla terra in cui la tradizione patristica non guidasse la Chiesa; non c’è stato nessun secolo senza i propri Santi Padri. San Niceta Stethatos, discepolo e biografo di San Simeone il Nuovo Teologo, scrisse: “È stato concesso da Dio che di generazione in generazione non cessi la preparazione da parte dello Spirito Santo dei suoi profeti e amici per l’ordine della sua Chiesa”

È molto istruttivo per noi, ultimi cristiani, prendere guida e ispirazione dai Santi Padri dei nostri tempi e di quelli recenti, coloro che vissero in condizioni simili alle nostre e tuttavia conservarono intatto e immutato lo stesso insegnamento sempre fresco, che non è per un tempo o una razza, ma per tutti i tempi fino alla fine del mondo, e per l’intera razza dei cristiani ortodossi.

Prima di considerare due dei recenti Santi Padri, tuttavia, chiariamo che per noi cristiani ortodossi lo studio dei Santi Padri non è un ozioso esercizio accademico. Gran parte di ciò che ai nostri tempi passa per un “revival patristico” è poco più che un giocattolo per studiosi eterodossi e per i loro imitatori “ortodossi”, nessuno dei quali ha mai “scoperto” una verità patristica per la quale fosse pronto a sacrificare la propria vita. Tale “patrologia” è solo una ricerca razionalista che prende per oggetto l’insegnamento patristico, senza mai comprendere che il genuino insegnamento dei Santi Padri contiene le verità da cui dipende la nostra vita o morte spirituale.

Questi studiosi di pseudo-patristica passano il loro tempo a dimostrare che lo “pseudo-Macario” era un eretico messaliano, senza comprendere o praticare il puro insegnamento ortodosso del vero San Macario il Grande; che lo “pseudo-Dionigi” era un calcolato falsificatore di libri le cui profondità mistiche e spirituali sono totalmente al di là dei suoi accusatori; che la vita completamente cristiana e monastica dei SS. Barlaam e Joasaph, tramandata da San Giovanni Damasceno, non è altro che una “riedizione della storia di Buddha”; e centinaia di favole simili fabbricate da “esperti” per un pubblico credulone che non ha idea dell’atmosfera agnostica in cui tali “scoperte” vengono fatte. Se ci sono seri dubbi scientifici su alcuni testi patristici (e naturalmente ce ne sono), non si risolveranno certo rivolgendosi a questi “esperti”, che sono totalmente estranei alla vera tradizione patristica e si guadagnano da vivere solo a sue spese.

Quando gli studiosi “ortodossi” riprendono l’insegnamento di questi studiosi pseudo-patristici o effettuano le proprie ricerche con lo stesso spirito razionalistico, l’esito può essere tragico; poiché tali studiosi sono considerati da molti come “portavoce dell’Ortodossia” e le loro dichiarazioni razionalistiche come parte di una visione “autenticamente patristica”, ingannando così molti cristiani ortodossi. Padre Alexander Schmemann, ad esempio, mentre finge di liberarsi dalla “cattività occidentale”, immagina di aver dominato completamente la teologia ortodossa nei tempi moderni, nella sua ignoranza della vera tradizione patristica degli ultimi secoli (che si trova più nei monasteri che nelle accademie), diventando in realtà lui stesso prigioniero delle idee razionalistiche protestanti riguardo alla teologia liturgica, come ha ben sottolineato il protopresbitero Michele Pomazansky, un autentico teologo patristico dei nostri giorni [nota: “The Liturgical Theology of Fr. A. Schmemann,” in The Orthodox Word, 1970, no. 6, pp. 260-280]. Purtroppo, uno smascheramento così netto deve ancora essere fatto dello pseudo-studioso dei santi e dei santi padri russi G.P. Fedotov, il quale immagina che san Sergio “fosse il primo santo russo che può essere definito un mistico” (con questo ignorando i quattro secoli di Padri russi altrettanto “mistici” che lo hanno preceduto), cerca inutilmente “l’originalità” nell'”opera letteraria” di San Nilo di Sora (dimostrando così di non comprendere nemmeno il significato della tradizione nell’Ortodossia), calunnia il grande santo ortodosso, Tikhon di Zadonsk, definendolo “il figlio del barocco occidentale piuttosto che l’erede della spiritualità orientale” [nota: Una tesi ampiamente confutata da Nadejda Gorodetsky in Saint Tikhon Zadonsky, Inspirer of Dostoyevsky, SPCK, London, 1951] e con grande artificiosità cerca di fare di San Serafino (che in realtà è così sorprendentemente nella tradizione patristica da essere a malapena distinguibile dai grandi Padri del deserto egiziano) un fenomeno “unicamente russo” che è stato “il primo rappresentante conosciuto di questa classe di anziani spirituali (startsi) in Russia”, il cui “approccio al mondo è senza precedenti nella tradizione orientale” e che è stato “il precursore della nuova forma di spiritualità che dovrebbe succedere al monachesimo meramente ascetico”. [nota: Si vedano le introduzioni di Fedotov agli scritti di questi santi in A Treasury of Russian Spirituality, Sheed & Ward, New York, 1948.]

Purtroppo, le conseguenze di tale pseudo-erudizione spesso si manifestano nella vita reale; le anime ingenue che prendono per vere queste false conclusioni cominciano a lavorare per un “risveglio liturgico” su basi protestanti, trasformano San Serafino (ignorando i suoi insegnamenti “scomodi” sugli eretici, che condivide con tutta la tradizione patristica) in uno yogin indù o un “carismatico”, e in generale si avvicina ai Santi Padri proprio come fa la maggior parte degli studiosi contemporanei, senza reverenza e timore reverenziale, come se fossero sullo stesso livello, come un esercizio di esoterismo o come una sorta di gioco intellettuale, invece che come un guida alla vera vita e alla salvezza.

NON SONO COSÌ I VERI studiosi ortodossi; non è così la vera tradizione patristica ortodossa, dove l’insegnamento genuino e immutabile del vero cristianesimo viene tramandato in successione ininterrotta sia oralmente che attraverso la parola scritta e stampata, da padre spirituale a figlio spirituale, da maestro a discepolo.

Nel XX secolo un vescovo ortodosso si distingue soprattutto per il suo orientamento patristico: l’arcivescovo Teofane di Poltava (+ 1940, 6 febbraio), è uno dei fondatori della libera Chiesa russa fuori dalla Russia, e forse il principale artefice della sua intransigente e tradizionalista ideologia. Negli anni in cui era vicepresidente del Sinodo dei vescovi di questa Chiesa (anni ’20), era ampiamente riconosciuto come il più patristico di tutti i teologi russi all’estero. Negli anni ’30 si ritirò in totale isolamento per diventare un secondo Teofane il Recluso; e da allora è stato, purtroppo, in gran parte dimenticato. Fortunatamente, la sua memoria è stata custodita con sacralità dai suoi discepoli e seguaci, e negli ultimi mesi uno dei suoi principali discepoli, l’arcivescovo Averky del Monastero della Santissima Trinità a Jordanville, New York, ha pubblicato la sua biografia insieme ad alcuni suoi sermoni. [nota: una sua breve vita in inglese si può leggere in The Orthodox Word, 1969, n. 5]. In questi sermoni si vede chiaramente il timore reverenziale e il rispetto del vescovo nei confronti dei santi Padri, il suo discepolato verso di loro e la sua straordinaria umiltà che sarà appagata solo quando non trasmetterà nulla di suo ma solo le idee e le stesse parole dei Santi Padri. Così, in un sermone della domenica di Pentecoste, dice: “L’insegnamento della Santissima Trinità è il culmine della teologia cristiana. Perciò non presumo di esporre questo insegnamento con parole mie, ma lo espongo con le parole del teologi santi e devoti e grandi Padri della Chiesa: Atanasio il Grande, Gregorio il Teologo e Basilio il Grande. Mie sono solo le labbra, ma loro le parole e i pensieri. Essi presentano il pasto divino, e io sono solo il servitore del loro banchetto divino”.

In un altro sermone, l’arcivescovo Teofane spiega le ragioni del suo auto-cancellamento davanti ai Santi Padri – una caratteristica così tipica dei grandi trasmettitori dell’insegnamento patristico, anche dei grandi teologi e a pieno titolo come l’arcivescovo Teofane, ma che è così palesemente fraintesa dagli studiosi mondani come una “mancanza di originalità”. Nela sua omelia sulla Domenica dei Santi Padri del Sesto Concilio Ecumenico, tenuta nel 1928 a Varna, in Bulgaria, offre ai fedeli “una parola sul significato dei Santi Padri e Maestri della Chiesa per noi cristiani. In che cosa consiste la loro grandezza e da che cosa dipende il loro speciale significato per noi? La Chiesa, fratelli, è la casa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (I Tim 3,15). La verità cristiana è conservata nella Chiesa nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione; ma richiede una corretta conservazione e una corretta interpretazione. Il significato dei Santi Padri sta proprio in questo: che essi sono i più capaci custodi e interpreti di questa verità in virtù della santità della loro vita, della profonda conoscenza della Parola di Dio e dell’abbondanza della grazia dello Spirito Santo che abita in loro”. Il resto di questo sermone non è composto da altro che da citazioni degli stessi Santi Padri (i santi Atanasio il Grande, Basilio il Grande, Simeone il Nuovo Teologo, Niceta Stethatos) a sostegno di questa tesi.

L’ultimo Santo Padre che l’Arcivescovo Teofane cita, a lungo, nella sua omelia, è uno a lui vicino nel tempo, un suo predecessore nella trasmissione dell’autentica tradizione patristica in Russia: il Vescovo Ignazio Brianchaninov. Egli ha un doppio significato per noi oggi: non solo è un Santo Padre quasi dei nostri tempi, ma anche la sua ricerca della verità è molto simile a quella dei sinceri cercatori di verità di oggi, e ci mostra quindi come sia possibile per l'”uomo moderno illuminato” allontanarsi dalla schiavitù prevalente delle idee e dei modi di pensare moderni ed entrare di nuovo nell’atmosfera pura delle idee e dei modi di pensare patristici, cioè dei veri cristiani ortodossi. È estremamente stimolante per noi leggere, nelle parole dello stesso vescovo Ignazio, come un ingegnere militare abbia rotto i legami del “sapere moderno” e sia entrato nella tradizione patristica, che ricevette, oltre che dai libri, direttamente da un discepolo del beato Paisius Velichkovsky, e che ha tramandato fino ai nostri giorni.

“Quando ero ancora studente”, l’arcivescovo Teofane cita il vescovo Ignazio [nota: dal volume I delle Opere raccolte del vescovo Ignazio in russo, pp. 396-40l] , “non c’erano divertimenti o distrazioni per me! Il mondo non offriva nulla di allettante per me. La mia mente era completamente immersa nelle scienze, e allo stesso tempo ardevo dal desiderio di scoprire dov’era la vera fede, dov’era il suo vero insegnamento, estraneo agli errori sia dogmatici che morali.

“Allo stesso tempo si presentavano già al mio sguardo i confini della conoscenza umana nelle scienze più alte e pienamente sviluppate. Giunto a questi confini, chiesi alle scienze: ‘Che cosa date che un uomo possa chiamare suo? L’uomo è eterno e ciò che è suo deve essere eterno. Mostratemi questo possesso eterno, questa vera ricchezza, che potrei portare con me oltre la tomba! Finora ho visto solo conoscenze che finiscono con la terra, che non possono esistere dopo la separazione dell’anima dal corpo”.

“Il giovane in ricerca si informa a sua volta su matematica, fisica, chimica, filosofia, dimostrando di conoscerle a fondo; poi su geografia, geodesia, nautica, letteratura; ma scopre che sono tutte cose della terra. In risposta a tutte le sue angosciose domande ricevette la stessa risposta che analoghi cercatori ricevono nel nostro ancor più “illuminato” XX secolo: “Le scienze sono silenti”.

Allora, «per una risposta soddisfacente, una risposta veramente necessaria e viva, mi sono rivolto alla fede. Ma dove sei nascosta, o fede vera e santa? Non potevo riconoscerti nel fanatismo [papismo] che non era sigillato dalla mitezza evangelica; respirava passione e magnanimità! Non potevo riconoscerti nell’insegnamento arbitrario [il protestantesimo] che si separò dalla Chiesa, inventando un proprio nuovo sistema, proclamando invano e orgogliosamente la scoperta di una nuova, vera fede cristiana, dopo circa diciotto secoli dall’incarnazione del Verbo di Dio! Oh! In quale grave perplessità era la mia anima! Come era spaventosamente gravata! Quali ondate di dubbio si sollevavano contro di essa, nascendo dalla sfiducia in me stesso, dalla sfiducia in tutto ciò che gridava, gridava intorno a me a causa della mia ignoranza, della mia non conoscenza della verità.

«E cominciavo spesso, con le lacrime, a supplicare Dio che non mi abbandonasse in sacrificio all’errore, ma che mi indicasse la retta via sulla quale dirigere il mio invisibile cammino della mente e del cuore verso di Lui. “Oh meraviglia! All’improvviso mi si presentò un pensiero… Il mio cuore si sentì commosso come all’abbraccio di un amico. Questo pensiero mi ispirò a studiare la fede nelle fonti, negli scritti dei Santi Padri! “La loro santità, ‘ il pensiero mi disse: ‘garantisce la loro affidabilità: sceglili per le tue guide.’ Ubbidii, trovai il modo di procurarmi le opere dei santi di cui Dio si è compiaciuto, e con ansia cominciai a leggerle, a indagarle profondamente, e dopo averne lette alcune, ne riprendevo altre, le leggevo, le rileggevo, le studiavo. Cosa mi ha colpito più di tutto nelle opere dei Padri della Chiesa Ortodossa? Era la loro armonia, la loro meravigliosa, magnifica, armonia. Diciotto secoli, attraverso le loro labbra, hanno testimoniato un unico Insegnamento unanime, un insegnamento Divino!

“Quando in una limpida notte d’autunno guardo il caro cielo, seminato d’innumerevoli stelle, così diverse in grandezza eppure spargenti una sola luce, allora mi dico: tali sono gli scritti dei Padri! Quando in un giorno d’estate guardo nel vasto mare, coperto da una moltitudine di navi diverse con le vele spiegate come ali di cigni bianchi, navi che corrono sotto un unico vento verso un’unica meta, verso un unico porto, mi dico: tali sono gli scritti dei Padri. Quando ascolto un coro armonioso, a più voci, in cui diverse voci in elegante armonia cantano un unico canto divino, allora mi dico: tali sono gli scritti dei Padri!

«E quale insegnamento trovo in essi? Trovo un insegnamento ripetuto da tutti i Padri, e cioè che l’unica via per la salvezza è l’adesione costante alle indicazioni dei Santi Padri. ‘Hai visto’, dicono, ‘ qualcuno che, ingannato da un falso insegnamento, è perito a causa di un’errata scelta di fatiche ascetiche? – sappia allora che ha seguito se stesso, il proprio intelletto, le proprie opinioni e non l’insegnamento dei Padri (Abba Doroteo, Quinta Istruzione), da cui è composta la tradizione dogmatica e morale della Chiesa e con questa Tradizione, come bene inestimabile, la Chiesa nutre i suoi figli.

“Questo pensiero mi è stato inviato da Dio, dal quale viene ogni buon dono, dal quale un buon pensiero è il principio di ogni cosa buona… Questo pensiero è stato per me il primo porto nella terra della verità. Qui la mia anima ha trovato riposo dalle onde e dai venti. Questo pensiero divenne la prima pietra per l’edificio spirituale della mia anima. Questo pensiero divenne la mia stella polare. Cominciò a illuminarmi costantemente il sentiero molto difficile e sofferente, stretto e invisibile della mente e del cuore verso Dio. Ho guardato il mondo religioso con questo pensiero, e ho visto: la causa di tutti gli errori consiste nell’ignoranza, nella dimenticanza, nell’assenza di questo pensiero.

“La lettura dei Padri mi convinse chiaramente che la salvezza nel seno della Chiesa ortodossa russa era indubbia, cosa di cui le religioni dell’Europa occidentale sono prive, poiché non hanno conservato per intero né l’insegnamento dogmatico né quello morale della Chiesa di Cristo fin dal suo inizio. Mi ha rivelato ciò che Cristo ha fatto per l’umanità, in cosa consiste la caduta dell’uomo, perché era necessario un Redentore, in cosa consiste la salvezza procurata dal Redentore. Mi ha inculcato che bisogna sviluppare, percepire, vedere la salvezza in se stessi, senza la quale la fede in Cristo è morta e il cristianesimo è semplicemente una parola e un nome se non è messo in pratica! Mi ha insegnato a guardare all’eternità come eternità, di fronte alla quale mille anni di vita terrena non sono nulla, per non parlare della nostra vita che si misura in mezzo secolo, mi ha insegnato che la vita terrena deve portare a prepararsi all’eternità… Mi ha mostrato che tutte le occupazioni terrene, i piaceri, gli onori, la preminenza sono giocattoli vuoti, con i quali i bambini cresciuti giocano e nei quali perdono la beatitudine dell’eternità… Tutto questo i Santi Padri lo espongono con piena chiarezza nei loro scritti sacralmente splendidi”.

L’arcivescovo Teofano conclude la sua esortazione patristica con questo appello: “Fratelli, questo buon pensiero [il prendere come guida i Santi Padri] sia la vostra stella guida anche nei giorni del vostro pellegrinaggio terreno sulle onde del mare della vita!”.

La verità di questo appello, come delle ispirate parole del vescovo Ignazio, non si è affievolita nei decenni trascorsi da quando sono state pronunciate. Il mondo si è incamminato sulla via dell’apostasia dalla Verità cristiana e diventa sempre più chiaro che non c’è alternativa a questa via se non quella di seguire il cammino intransigente della verità che i Santi Padri ci hanno tramandato.

Ma dobbiamo rivolgerci ai Santi Padri non solo per “conoscerli”; se non facciamo che questo non siamo in condizioni migliori degli oziosi disputanti delle accademie morte di questa civiltà moderna in via di estinzione, anche quando queste accademie sono “ortodosse” e i dotti teologi in esse definiscono e spiegano chiaramente tutto sulla “santità” e sulla “spiritualità” e sulla “theosis“, ma non hanno l’esperienza necessaria per parlare direttamente al cuore delle anime assetate e indurle a desiderare la via della lotta spirituale, né la conoscenza per individuare l’errore fatale dei “teologi” accademici che parlano di Dio con la sigaretta o il bicchiere di vino in mano, né il coraggio di accusare i gerarchi “canonici” apostati del loro tradimento di Cristo. Dobbiamo andare ai Santi Padri, per diventare loro discepoli, ricevere l’insegnamento della vera vita, della salvezza dell’anima, pur sapendo che così facendo perderemo il favore di questo mondo e ne diventeremo emarginati. Se faremo così troveremo la via d’uscita dalla confusa palude del pensiero moderno, che si fonda proprio sull’abbandono del sacro insegnamento dei Padri. Scopriremo che i Santi Padri sono più “contemporanei” nel senso che parlano direttamente alla lotta del cristiano ortodosso oggi, dando risposte alle domande cruciali della vita e della morte che la semplice erudizione accademica di solito ha paura anche di chiedere – e quando le pone dà una risposta innocua che “spiega” queste domande a chi è semplicemente curioso, ma non è assetato di risposte. Troveremo la vera guida dei Padri, imparare l’umiltà e la diffidenza verso la nostra vana saggezza mondana, che abbiamo risucchiato con l’aria di questi tempi pestilenti, attraverso la fiducia in coloro che hanno compiaciuto Dio e non il mondo. Troveremo in loro dei veri padri, così carenti ai nostri giorni, quando l’amore di molti si è raffreddato (Matteo 24,12), padri il cui unico scopo è condurre noi, loro figli, a Dio e al Suo Regno Celeste, dove noi cammineremo e converseremo con questi uomini angelici in gioia indicibile per sempre.

Non c’è problema dei nostri tempi confusi che non possa trovare la sua soluzione in una lettura attenta e riverente dei Santi Padri: sia il problema delle sette e delle eresie oggi abbondanti, sia quello degli scismi e delle “giurisdizioni”; sia la pretesa di vita spirituale portata avanti dal “risveglio carismatico”, sia le sottili tentazioni del comfort e della comodità moderni; che si tratti di complesse questioni filosofiche come “l’evoluzione” o di semplici questioni morali come l’aborto, l’eutanasia e il “controllo delle nascite”; se la raffinata apostasia del “sergianesimo”, che propone un’organizzazione ecclesiastica al posto del Corpo di Cristo, o la crudezza del “rinnovazionismo”, che inizia con la “revisione del calendario” e termina con il “protestantesimo di rito orientale”. In tutte queste questioni i Santi Padri, e i nostri Padri viventi che li seguono, sono la nostra unica guida sicura.

Il vescovo Ignazio e altri Padri recenti hanno indicato per noi ultimi cristiani quali sono i Santi Padri più importanti da leggere e in quale ordine. Queste indicazioni saranno fornite insieme all’insegnamento dei Santi Padri e alle informazioni sulle traduzioni in inglese dei Padri, nei prossimi numeri di The Orthodox Word. Possa questo essere un’ispirazione per tutti noi nel porre l’insegnamento patristico come prima pietra dell’edificazione della nostra anima, per l’eredità della vita eterna! Amen.

ENGLISH VERSION

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part I. The Inspiration and Sure Guide to True Christianity Today

Remember your instructors, who have spoken the word of God to you, whose faith follow, considering the end of their life… Be not led away with various and strange doctrines. (Hebrews 13:7, 9)

NEVER HAS THERE BEEN such an age of false teachers as this pitiful 20th century, so rich in material gadjets and so poor in mind and soul. Every conceivable opinion, even the most absurd, even those hitherto rejected by the universal consent of all civilized peoples—now has its platform and its own “teacher.” A few of these teachers come with demonstration or promise of “spiritual power” and false miracles, as do some occultists and ” charismatics”; but most of the contemporary teachers offer no more than a weak concoction of undigested ideas which they received “out of the air,” as it were, or from some modern self-appointed “wise man” (or woman) who knows more than all the ancients merely by living in our “enlightened” modern times. As a result, philosophy has a thousand schools and “Christianity” a thousand sects. Where is the truth to be found in all this, if indeed it is to be found at all in our most misguided times?

In only one place is there to be found the fount of true teaching, coming from God Himself, not diminished over the centuries but ever fresh, being one and the same in all those who truly teach it, leading those who follow it to eternal salvation. This place is the Orthodox Church of Christ, the fount is the grace of the All-Holy Spirit, and the true teachers of the Divine doctrine that issues from this fount are the Holy Fathers of the Orthodox Church.

Alas! How few Orthodox Christians know this, and know enough to drink from this fount! How many contemporary hierarchs lead their flocks, not on the true pastures of the soul, the Holy Fathers, but along the ruinous paths of modern wise men who promise something “new” and strive only to make Christians forget the true teaching of the Holy Fathers, a teaching which—it is quite true—is entirely out of harmony with the false ideas which govern modern times.

The Orthodox teaching of the Holy Fathers is not something of one age, whether “ancient” or “modern.” It has been transmitted in unbroken succession from the time of Christ and His Apostles to the present day, and there has never been a time when it was necessary to discover a “lost” patristic teaching. Even when many Orthodox Christians may have neglected this teaching (as is the case, for example, in our own day), its true representatives were still handing it down to those who hungered to receive it. There have been great patristic ages, such as the dazzling epoch of the fourth century, and there have been periods of decline in patristic awareness among Orthodox Christians; but there has been no period since the very foundation of Christ’s Church on earth when the Patristic tradition was not guiding the Church; there has been no century without Holy Fathers of its own. St. Nicetas Stethatos, disciple and biographer of St. Simeon the New Theologian, has written; “It has been granted by God that from generation to generation there should not cease the preparation by the Holy Spirit of His prophets and friends for the order of His Church.”

Most instructive is it for us, the last Christians, to take guidance and inspiration from the Holy Fathers of our own and recent times, those who lived in conditions similar to our own and yet kept undamaged and unchanged the same ever-fresh teaching, which is not for one time or race, but for all times to the end of the world, and for the whole race of Orthodox Christians.

Before looking at two of the recent Holy Fathers, however, let us make clear that for us, Orthodox Christians, the study of the Holy Fathers is not an idle academic exercise. Much of what passes for a ”patristic revival” in our times is scarcely more than a plaything of heterodox scholars and their “Orthodox” imitators, not one of whom has ever “discovered” a patristic truth for which he was ready to sacrifice his life. Such “patrology” is only rationalist scholarship which happens to take patristic teaching for its subject, without ever understanding that the genuine teaching of the Holy Fathers contains the truths on which our spiritual life or death depends.

Such pseudo-patristic scholars spend their time proving that “pseudo-Macarius” was a Messalian heretic, without understanding or practicing the pure Orthodox teaching of the true St. Macarius the Great; that “pseudo-Dionysius” was a. calculated forger of books whose mystical and spiritual depths are totally beyond his accusers; that the thoroughly Christian and monastic life of Sts. Barlaam and Joasaph, handed down by St. John Damascene, is nothing but a “retelling of the Buddha story”; and a hundred similar fables manufactured by “experts” for a gullible public which has no idea of the agnostic atmosphere in which such “discoveries” are made. Where there are serious scholarly questions concerning some patristic texts (which, of course, there are), they will certainly not be resolved by referring them to such “experts,” who are total strangers to the true patristic tradition, and only make their living at its expense.

When “Orthodox” scholars pick up the teaching of these pseudo-patristic scholars or make their own researches in the same rationalistic spirit, the outcome can be tragic; for such scholars are taken by many to be “spokesmen for Orthodoxy,” and their rationalistic pronouncements to be part of an “authentically patristic” outlook, thus deceiving many Orthodox Christians. Father Alexander Schmemann, for example, while pretending to set himself free from the “Western captivity” which, in his ignorance of the true Patristic tradition of recent centuries (which is to be found more in the monasteries than in the academies), he fancies to have completely dominated Orthodox theology in modern times, has himself become the captive of Protestant rationalistic ideas concerning liturgical theology, as has been well pointed out by Protopresbyter Michael Pomazansky, a genuine Patristic theologian of today. [1] Unfortunately, such a clear unmasking has yet to be made of the pseudo-scholar of Russian Saints and Holy Fathers, G. P. Fedotov, who imagines that St. Sergius “was the first Russian saint who can be termed a mystic” (thereby ignoring the four centuries of equally “mystical” Russian Fathers who preceded him), looks pointlessly for “originality” in the “literary work” of St. Nilus of Sora (thus showing that he does not even understand the meaning of tradition in Orthodoxy), slanders the great Orthodox Saint, Tikhon of Zadonsk, as “the son of the Western Baroque rather than the heir of Eastern spirituality,” [2] and with great artificiality tries to make St. Seraphim (who is actually so stunningly in the patristic tradition that he is scarcely to be distinguished from the great Fathers of the Egyptian desert) into some “uniquely Russian” phenomenon who was “the first known representative of this class of spiritual elders (startsi) in Russia,” whose “approach to the world is unprecedented in the Eastern tradition,” and who was “the forerunner of the new form of spirituality which should succeed merely ascetical monasticism.” [3]

Lamentably, the consequences of such pseudo-scholarship often appear in real life; gullible souls who take these false conclusions for genuine begin to work for a “liturgical revival” on Protestant foundations, transform St. Seraphim (ignoring his “inconvenient” teachings regarding heretics, which he shares with the whole patristic tradition) into a Hindu yogin or a “charismatic,” and in general approach the Holy Fathers just as do most contemporary scholars—without reverence and awe, as though they were on the same level, as an exercise in esotericism or as some kind of intellectual game, instead of as a guide to true life and salvation.

NOT SO ARE TRUE Orthodox scholars; not so is the true Orthodox patristic tradition, where the genuine, unchanging teaching of true Christianity is handed down in unbroken succession both orally and by the written and printed word, from spiritual father to spiritual son, from teacher to disciple.

In the 20th century one Orthodox hierarch stands out especially for his patristic orientation—Archbishop Theophan of Poltava (+ 1940, February 6), one of the founders of the free Russian Church Outside of Russia, and perhaps the chief architect of her uncompromising and traditionalist ideology. In the years when he was vice-chairman of the Synod of Bishops of this Church (1920’s), he was widely acknowledged as the most patristically-minded of all the Russian theologians abroad. In the 1930’s he retired into total seclusion to become a second Theophan the Recluse; and since then he has been, sadly, very largely forgotten. Fortunately, his memory has been sacredly kept by his disciples and followers, and in recent months one of his leading disciples, Archbishop Averky of Holy Trinity Monastery at Jordanville, New York, has published his biography together with a number of his sermons. [4] In these sermons may be clearly seen the hierarch’s awe and reverence before the Holy Fathers, his discipleship toward them, and his surpassing humility which will be content only when he is transmitting nothing of his own but only the ideas and the very words of the Holy Fathers. Thus, in a sermon on Pentecost Sunday he says: “The teaching of the Holy Trinity is the pinnacle of Christian theology. Therefore I do not presume to set forth this teaching in my own words, but I set it forth in the words of the holy and Godbearing theologians and great Fathers of the Church: Athanasius the Great, Gregory the Theologian, and Basil the Great. Mine only are the lips, but theirs the words and thoughts. They present the Divine meal, and I am only the servant of their Divine banquet.”

In another sermon, Archbishop Theophan gives the reasons for his self-effacement before the Holy Fathers—a characteristic so typical of the great transmitters of Patristic teaching, even great theologians in their own right such as Archbishop Theophan, but which is so glaringly misinterpreted by worldly scholars as a “lack of originality.” In his sermon on the Sunday of the Holy Fathers of the Sixth Ecumenical Council, given in 1928 in Varna, Bulgaria, he offers to the faithful “a word on the significance of the Holy Fathers and Teachers of the Church for us Christians. In what does their greatness consist, and on what does their special significance for us depend? The Church, brethren, is the house of the living God, the pillar and ground of the truth (ITim. 3:15). Christian truth is preserved in the Church in Holy Scripture and Holy Tradition; but it requires a correct preservation and a correct interpretation. The significance of the Holy Fathers is to be found precisely in this: that they are the most capable preservers and interpreters of this truth by virtue of the sanctity of their lives, their profound knowledge of the word of God, and the abundance of the grace of the Holy Spirit which dwells in them.” The rest of this sermon is composed of nothing but quotes from the Holy Fathers themselves (Sts. Athanasius the Great, Basil the Great, Simeon the New Theologian, Nicetas Stethatos) to support this view.

The final Holy Father whom Archbishop Theophan quotes, at great length, in his sermon, is one close to him in time, a predecessor of his in the transmission of the authentic patristic tradition in Russia—Bishop Ignatius Brianchaninov. He has a double significance for us today: not only is he a Holy Father of almost our own times, but also his search for truth is very similar to that of sincere truth-seekers today, and he thus shows us how it is possible for the “enlightened modern man” to turn away from the prevailing slavery to modern ideas and modes of thought, and enter once again the pure atmosphere of patristic—that is, true Orthodox Christian ideas and ways of thinking. It is extremely inspiring for us to read, in the words of Bishop Ignatius himself, how a military engineer burst the bonds of “modern knowledge” and entered the patristic tradition, which he received, in addition to books, directly from a disciple of Blessed Paisius Velichkovsky, and handed down to our own day.

“When I was still a student,” Archbishop Theophan quotes Bishop Ignatius, [5] “there were no enjoyments or distractions for me! The world presented nothing enticing for me. My mind was entirely immersed in the sciences, and at the same time I was burning with the desire to find out where was the true faith, where was the true teaching of it, foreign to errors both dogmatic and moral.

“At the same time there was already presented to my gaze the boundaries of human knowledge in the highest, fully developed sciences. Coming to these boundaries, I asked of the sciences: ‘What do you give that a man may call his own? Man is eternal, and what is his own should be eternal. Show me this eternal possession, this true wealth, which I might take with me beyond the grave! Up to now I see only knowledge which ends with the earth, which cannot exist after the separation of the soul from the body.”

The searching youth inquired in turn of mathematics, physics, chemistry, philosophy, showing his profound knowledge of them; then of geography, geodesy, lan. guages, literature; but he finds that they are all of the earth. In answer to all his agonized questioning he received the same reply similar searchers receive in our even more “enlightened” 20th century: “The sciences were silent.”

Then, “for a satisfactory answer, a truly necessary and living answer, I turned to faith. But where are you hidden, O true and holy Faith? I could not recognize you in fanaticism [Papism] which was not sealed with the Gospel meekness; it breathed passion and high-mindedness! I could not recognize you in the arbitrary teaching [Protestantism] which separated from the Church, making up its own new system, vainly and pridefully proclaiming the discovery of a new, true Christian faith, after a lapse of eighteen centuries from the Incarnation of God the Word! Oh! In what a heavy perplexity my soul was! How frightfully it was weighed down! What waves of doubt rose up against it, arising from distrust of myself, from distrust of everything that was clamoring, crying out around me because of my lack of knowledge, my ignorance of the truth.

“And I began often, with tears, to implore God that He might not give me over as a sacrifice to error, but that He might show me the right path on which I should direct towards Him my invisible journey of mind and heart. And, O wonder! Suddenly a thought stood before me… My heart went out to it as to the embrace of a friend. This thought inspired me to study faith in the sources—in the writings of the Holy Fathers! ‘Their holiness,’ the thought said to me, ‘vouches for their trustworthiness: choose them for your guides.’ I obeyed. I found means of obtaining the works of the holy pleasers of God, and in eagerness I began to read them, investigate them deeply. Having read some, I would take up others, read them, re-read them, study them. What was it that above all else struck me in the works of the Fathers of the Orthodox Church? It was their harmony, their wondrous, magnificent, harmony. Eighteen centuries, through their lips, testified to a single unanimous Teaching, a Divine teaching!

“When on a clear autumn night I gaze at the dear sky, sown with numberless stars, so diverse in size yet shedding a single light, then I say to myself: such are the writings of the Fathers! When on a summer day I gaze at the vast sea, covered with a multitude of diverse vessels with their unfurled sails like white swans’ wings, vessels racing under a single wind to a single goal, to a single harbor, I say to myself: such are the writings of the Fathers! When I hear a harmonious, many-voiced choir, in which diverse voices in elegant harmony sing a single Divine song, then I say to myself: such are the writings of the Fathers!

“And what teaching do I find in them? I find a teaching repeated by all the Fathers, namely, that the only path to salvation is the unwavering following of the instructions of the Holy Fathers. ‘Have you seen,’ they say, ‘anyone deceived by false teaching, perishing from an incorrect choice of ascetic labors?—then know that he followed himself, his own understanding, his own opinions, and not the teaching of the Fathers’ (Abba Dorotheus, Fifth Instruction), out of which is composed the dogmatic and moral tradition of the Church. With this Tradition as a priceless possession, the Church nourishes her children.

“This thought was sent by God, from Whom is every good gift, from Whom a good thought is the beginning of every good thing… This thought was for me the first harbor in the land of truth. Here my soul found rest from the waves and winds. This thought became the foundation stone for the spiritual building of my soul. This thought became my guiding star. It began constantly to illumine for me the very difficult and much-suffering, narrow, invisible path of the mind and heart toward God. I looked at the religious world with this thought, and I saw: the cause of all errors consists in ignorance, in forgetfulness, in the absence of this thought.

“The reading of the Fathers clearly convinced me that salvation in the bosom of the Orthodox Russian Church was undoubted, something of which the religions of Western Europe are deprived, since they have not preserved whole either the dogmatic or the moral teaching of the Church of Christ from her beginning. It revealed to me what Christ has done for mankind, in what consists the fall of man, why a Redeemer was necessary, in what consists the salvation procured by the Redeemer. It inculcated in me that one must develop, sense, see salvation in oneself, without which faith in Christ is dead, and Christianity is a word and a name without being put into effect! It instructed me to look upon eternity as eternity, before which a Thousand years of earthly life is nothing, let alone our life which is measured by some half a century, It instructed me that earthly life must lead to preparation for eternity… It showed me that all earthly occupations, enjoyments, honors, pre-eminence are empty toys, with which grown-up children play and in which they lose the blessedness of eternity… All this the Holy Fathers set forth with complete clarity in their sacredly splendid writings.”

Archbishop Theophan concludes his Patristic exhortation with this appeal: “Brethren, let this good thought [the taking of the Holy Fathers as our guide] be your guiding star also in the days of your earthly pilgrimage on the waves of the sea of life!”

The truth of this appeal, as of the inspired words of Bishop Ignatius, has not dimmed in the decades since they were uttered. The world has gone forth on the path of apostasy from Christian Truth, and it becomes ever more clear that there is no alternative to this path save that of following the uncompromising path of truth which the Holy Fathers have handed down to us.

Yet we must go to the Holy Fathers not merely to “learn about them”; if we do no more than this we are in no better state than the idle disputants of The dead academies of this perishing modern civilization, even when these academies are “Orthodox” and the learned theologians in them neatly define and explain all about “sanctity” and “spirituality” and “theosis,” but have not the experience needed to speak straight to the heart of thirsting souls and wound them into desiring the path of spiritual struggle, nor the knowledge to detect the fatal error of the academic “theologians” who speak of God with cigarette or wineglass in hand, nor the courage to accuse the apostate “canonical” hierarchs of their betrayal of Christ. We must go to the Holy Fathers, rather, in order to become their disciples, to receive the teaching of true life, the soul’s salvation, even while knowing that by doing this we shall lose the favor of this world and become outcasts from it. If we do this we shall find the way out of the confused swamp of modern thought, which is based precisely upon abandonment of the sacred teaching of the Fathers. We shall find that the Holy Fathers are most “contemporary” in that they speak directly to the struggle of the Orthodox Christian today, giving answers to the crucial questions of life and death which mere academic scholarship is usually afraid even to ask—and when it does ask them, gives a harmless answer which “explains” these questions to those who are merely curious about them, but are not thirsting for answers. We shall find true guidance from the Fathers, learning humility and distrust of our own vain worldly wisdom, which we have sucked in with the air of these pestilential times, by means of trusting those who have pleased God and not the world. We shall find in them true fathers, so lacking in our own day when the love of many has grown cold (Matt. 24:12)—fathers whose only aim is to lead us their children to God and His Heavenly Kingdom, where we shall walk and converse with these angelic men in unutterable joy forever.

There is no problem of our own confused times which cannot find its solution by a careful and reverent reading of the Holy Fathers: whether the problem of the sects and heresies that abound today, or the schisms and “jurisdictions”; whether the pretense of spiritual life put forth by the “charismatic revival,” or the subtle temptations of modern comfort and convenience; whether complex philosophical questions such as “evolution,” or the straightforward moral questions of abortion, euthanasia, and “birth control”; whether the refined apostasy of “Sergianism,” which offers a church organization in place of the Body of Christ, or the crudeness of “renovationism,” which begins by “revising the calendar” and ends in “Eastern-rite Protestantism.” In all these questions the Holy Fathers, and our living Fathers who follow them, are our only sure guide.

Bishop Ignatius and other recent Fathers have indicated for us last Christians which Holy Fathers are the most important for us to read, and in what order. These indications will be given together with the teaching of the Holy Fathers, and information on English translations of the Fathers, in future issues of The Orthodox Word. May this be an inspiration to us all to place the Patristic teaching as the foundation stone of the building of our own souls, unto the inheritance of everlasting life! Amen.




P. Seraphim Rose, L’Apocalisse: un libro di misteri

Si ringrazia P. Ambrogio Cassinasco per aver tradotto e messo a disposizione questo testo benevolmente concessogli dai monaci del monastero ortodosso di Platina.

OODE sezione Italiana

L’Apocalisse: un libro di misteri

di P. Seraphim Rose

Discorso tenuto all’eremo ortodosso di Platina (California) nell’estate del 1980, come introduzione a un corso della New Valaam Theological Academy sul Libro dell’Apocalisse. Il corso usava come base il commentario all’Apocalisse, scritto dall’Arcivescovo Averky (Taushev) di Jordanville (pubblicato nel 1985, e ristampato nel 1995). L’articolo nella sua versione originale è reperibile in The Orthodox Word, Vol. 34, n. 3-4 (200-201), Maggio-Agosto 1998.

1. L’approccio sbagliato

I nostri tempi – il ventesimo secolo, e soprattutto l’ultima parte del ventesimo secolo – sono, più che mai, tempi apocalittici, vale a dire tempi in cui vi sono eventi tanto grandi da far sembrare alle porte la fine del mondo. A causa della natura delle invenzioni dei nostri tempi, anche le persone più realistiche e concrete parlano della possibilità dell’annientamento di intere nazioni, e anche di tutta l’umanità, sia a causa di armi come le bombe termonucleari, sia per la produzione di mostri moderni, attraverso l’inquinamento, gli esperimenti chimici e biologici, e così via.

Con un simile carattere dei nostri tempi, non è sorprendente che il Libro dell’Apocalisse sia ora più popolare che mai. Così, iniziando questo studio, vorrei dare un’indicazione su come dovremmo affrontare questo Libro. Oggi la maggior parte degli studi e volumi che trattano di questo Libro sono molto superficiali. Uno dei libri più popolari in materia è The Late Great Planet Earth (Il defunto grande pianeta Terra) di Hal Lindsey, un protestante evangelico. Sulla copertina dice “Uno sguardo penetrante su incredibili profezie che coinvolgono questa generazione.” Parla di Israele, della Russia, di Gog e Magog, della fine del mondo, e della guerra nucleare. A leggere tutte queste cose, si resta un po’ storditi. Quanto al tono, è scritto alla leggera: “La Russia è un Gog”, “Qual’è il tuo gioco, Gog?”, e cose simili. È molto facile, a un livello superficiale, farsi assorbire da questo libro. Quando lo finisci, sei tutto eccitato per ciò che sta accadendo. Compaiono frasi come “Guardate l’Iran”, e “Osservate ciò che farà in seguito la Russia.” Vi si dice che quando le dieci nazioni si uniranno in Europa – e cioè, quando la decima nazione entrerà nel Mercato Comune – quello è il segno da osservare, poiché si tratta delle dieci corna della Bestia. Il re del Nord è ovviamente la Russia; l’Egitto è il re del Sud; la Cina è il re dell’Est, etc. Dopo un po’ ti senti stordito: il tono di eccitazione creato da un simile libro non è il tono giusto per una persona che sta studiando le Scritture. È più a livello di cinema o di televisione. Lo stesso linguaggio usato dall’autore è da conversazione leggera. L’intero approccio non ti aiuta di fatto a capire lo scopo di questo libro; ti aiuta solo ad emozionarti. Alcune delle cose di cui parla potrebbero essere vere. Chi lo sa? La Russia potrebbe essere il re del Nord, ma questo è un punto secondario. Egli fa di queste cose i temi principali, ed esse non lo sono. Il tema principale è qualcosa di completamente diverso.

Questa non è la ragione per cui dovremmo leggere il libro dell’Apocalisse. Conosco persone che lo hanno letto e si sono molto emozionate per tutta la lettura: lo hanno letto tutto in una sera, ma alla fine non vi hanno trovato alcun cibo spirituale. Nella loro eccitazione, sono pronti ad andare a vedere cosa farà la Russia, e chi farà saltare chi altro. Dal punto di vista spirituale, non ne hanno tratto alcun vantaggio, perché non fanno altro che indulgere in indovinelli e congetture, e questo non è lo scopo del libro.

2. Rivelazione di Misteri

Pertanto, dobbiamo affrontare questo libro, così come tutta la profezia biblica, in un modo del tutto differente. Dobbiamo chiederci: perché leggiamo un libro come l’Apocalisse? Dobbiamo dapprima cercare di capire lo scopo per cui il libro fu scritto; È un libro di Misteri, si può dire. I Misteri sono cose profonde che sono collegate con il principio e la fine di tutte le cose, con lo scopo ultimo del mondo e dell’umanità, e con l’apertura del Regno eterno di Dio. Nelle Scritture, questa parola appare molte volte. Nelle funzioni della nostra Chiesa, parliamo del “Mistero che fu prima dei tempi e che è ignoto agli angeli”, vale a dire, il Mistero dell’Incarnazione di Dio. Cose come il Mostro di Loch Ness o il Triangolo delle Bermude non sono Misteri. Sono enigmi o cose strane e “misteriose,” ma non sono Misteri nel senso in cui le Scritture parlano di Misteri. Il “Mistero nascosto prima dei secoli,” d’altro canto, è il Mistero della nostra salvezza, la redenzione per mezzo di Gesù Cristo venuto in questo mondo. È qualcosa in questo mondo che già ci porta in un mondo differente, l’imperituro Regno di Dio.

Leggiamo pure nelle Scritture, inclusa l’Apocalisse, del Mistero dell’Iniquità (2 Ts 2:7, Ap 17:5). Anche questo è qualcosa di molto profondo, perché, in un certo modo, è l’opposto del Mistero nascosto nei secoli: è il mistero dell’opera del diavolo nel mondo. Anche il diavolo ha un regno imperituro: egli vuole portare tutti nell’abisso dell’inferno. Perciò, il compimento del suo piano sulla terra è come un mistero, poiché inizia in questo mondo e porta altrove, nell’abisso senza fondo.

Così, dobbiamo leggere questo libro come un resoconto dei misteri del futuro dell’umanità e della fine del mondo. Se esaminate la storia, non ne vedete esattamente l’inizio o la fine. Studiate il sorgere delle nazioni, la caduta dei regni, e da nessuna parte nella storia leggerete di un tempo in cui tutto giunge improvvisamente alla fine. Questo libro, tuttavia, parla di ciò che accade quando tutta la storia giunge alla fine, quando non ci sarà più storia. Questo è l’elemento di Mistero che ci porta nell’altro mondo, nella nuova era.

3. Consolazione per la Chiesa sofferente

Il proposito per cui fu scritto questo Libro è dato nel suo primo verso. È di “mostrare ai suoi servi (i servi di Cristo) le cose che debbono accadere tra breve.” Quindi, il soggetto dell’Apocalisse è una descrizione mistica del fato futuro della Chiesa di Cristo e di tutto il mondo. Vi sono descritti la battaglia della Chiesa contro i suoi nemici, in particolare il diavolo, e il suo trionfo su tutti i nemici. Questa è una grande consolazione, soprattutto in tempi di persecuzioni e di scoraggiamento per i cristiani, come per esempio i nostri tempi. Attraverso questo libro, gli eventi storici che vediamo attorno a noi sono posti nel contesto dell’intera battaglia della Chiesa contro le potenze del male, e della vittoria finale della Chiesa e dell’apertura del Regno eterno dei Cieli.

Chiunque abbia letto le storie della Chiesa delle Catacombe in Russia saprà che molti ne parlano nei termini della donna fuggita nel deserto negli ultimi tempi (Ap 12,6-14). Essi vedono se stessi in tempi apocalittici. Poiché l’intera società è governata dall’ateismo, e non v’è alcuna consolazione per un cristiano, ed essi stessi sono perseguitati e nascosti, le immagini di questo libro dell’Apocalisse sono molto consolanti. Esse mostrano che, nonostante il nemico abbia conquistato tutta la società, alla fine la Chiesa trionferà. Perciò le persone che leggono questo libro in tempi simili, sotto grandi difficoltà e persecuzioni, ne traggono forza per la loro difficile prova. Quando le potenze del male prendono una forma così potente come quella dei governi atei di oggi, è molto facile che le persone abbandonino la lotta, se non hanno un quadro del significato della loro prova, il significato del fatto che il male sembra trionfare in questo mondo, e la conoscenza che la Chiesa di Cristo alla fine trionferà. Così questo libro è stato letto e compreso dai cristiani soprattutto in tempi di grandi prove e persecuzioni; ma è stato letto dagli eretici in modo molto sbagliato, perché anch’essi lo leggono in tempi di persecuzione, e, non avendone una profonda e mistica comprensione, si lasciano trasportare dalle immagini, creano ogni sorta di nuove dottrine contrastanti con l’intero insegnamento della Chiesa, e alla fine sbagliano strada. Trovano, per esempio, che il numero 666 si riferisce a questa o a quella persona, o al Papa di Roma, o a qualcun altro, e pertanto tutto acquista un senso in tali termini; e quando la storia prova che quei termini non sono veri, le dottrine crollano. Naturalmente, quello non è il modo di leggere questo libro.

4. Il pericolo di confidare nelle proprie opinioni

Così non dobbiamo farci trasportare dalle immagini particolari di questo Libro, che sono estremamente vivide e drammatiche: bestie e draghi e donne nel cielo e così via. Non dobbiamo trarre alcuna conclusione dalla nostra fantasia. È importante che non ci limitiamo a leggere e raccogliere e interpretare secondo quanto ci viene in testa. Dobbiamo leggere il libro nel contesto di tutta la Sacra Scrittura e dell’interpretazione che ne dà la Chiesa. Dev’essere letto in primo luogo assieme a un regolare nutrimento spirituale, da fedeli ortodossi che frequentano la Chiesa, pregano ogni giorno, ricevono i Sacramenti, leggono le Sacre Scritture (e non soltanto questo libro delle Sacre Scritture) e altri libri spirituali. Se è presente un regime completo di vita cristiana, e se il nostro cristianesimo ortodosso è uno sforzo cosciente mantenuto quotidianamente al nostro livello – vale a dire, dicendo almeno alcune preghiere e leggendo alcuni brani delle Scritture ogni giorno, consapevoli di essere cristiani impegnati in una lotta – allora non saremo sopraffatti da qualche nuova catastrofe che giunge nella nostra vita, o interpretando in modo errato qualche immagine di questo libro, e finendo traviati.

Soprattutto, dobbiamo leggere un libro come questo con timor di Dio e sfiducia nella nostra sapienza personale. Chiunque legga libri simili – incluso il libro di Daniele, che ha immagini molto simili – dovrebbe, proprio all’inizio, decidere di non fidarsi di tutte le idee che verranno alla sua mente. Se pensiamo di poter comprendere per nostra esperienza o studio ciò a cui si riferisce un passo particolare, dovremmo essere esitanti ad accettare questa comprensione. Non dovremmo saltare alle conclusioni prima di avere controllato i Santi Padri, i nostri stessi preti, e di aver visto se questo va d’accordo con la nostra vita cristiana. Non dovremmo pensare in alcun modo di avere compreso qualcosa solo perché siamo riusciti a dargli un senso. Per esempio, molti si sono figurati ogni sorta di cose sul numero 666. Potete provare che è Napoleone; potete provare che è Hitler; potere provare che è il Papa di Roma, e vari Cesari, e chiunque vogliate. Ma ciò non è necessariamente vero; è solo un’interpretazione privata.

La comprensione delle Sacre Scritture è l’impegno di una vita, e perciò dovremmo essere molto lenti a pensare che comprendiamo molto. Quanto più esitanti siamo a fidarci della nostra comprensione personale, tanto più profondamente inizieremo a capire, soprattutto se stiamo leggendo anche altri libri in materia: libri e commentari ortodossi.

Il principale commentario che seguiremo in questo corso è quello dell’Arcivescovo Averky di Jordanville; l’ultimo capitolo del suo commentario sulle Epistole del Nuovo Testamento. Egli trae la maggior parte delle sue interpretazioni da un Padre del V secolo, Sant’Andrea di Cesarea. Non ci sono molti Padri che hanno scritto commentari sull’intero Libro dell’Apocalisse, e il suo è il principale.

5. L’approccio giusto

Nell’interpretare questo libro, il nostro primo proposito sarà quello di non identificare le immagini dell’Apocalisse con eventi contemporanei. A un certo punto forse ne parleremo per un po’, ma questo non è assolutamente uno scopo principale. Queste identificazioni saranno chiare solo quando gli eventi staranno realmente accadendo. Fino ad allora, dovremmo sospendere il giudizio ed essere molto cauti. Forse il re del Nord sarà la Russia, se questi eventi dovranno accadere nella nostra vita, ma finché non vedremo effettivamente gli eventi descritti nell’Apocalisse, non dovremmo emozionarci tanto per simili cose.

La nostra prima preoccupazione nell’interpretare questo libro è più profonda. Dobbiamo vederlo come una descrizione mistica della natura e del destino della Chiesa di Cristo e dei suoi nemici, che sono il diavolo, il mondo e l’Anticristo. Questa consapevolezza ci terrà al sicuro da molti degli errori elementari che i protestanti fanno riguardo al Millennio, il cosiddetto regno di mille anni di Cristo in questo mondo, che è un’eresia; al Rapimento in cielo dei giusti, che di fatto non fu inventato che nel XIX secolo; alla vera natura e al regno dell’Anticristo, e via dicendo.

Come per l’interpretazione di tutta la Sacra Scrittura, dobbiamo leggere il Libro assieme agli altri libri della Scrittura che danno indizi per la sua comprensione, specialmente il Libro di Daniele, che ha alcune delle sue stesse immagini. E di nuovo, dobbiamo leggerlo secondo l’interpretazione dei Padri portatori di Dio in ogni età, e non soltanto secondo le nostre idee.

Quanto più è profonda la nostra vita spirituale, tanto più profonda sarà la nostra comprensione di tali libri. Non dovremmo leggere questo libro finché non avremo iniziato una regolare vita spirituale, con tempi regolari di preghiera, letture spirituali, un padre spirituale. Allora non ci farà uscire dal seminato.

6. L’errore di interpretare il Libro cronologicamente

Questo libro è composto da una serie di visioni di tipo molto complicato, cosicché se iniziate a leggerlo senza alcuna interpretazione, ne uscirete totalmente confusi. Alcune di queste sono visioni del passato, alcune del presente e alcune del futuro. San Giovanni Crisostomo, nel suo commentario ai libri di Daniele e della Genesi, dice che la prima parte della Genesi è una profezia del passato, poiché nessuno era là a vedere gli eventi che vi sono narrati, ed essi furono rivelati allo stesso modo in cui gli eventi del futuro furono rivelati a Daniele e a Giovanni.

Il contenuto generale del Libro dell’Apocalisse riguarda gli eventi che devono accadere alla fine del mondo. Talvolta la fine del mondo è vista come un intero periodo, che ha inizio con la prima venuta di Cristo, nel qual caso è già trascorso un periodo di quasi duemila anni. Altre volte la fine del mondo indica gli ultimi eventi di questo periodo, subito prima della fine effettiva. Per rendere l’intero contesto della fine del mondo, alcune delle visioni – per esempio, la battaglia degli angeli nel cielo – riguardano cose che sono accadute anche prima dell’inizio del mondo. Perciò, nessuna spiegazione semplice è possibile. Per esempio, non si può dire che tutti gli eventi appaiano in ordine cronologico. Qui è dove sbagliano i protestanti con la loro interpretazione del Millennio, poiché pensano che tutto avvenga cronologicamente secondo l’ordine in cui è scritto. Questo è impossibile, perché il testo salta avanti e indietro: futuro, passato, presente, e quindi viene una nuova visione della cosa che è già stata profetizzata. Non si può assolutamente seguire il libro in modo cronologico. Il Libro dell’Apocalisse non è semplicemente una cronologia di eventi futuri, ma una visione mistica dell’intera Storia della Chiesa di Cristo; e solo incidentalmente presenta visioni di eventi futuri.

Vi sono altresì molti differenti livelli di interpretazione delle visioni di questo Libro. Così, con poche eccezioni, non è possibile dire che una data immagine corrisponde a una data realtà, poiché – come in tutta la Sacra Scrittura e nei nostri offici divini, che sono lo stesso genere di letteratura – un’immagine può significare molte cose differenti. Ci arriveremo quando vedremo le immagini di questo libro e troveremo che un Padre dice che un’immagine significa qualcosa, un altro Padre dice che significa un’altra cosa, e un altro ancora potrebbe dare un altro significato; e tutti e tre questi quadri potrebbero essere veri, perché non vi è una corrispondenza univoca tra immagini e realtà. Naturalmente, prima di leggere un libro come questo dovreste averne letti degli altri, come le lettere di Giacomo, Pietro e Giovanni, che trattano di cose molto più semplici: come vivere una vita morale, come essere cristiani, come combattere la guerra invisibile, e così via. Per il suo stesso contenuto, il Libro dell’Apocalisse presume che abbiate già letto cose come queste, poiché presume che già sappiate qual è la battaglia in corso tra la Chiesa e il diavolo, qual è la vita cristiana, e che genere di sforzo dobbiamo sopportare. Se non ne avete un’idea, non capirete nulla di questo libro.

7. L’imminenza della venuta di Cristo

Il libro inizia: “Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere rapidamente e che egli fece conoscere, mandandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni.” E cosa significa quando dice “le cose che devono accadere rapidamente”? Dobbiamo ricordare ciò che si dice in 2 Pietro 3:3-8:

Prima di tutto dovete sapere questo, che negli ultimi giorni verranno degli schernitori, che cammineranno secondo le loro proprie voglie, e diranno: “Dov’è la promessa della sua venuta? Da quando infatti i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione.” Ma essi dimenticano volontariamente che per mezzo della parola di Dio i cieli vennero all’esistenza molto tempo fa, e che la terra fu tratta dall’acqua e fu formata mediante l’acqua, a motivo di cui il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì, mentre i cieli e la terra attuali sono riservati dalla stessa parola per il fuoco, conservati per il giorno del giudizio e della perdizione degli uomini empi. Ora, carissimi, non dimenticate quest’unica cosa: che per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno.”

Tutto ciò mostra che anche ai giorni di San Pietro – vale a dire, proprio dopo la venuta di Cristo – la gente stava già dicendo ai cristiani: “Voi parlate della fine del mondo, ma il mondo è com’è sempre stato: nulla è differente.” Ora sono passati due millenni, e ancora la gente dice la stessa cosa: “Voi parlate della fine del mondo; i cristiani hanno sempre pensato che la fine del mondo fosse alle porte, e sono passati duemila anni. Andrà avanti così per millenni e millenni.” Naturalmente, quando San Giovanni dice “le cose che devono accadere rapidamente,” dobbiamo ricordare che “rapidamente” potrebbe significare questi duemila anni. Se mille anni sono come un giorno al cospetto del Signore, allora duemila anni sono un periodo piuttosto breve. Questo periodo è necessario perché entrino nella Chiesa quanti devono essere salvati, e perché si sveli il mistero dell’iniquità.

Per tutte le ere, molti Padri hanno detto che la fine delle cose è alle porte, che Cristo verrà presto; ma non sembra che Egli venga presto. Ora viviamo in quelli che chiamiamo ultimi giorni, e ancora diciamo che la fine sembra alle porte. E perché? I cristiani sono sempre in errore o sviati a pensare che la fine venga presto, quando si scopre che non è venuta?

Prima di tutto, Cristo viene per ogni persona; ogni persona deve vivere in questo mondo per una volta e morire. Perciò, per ognuno di noi la venuta di Cristo è molto imminente. Ciò è molto vero.

In secondo luogo, chiunque vive di fede e guarda misticamente alle cose – vale a dire, cerca di vedere il retro degli eventi esterni della storia – vede che in verità quelle cose che devono accadere stanno già accadendo. Di fatto, San Giovanni stesso dice, in una delle sue Epistole: “Avete udito che l’Anticristo deve venire; e fin da ora sono sorti molti Anticristi.” Anche nei suoi tempi, la fine del primo secolo, già molti Anticristi erano venuti; vale a dire, molte persone che erano nello spirito dell’Anticristo; e ce ne sarebbero stati molti altri. L’Anticristo è sia all’esterno che all’interno della Chiesa. Certamente i comunisti sono un tipo di Anticristo; e le persone che cercano di corrompere la Chiesa dall’interno svolgono il ruolo di Anticristo. Possiamo guardare a tutta la Storia e vedere molti che furono certamente nello spirito dell’Anticristo, ma che non furono ancora l’Anticristo che dovrà venire alla fine. Quello spirito di Anticristo era presente all’inizio stesso della storia della Chiesa, poiché il diavolo iniziò immediatamente la sua guerra contro di essa.

Pertanto, visto che il libro dell’Apocalisse parla di tutta la guerra della Chiesa di Cristo contro il diavolo, tutte le cose che accadranno alla fine iniziano ad accadere proprio all’inizio della Storia della Chiesa.

In conclusione, dobbiamo vedere quel “rapidamente” come un riferimento alla nostra morte, perché l’escatologia – lo studio delle cose ultime – non si riferisce solo alla fine del mondo, ma anche alla fine della nostra vita, poiché quando ciascuno di noi muore va in quell’altro mondo e là attende la fine di questo mondo. E in secondo luogo, si riferisce al fatto che il tempo è davvero breve per le misure della storia, e al cospetto di Dio. Noi possiamo risalire nella storia di cinque, sei, sette millenni. Duemila anni ne sono una piccola parte.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Apocalisse.htm

OODE sezione Italiana: https://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/escatologia/apocalisseraphim.htm




P. Seraphim Rose: Lettera ad un cercatore spirituale

Cercatore spirituale

[OW 187-188, p. 117; scritto “verso la fine della sua vita”, forse una lettera scritta a mano a p. Damasceno]

… accadde così che René Guénon è stato l’influenza principale nella formazione della mia prospettiva intellettuale (a prescindere dalla questione del cristianesimo ortodosso). Ho letto e studiato con entusiasmo tutti i suoi libri che sono riuscito a procurarmi; attraverso la sua influenza ho studiato l’antica lingua cinese e ho deciso di fare per la tradizione cinese quello che aveva fatto lui per l’indù; ho anche potuto incontrare e studiare con un autentico rappresentante della tradizione cinese e ho capito benissimo così cosa si intende per differenza tra insegnanti autentici e semplici “professori” che insegnano nelle università.
René Guénon mi ha insegnato a cercare e ad amare la Verità sopra ogni altra cosa e ad essere insoddisfatto di qualsiasi altra cosa; questo è ciò che alla fine mi ha portato alla Chiesa ortodossa. Forse una parola della mia esperienza ti sarà d’aiuto.

Per anni nei miei studi mi sono accontentato di essere “al di sopra di tutte le tradizioni” ma in qualche modo fedele ad esse; ho solo approfondito la tradizione cinese perché nessuno l’aveva presentata in Occidente da un punto di vista pienamente tradizionale. Quando ho visitato una chiesa ortodossa, è stato solo per vedere un’altra “tradizione”, sapendo che Guénon (e uno dei suoi discepoli) aveva descritto l’Ortodossia come la più autentica delle tradizioni cristiane.

Tuttavia, quando sono entrato per la prima volta in una chiesa ortodossa (una chiesa russa a San Francisco), mi è successo qualcosa che non avevo sperimentato in nessun tempio buddista o orientale: qualcosa nel mio cuore diceva che questa è “casa”, che tutta la mia ricerca era finita. Non sapevo davvero cosa significasse, perché il servizio era piuttosto strano per me e in una lingua straniera. Ho iniziato a frequentare le funzioni ortodosse più frequentemente, imparando gradualmente la sua lingua e i suoi costumi, ma conservando ancora tutte le mie idee guenoniane di base su tutte le autentiche tradizioni spirituali.

Con la mia esposizione all’Ortodossia e agli ortodossi, tuttavia, una nuova idea ha cominciato a entrare nella mia consapevolezza: che la verità non era solo un’idea astratta, cercata e conosciuta dalla mente, ma era qualcosa di personale – anche una Persona – cercata e amata dal cuore. Ed è così che ho incontrato Cristo. Ora sono grato che il mio approccio all’Ortodossia abbia richiesto diversi anni e non abbia avuto nulla di eccitazione emotiva al riguardo – questa è stata di nuovo l’influenza di Guénon e mi ha aiutato ad approfondire l’Ortodossia senza gli alti e bassi che alcuni convertiti incontrano quando non sono troppo pronti per qualcosa di così profondo come l’Ortodossia. Il mio ingresso nella Chiesa ortodossa è avvenuto proprio nel momento in cui ho lasciato il mondo accademico e rinunciato al tentativo di comunicare la tradizione cinese al mondo occidentale. Anche il mio insegnante di cinese ha lasciato San Francisco poco prima – il mio unico vero contatto con la tradizione cinese – e alla maniera di Guénon è scomparso del tutto, senza lasciare indirizzo. Lo ricordo con affetto, ma dopo essere diventato ortodosso ho visto quanto fosse limitato il suo insegnamento: l’insegnamento spirituale cinese, ha detto, sarebbe scomparso del tutto dal mondo se il comunismo fosse durato altri dieci o vent’anni in Cina. Questa tradizione era così fragile – ma il cristianesimo ortodosso che avevo scoperto sarebbe sopravvissuto a tutto e sarebbe durato fino alla fine del mondo – perché non era semplicemente tramandato di generazione in generazione, come lo sono tutte le tradizioni; ma è stato nello stesso tempo donato da Dio all’uomo. 

Ripenso con affetto a René Guénon come il mio primo vero istruttore nella Verità e prego solo che tu prenda ciò che è buono da lui e non lasci che i suoi limiti ti incatenino. Anche psicologicamente; la “saggezza orientale” non è per noi che siamo carne e ossa dell’Occidente. Il cristianesimo ortodosso è chiaramente la tradizione che ci è stata data e può essere chiaramente vista nell’Europa occidentale dei primi dieci secoli, prima dell’allontanamento di Roma dall’Ortodossia. Ma accade anche che l’Ortodossia non sia semplicemente una “tradizione” come le altre, una “trasmissione” di saggezza spirituale dal passato: è la verità di Dio qui e ora: ci dà un contatto immediato con Dio come nessun’altra tradizione può fare. Ci sono molte verità nelle altre tradizioni, sia quelle tramandate da un passato in cui gli uomini erano più vicini a Dio, sia quelle scoperte fatte da uomini dotati nei meandri della mente, ma la piena Verità è solo nel Cristianesimo, la rivelazione di Dio di Sé all’umanità. Prenderò solo un esempio: ci sono insegnamenti sull’inganno spirituale in altre tradizioni, ma nessuno così raffinato come quelli insegnati dai Santi Padri ortodossi, e, cosa più importante, questi inganni del maligno e della nostra natura decaduta sono così onnipresenti e così completi che nessuno potrebbe sfuggirli a meno che il Dio amorevole rivelato dal cristianesimo non fosse vicino a liberarci da loro. Allo stesso modo, la tradizione indù insegna molte cose vere sulla fine del Kali Yuga ma chi si limita a conoscere queste verità nella mente non sarà in grado di resistere alle tentazioni di quei tempi e molti che riconoscono l’Anticristo (Chalmakubi) quando verrà lo adoreranno nondimeno; solo il potere di Cristo dato al cuore avrà forza per resistergli.

Prego per te che Dio apra il tuo cuore e che tu stesso faccia quello che puoi per incontrarLo. Troverai lì la felicità che non hai mai sognato essere possibile prima; il tuo cuore si unirà alla tua testa nel riconoscere il vero Dio e nessuna vera verità che tu abbia mai conosciuto andrà perduta. Che Dio lo conceda!

Sentiti libero di scrivere qualunque cosa ti venga in mente o nel cuore.

Con affetto,

p. Seraphim




Padre Seraphim Rose: una breve biografia

La vita ortodossa: P. Seraphim (Rose) di Platina: La visione ortodossa del  mondo

Uno strano “segno dei tempi” ha visto sorgere in un territorio apparentemente inconsueto (la California) e in un ambiente culturale dei più impensabili (la Beat generation) una delle voci più profetiche dell’Ortodossia del ventesimo secolo. Un umile convertito americano, vissuto per gran parte della sua vita in uno stretto isolamento, e morto (per i criteri di questo mondo) nel fiore dei suoi anni, è oggi a livello internazionale una delle figure più conosciute del monachesimo ortodosso.
Eugene Rose nasce nel 1934 a San Diego, sulla costa meridionale della California, da una famiglia che incarnava il tipico “sogno americano” (laboriosità, benessere economico, una vaga religiosità vissuta all’interno di “rispettabili” comunità protestanti, valori morali perseguiti in modo onesto ma superficiale). La sua educazione è il prodotto tipico dell’America del dopoguerra, e di tutte le sue inquietudini e contraddizioni. Avvertendo un vuoto di fondo alla base di questa visione del mondo, lo spirito intelligente e analitico di Eugene lo porta negli anni universitari a immergersi nel mondo della contro-cultura californiana degli anni ’60.
Come molti suoi contemporanei, Eugene inizia un cammino di conoscenza delle religioni e filosofie dell’estremo Oriente, ma rimane presto insoddisfatto della gerarchia di valori “alternativi” proposti dall’incontro tra queste millenarie tradizioni e la mentalità moderna dell’Occidente. La debolezza e il relativismo delle risposte della contro-cultura stimolano in lui un cammino di scoperta di una verità più profonda.
In un periodo di ricerca di un nucleo di verità comuni alle grandi tradizioni religiose, viene in contatto con la Chiesa ortodossa, e inizia a frequentare la cattedrale della Chiesa Russa all’Estero a San Francisco. Questo incontro è il seme di una trasformazione interiore che, in capo a un paio di anni, gli fa acquisire una visione rinnovata.
A contatto con l’Ortodossia, la fede cristiana dei suoi anni di infanzia gli si ripresenta nella pienezza di una verità trasformante, fattasi persona (un tratto di netta distinzione con le filosofie spiritualiste allora in crescita), ed espressa in una continuità ininterrotta di fede e di dottrina. Trovando finalmente un’autentica alternativa agli approcci parziali e accomodanti del cristianesimo occidentale, e alle soluzioni altrettanto ristrette della contro-cultura, Eugene entra a far parte della Chiesa ortodossa nel Febbraio 1962.
Con la nuova prospettiva fornitagli dalla visione ecclesiale ortodossa, Eugene può sviluppare un’analisi critica del mondo moderno: inizia a dedicarsi alla stesura di un libro che passa in rassegna le tappe della progressiva scristianizzazione degli ultimi secoli, e mostra come il graduale allontanamento dall’ordine tradizionale apre la strada a un futuro ben più inquietante di quanto si creda. Quest’opera, il cui titolo avrebbe dovuto essere Il regno dell’uomo e il Regno di Dio, è rimasta incompleta: Il testo pubblicato anche in italiano, Nichilismo. Le radici della rivoluzione nell’età moderna (Schio: Interlogos 1998), non ne copre che un singolo capitolo.
Tra i numerosi incontri che arricchiscono la vita ecclesiale di Eugene, è decisivo quello con Gleb Podmoshensky, un seminarista di famiglia russo-lettone, che è al suo fianco nel cammino di approfondimento della fede ortodossa, e che in seguito condividerà con lui la vocazione eremitica e monastica e il sacerdozio.
Nel Novembre 1962, viene insediato a San Francisco uno dei più straordinari vescovi ortodossi del ventesimo secolo, che avrebbe lasciato una decisiva impronta su Eugene e sul suo cammino: si tratta del santo Arcivescovo John Maximovich (la cui canonizzazione ha avuto luogo a San Francisco nel 1994, a opera delle gerarchie della Chiesa Russa all’Estero e del Patriarcato di Serbia).
L’Arcivescovo John giunge in California dopo una vita di infaticabile opera missionaria in Asia (era stato consacrato in origine come Vescovo di Shanghai), Africa, e in vari paesi d’Europa. La sua fama di asceta e taumaturgo lo ha preceduto da tutti questi luoghi, così come i frutti della sua visione apostolica, non sempre compresa dalle stesse gerarchie ortodosse.
L’ideale perseguito dall’Arcivescovo John è la costituzione di un’Ortodossia occidentale, non tramite la fondazione di “filiali” delle Chiese orientali storiche, ma attraverso la rigenerazione, compiuta all’interno della vita ecclesiale ortodossa, delle radici cristiane ortodosse dell’Occidente contemporaneo. Questo compito davvero arduo ha ricondotto molti francesi all’Ortodossia, e ha aiutato a creare in altri paesi (tra cui i Paesi Bassi e la stessa Italia) un clima favorevole alla costituzione di una Chiesa ortodossa genuinamente locale.
Ispirati dall’Arcivescovo John, Eugene e Gleb, assieme ad alcuni amici, si costituiscono in una fraternità, posta sotto il patronato di uno dei primi evangelizzatori ortodossi in America: il beato Herman dell’Alaska. Tra gli scopi della fraternità, oltre a un esperimento di vita comune tra giovani attivisti della Chiesa, vi è la diffusione degli insegnamenti patristici e ascetici dell’Ortodossia: un campo per il quale l’Occidente inizia in questi anni a mostrare i primi, timidi segni di interessamento.

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I fratelli preferiscono operare attraverso modalità non necessariamente vincolate alle strutture parrocchiali esistenti, e decidono di aprire un negozio di libri e icone a San Francisco: in questo modo sono in grado di estendere una testimonianza di fede ortodossa a molte persone per diverse ragioni estranee agli ambienti ecclesiali, per ignoranza, distanza culturale o per un esplicito rigetto delle tradizioni.
Molte sono le persone che scoprono l’Ortodossia attraverso la libreria gestita dalla fraternità, e diversi iniziano qui un cammino di fede che li porta in seno alla Chiesa.
Con la benedizione dell’Arcivescovo John, la fraternità inizia nel 1964 la pubblicazione della rivista The Orthodox Word (La parola ortodossa), che per oltre un trentennio ha continuato a fornire traduzioni di testi patristici (molti dei quali apparsi per la prima volta in una lingua occidentale), scritti spirituali, vite di santi e testimonianze dell’Ortodossia sofferente.
Un compito particolarmente sentito dai fratelli, attraverso le pagine della rivista e l’impegno di testimonianza personale, è quello di suonare una nota di cautela nei confronti del gusto di compromesso con il mondo che sta inizando a intaccare, in quegli anni, alcuni ambienti delle giurisdizioni ortodosse più propense al dialogo ecumenico e ai confronti con la civiltà contemporanea.
Dopo la morte (nell’estate del 1966) dell’Arcivescovo John, il timore di coinvolgimento dell’attività missionaria ortodossa in una politica di rivalità ecclesiastiche, a livello parrocchiale e diocesano, è la molla che spinse Eugene e Gleb ad abbandonare San Francisco e a ritirarsi in solitudine, fondando uno skit (eremo).
Nel 1967, dopo avere trovato un terreno boschivo a Platina, nella California settentrionale, Eugene e Gleb abbandonano il mondo e vi si trasferiscono, combinando la loro missione di traduzione, stampa e diffusione di testi patristici con una vita di stile monastico nella frontiera occidentale americana.

Parrocchia ortodossa - Documenti

La vita di fratellanza nel deserto, iniziata tra mille difficoltà pratiche, è però sostenuta dalla sapiente esperienza di secoli di monachesimo ortodosso: i fratelli sono in grado di applicarne gli insegnamenti in un modo più efficiente (e senza dubbio più vissuto) di quanto avevano potuto fare nel loro periodo di apostolato urbano.
Nel 1970 ha luogo la canonizzazione del Beato Herman dell’Alaska, il patrono delle attività missionarie della piccola fraternità: pochi mesi dopo, anche i due fratelli accettano di essere tonsurati monaci, Eugene con il nome di Seraphim, e Gleb con quello di Herman.
La tonsura monastica, che era sembrata ai due fratelli il naturale coronamento della loro scelta di vita eremitica, dà luogo a vari problemi con l’Arcivescovo locale; il desiderio di quest’ultimo di assegnare Padre Seraphim e Padre Herman come parroci in chiese prive di pastore rischia di distruggere le attività missionarie e la loro esperienza di monachesimo del deserto.
Con il tempo, tuttavia, cresce l’affluenza di pellegrini e fedeli, che cercavano attraverso i due padri una luce spirituale per orientare la propria vita cristiana; arrivano anche novizi, e all’eremo di Platina si istituisce un percorso di studi religiosi monastici. L’esperienza missionaria della fraternità aveva preparato i padri Herman e Seraphim ad affrontare i casi più diversi, e talvolta più disperati, di necessità spirituali.
Nella sua opera di trasmissione dell’esperienza monastica, Padre Seraphim si adopera con incredibile energia per far comprendere la validità del monachesimo ortodosso anche in un mondo pieno di alternative religiose: dalle sue lezioni ai novizi, si sviluppa un vero e proprio “corso di sopravvivenza ortodossa”, che spazia su ogni campo dello scibile umano.
L’isolamento dell’eremo di Platina, lungi dall’attenuare la sensibilità ecclesiale dei padri, permette loro di valutare con un maggiore distacco alcuni temi delicati della vita ortodossa americana, tra cui lo stesso zelo per la tradizione, che aveva portato in altri contesti a un certo intransigentismo. Sono interessanti alcuni tentativi, compiuti da Padre Seraphim nei suoi ultimi anni, di contrastare con un approccio di moderazione gli eccessi di “rinnovamento” all’interno dell’Ortodossia, sia in senso modernista che conservatore.
Solo alla fine del 1976 Padre Herman e Padre Seraphim accettano di essere ordinati sacerdoti, quasi a malincuore, sicuri che le necessità del ministero avrebbero sottratto tempo prezioso all’attività di traduzione e diffusione di testi patristici.
L’attività sacerdotale dei due padri è comunque fondata sulla roccia degli insegnamenti spirituali che essi avevano fatti propri e cercato di vivere da oltre un decennio, e, a quel punto, lo sforzo missionario della piccola fraternità non tarda a far vedere i suoi primi importanti frutti. Nel corso di pochi anni, i padri accolgono centinaia di nuovi membri nella Chiesa ortodossa; attraverso un’opera iniziata in piccole missioni domestiche, si aprono numerose chiese nella California settentrionale e negli stati confinanti.
Un ulteriore numero di novizi e monaci viene a stabilirsi nell’eremo, non lontano dal quale si fonda anche un eremo femminile dedicato a Santa Xenia. Platina diviene il centro di un movimento che coinvolge un numero crescente di ortodossi negli Stati Uniti, e che dopo la morte di Padre Seraphim riuscirà ad aprire un monastero in Alaska, nelle terre originariamente evangelizzate dal Santo Herman.
Padre Seraphim muore il 20 Agosto/2 Settembre 1982, dopo una breve ma intensa agonia, per i postumi di una malattia giovanile che già avrebbe potuto stroncarlo negli anni in cui era divenuto ortodosso. Egli aveva anzi vissuto tutti gli anni della sua missione nella certezza che questi fossero un “tempo regalato”, un dono fattogli al solo scopo di diffondere la conoscenza dell’Ortodossia in Occidente.
Dopo la sua morte (come già era accaduto per l’Arcivescovo John Maximovich) ha luogo una serie di guarigioni e di conversioni in seguito a preghiere a lui rivolte; forse l’episodio più significativo è la conversione all’Ortodossia, tramite ispirazione alla sua figura, di centinaia di membri di un gruppo monastico indipendente, l’Ordine di MANS, partito da posizioni sincretiste comuni all’ambiente New Age, ed evolutosi in una attiva fraternità ortodossa.
Oltre a questi numerosi eventi (per nulla insoliti per coloro che credono), ci resta di Padre Seraphim un gran numero di scritti di notevole valore, e un esempio di come, anche in questa civiltà sempre più aliena dal cristianesimo, sia possibile vivere una vita del tutto simile a quella degli antichi Padri e santi asceti.
Per le persone che sperimentano maggiore inquietudine nella ricerca della verità, soprattutto i più giovani, e coloro che si sono rivolti a religioni e spiritualità orientali non cristiane, Padre Seraphim è il punto di riferimento ideale nel mondo ortodosso, in grado di comprendere le tappe dei più diversi pellegrinaggi verso la fede cristiana.
L’approccio di Padre Seraphim ai problemi dell’Ortodossia contemporanea, pur muovendosi in una totale fedeltà alla Tradizione, è caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi polemica a livello giurisdizionale: egli è rimasto leale per tutta la vita, scontrandosi spesso con l’ostilità della propria gerarchia, alla Chiesa Russa all’Estero, che lo aveva accolto come convertito; tuttavia, non ha voluto cadere negli eccessi di zelo e di rivalità che talora dividono le giurisdizioni ortodosse, adoperandosi anzi per promuovere uno spirito di mutua comprensione: ne è una testimonianza il suo spirito di profonda comunione con i confessori dell’Ortodossia nel Patriarcato di Mosca, come Padre Dimitri Dudko.
A fianco del suo prezioso impegno di traduzione e diffusione di letteratura patristica, Padre Seraphim ci ha lasciato anche contributi letterari di notevole chiarezza, che tentano di offrire una risposta ortodossa ad alcuni grandi problemi contemporanei.
Affrontando nel 1978 il tema dei nuovi movimenti religiosi nell’opera Orthodoxy and the Religion of the Future (L’Ortodossia e la religione del futuro), ci mostra quanto la tradizione patristica ortodossa abbia da dirci in proposito alle tendenze della religiosità contemporanea (inclusi alcuni nuovi movimenti orientali, il fenomeno degli UFO, i movimenti carismatici e certe tendenze dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso).
Altri scritti provano a rivalutare una posizione cristiana di fronte a ideologie costruite su dati presi per scontati (come l’intero mondo dell’evoluzionismo contemporaneo).
Di fronte a casi di incapacità pastorale di rispondere alle domande sulla vita oltre la morte (una incapacità manifestata purtroppo anche all’interno di strutture ecclesiali ortodosse), Padre Seraphim ha voluto presentare l’escatologia ortodossa, le esperienze dei santi e la dottrina dei Padri della Chiesa a fianco delle esperienze extracorporee e di “pre-morte”, e delle loro spiegazioni provenienti da antiche tradizioni pre-cristiane o da moderne ipotesi occultiste o parapsicologiche. Quest’opera, intitolata The Soul After Death (L’anima dopo la morte), è probabilmente il più diffuso tra i libri di Padre Seraphim, e le sue traduzioni in varie lingue sono diffuse in tutto il mondo ortodosso. La traduzione italiana è del 1999 (L’anima dopo la morte, Schio: Interlogos).
Una delle opere patristiche di Padre Seraphim ha un valore particolare per la riscoperta dell’Ortodossia nei paesi dell’Europa occidentale. Traducendo una raccolta di vite di santi dell’antico Occidente cristiano, la Vita Patrum di San Gregorio di Tours, Padre Seraphim l’ha corredata di uno studio sull’antica Gallia cristiana: da questo, e dalle esperienze dei santi monaci narrate da San Gregorio, vengono alla luce impensabili paralleli tra i primi secoli dell’Occidente cristiano e la realtà attuale della Chiesa ortodossa. Uno sforzo simile, attuato anche per il nostro paese, potrebbe aprirci gli occhi sulle radici ortodosse del nostro passato.
Di tutta la notevole produzione letteraria di Padre Seraphim, solo un paio di opere sono oggi disponibili in lingua italiana (tuttavia, all’interno della comunità torinese del Patriarcato di Mosca, abbiamo anche tradotto alcuni capitoli della sua biografia). Ci auguriamo una maggiore diffusione delle opere che furono oggetto della missione di approfondimento e di trasmissione spirituale di uno dei più straordinari testimoni della Fede ortodossa dei nostri tempi.

FONTE: http://www.santiebeati.it/dettaglio/93686