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San Giovanni Climaco: La scala della divina ascesa. Gradino 1

INTRODUZIONE

La scala della divina ascesa, o scala del Paradiso (dal gr. Κλίμαξ; Climax, Scala), è un importante trattato ascetico rivolto ai monaci scritto da Giovanni monaco e poi igumeno del mona­stero di S. Caterina sul Sinai, soprannominato proprio a causa di questa sua opera Climaco. La composizione risale al 600 d.C. circa e prese avvio su richiesta di Giovanni, Abate di Raito, un monastero situato sulle rive del Mar Rosso.

La Scala, un testo fondamentale della tradizione ascetica della Chiesa, è indirizzato ad anacoreti e cenobiti e tratta dei mezzi con cui si può raggiungere il più alto grado di perfezione spirituale. Suddivisa in trenta parti, o “gradini”, in memoria dei trent’anni della vita di Cristo prima della vita pubblica, modello divino per il fedele cristiano. Nella Scala si descrive l’itinerario dell’e­sperienza spirituale e ascetica che conduce alla deificazione. «Il presente libro – esorta san Giovanni Climaco – mostra il miglior cammino. Se lo imbocchiamo, troveremo in esso una guida sicura per chi lo segue, una scala molto stabile che conduce dalle cose terrestri alle realtà sante, e al sommo di essa vedremo affacciarsi Dio. E’ quella che io penso sia la scala di Giacobbe, ‘colui che ha superato’ le passioni, e che contemplò mentre riposava sul giaciglio dell’ascesi. Saliamo dunque con coraggio, mettendoci quel poco della nostra volonta, con fiducia in Colui che solo può permetterci di salire gradino dopo gradino.

PRIMO GRADINO

1. Quando si scrive ai servi di Dio è meglio cominciare da Dio stesso. Il nostro Dio e Re è davvero buono, sommamente buono e tutto buono. Delle creature intelligenti da Lui create e glorificate con l’onore del libero arbitrio, alcune Gli sono amiche, mentre altre sono veramente Sue fedeli servitrici, altre ancora sono serve inutili e altre sono completamente separate da Dio. Altre ancora, infine, sono da considerarsi Sue impotenti avversarie. 

Quando diciamo “amici di Dio”, santo e venerato padre, intendiamo, nella nostra pochezza, quegli esseri intelligenti e incorporei che sono intorno a Lui. Per “servi fedeli”, coloro che hanno compiuto e compiono la sua santissima volontà senza indugio né interruzione alcuna. Quanto ai “servi inutili”, parliamo di coloro che dopo aver ricevuto il battesimo non hanno mantenuto i giuramenti fatti davanti a Dio. Per coloro che sono estranei e “separati da Dio”, intendiamo gli eretici e i miscredenti. Da ultimo, per “avversari di Dio” intendiamo coloro che non solo non adempiono i comandamenti del Signore rigettandoli lontano da sé, ma che combattono con accanimento contro chi li mette in pratica.

Ogni tipologia di persona sopra descritta potrebbe avere una descrizione speciale ad essa dedicata. Ma per i semplici, come siamo noi, non sarebbe utile in questo frangente addentrarsi in valutazioni così lunghe. Venite dunque, in incrollabile obbedienza, a tendere le mani indegne a coloro che sono i veri servi di Dio, che piamente ci stringono con la loro fede e con le loro istruzioni. Componiamo questo scritto con una penna presa dalla loro sapienza e intingendola nell’inchiostro della loro cupa ma illuminante umiltà scriviamo sulla carta liscia e bianca dei loro cuori, oppure poggiando su tavole spirituali le parole divine, cominciamo a dire quanto segue.

Dio è la vita e la salvezza di tutte le creature. Egli è il respiro vitale di noi tutti, sia del credente che dell’incredulo, di coloro che sono giusti e ingiusti, dei pii e degli empi, dei lussuriosi e di coloro che sono liberi dalle passioni, del monaco e del laico, del saggio e dello stolto, del sano e del malato, dei giovani e degli anziani. Perché proprio come la luce risplende dal sole, e le stagioni si alternano per tutti allo stesso modo, ‘poiché non c’è distinzione tra le persone per Dio’. (Rm 1,18)

“L’empio” è una creatura mortale di natura razionale che di sua spontanea volontà ha voltato le spalle alla vita e pensa il suo Fattore, l’Essere eterno, come non esistente. “L’uomo iniquo” è colui che trasforma la legge di Dio secondo il proprio piacere e cerca di mescolare la fede in Dio con le eresie che operano in opposizione a Lui. Il “cristiano”, invece, è colui che cerca di imitare Cristo nel pensiero, nella parola e nelle opere, per quanto gli è possibile come essere umano, credendo rettamente e semplicemente nella Santissima Trinità. È un “amante di Dio” colui che gode di tutti i beni che sono secondo natura ed esenti da peccato e non trascura di compiere tutto il bene che è nelle sue capacità. “L’uomo continente” è colui che in mezzo a tentazioni, insidie ​​e tumulti, si sforza con tutte le sue forze di imitare i modi di chi è impassibile. Il “monaco” è colui che pur vivendo nel suo corpo terreno e passionale ha raggiunto il rango e lo stato degli angeli. Un monaco è colui che esercita una rigorosa violenza contro la sua natura e veglia incessantemente sui suoi sensi. Un monaco è colui che mantiene il suo corpo casto, la sua bocca immacolata e la sua mente illuminata. Un monaco è un’anima che piange e che mantiene il ricordo della morte incessantemente sia nella veglia che nel sonno.

Il ritiro dal mondo è disprezzo volontario e rinnegamento di ogni diletto naturale allo scopo di acquisire quello che è superiore alla natura. Tutti coloro che volontariamente si sono lasciati alle spalle tutte le cose di questo mondo, lo hanno fatto o per la ricompensa del Regno futuro, o per l’entità dei loro peccati, o per amore di Dio. Se non hanno lasciato il mondo per nessuno di questi motivi, il loro ritiro è irrazionale. Ma Dio che giudica la nostra lotta, aspetta di vedere quale sarà la fine della nostra gara.

Colui che ha lasciato il mondo per scrollarsi di dosso il peso dei propri peccati, dovrebbe essere come coloro che abitano fuori città tra le tombe. Non dovrebbe far cessare il flusso ardente e caldo delle sue lacrime e il muto dolore del suo cuore fino a quando non vede che, come accadde a Lazzaro, Gesù viene da lui per rotolare via la pietra dura che copre il suo cuore e scioglierlo dalle bende, vale a dire, la nostra mente, dai legami del peccato, e comandi ai suoi angeli servitori di liberalo dalle sue concupiscenze affinché possa avviarsi verso la benedetta apatia, senza la quale non avrà ottenuto nulla.

Chi di noi vorrebbe uscire dall’Egitto e allontanarsi dal Faraone, ha bisogno di un Mosè che sia mediatore con Dio e da Dio. Questi è colui che sta tra la prassi e la teoria, alzando le mani in preghiera a Dio per nostro conto, affinché guidati da lui anche noi possiamo attraversare il mare del peccato e sconfiggere l’Amalek delle nostre passioni. Questo è il motivo per cui, quanti volessero abbandonarsi a Dio, tradiscono sé stessi se pensano di non aver bisogno di una guida. Perché coloro che lasciarono l’Egitto ebbero Mosè come guida e quelli che lasciarono Sodoma ebbero un angelo. I primi (quelli che hanno lasciato l’Egitto) sono come quelli che vengono salvati dalle malattie della loro anima grazie alle cure dei dottori. Gli altri sono come coloro che desiderano allontanarsi dalla contaminazione del loro miserabile corpo. Per questo richiedono una guida, un angelo si potrebbe dire, o almeno una guida che è uguale a un angelo. Perché, a seconda della misura della gravità delle nostre ferite abbiamo bisogno di una guida che sia un medico convenientemente addestrato.

Coloro che desiderano salire con il proprio corpo al cielo, hanno bisogno prima di tutto di lottare e di farsi violenza costantemente, specialmente nella prima parte della loro rinuncia, finché la loro inclinazione al piacere e il loro cuore insensibile raggiungano l’amore di Dio e la purezza attraverso un manifesto dolore. Una fatica grande, grandissima, con un lutto interiore, specialmente per chi ha vissuto sconsideratamente, finché per semplicità, mancanza di collera e fatica forziamo la nostra mente, che è come un cane affamato che continua ad abbaiare standosene vicino al macello, ad amare la purezza e la vigilanza. Lascia che quelli di noi che sono deboli e lussuriosi abbiano il coraggio di presentare le proprie malattie e la propria natura debole a Cristo con fede indubitabile. Riceveremo sicuramente il Suo aiuto, anche se questo è al di là di ciò che meritiamo. Ma, tutto ciò, solo se siamo mossi da una profonda umiltà.

Tutti coloro che intraprendono il degno combattimento, che è insieme angusto e difficile, ma anche leggero, dovrebbero capire che devono saltare come nel fuoco, se si aspettano veramente che un altro fuoco, quello celeste, sia dentro di loro. Ma ciascuno esamini il proprio carattere, e ne consumi il pane con il condimento amaro, e ne beva la coppa con le lacrime, affinché la sua lotta non lo conduca al suo giudizio. Se è vero che non tutti coloro che sono stati battezzati vengono salvati, tacerò su ciò che ne consegue.

Coloro che intraprendono questa lotta devono rinunciare a tutto, disprezzare tutto e rimuovere tutto, in modo da poter gettare solide fondamenta. Una solida base è quella che sostiene l’edificio con tre colonne: l’innocenza, il digiuno e l’autocontrollo. Che tutti i bambini in Cristo inizino con queste virtù, prendendo esempio dalle virtù dell’età infantile. Perché non trovi in ​​un bambino nulla che sia astuto o ingannevole. Non hanno un appetito o uno stomaco incontrollabili. Non un corpo acceso dal fuoco libidinoso. Ma mentre crescono, quando iniziano a consumare più cibo, aumentano anche in loro le passioni animali.

Se all’inizio della gara rimaniamo fiaccamente nelle ultime posizioni possiamo avere in questo una prova della nostra sconfitta finale; una cosa molto detestabile e rischiosa. Al contrario, un buon inizio sarà importante per noi quando in seguito diventeremo pigri. Un’anima che all’inizio è forte, ma poi perde vigore, è spinta in avanti dal ricordo dello zelo precedente. In tal modo è possibile riprendere le ali.

Se l’anima inganna sé stessa e si allontana dallo zelo beato, ne cerchi in dettaglio la ragione. Prenda le armi con tutta la sua forza e il suo zelo contro questa ragione. Perché lo zelo di prima può essere riacquistato solo dalla stessa porta da cui è uscito.

Colui che lascia il mondo per paura è come l’incenso che brucia. Inizia con un profumo meraviglioso ma finisce con fumo acre. Colui che abbandona il mondo a causa del desiderio di una ricompensa è come una macina, che si muove sempre nel suo stato egoistico. Ma chi lascia il mondo per amore di Dio ha acquistato il fuoco fin dall’inizio, e come un fuoco alimentato con combustibile, diventa una fiamma sempre più grande.

Alcuni costruiscono con i mattoni sulle pietre. Altri ancora mettono colonne sulla nuda terra. Ma ci sono altri che dopo aver percorso una breve distanza, dopo aver scaldato i loro muscoli e le giunture, vanno ancora più veloci. Chi può capire, comprenda questa parabola.

Corriamo dunque la nostra corsa con zelo essendo stati convocati dal nostro Dio e nostro Re, poiché il tempo che abbiamo è breve, e per timore di trovarci senza frutto il giorno della nostra morte e patire la fame. Cerchiamo di essere graditi al Signore come le truppe piacciono al loro generale, dal momento che dobbiamo fornire un resoconto completo del nostro servizio alla fine della campagna. Temiamo il Signore con un timore non inferiore a quello che si prova verso le bestie brute. Perché ho visto uomini intenzionati a rubare, non temendo Dio, ma subito dopo aver udito l’abbaiare dei cani si sono voltati indietro. Ciò che il timore di Dio non ha prodotto, lo ha realizzato il timore degli animali. Cerchiamo di avere un amore per Dio che sia almeno pari al nostro rispetto per i nostri amici. Ho visto tante volte persone che scandalizzavano Dio e non ne erano state minimamente colpite, gli stessi che non trovano pace per aver contrariato un po’ delle persone amiche. Questi escogitano ogni strategia, usano ogni mezzo o trovata, ogni richiesta di riconciliazione, personalmente o per mezzo di intermediari o regali, per ritornare alla vecchia condizione di amicizia.

All’inizio della nostra rinuncia, è importante che con fatica e dolore realizziamo le nostre virtù. E quando abbiamo fatto qualche progresso in esse, smettiamo di sentirci addolorati, o proviamo solo un po’ di dolore. E quando la nostra mente mortale è abbandonata all’ardore, raggiungiamo le nostre virtù con tutta gioia e serietà, con amore e fuoco divino.

Sono coloro che fin dall’inizio perseguono le virtù e adempiono i comandamenti con letizia e entusiasmo che meritano ogni lode. Allo stesso modo sono degni di vera pietà coloro che pur faticando da tanto tempo nella vita ascetica, trovano ancora difficile osservare i comandamenti, se pure li osservano.

Non condanniamo o disprezziamo una rinuncia che si basa solo sulle circostanze. Ho osservato uomini che sono fuggiti in esilio imbattersi per caso in un re mentre era in viaggio, e poi unirsi alla sua banda, entrare nella sua corte e mangiare con lui. Ho osservato i semi cadere a terra con noncuranza e portare una moltitudine di frutti. Anche il contrario l’ho osservato. Ho visto qualcuno entrare in ospedale con un intento diverso, ma la cordialità e l’amorevolezza del medico lo hanno conquistato e, dopo essere stato curato con attenzione, è stato guarito dalla nebbia che gli offuscava la vista. Quindi per alcuni ciò che non era intenzionale si dimostrò più fermo e più forte di ciò che era intenzionale.

Nessuno dica che il peso o il numero dei suoi peccati lo rende indegno della professione monastica. Non si ritenga di poco valore a causa della sua ricerca del piacere, deprimendosi, portando come scusante i suoi stessi peccati. Perché proprio dove c’è molta putredine è necessaria molta cura per rimuovere la malattia. Chi sta bene non va in ospedale. (Mt 9,12; Lc 5,31)

Se un re del mondo dovesse convocarci e chiederci di servire davanti a lui, non tarderemmo ad aspettare altre convocazioni. Non troveremmo scuse, ma metteremmo da parte ogni cosa e andremmo seriamente da lui. Quindi, stiamo attenti, affinché se il Re dei re e il Signore dei signori e il Dio degli dei ci chiamasse al suo servizio divino, non dovremmo scusarci per pigrizia e codardia e poi scoprirci senza scuse nel Giudizio finale. Si può camminare con difficoltà, anche se legati dai vincoli degli impegni quotidiani e dalle catene di ferro delle preoccupazioni. E quelli che hanno catene di ferro ai piedi possono anche camminare, ma inciamperanno spesso e si faranno male. Un uomo che non è sposato ma è legato al mondo solo da rapporti d’affari è come uno che ha legate solo le mani, e se desiderasse iniziare la vita monastica non sarebbe bloccato da nulla. Invece, l’uomo che è sposato è come uno che è incatenato mani e piedi, così che, sebbene desideri correre, non può.

Alcune persone nel mondo che vivono con noncuranza mi hanno chiesto: “Abbiamo moglie e molte preoccupazioni sociali, come potremmo condurre una vita di solitudine?” Io ho risposto loro: “Fate il bene che potete; non parlate male di nessuno; non rubate; non mentite; non vantatevi; non odiate; andate in chiesa; abbite pietà dei poveri; non siate un ostacolo per nessuno; non avvicinatevi al letto di un altro ma siate soddisfatti di ciò che ricevete dalla vostre mogli. Se farete queste cose sarete vicini al Regno dei Cieli’.

Affrontiamo la lotta virtuosa con letizia e amore senza aver paura dei nemici, che sebbene invisibili, possono vedere direttamente nelle nostre anime. Se la vedono presa dalla paura, ci combattono ancora più ferocemente. Perché questi esseri perspicaci vedono che non siamo coraggiosi. Quindi armiamoci contro di loro con coraggio. Non c’è nessuno che vorrà ingaggiare un combattimento contro un guerriero determinato.

Intenzionalmente il Signore rende le nostre battaglie facili all’inizio in modo da non farci tornare rapidamente nel mondo proprio all’inizio della nostra lotta. Rallegratevi dunque sempre nel Signore, voi tutti suoi servi, avvertendo in questo un primo segno dell’amore del nostro Maestro per noi; segno che ci ha chiamati. Quando Dio osserva delle anime coraggiose, è risaputo che permette loro di sopportare i conflitti fin dall’inizio, in modo da incoronarle al più presto. Ma per chi è nel mondo il Signore nasconde la difficoltà della gara. Perché se coloro che sono nel mondo conoscessero la difficoltà, non rinuncerebbero mai al mondo.

Offri a Cristo la costanza e gli affanni della tua giovinezza; nella tua vecchiaia gioirai del tesoro del distacco. Ciò che si raccoglie da giovani nutre e conforta lo stato di chi è oramai stanco in vecchiaia. Nella nostra giovinezza lavoriamo diligentemente e corriamo con attenzione, poiché l’ora della nostra morte non è nota. Abbiamo nemici molto malvagi, pericolosi, astuti e malvagi, che hanno il fuoco nelle loro mani con il quale cercheranno di bruciare il tempio di Dio. Questi nemici sono forti; non dormono. Sono immateriali e invisibili. Che nessuno da giovane ascolti i nemici demoniaci, quando gli dicono: “Non c’è bisogno di esaurire la tua carne per non ammalarti e infiacchirti”. Raramente troverai qualcuno in questa generazione che voglia mortificare il proprio corpo, sebbene possa trattenersi da una varietà di piatti gustosi.

Coloro che sono disposti a servire Cristo, con l’aiuto dei padri spirituali e la loro conoscenza, si sforzeranno di trovare un luogo, un modo di vivere, una cella e pratiche adeguate. La vita comunitaria non è per tutti a causa dell’avidità. E i luoghi solitari non sono per tutti a causa dell’ira. Ogni persona deve riflettere su ciò che è meglio per i suoi bisogni.

L’intero stato monastico è costituito da tre tipi di dimora: il luogo solitario di un atleta spirituale; una vita di silenzio con uno o due altri; o la paziente sopportazione di una comunità. Non girare né a destra né a sinistra, ma segui la retta via del Re. Dei tre modi di vita sopra esposti, il secondo è buono per molti, poiché sta scritto: “Guai a colui che è solo quando cade nella disperazione o nell’accidia o nell’ozio o nell’apatia e non ha altri uomini che lo sollevino”. Come disse il Signore: “Poiché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Chi è il monaco fedele e sagace? È colui che ha conservato immutato il suo zelo e al termine della sua vita non ha cessato ogni giorno di aggiungere fuoco a fuoco, ardore ad ardore, zelo a zelo, amore ad amore.

Questo è il primo gradino. Chi ci è salito non torni indietro.