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Cirillo di Alessandria: TERZA LETTERA A NESTORIO

TERZA LETTERA A NESTORIO

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo e il sinodo convocato ad Alessandria d’Egitto al Religiosissimo e Piissimo collega nel ministero, Nestorio, salute nel Signore.

1. Poiché il nostro Salvatore chiaramente dice: Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me, che cosa possiamo fare noi, che siamo richiesti dalla tua Pietà di amarti più di Cristo, Salvatore di noi tutti? Chi ci potrà difendere nel giorno del giudizio? Quale scusa troveremo all’essere stati per così lungo tempo in silenzio, di fronte alle bestemmie da te pronunciate su di lui? Se tu danneggiassi soltanto te stesso pensando e insegnando dottrine siffatte, minore sarebbe la preoccupazione. Ma tu hai scandalizzato tutta la Chiesa e hai posto il lievito di una nuova e bizzarra eresia in ogni gente, non solo tra quelli che stanno lì, a Costantinopoli, ma anche in ogni altro luogo (infatti i testi delle tue omelie circolano ampiamente). Quale discorso potrà allora giustificare il nostro silenzio? Come si può non essere memori di quel che Cristo dice: Non pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada. Son venuto a dividere l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre? Quando la fede è offesa, vada pure alla malora la riverenza verso i parenti, come qualcosa di stantio e pericoloso; passi in secondo piano anche la norma che ci obbliga all’affetto verso i figli e i fratelli, e sia preferibile per le persone pie la morte alla vita, affinché trovino una migliore risurrezione, come sta scritto. 2. Ecco, dunque, noi, insieme al santo sinodo riunito nella grande Roma, sotto la presidenza del Santissimo e Reverendissimo fratello e collega nel ministero, il vescovo Celestino, con questa terza lettera ti avvisiamo e ti intimiamo di allontanarti da dottrine tanto stolte e perverse, come sono  quelle che tu pensi e insegni, e di accettare la retta fede, data fin dall’inizio alle chiese attraverso i santi Apostoli ed Evangelisti, i quali sono stati testimoni oculari e ministri della parola. E se la tua Pietà non si atterrà alla data stabilita nella lettera del sopra menzionato Santissimo e Reverendissimo fratello e nostro collega nel ministero, il vescovo di Roma, Celestino, sappi che non avrai alcuna parte con noi né luogo o parola tra i sacerdoti di Dio e i vescovi. Non è infatti possibile vedere tutto intorno le chiese turbate, le comunità scandalizzate, la retta fede rifiutata, il gregge disperso a causa tua, che eri stato dato a sua salvaguardia, se mai avessi seguito, insieme a noi, la retta dottrina, procedendo sulle orme della pietà dei santi Padri. Noi tutti siamo in comunione con tutti, laici e chierici, che sono stati scomunicati o deposti dalla tua Pietà, a cagione della fede. Non è giusto che siano condannati da te quanti seppero mantenere la retta dottrina, perché giustamente ti si sono opposti! Di questo tu hai fatto menzione nella lettera scritta al Santissimo e nostro collega nell’episcopato Celestino, vescovo della grande Roma. Non sarà sufficiente alla tua Pietà confessare insieme a noi semplicemente il Simbolo della fede, che un tempo è stato esposto nello Spirito santo dal santo e grande concilio, riunito a suo tempo a Nicea. Anche se confessi le parole con la voce, non lo interpreti e non lo intendi rettamente, bensì in modo distorto. Confessa piuttosto per iscritto e sotto giuramento che anatematizzi le tue scellerate ed empie dottrine, e che al loro posto penserai e insegnerai le stesse dottrine di noi tutti, i vescovi d’Occidente e d’Oriente, maestri e capi delle comunità. Sappi che il santo sinodo di Roma e noi tutti conveniamo con le lettere inviate alla tua Pietà dalla chiesa di Alessandria, in quanto le stimiamo ortodosse e prive di errori. Abbiamo inoltre aggiunto a questa nostra lettera ciò che è necessario tu pensi e insegni e ciò da cui devi dissociarti. La fede della Chiesa cattolica e apostolica, in cui tutti i vescovi ortodossi d’Occidente e d’Oriente convengono è questa:

3. Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato Unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso il quale tutto è stato fatto, in cielo e sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso, si è incarnato ed è divenuto uomo, ha patito ed è risuscitato nel terzo giorno; è asceso al cielo; verrà a giudicare i vivi e i morti; e crediamo nello Spirito santo. Coloro che dicono: «Vi fu un tempo in cui egli non esisteva»; o «Prima di essere generato non esisteva»; o «Egli è stato generato dal nulla o da altra ipostasi o sostanza»; oppure «Il Figlio di Dio è mutabile e alterabile», tutti costoro anatematizza la Chiesa cattolica e apostolica.

Noi seguiamo esattamente la confessione espressa dai santi Padri, perché in essi parlava lo Spirito santo, e procediamo secondo l’intenzione del loro pensiero, come per una strada regia; in forza di ciò affermiamo che l’Unigenito Verbo di Dio, quello che è nato dalla stessa sostanza del Padre, il Dio vero da Dio vero, la Luce da Luce, colui attraverso il quale tutto fu fatto, in cielo e sulla terra, colui che è disceso per la nostra salvezza e che si è sottomesso all’umiliazione, proprio lui, affermiamo, si è incarnato e si è fatto uomo; cioè, avendo preso una carne dalla santa Vergine e avendola resa sua propria fin dall’utero, si sottomise alla nostra nascita e venne fuori uomo da una donna. Non perse ciò che era, ma anche assumendo la carne e il sangue, anche così, rimase ciò che era, cioè Dio per natura e verità. Non affermiamo che la carne sia passata nella natura divina né che l’ineffabile natura del Dio Verbo sia passata nella natura della carne: egli è immutabile e, poiché resta sempre il medesimo, come dicono le Scritture, è interamente inalterabile. Una volta divenuto visibile, pur essendo neonato, in fasce e sul seno della Vergine che l’aveva partorito, in quanto Dio riempiva ogni creatura e regnava insieme al Genitore. Infatti la divinità è priva di misura e grandezza, e non ammette limiti.

4. Poiché confessiamo che il Verbo è unito alla carne secondo l’ipostasi, adoriamo un solo Figlio e Signore, Gesù Cristo. Non separiamo in parti e non dividiamo l’uomo e il Dio, come se si fossero uniti insieme l’un l’altro per unità di dignità e autorità (dire questo è puro non senso e nient’altro). Neppure applichiamo propriamente il nome «Cristo» al Verbo da Dio e similmente chiamiamo «Cristo» il nato da donna; ma riconosciamo che Cristo è uno solo, il Verbo da Dio Padre con la sua propria carne. Sebbene infatti egli dia lo Spirito ai giusti senza misura (Gv 3, 34), come dice il beato evangelista Giovanni, egli è stato unto con noi in maniera umana. Non affermiamo però che il Verbo da Dio abbia abitato nel figlio generato dalla santa Vergine, come in un uomo comune, affinché non si pensi che Cristo sia un uomo «teoforo». Sebbene il Verbo abitò tra noi (Gv 1,14), affermiamo anche che in Cristo risiede, in modo corporeo, tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Riconosciamo dunque che si è fatto carne e non dividiamo l’inabitazione, come se la maniera in cui la realizzò in sé stesso fosse stata eguale al tipo di inabitazione che diciamo ci sia nei santi. Ma, essendo uno per natura e non essendo mutato in carne, realizzò questa inabitazione come – si potrebbe dire – l’anima dell’uomo entra in relazione con il proprio corpo.

5. Perciò Cristo, Figlio e Signore, è uno solo. Non è un uomo che sia in rapporto con Dio per semplice congiunzione, mentre l’unità consisterebbe nella dignità e nella sovranità. L’eguaglianza di onore non unisce le nature; infatti Pietro e Giovanni, eguali ambedue per onore, in quanto Apostoli e santi discepoli, non sono affatto uno, ma due. Non riteniamo che il modo della congiunzione avvenga per avvicinamento (non sarebbe infatti sufficiente per un’unione naturale), né per un’unione accidentale, come avviene per noi, i quali, secondo le Scritture, siamo in connessione con il Signore e con lui siamo un solo spirito. Anzi noi rifiutiamo il termine «congiunzione», in quanto inadatto a significare l’unione. E neppure chiamiamo il Verbo da Dio Padre, Dio e Padrone di Cristo, per non tagliare manifestamente in due l’unico Cristo, Figlio e Signore, e così essere imputabili di bestemmia, avendolo reso Dio e Padrone di sé stesso. Il Verbo di Dio, come già abbiamo ribadito, essendo unito alla carne secondo l’ipostasi, è Dio dell’universo e comanda su tutto: non è servo o padrone di sé stesso. Pensare e affermare ciò è sciocco e blasfemo. Infatti egli chiama il Padre suo «Dio», sebbene per natura sia Dio e generato dalla sua stessa sostanza. Non ignoriamo, però, che, pur restando Dio, è divenuto uomo; e che per la legge inerente alla natura umana è sottoposto a Dio. In che modo allora sarebbe divenuto Dio e Padrone di sé stesso? Affermiamo che, come uomo e per quel che riguarda il modo dell’abbassamento, egli è sottoposto a

Dio come noi. Alla stessa maniera è divenuto sotto la legge, sebbene, in quanto Dio, egli stesso sia il promulgatore della legge e il legislatore.

6. Noi rifiutiamo di affermare su Cristo: «Venero colui che è rivestito, a motivo di colui che lo riveste; adoro colui che è visibile, a motivo di colui che è invisibile». È poi cosa terribile aggiungere: «Colui che è

assunto è chiamato Dio insieme con chi assume». Chi dice così divide in due Cristo e propriamente pone in modo separato un uomo e similmente un Dio. Vanifica chiaramente l’unione, secondo la quale l’uno non è adorato insieme con l’altro, ed è chiamato insieme a lui «Dio»; ma affermiamo che uno solo è Cristo Gesù, Figlio Unigenito, onorato con un’unica adorazione, insieme alla sua propria carne. Confessiamo inoltre che egli, il Figlio generato da Dio Padre e Dio Unigenito, sebbene per sua propria natura fosse impassibile, patì con la carne (1 Pt 4,1) per noi, secondo le Scritture, ed era nel corpo crocifisso, sostenendo le sofferenze della sua propria carne, sebbene fosse impassibile. Per grazia di Dio, gustò la morte per tutti (Eb 2,9),

offrendole il proprio corpo, sebbene per natura egli esista come Vita e sia la Risurrezione (Gv 11,25). Con indicibile potere, al fine di soffrire la morte con la sua propria carne, divenne il primogenito dei morti (Col 1,18)e la primizia dei dormienti (1 Cor 15,20), e indicò alla natura umana la strada per il ritorno all’incorruttibilità. Per grazia di Dio, come or ora abbiamo detto, gustò la morte per tutti e, ritornando alla vita dopo tre giorni, spogliò l’Ade. Perciò si può dire che la risurrezione dei morti avvenne attraverso un uomo, ma intendiamo che l’uomo è il Verbo nato da Dio e che per mezzo suo ha sciolto il potere della morte. Egli verrà a tempo opportuno come un unico Figlio e Signore, nella gloria del Padre a giudicare il mondo nella giustizia (At 17,31), secondo la Scrittura.

7. Necessariamente dobbiamo aggiungere anche questo. Noi proclamiamo la morte secondo la carne dell’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, e confessiamo la sua risurrezione dai morti e l’ascesa al cielo, quando nelle chiese celebriamo l’incruento sacrificio e così ci appressiamo alle mistiche benedizioni e siamo santificati, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue di Cristo, Salvatore di noi tutti. Non riceviamo una carne comune (non sia mai!) né quella di un uomo santificato e unito al Verbo secondo l’unione della dignità oppure del possesso di una divina inabitazione, ma la carne veramente vivificante e interamente propria del Verbo. In quanto Dio egli è per natura Vita, perché è divenuto uno con la sua propria carne, rendendola vivificante. Cosicché ci ha potuto dire: Amen vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue (Gv 6,53). Dobbiamo allora considerare che essa non è quella di un uomo come noi (come può per la sua stessa natura la carne di un uomo essere vivificante?), ma quella veramente fatta propria da colui che per noi è divenuto e si è fatto Figlio dell’uomo.

8. In forza delle espressioni del nostro Salvatore, presenti nei vangeli, noi non lo dividiamo in due ipostasi, né in due prosopa.[1] L’unico e solo Cristo non è infatti duplice; e anche se è pensato di due diversi elementi, è convenuto in una inseparabile unità. Sebbene sia considerato anche un uomo, dotato di anima e corpo, non è duplice, ma uno da due. Allora, pensando rettamente, dobbiamo riferire a uno solo le caratteristiche sia umane sia divine.

Quando, parlando come Dio, dice di sé stesso: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9), e Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30), comprendiamo la sua divina e ineffabile natura, secondo la quale è una cosa sola con suo Padre, per l’identica sostanza, dato che possiede l’immagine e lo splendore della sua gloria (Eb 1,3).

Quando, non disprezzando i limiti dell’umana natura, disse ai Giudei: Ora cercate di uccidere me, un uomo, io che vi ho detto la verità (Gv 8,40), egualmente riconosciamo che il Dio Verbo è in eguaglianza e

somiglianza del Padre, anche nei limiti della sua natura umana. Se bisogna credere che, essendo Dio per natura, è divenuto carne, cioè un uomo dotato di anima razionale, che scusa può avere chi si vergogna delle parole che egli ha espresse in modo appropriato alla natura umana? Se egli avesse respinto le caratteristiche proprie di un uomo, chi lo avrebbe potuto costringere a divenire uomo come noi? Poiché si è posto per noi in una volontaria umiliazione, con

quale scusa possiamo rifiutare le caratteristiche proprie dell’umiliazione? Perciò tutte le espressioni presenti nei Vangeli devono essere applicate all’unica persona, all’unica ipostasi incarnata del Verbo. Secondo le Scritture uno solo è il Signore Gesù

Cristo.

9. Inoltre, sebbene è chiamato Apostolo e sommo Sacerdote della nostra confessione (Eb 3,1), in quanto offre a Dio e Padre la confessione di fede rivolta da noi a lui e, attraverso lui, a Dio e Padre, oltre che allo Spirito santo, tuttavia affermiamo che egli è per natura il Figlio Unigenito da Dio. Non ascriviamo allora a un uomo diverso da lui il titolo e la realtà del sacerdozio: divenne il mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5), il conciliatore (At 7,26), quando offrì sé stesso in odore di soavità a Dio e Padre. Per questo dice: Non hai voluto sacrificio e offerta, ma mi hai preparato un corpo. Non hai gradito olocausti e vittime per il peccato. Allora dissi: ecco, vengo. Su di me è scritto nel rotolo del libro di fare, Dio, la tua volontà (Eb 10,5ss). Per noi e non per sé stesso ha offerto in odore di soavità il proprio corpo. Di quale offerta o sacrificio avrebbe avuto bisogno per sé stesso, colui che esisteva, come Dio, al di là di ogni peccato? Se tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3,23), è perché siamo divenuti soggetti alla caduta e la natura dell’uomo è stata infettata dal peccato; egli però non è in questa condizione e per questo siamo vinti dalla sua gloria. Come si può dubitare che il vero Agnello si è immolato per noi a causa nostra? Affermare allora che egli si è immolato per sé stesso e per noi, significherebbe non potere assolutamente evitare l’accusa di empietà. In nessun modo egli ha errato ne ha commesso peccato. Di quale offerta allora avrebbe potuto avere bisogno, dato che non esisteva peccato, a motivo del quale giustamente compiere l’offerta?

10. Quando dice dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16,14), noi, pensando rettamente, non diciamo che l’unico Cristo e Figlio, siccome avrebbe avuto bisogno della gloria di un altro, ha acquisito la gloria dallo Spirito santo. Il suo Spirito non è migliore né superiore a lui. Ma poiché, per dimostrare la sua divinità, ha fatto uso del suo proprio Spirito per compiere i miracoli, si afferma che è stato glorificato da lui. Sarebbe come se uno dicesse nei riguardi della propria forza o di una sua conoscenza: «essa mi glorifica». Sebbene lo Spirito sia in una sua propria ipostasi ed è considerato per sé (è Spirito e non Figlio), non è però altro da lui. È chiamato Spirito di verità (Gv 16,13) e Cristo è la Verità (Gv 14,6); inoltre procede da Cristo, come anche da Dio e Padre. Perciò lo Spirito compì miracoli per mano dei santi Apostoli e glorificò il nostro Signore Gesù Cristo dopo la sua ascensione al cielo. È oggetto di fede che Cristo è Dio per natura e che opera attraverso il suo Spirito. Per questo diceva: Egli riceverà dal mio e ve lo farà conoscere (Gv 16,14).  Non stiamo affermando affatto che lo Spirito è sapienza e potenza per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e colmo di ogni bene. Poiché egli è Spirito della Potenza e della Sapienza del Padre – cioè del Figlio –, egli è in tutto e per tutto Potenza e Sapienza.

11. Poiché poi la santa Vergine ha partorito carnalmente Dio unito alla carne secondo l’ipostasi, per questo affermiamo che essa è Madre di Dio; non perché la natura del Verbo avrebbe preso inizio dalla carne – egli infatti era all’inizio e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio (Gv 1,1)ed è il fattore di ogni cosa, coeterno al Padre e artefice di tutto – ma, come abbiamo detto, perché, unita a sé secondo l’ipostasi la natura umana, tollerò una nascita carnale dal seno di lei. Questo non perché aveva bisogno per sua propria natura di una nascita temporale e alla fine dei tempi, ma per benedire l’inizio della nostra esistenza. Dal momento che una donna lo ha partorito, unito alla carne fece cessare la maledizione, che incombeva su tutto il genere umano e che portava alla morte i nostri corpi mondani. Grazie a lui sarebbe stato reso vano il partorirai i figli nel dolore (Gn 3,16), e si sarebbe manifestata vera la parola del profeta: La morte è divenuta forte e Dio asciugherà le lacrime da ogni volto (Is 25,8). Per questo motivo diciamo che egli, per l’economia ha benedetto le nozze e, chiamato, si recò a Cana di Galilea insieme ai santi Apostoli.

12. Così abbiamo appreso a pensare dai santi Apostoli ed Evangelisti, da tutta la Scrittura ispirata da Dio e dalla vera confessione dei beati Padri. Bisogna che la tua Pietà sottoscriva tutto questo e dia il tuo assenso senza inganno.

Quel che la tua Pietà deve necessariamente anatematizzare è stato posto qui di seguito a questa nostra lettera.

– Se uno non confessa che l’Emmanuele è veramente Dio e per questo motivo la santa Vergine è Madre di Dio (essa ha infatti generato secondo la carne il Verbo da Dio divenuto carne), sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo da Dio Padre è unito alla carne secondo l’ipostasi e che uno solo è Cristo con la sua propria carne, cioè che lo stesso è insieme Dio e uomo, sia anatema.

– Se uno divide dopo l’unione le ipostasi dell’unico Cristo, unendole soltanto per congiunzione secondo dignità, sovranità e potenza, e non per un legame secondo unione naturale, sia anatema.

– Se uno divide in due prosopa o ipostasi le espressioni che negli scritti evangelici e apostolici sono dette dai santi su Cristo o da lui sono riferite a sé stesso, e le applica alcune all’uomo, considerato

indipendentemente dal Verbo da Dio, e altre, come degne di Dio, al solo Verbo da Dio, sia anatema.

– Se uno osa dire che Cristo era un uomo teoforo e non piuttosto che è veramente Dio, in quanto Figlio unico e per natura, poiché il Verbo si è fatto carne e ha partecipato in modo simile a noi del sangue e della carne, sia anatema.

– Se uno dice che il Verbo da Dio Padre è Dio o Signore di Cristo e non confessa piuttosto che il medesimo è insieme Dio e uomo, poiché il Verbo, secondo le Scritture, si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno dice che Gesù, come uomo, sia stato attivato dal Dio Verbo e che la gloria dell’Unigenito lo ha circondato, come se fosse un altro, esistente oltre a lui, sia anatema.

– Se uno osa dire che l’uomo assunto deve essere adorato insieme al Verbo, insieme glorificato e insieme chiamato Dio, come se fosse uno insieme con l’altro (il «con» impone sempre di pensare a qualcosa di aggiunto) e non onora piuttosto con una sola adorazione l’Emmanuele e a lui attribuisce un’unica glorificazione, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno afferma che l’unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, come se, attraverso lui, si fosse servito di una potenza estranea e abbia ricevuto da lui il potere di operare contro gli spiriti immondi e di realizzare i miracoli a favore degli uomini, e non afferma piuttosto che lo Spirito, per mezzo del quale ha operato i miracoli, è propriamente suo, sia anatema.

– La divina Scrittura dice che Cristo è divenuto sommo Sacerdote e Apostolo della nostra confessione e ha offerto sé stesso per noi a Dio e Padre in odore di soavità. Quindi se uno afferma che non lui, il Verbo da Dio, è divenuto sommo Sacerdote e nostro Apostolo, perché si è fatto carne e uomo come noi, ma come se fosse un altro diverso da questo, propriamente un uomo nato da donna; oppure se uno dice che egli ha presentato l’offerta anche per sé stesso e non piuttosto soltanto per noi – non necessitava di offerta, infatti, colui che non conosceva peccato –, sia anatema.

– Se uno non confessa che la carne del Signore è vivificante e che è propria dello stesso Verbo da Dio Padre, ma come se fosse di un altro diverso da questo, unito a lui per dignità o per avere soltanto ricevuto la divina inabitazione, e non confessa piuttosto – come abbiamo detto – che la carne è vivificante, perché è divenuta propria del Verbo, che ha la forza di vivificare ogni cosa, sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo di Dio ha patito con la carne, è stato crocifisso con la carne, ha gustato la morte con la carne ed è divenuto primogenito dai morti, perché, in quanto Dio, è Vita e Vivificante, sia anatema.

FORMULA DI UNIONE (433)[2]

Confessiamo dunque il Signore nostro Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’Unigenito, Dio perfetto e uomo perfetto per anima razionale e corpo; egli è nato dal Padre prima dei tempi secondo la divinità; negli ultimi giorni però egli stesso, per noi e per la nostra salvezza, è nato dalla Vergine Maria, secondo l’umanità; egli ancora è consostanziale (2) al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l’umanità: si è infatti realizzata l’unione delle nature. Confessiamo allora un solo Cristo, un solo Figlio e un solo Signore.

Secondo questo concetto di non confusa unione, confessiamo la santa Vergine «Madre di Dio», perché il Dio Verbo si è incarnato e si è fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il Tempio preso da lei. Circa le espressioni che gli Evangelisti e gli Apostoli riferiscono al Signore, sappiamo che quegli uomini, che parlavano di Dio, alcune le hanno considerate in comune, riferendole all’unico

prosopon, altre invece le hanno divise, riferendole alle due nature. Ci hanno perciò trasmesso quelle degne di Dio secondo la divinità di Cristo, e quelle umili, secondo la sua umanità.


[1] Il passo mostra in tutta evidenza come Cirillo assimili hypostasis a prosopon. Invece Nestorio e i vescovi antiocheni si erano formati alla cristologia di Teodoro di Mopsuestia, per il quale «la parola (hypostasis) non è sinonimo di prosopon» (cf. Galtier, L’«unio secundum hypostasim»…, cit., p. 381 e nota 6).

[2] Questa formula di fede, stipulata nel 433, fu il frutto di una non semplice mediazione, guidata da Acacio di Berea e da Paolo di Emesa. Mediazione tra le tradizioni antiochena e alessandrina, tra Giovanni di Antiochia e Cirillo di Alessandria. Come ogni mediazione il testo lasciò non pienamente soddisfatte tutte le parti e quindi la diatriba suscitata da Nestorio covò a lungo sotto la cenere.




Cirillo di Alessandria: SECONDA LETTERA A NESTORIO

SECONDA LETTERA A NESTORIO

Cirillo saluta nel Signore il reverendissimo e piissimo collega nel sacerdozio Nestorio.

1. Alcuni vanno cianciando, come apprendo, contro di me presso la tua Religiosità e fanno questo piuttosto frequentemente, cogliendo soprattutto l’occasione dei sinodi ufficiali, e, ritenendo di dilettare il tuo orecchio, pronunciano parole sconsiderate, sebbene non abbiano subìto alcun torto, ma solo siano stati rimproverati, e ben a ragione, l’uno perché aveva recato offesa ai ciechi e ai poveri, un altro perché aveva puntato la spada contro sua madre, un altro ancora perché aveva rubato, insieme con un’ancella, denaro altrui e da sempre gode di una tale reputazione che non la si augurerebbe nemmeno ai peggiori nemici. Non voglio però dilungarmi su costoro, per non estendere la misura della mia piccolezza al di là del Signore e Maestro né al di là dei Padri. Non è infatti possibile evitare la stoltezza degli sciocchi, qualunque sia il genere di vita scelto.

2. Ma costoro, che hanno la bocca piena di maledizioni e amarezza, renderanno conto al giudice di tutti. Ritornerò invece di nuovo a quello di cui specialmente debbo occuparmi e anche ora riporterò alla tua memoria, come a un fratello in Cristo, la necessità di esporre l’insegnamento sul Verbo e il pensiero sulla fede, facendolo con grande cautela e tenendo presente che scandalizzare anche uno solo dei piccoli di coloro che credono in Cristo è motivo di grave sdegno. Se poi la moltitudine di quanti si lagnano è molto grande, non porremo necessariamente ogni industria per allontanare prudentemente gli scandali e sgomberare la via a una retta intelligenza della fede a coloro che cercano il vero? Realizzeremo ciò molto bene se, accostandoci alle parole dei santi Padri, ci adopereremo a realizzarle; e saggiando noi stessi, se siamo nella fede secondo quanto è stato scritto, accuratamente conformiamo i pensieri che sono in noi con le loro giuste e perfette dottrine.

3. Il santo e grande sinodo dunque afferma che colui il quale è stato generato per natura da Dio Padre, è il Figlio Unigenito, che è Dio vero da Dio vero, Luce da Luce, attraverso il quale il Padre ha fatto ogni cosa; che egli è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito, è risorto il terzo giorno ed è asceso al cielo. È necessario che anche noi seguiamo queste parole e questi dogmi, considerando cosa significa che il Verbo da Dio si sia incarnato e fatto uomo. Non diciamo infatti che la natura del Verbo, trasformandosi, è divenuta carne, e neppure che fu trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo, ma piuttosto che il Verbo, avendo unito a sé in modo indicibile e inintelligibile, secondo l’ipostasi, una carne animata da anima razionale, è divenuto uomo ed è stato costituito Figlio dell’uomo; e non per semplice volontà e per beneplacito, e neppure per l’assunzione di un semplice prosopon. Sebbene le nature che sono state unite in una vera unità siano diverse, da due è risultato un solo Cristo e Figlio. Non però come se fosse scomparsa, a causa dell’unione, la differenza delle nature, ma piuttosto si è realizzato per noi l’unico Signore, Cristo e Figlio grazie all’indicibile e arcano concorso all’unità della divinità e dell’umanità.

4. Così allora affermiamo che, pur avendo per certo l’esistenza prima dei secoli e pur essendo stato generato dal Padre, egli è stato anche generato secondo la carne da una donna; non come se avesse preso l’inizio della sua natura divina nella santa Vergine, né che avesse necessariamente bisogno di una seconda nascita da lei, dopo quella che ebbe dal Padre (è infatti sciocco e contemporaneamente insensato affermare che colui il quale esiste prima dei secoli ed è coeterno con il Padre abbia bisogno di un secondo inizio per esistere); ma, poiché per noi e per la nostra salvezza, avendo unito a sé secondo l’ipostasi l’umanità, procedette da una donna, per questo affermiamo che è nato secondo la carne. Non affermiamo però che prima nacque dalla santa Vergine un uomo comune e poi il Verbo discese in lui, ma che, essendo già uno, tollerò una nascita secondo la carne dal ventre di lei, rendendo sua la nascita della propria carne.

5. Nella stessa maniera affermiamo che ha patito ed è risorto, non come se il Verbo di Dio abbia patito sulla propria natura le percosse, la perforazione dei chiodi o le altre ferite (la divinità infatti è impassibile perché è anche incorporea), ma, poiché sopportò queste cose quello che era divenuto il suo proprio corpo, per questo motivo affermiamo che egli ha patito per noi: l’impassibile era in un corpo passibile. Allo stesso modo pensiamo anche circa la sua morte. Il Verbo di Dio è per natura immortale e incorruttibile, egli è Vita e datore di vita. Poiché però il suo proprio corpo, per grazia di Dio, come dice Paolo (Eb 11,35), gustò la morte per tutti, affermiamo che egli ha sofferto la morte per noi, non perché quel che atteneva alla sua propria natura avesse sperimentato la morte (dire o pensare tali cose è una pazzia!), ma, come ho detto sopra, perché la sua carne gustò la morte. La stessa cosa anche per la risurrezione della sua carne. Affermiamo la sua risurrezione, non nel senso che sia caduto nella corruzione – non sia mai! – ma perché il suo corpo è risuscitato.

6. Così confesseremo un solo Cristo e Signore, e non che adoriamo un uomo insieme al Verbo, affinché non si introduca un’immagine di taglio con il dire «insieme». Adoriamo invece l’uno e il medesimo, perché il suo corpo non è altro dal Verbo: con questo egli siede accanto allo stesso Padre, non come se sedessero due Figli, bensì uno solo, secondo l’unione con la propria carne. Se rifiutiamo l’unione secondo l’ipostasi come impossibile o indecorosa, cadiamo

nell’affermazione dei due figli. Sarebbe allora assolutamente necessario dividere e affermare che uno è propriamente un uomo particolarmente onorato con l’appellativo di Figlio e un altro è propriamente il Verbo da Dio, il quale possiede per natura il nome e il titolo di Figlio. Non si deve perciò dividere in due figli l’unico Signore Gesù Cristo.

7. Non sarà in alcun modo utile al retto intendimento della fede, affinché si mantenga tale, che alcuni parlino di unione dei prosopa. La Scrittura non ha detto che il Verbo ha unito a sé un prosopon di uomo, ma che divenne carne (Lc 1,2). Che il Verbo sia divenuto carne altro non è se non che ha partecipato del sangue e della carne in modo simile a noi (Gv 3,34), ha preso un corpo proprio uguale al nostro e, come uomo, procedette da una donna, non abbandonando l’essere Dio e l’esser nato da Dio Padre, ma rimanendo quel che era, anche nell’assunzione della carne. Questo è quel che proclama dappertutto la dottrina della retta fede; così troveremo che hanno pensato i santi Padri. Così essi hanno avuto il coraggio di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio», non perché la natura del Verbo – cioè della divinità – abbia preso l’inizio dell’essere dalla santa Vergine, ma perché è nato da lei il santo corpo animato da anima razionale. Dopo che secondo l’ipostasi si è unito a questo, affermiamo che il Verbo è stato generato secondo la carne. Queste cose anche adesso io ti scrivo, mosso dall’amore in Cristo, esortandoti come fratello e scongiurandoti innanzi a Cristo e agli angeli eletti che queste cose tu pensi e insegni, come noi, affinché si preservi la pace delle chiese e permanga integro il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio. Saluta la fraternità che sta con te. Ti saluta in Cristo quella che sta con me.




San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444): LETTERA AI MONACI

LETTERA AI MONACI

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo porge il suo saluto nel Signore ai Padri dei monaci, presbiteri e diaconi, e a quanti, dilettissimi e carissimi, insieme con voi conducono vita solitaria e sono saldi nella fede di Dio.

1. Alcuni di voi sono venuti ad Alessandria, come è consuetudine; e io chiesi loro – ed ero veramente desideroso di saperlo – se, procedendo sulle tracce della retta via dei Padri, anche voi foste solleciti a distinguervi nella retta e immacolata fede, se foste nobilitati da un’ottima vita in comune e se menaste vanto delle fatiche dell’ascesi, ritenendo veramente cibo lo scegliere di combattere con coraggio per il bene. Essi mi fecero sapere che le cose, presso di voi, procedevano proprio così; e aggiunsero che vi stavate adoperando con sempre maggiore ardore nelle belle imprese dei vostri predecessori. Ero dunque proprio contento e la mia mente si rallegrava, poiché giustamente facevo mie le virtù dei figli. È cosa assurda che i maestri di ginnastica esultino per le capacità dei giovani; e se questi fanno qualcosa di apprezzabile con la loro arte, essi lo assumano come una corona per la propria testa e menino vanto del loro coraggio. Noi invece siamo padri nello spirito e vi ungiamo coi discorsi in vista del buon combattimento, affinché superando con l’esercizio i moti della carne ed evitando di cadere nel peccato e di essere vinti da Satana tentatore, conseguiate la palma, e non meno di quelli siate riempiti di quella gioia che è cara a Dio.

2. Perciò, come dice il discepolo del Salvatore: Mettendo tutto il vostro zelo, somministrate nella vostra fede la virtù, nella virtù la scienza, nella scienza la temperanza, nella temperanza la pazienza, nella pazienza la pietà, nella pietà l’amore fraterno, nell’amore fraterno la carità. Se avete tutte queste cose e le avete in abbondanza, esse non vi lasceranno vuoti e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo (2 Pt 1, 5ss). Io ritengo che sia necessario che quelli che scelgono la gloria della vita intelligibile in Cristo e di percorrere un’amabile via, per prima cosa siano abbelliti da una fede semplice ed encomiabile, e a questa aggiungano la virtù; dopo aver fatto questo, si sforzino di arricchirsi della conoscenza del mistero in Cristo e si elevino al massimo grado verso una perfetta conoscenza. Questo, io penso, è pervenire allo stato di uomo perfetto e giungere alla pienezza dell’età propria (Ef 4,13). Perciò con la prudenza conveniente ai monaci, cinti i vostri lombi, combattete contro le passioni dell’anima e del corpo: così sarete illustri e stimati e starete nel bene della speranza preparata per i santi. Ci sia inoltre in voi, superiore a quella degli altri, la retta fede, ed anch’essa sia assolutamente irreprensibile. Così quindi, seguendo anche voi le tracce della pietà dei santi Padri, dimorerete con loro nei monasteri superni e abiterete i tabernacoli celesti, che il divino Isaia ricorda, quando dice: I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, la città ricca, i tabernacoli che non saranno mai smossi (Is 33, 20).

3. Non so forse che voi conducete una vita pura e degna di ammirazione e che in voi risiede una fede retta e inviolabile? Sono stato però non poco turbato nel sentire che dei ciarlatani sono giunti presso di voi e alcuni vanno in giro ad indebolire la vostra fede semplice, eccitando la folla con vuote parole, interrogando e chiedendo se bisogna oppure non bisogna chiamare la santa Vergine «Madre di Dio».

Sarebbe stato meglio se vi foste astenuti del tutto da tali questioni. Non avreste mai dovuto accostarvi a cose che a stento possono contemplare come in uno specchio menti bene ordinate e intelletti versati (gli argomenti sottilissimi delle realtà divine trascendono le menti delle persone più capaci). Ma poiché già una volta non siete rimasti sordi a questi discorsi ed è facile che alcuni abbiano scelto di entrare in dispute e che quindi, per persone non ben salde di mente, il danno si conficchi come una spina su loro stessi, ho ritenuto che fosse necessario dirvi poche cose su tali argomenti. E questo non per farvi disputare ancor di più, ma affinché, se qualcuno vi attaccasse, voi, facendo uscire in campo contro i loro vani discorsi la verità, possiate sfuggire il danno derivante dall’errore e possiate giovare anche ad altri, come a fratelli, convincendoli con discorsi appropriati all’antica fede tramandata alla Chiesa dai santi Apostoli, così che essi la posseggano nelle loro anime come una pietra preziosa.

4. Sono rimasto quindi stupito che qualcuno dubiti se la santa Vergine debba o non debba essere chiamata «Madre di Dio». Se il nostro Signore Gesù Cristo è Dio, come può non essere «Madre di Dio» la Vergine che lo partorì? Questa fede ci hanno tramandato i divini discepoli, anche se non hanno usato questa espressione; così abbiamo appreso a pensare dai santi Padri. Perciò il nostro Padre Atanasio, di santa memoria, che ha adornato il seggio della chiesa di Alessandria per 46 anni e che ha contrapposto alle eresie degli esecrabili eretici un inespugnabile e apostolico intelletto e che con i suoi scritti, come con un odoroso profumo, ha allietato tutto il mondo e che da tutti è riconosciuto per la rettitudine e integrità delle dottrine, componendo a nostro vantaggio un libro sulla santa e consostanziale Trinità, nel terzo sermone, nella parte iniziale e in quella finale chiama la santa Vergine «Madre di Dio». Citerò testualmente le sue parole, quando dice: «Questo è il fine e il carattere distintivo della sacra Scrittura, come abbiamo spesso detto: l’annunzio in essa contenuto sul Salvatore è duplice, che egli era sempre Dio ed è Figlio, poiché è Verbo, Splendore e Sapienza del Padre; e che negli ultimi tempi, assumendo per noi la carne, divenne uomo dalla Vergine Maria, Madre di Dio». E, dopo aver detto altre cose, continua: «Certo molti furono santi e puri da ogni macchia: Geremia fu santificato dal seno materno e Giovanni, quando era ancora nell’utero, saltò di gioia alla voce di Maria, Madre di Dio». Egli era un uomo degno e bisogna ammettere che non avrebbe mai detto qualcosa che non fosse in

sintonia con le sacre Scritture. Come infatti avrebbe potuto errare dal vero un uomo illustre e famoso, ammirato da tutti in quel santo e grande concilio, dico in quello opportunamente convocato a Nicea? Non aveva ancora raggiunto il soglio episcopale, ma già spiccava tra i chierici. Grazie alla sua perspicacia, alla mitezza e alla sottilissima e incomparabile mente, in quel tempo fu elevato dal vescovo Alessandro di beata memoria, ed egli era con il vecchio come un figlio

con il padre: lo indirizzava alle cose utili e gli indicava la via per ogni singola azione.

5. Poiché forse alcuni pensano di confutare il nostro discorso con argomenti tratti dalla stessa sacra Scrittura ispirata da Dio, e inoltre affermano che quel santo e grande concilio non disse mai che la Madre del Signore era «Madre di Dio», né ha mai definito alcunché di simile, orsù ora, per quanto è possibile, mostriamo il mistero dell’intelligibile economia in Cristo, il modo come ci è stato annunciato dalla sacra Scrittura e che cosa hanno detto gli stessi Padri – ispirati al vero dallo Spirito santo – quando hanno proclamato la definizione della fede senza macchia. Secondo la parola del Salvatore non erano essi che parlavano, ma lo Spirito di Dio e Padre che parlava in loro. Poiché hanno mostrato che colui il quale è nato dalla Vergine è per natura Dio, credo che correttamente nessuno potrà esimersi dal dover pensare e affermare che la si debba chiamare molto a buon diritto «Madre di Dio». Così recita il simbolo della fede.

6. Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, fattore di tutte le cose visibili e invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sua sostanza; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso di lui ogni cosa fu fatta, in cielo e in terra; il quale, per noi uomini e per la nostra salvezza, discese, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato il terzo giorno; ascese al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito santo.

7. Gli inventori di eresie, che scavano fosse di perdizione per sé stessi e per gli altri, sono scivolati in così stoltissimi pensieri da ritenere e affermare che il Figlio sia recente; e che sia stato portato all’esistenza da Dio e Padre in modo eguale alle creature. Gli sciagurati non arrossiscono quando circoscrivono all’inizio del tempo colui che è prima di ogni secolo e del tempo, il fattore dei secoli. Abbassando inoltre, secondo come a loro sembra, la sua eguaglianza e gloria con il Padre e Dio, a stento gli concedono di essere superiore alle altre creature, e dicono che egli sta a mezzo tra Dio e gli uomini: non possiede la gloria della somma eccellenza, ma neppure si colloca allo stesso livello delle creature. Ma chi può essere inferiore all’eccellenza divina e superiore al livello delle creature? La cosa è assolutamente senza senso. Non si vede luogo o ragione tra il creatore e la creatura. Ma, stando a quel che costoro dicono, pur tirandolo di forza dalla sede della divinità, lo chiamano Figlio e Dio, e affermano che deve essere adorato, sebbene la legge proclami: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai (Dt 6,13); e ancora, quando dice agli Israeliti per bocca di Davide: Non ci sia in te un Dio recente, né adorerai un Dio straniero (Sal 80,10).

8. Ma quelli, avendo abbandonato la piana strada maestra della verità, si incamminano per fosse e pietraie e, come dice Salomone, hanno deviato dall’asse del proprio campo, e raccolgono con le mani la sterilità (Prv 9,12). Ma noi sui quali risplendette nella mente la luce divina, che abbiamo scelto di avere pensieri incomparabilmente migliori delle loro sciocchezze e che abbiamo seguito la fede dei santi Padri, diciamo che il Figlio è veramente nato dalla sostanza di Dio e

Padre, in modo divino e indicibile, che è pensato nella propria ipostasi, unito al Genitore per la medesima sostanza; è in lui, ma a sua volta possiede in sé stesso il Padre. Confessiamo che è Luce da Luce, Dio da Dio, secondo un’eguale natura, un medesimo carattere

distintivo e un medesimo splendore; e possiede ogni cosa in misura eguale e in nessun modo diminuita (Eb 1,3). Annoverando lo Spirito santo, la santa e consostanziale Trinità è unita nell’unica natura della divinità.

9. Ma la Scrittura ispirata da Dio dice che il Verbo di Dio si è fatto carne (Gv 1,14), cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale. Seguendo poi le predicazioni evangeliche, il santo e grande concilio disse che egli è l’Unigenito, nato dalla sostanza di Dio e Padre, per il quale e nel quale ogni cosa esiste; che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato, e a suo tempo verrà come giudice. Chiamarono poi Verbo da Dio l’unico Signore Gesù Cristo. Si consideri quindi come dicendo «un solo Figlio», chiamandolo «Signore» e «Cristo Gesù», affermino che egli è nato da Dio e Padre, che è l’Unigenito, Dio da Dio, Luce da Luce, generato e non fatto, della stessa sostanza del Padre.

10. Si può certamente dire che il nome «Cristo» non fu assegnato soltanto all’Emmanuele, ma riscontriamo che esso è stato applicato anche ad altri. Dio infatti dice sugli eletti e santificati nello spirito: Non toccate i miei Cristi e non sparlate dei miei profeti (Sal 104,15). Anche il divino Davide chiama Saul, che era stato unto da Dio per mano di Samuele, «Cristo di Dio» (1 Re 24,7). Ma perché parlo di queste cose, quando si potrebbe facilmente vedere che questo titolo è a buon diritto applicabile a quanti sono stati giustificati nella fede in Cristo e, santificati nello Spirito, sono stati resi degni di onore per questa chiamata? Per questo motivo il profeta Abacuc preannunciò il mistero di Cristo e la salvezza che sarebbe venuta attraverso di lui, dicendo: Sei uscito per la salvezza del tuo popolo, per salvare i tuoi cristi (Ab 3,13). Quindi il nome «Cristo» può convenire non solo e specialmente, come ho detto, all’Emmanuele, ma anche a tutti quelli che furono unti dalla grazia dello Spirito santo. La parola è tratta dall’azione, quindi «Cristi» dall’essere unti. Che anche noi siamo veramente arricchiti dalla gloriosa e preziosa grazia, lo afferma il saggio Giovanni, quando dice: Anche voi avete l’unzione dal Santo (1 Gv 2). E più sotto: Non avete bisogno che qualcuno vi ammaestri, ma la sua unzione vi ammaestra (1 Gv 2,27). È scritto poi sull’Emmanuele: Gesù di Nazareth, come Dio lo unse di Spirito santo e potenza (At 10,38). E anche il divino Davide su di lui dice: Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; per questo Dio, il tuo Dio, ti unse con olio di letizia sui tuoi compagni (Sal 44,8). Che cosa dunque si vedrebbe di più alto nella santa Vergine rispetto alle altre donne, quando si dice che ella ha partorito l’Emmanuele? Non ci sarebbe niente di assurdo se si preferisse chiamare anche la madre di ciascuno degli unti «Madre di Cristo»[1].

11. Ma per le incomparabili diversità di gloria e di eminenza del nostro Salvatore, la differenza è parecchia, tale da escludere tutto ciò che si riferisca a noi. Noi infatti siamo servitori, mentre egli è per natura Signore e Dio, anche se per economia è venuto tra di noi e in ciò che è nostro. Per questo anche il beato Paolo lo chiamò Cristo e Dio, quando disse: Questo sappiate, che nessun fornicatore, impudico, avaro e idolatra possiede eredità nel regno di Cristo e Dio (Ef 5,5). Dunque mentre tutti gli altri, come ho detto, possono essere a buon diritto «cristi», per l’essere stati unti, soltanto Cristo è anche veramente Dio, l’Emmanuele.

Non sbaglierebbe chi volesse affermare che le madri degli altri erano «Madri di Cristo», ma non anche «Madri di Dio», mentre, unica tra di loro, la santa Vergine è intesa ed è detta contemporaneamente «Madre di Cristo» e «Madre di Dio». Non ha generato infatti un semplice uomo come noi, ma il Verbo da Dio Padre, incarnato e fatto uomo. Anche noi per grazia siamo chiamati «dèi», non così però il Dio Figlio, che lo è per natura e verità, anche se è divenuto carne.

12. Verosimilmente tu però ribatti: dimmi, la Vergine diventò forse madre della divinità? A questa domanda rispondiamo che per comune confessione il vivente ed enipostatico[2] suo Verbo è nato dalla stessa sostanza di Dio e Padre e ha l’esistenza senza principio nel tempo; è sempre coesistente al Genitore, in lui e con lui esistente e pensato. Negli ultimi tempi, poiché è divenuto carne, cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale, si afferma che è nato anche in modo carnale da una donna. Il suo mistero è in qualche modo simile alla nostra nascita. Le madri dei terreni infatti, prestandosi alla natura in vista della nascita, hanno nell’utero la carne che a poco a poco si compone e si sviluppa, grazie a certe ineffabili forze di Dio, finalizzandosi alla specie umana. Dio poi immette nel vivente, nella maniera che egli conosce, lo spirito. Forma infatti lo spirito dell’uomo in lui (Zc 12,1), secondo l’espressione del profeta. Una cosa è la ragione della carne, altra quella dell’anima. Sebbene però esse siano madri soltanto dei corpi terreni, tuttavia partoriscono il vivente, quello, dico, che consta di anima e corpo; e non si dice che partoriscono una parte. Non si dirà che Elisabetta partorì il corpo e non l’anima: partorì il Battista, dotato di anima, un essere unico con due parti, anima e corpo. Dimostreremo che la medesima cosa si è realizzata anche in occasione della nascita dell’Emmanuele. Come ho detto, dalla sostanza del Padre è nato il suo Verbo unigenito; poiché, in grazia del fatto che in seguito ha assunto la carne e l’ha resa cosa sua propria, è stato chiamato anche Figlio dell’uomo ed è divenuto come noi, ritengo che non sia assurdo affermare, e anzi che sia necessario confessare, che è nato secondo la carne da una donna, nello stesso modo come anche l’anima dell’uomo nasce contemporaneamente al proprio corpo e la si considera come una sola cosa con quello, sebbene la seconda natura è considerata per sé ed esiste secondo una propria ragione. Perciò se qualcuno dicesse che la madre di uno è genitrice della carne ma non dell’anima, parlerebbe in maniera eccessivamente pignola. Come ho detto, ha partorito un vivente composto da due elementi dissimili, da due un unico uomo, rimanendo ciascun elemento ciò che è, concorrendo altresì, quasi contemperandosi l’un l’altro, all’unità naturale, ciascuno per la propria parte.

13. Poiché l’unione in Cristo è cosa necessarissima, sarà facile e del tutto agevole considerarla anche attraverso molti altri fattori. Orsù, allora, se sembra opportuno, indaghiamo sulle espressioni del beato Paolo, con acribia e, per quanto è possibile, operando un’analisi sottile. Dice dunque sull’Unigenito: Il quale, pur essendo in forma di Dio, non reputò una rapina l’essere eguale a Dio, ma umiliò sé stesso, prendendo una forma di servo, diventando simile agli uomini ed essendo trovato in figura d’uomo abbassò sé stesso (Fil 2,5-7). Chi è colui il quale è in forma di Dio e non ritenne una rapina essere eguale a Dio? Oppure, in che modo umiliò sé stesso, come discese nell’abbassamento e nella forma di servo? Se dunque costoro, dividendo l’unico Signore Gesù Cristo – dico l’uomo e il Verbo da Dio Padre –, affermano che sopportò l’umiliazione quello nato dalla santa Vergine, separando da lui il Verbo da Dio, devono prima dimostre in che maniera è ritenuto ed era in forma ed eguaglianza col Padre, affinché anche sopportasse il modo dell’umiliazione, discendendo in ciò che non era. Ma ciò che è nell’eguaglianza del Padre, se lo consideriamo secondo la sua propria natura, non ha nulla di creaturale. Come si può affermare che si è umiliato, se, essendo per natura uomo, è nato come noi da una donna? Dimmi, da quale più antica dignità, superiore a quella dell’uomo, discese per essere uomo? Oppure, in che modo si potrebbe intendere l’aver assunto, pur non possedendola in principio, la forma di servo, chi per natura stava tra i servitori ed era posto sotto il giogo della servitù?

14. Ma, dicono, colui che per natura e verità è il libero Figlio, il Verbo da Dio Padre, esistente nella forma del Genitore e uguale a lui, prese dimora in un uomo nato da donna: è questa l’umiliazione, il prezzo dell’abbassamento e l’essersi calato in forma di servo.

Così, amici miei, il solo abitare in un uomo fu sufficiente al Verbo di Dio per umiliarsi, e sarebbe persuasivo affermare che in tal modo prese forma di servo e che questa sarebbe stata la sua maniera di abbassarsi? Sento che egli dice ai santi Apostoli: Se qualcuno mi ama, custodirà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e rimarremo presso di lui (Gv 14,21). Ascolta, in forza di che cosa disse che in quelli che lo amavano coabitava insieme a lui anche lo stesso Dio e Padre? Forse considereremo anche il Padre umiliato, che abbia sopportato lo stesso abbassamento del Figlio e abbia preso forma di servo, perché prende dimora presso le anime sante di quelli che lo amano? E anche lo Spirito abita in noi? Forse anch’egli realizza l’economia con il farsi uomo? Oppure affermiamo che questa sia stata realizzata attraverso il solo Figlio, per la salvezza e per la vita di tutti? Lontano da noi una dottrina così strana e insensatissima!

15. Il Verbo esistente in forma ed eguaglianza di Dio e Padre abbassò dunque sé stesso, allorché divenendo carne, come dice Giovanni, è nato attraverso una donna, e colui che ha la nascita da Dio Padre sopportò per noi anche quella come la nostra. Ci insegnino quelli allora in che modo il Verbo da Dio Padre può essere ritenuto e detto da noi «Cristo». Se Cristo è chiamato così dall’essere stato unto, il Padre chi unse con olio di esaltazione (Sal 44,8), cioè di Spirito santo? Se essi affermano che quello nato da lui è propriamente il solo Dio Verbo, e dicono che questa è la verità, sono nell’ignoranza, offendono la natura dell’Unigenito e falsificano il mistero dell’economia per mezzo della carne. Se infatti il Verbo che è Dio è stato unto di Spirito santo, egli sarebbe stato del tutto privo di santità ed essi, pur non volendo, ammetterebbero che egli esisteva in tempi precedenti, durante i quali, non essendo ancora stato unto, era privo di partecipazione, la quale gli sarebbe stata data in seguito come dono. Ciò che è privo di santità per natura è fluttuante e non può essere ritenuto interamente esente da peccato e dalla possibilità di errare. Il Verbo quindi avrebbe subìto un mutamento in meglio. Come allora è il medesimo e non è mutato? E se il Verbo che è Dio era unto e santificato nella forma ed eguaglianza del Padre, qualcuno forse, tratto da questo procedimento verso oscuri pensieri, potrebbe dire che forse anche lo stesso Padre fu privo di santificazione. Allora il Figlio si sarebbe mostrato più grande di lui, se egli, che esisteva prima della santificazione eguale a lui anche nella forma, fu santificato, mentre il Padre è rimasto in ciò che era sempre è e sarà, non assumendo la capacità di migliorare, in modo da essere santificato a somiglianza del Figlio. Maggiore di ambedue appare poi lo Spirito che li santifica, se non c’è da dubitare che senza contraddizione alcuna ciò che è minore è benedetto da ciò che è maggiore (Eb 7,7). Ma tutte queste affermazioni sono vaniloquio, cose orribili e crimini da pazzi. La consostanziale Trinità è santa per natura, santo il Padre, santo anche il Figlio in egual modo consostanziale, e similmente anche lo Spirito. Dunque il Verbo da Dio Padre, per quanto riguarda la sua propria natura, non è santificato in modo unico.

16. Se qualcuno poi ritenesse che colui il quale è nato dalla santa Vergine sia stato unto e santificato e solo per questo è chiamato «Cristo», dica, facendosi innanzi, se è sufficiente l’unzione per mostrare che l’unto abbia la stessa gloria e lo stesso trono di Dio, che è superiore a tutte le cose. E se fosse sufficiente, e afferma che questa è la verità, anche noi allora siamo unti, come testimonia il divino Giovanni quando dice: Anche voi avete l’unzione del santo (1 Gv 2,20). Allora anche noi stessi saremmo in eguaglianza con Dio e, io credo, proprio nulla ci sarebbe proibito, anche sedere con lui, come certamente siede l’Emmanuele; di lui infatti è stato detto: Siedi alla mia destra, finché non porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Sal 101,10). Ci adorerebbe la santa moltitudine degli spiriti superni: Quando introduce il primogenito nel mondo dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio (Eb 1,6). Ma noi, anche se siamo stati unti di Spirito santo, siamo impreziositi della grazia di figli adottivi. Siamo stati chiamati anche «dèi», ma non ignoreremo i limiti della nostra propria natura. Siamo della terra e stiamo tra i servi. Egli invece non è in ciò che noi siamo, ma è Figlio per natura e verità, Signore di ogni cosa e discende dal cielo.

17. Non diciamo certo, poiché scegliamo di pensare rettamente, che Dio Padre è fatto di carne, né che la natura della divinità sia nata attraverso una donna, non assumendo l’umanità. Ma, indirizzandoci all’unione, adoreremo l’unico Cristo Gesù e Signore, sia il Verbo nato da Dio sia il perfettamente uomo, nato dalla santa Vergine, non ponendolo fuori dalla divinità a causa della carne, né abbassandolo alla semplice umanità per la somiglianza con noi. Si comprenderà così che il Verbo nato da Dio si è sottoposto ad una spontanea umiliazione. In questo modo ha abbassato sé stesso, prendendo la forma di servo, colui che per propria natura è libero. In questa maniera prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne (Eb 2,16). Se infatti lo si intende un semplice uomo come noi, avrebbe potuto prendere il seme di Abramo come qualcosa di diverso, per natura, da sé stesso? Come si potrebbe dire che ha condiviso la propria carne, per essere simile in tutto ai fratelli? Quel che noi diciamo simile ad altri corre dalla dissomiglianza verso ciò a cui deve essere simile.

18. Quindi il Verbo di Dio prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne, rendendo proprio il corpo, che è da donna, affinché, non solo rimanendo Dio, ma anche divenendo uomo come noi, fosse compreso in grazia dell’unione. Perciò l’Emmanuele deriva per comune confessione da due cose, la divinità e l’umanità. L’unico Signore Gesù Cristo è l’unico e vero Figlio, Dio e contemporanea-mente uomo; non un uomo divinizzato, come coloro che lo sono per grazia, ma Dio vero, manifestatosi in forma umana per noi. Su di questo ci fornirà le basi della fede il divino Paolo, quando dice: Essendo giunta la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, divenuto sotto la legge, per redimere quelli che erano sotto la legge, e affinché noi ricevessimo l’adozione (Gal 4,4). Allora chi è colui che è stato mandato sotto la legge e – come ho detto – è nato da donna, se non il medesimo, il quale precedentemente era sopra le leggi, in quanto Dio, dal momento che si è manifestato un uomo, ponendosi sotto la legge, per essere eguale in tutto ai fratelli? Per questo insieme a Pietro pagava la didramma di tributo (Mt 17,27), secondo la legge di Mosè. Ma poiché è libero, in quanto Figlio, e superiore alla legge, in quanto Dio, anche se divenuto, come uomo, sotto la legge, insegnava dicendo: I re della terra da chi ricevono tributi e tasse, dai propri figli o dagli estranei? Rispondendo Pietro: Dagli estranei, egli continuò: Quindi i figli sono liberi (Mt 17,25).

Essendo dunque manifesto che non si può dire che Cristo esista al di fuori della carne e che sia unicamente il Verbo di Dio, ma che piuttosto gli sono propri il primo e il secondo aspetto, dal momento che è divenuto uomo, orsù, allora, dimostriamo, traendo gli argomenti di fede dalle sacre Scritture, che egli è Dio per natura e si è condotto all’unità, dico a quella che ha con la sua propria carne. Dopo aver dimostrato che questo è vero, allora si potrà dire da parte nostra e in

maniera appropriata che la santa Vergine è «Madre di Dio».

19. Perciò il profeta Isaia mostrava in anticipo l’unico Figlio, non ancora fatto uomo e non presente, dicendo: Fortificatevi mani deboli e ginocchia vacillanti, consolatevi avviliti, fatevi coraggio, non temete. Ecco, il nostro Dio siede a giudizio ed emetterà sentenza; egli verrà e ci salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi udranno; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua dei muti sarà chiara (Is 35,3ss). Osserva come lo nomina «Signore» e lo chiama «Dio», parlando veramente nello Spirito, perché sapeva che l’Emmanuele non era semplicemente un uomo teoforo, né era stato preso come uno strumento, ma veramente era Dio fatto uomo. Proprio allora furono aperti gli occhi dei ciechi e udirono le orecchie dei sordi; allora lo zoppo saltò come un cervo e divenne chiara la lingua dei muti. Così lo Spirito ordinava di predicarlo ai santi evangelisti: Sali su di un alto monte, tu che evangelizzi Sion; fa’ risuonare con forza la tua voce, tu che evangelizzi Gerusalemme; alzate la voce, non temete. Di’ alle città di Giuda: ecco il nostro Dio, ecco il Signore viene con forza e il braccio con dominazione. Ecco con lui la mercede e l’opera al suo cospetto. Come un pastore pascerà il suo gregge e con il suo braccio unirà gli agnelli (Is 40,9ss). Apparve per noi il Signor nostro Gesù Cristo, con la forza che proviene da Dio e con il braccio di signoria, cioè in potenza e signoria. Appunto per questo diceva al lebbroso lo voglio, sii mondato (Mt 8,3); toccò il letto e resuscitò il figlio della vedova, che era morto (Lc 7,14).

20. Radunò gli agnelli, perché egli è il buon pastore, che dà la sua anima per le pecore. Perciò anche diceva: Come il Padre conosce me, io conosco il Padre e metto la mia anima per le pecore. Possiedo anche altre pecore, che non sono di questo ovile; bisogna che io le porti a me, ed esse udranno la mia voce e ci sarà un solo gregge, un solo pastore (Gv 10,15ss). Iniziando poi la predicazione su di lui, anche il divino Battista lo annunciava a quanti stavano in tutta la Giudea, non come strumento della divinità, né come semplicemente un uomo teoforo, secondo quanto sostengono alcuni, ma piuttosto come Dio con la carne, ovvero divenuto uomo, e diceva: Preparate le vie del Signore, rendete rette le strade del nostro Dio (Mt 3,6). Di chi

ordinò di preparare le vie se non di Cristo, cioè del Verbo apparso in forma umana? È bastevole alla fede, credo, anche il divino Paolo, quando dà testimonianza, dicendo: Che cosa allora diciamo? Se Dio è per noi, chi contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha sacrificato per noi tutti, come non ci donerà anche ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,31). Allora, mi si dica, in che modo può essere ritenuto Figlio proprio di Dio, il figlio nato dalla santa Vergine? Come si ritiene e si afferma proprio dell’uomo e non di altri animali quel che secondo natura è nato da lui, parimenti è proprio di

Dio ciò che proviene dalla sua sostanza. In che modo allora Cristo, il quale è stato dato da Dio e Padre per la salvezza e la vita di tutti, è chiamato Figlio proprio di Dio? Fu sacrificato per i nostri peccati; ed egli portò i peccati di molti nel suo corpo sul legno (Rm 4,25; 1 Pt 2,24), secondo la parola del profeta. È chiaro allora come la realizzazione dell’unità necessariamente manifesta che colui il quale

è nato dalla santa Vergine è il Figlio proprio di Dio. Il corpo non era diverso da quello nostro, ed era propriamente suo, del Verbo del Padre, nato da lei.

21. Se poi gli si attribuisse un unico e semplice carattere di aiuto strumentale, si negherebbe, anche senza volerlo, che egli sia Figlio secondo verità. Si prenda, ad esempio, un uomo che abbia un figlio esperto nella lira e ottimamente esercitato nel suonare; forse costui considererà la lira e lo strumento per il canto nell’ordine del figlio, insieme con il figlio? Una tale cosa non è forse interamente sciocca? La lira è da ritenere dimostrazione dell’arte, quello invece è preso come figlio del genitore, separatamente dallo strumento. Se poi si dicesse che il nato da donna è stato preso per aiuto, affinché per mezzo suo si realizzassero i miracoli e risplendesse la predicazione del divino vangelo, si potrebbe dire che anche ciascuno dei santi profeti è stato strumento di Dio, e primo tra tutti il santissimo Mosè. Egli, stendendo la verga, mutò i fiumi in sangue; separando il mare, ordinò ai figli di Israele di passare nel mezzo dei flutti (Es 7,20); ponendo poi la verga sulle pietre, le rese madri di acque e fece vedere una fonte fatta di pietra (Sal 113,8); divenne mediatore tra Dio e gli uomini, fu ministro della legge e precedeva il popolo (1 Tm 2,5). Quindi in Cristo non ci sarebbe stato nulla di più alto e di superiore rispetto a quelli che erano stati prima di lui: anch’egli sarebbe stato preso nell’ordine e nella funzione di strumento. Avrebbe allora parlato a vanvera il divino Davide, quando disse: Chi sulle nubi sarà eguale al Signore e chi sarà simile al Signore tra i figli di Dio? (Sal 88, 7).

22. Ma il sapientissimo Paolo mostra Mosè tra i servitori, mentre chiama Dio e Signore colui che economicamente è nato da una donna, cioè Cristo. Così infatti ha scritto: Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della vocazione celeste, considerate l’apostolo e sommo sacerdote della nostra confessione, Gesù, che è stato fedele a colui che l’ha costituito, come anche Mosè, in tutta la sua casa. Ma egli fu insignito di una gloria superiore a quella di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa. Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Mosè fu fedele in tutta la sua casa, come un servo, per testimonianza delle cose che sarebbero state dette; Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa (Eb 3, 1ss). Si consideri dunque come gli abbia mantenuto i limiti dell’umanità e gli abbia attribuito l’altezza della gloria superna e della dignità divina. Dicendo Sacerdote e Apostolo, e ribadendo che

è divenuto fedele a colui che lo ha fatto, dice che è stato onorato più di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa; e poi continua: Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Quindi il divino Mosè è stato posto tra le opere e le cose fabbricate, mentre Cristo è indicato come il fattore di tutto. E in verità è di Dio che si dice che fa ogni cosa. Quindi egli è indubitabilmente anche Dio vero. Mentre Mosè è come il ministro fedele in tutta la casa, Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa. Attraverso la voce del profeta, Dio dice: Abiterò in loro e camminerò con loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo (2 Cor 6, 16).

23. Forse qualcuno però potrebbe chiedere: che differenza si può pensare ci sia tra Cristo e Mosè, se ambedue sono nati da donna? In che modo l’uno è servitore e come fedele nella casa, mentre l’altro è per natura Signore, in quanto Figlio, e in casa sua, cioè noi? Io credo che la cosa sia chiara per chiunque sia sano di intelletto (2 Cor 6, 16) e abbia su Cristo un pensiero conforme a quanto afferma il beato Paolo. Il primo era un uomo e stava sotto il giogo della servitù, il secondo è per natura libero, in quanto Dio e creatore di tutto, e per noi sopportò una volontaria umiliazione. Ma questo non lo allontanerà dalla gloria divina, né lo rimuoverà dalla sublimità e dall’eminenza su tutte le cose. Come noi, arricchiti dal suo Spirito – ha abitato infatti nei nostri cuori (Ef 3, 17) –, siamo stati posti tra i figli di Dio, a non essere ciò che siamo[3], però non siamo discesi – siamo per natura uomini e diciamo a Dio Abba, Padre (Rm 8, 15) –, nello stesso modo anche lui, il Dio Verbo, che indicibilmente risplendette della sostanza di Dio e Padre, onorò la natura, ma non uscì dalla sua propria sublimità, ed è rimasto Dio anche nell’umanità. Quindi diciamo che il

Tempio, nato dalla Vergine, non fu preso a guisa di strumento, ma, seguendo la fede delle sacre Lettere e le espressioni dei Santi, affermeremo che il Verbo si è fatto carne secondo i modi da noi ampiamente spiegati. Così ha anche posto la sua vita per noi. Poiché la sua morte era salvezza per il mondo, sostenne la croce, disprezzando l’ignominia (Eb 12, 2), pur rimanendo per natura Vita, in quanto Dio. In che senso allora si dice che la Vita morì? Allo scopo di far apparire la Vita, che nuovamente la vivificava, ha sofferto la morte con la propria carne.

24. Allora, se osserviamo il modo della morte in noi stessi, una persona assennata afferma forse che l’anima perisce insieme al corpo? Questo, penso, non è messo in dubbio da nessuno. Peraltro la morte dell’uomo è solo un accidente. Egualmente si pensi anche per lo stesso Emmanuele. Il Verbo era come nel proprio corpo, quello nato da donna, e lo consegnava a suo tempo alla morte, non soffrendo egli nella sua propria natura (è infatti la Vita e il Vivificante), ma, affinché, rese proprie le caratteristiche della carne, si dicesse suo il patire; e, poiché egli da solo era equivalente a tutti, morendo per tutti, affinché redimesse con il proprio sangue quanto c’è sotto il cielo e guadagnasse a Dio e Padre quelli che giacciono giù sulla terra. Il beato profeta Isaia preannunciò come vero tutto questo, quando in spirito diceva: Perciò egli possiederà in eredità molti e dividerà le spoglie dei forti, in cambio la sua anima fu consegnata alla morte e fu annoverato tra i malfattori ed egli portò i peccati di molti e fu consegnato per le loro iniquità (Is 53, 12).

25. Quindi uno solo, più degno di tutti, ha posto la propria anima per tutti e ha permesso che a scopo dell’economia per breve tempo la carne fosse consegnata alla morte. Ma poi ha distrutto la morte, perché non sopportava – come Vita – di subire qualcosa contraria alla propria natura, e per porre fine anche nei corpi di tutti alla corruzione; e così distruggere il potere della morte. Come infatti in Adamo tutti moriamo, così anche in Cristo tutti saremo vivificati (1 Cor 15, 22). Se non avesse sofferto per noi in maniera umana, neppure avrebbe divinamente realizzato quel che era necessario per la nostra salvezza. Si dice infatti che prima era morto in quanto uomo, ma dopo è risuscitato perché era Dio per natura. Se dunque non avesse patito la morte con la carne (1 Pt 3, 18), secondo le Scritture, neppure sarebbe stato vivificato con lo spirito, cioè non sarebbe risuscitato. E se questo fosse vero sarebbe vana la nostra fede, saremmo ancora nei nostri peccati (1 Cor 15,14.17). Siamo stati invece battezzati nella sua morte (Rm 6,3), secondo le parole del beato Paolo, e per mezzo del suo sangue abbiamo ricevuto la remissione dei peccati.

26. Ma se Cristo non è veramente Figlio e non è per natura Dio, ma un semplice uomo come noi e uno strumento della divinità, in che modo saremmo stati salvati non in Dio? Perché sarebbe morto per noi uno maggiore di noi e sarebbe stato risuscitato da forze a lui estranee. Come allora per mezzo di Cristo fu distrutta la morte? Ascolto che saggiamente egli dice sulla propria anima: Nessuno me la toglie, ma la pongo io da me stesso. Ho il potere di porla e di nuovamente riprenderla (Gv 10, 18). Discese con noi verso la morte per mezzo della propria carne colui che non conosce la morte, affinché anche noi risorgessimo con lui alla vita. Risorse spogliando da vincitore l’Ade, non in quanto uomo come noi, ma in quanto Dio con noi e superiore a noi. La natura fu arricchita perché in lui per primo si realizzò l’incorruttibilità; e la morte, entrata come un nemico, fu distrutta dal corpo della vita. Come ella aveva vinto in Adamo, così è stata abbattuta in Cristo. Rivolgendosi a lui, che per noi e da noi ascendeva nei cieli al Padre e Dio, per mostrare accessibile il cielo a

quelli che sono in terra, il divino cantore dedicò epinici, dicendo: Dio s’innalza tra voci di plauso, il Signore tra squilli di tromba. Inneggiate al nostro Dio, inneggiate. Inneggiate al nostro re, inneggiate. Dio regnò sopra tutte le genti (Sal 46, 6ss). Dice inoltre su di lui il beato Paolo: Chi discese è lo stesso che ascese al di sopra dei cieli, per riempire ogni cosa (Ef 4, 10). 27. Poiché dunque egli è veramente Dio e re per natura, e il crocifisso è chiamato anche re della gloria (1 Cor 2,8), come si può dubitare di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio»? Adoralo come uno, non dividendo in due dopo l’unione! Allora invano riderà l’insensato giudeo; allora veramente egli sarà «uccisore del Signore», e sarà condannato non per aver commesso un delitto contro uno come noi, ma contro lo stesso Dio, salvatore di tutti. E sentirà: Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità; seme

malvagio, figli scellerati. Avete abbandonato il Signore e avete fatto adirare il Santo d’Israele (Is 1, 4). Inoltre i figli degli Elleni in nessun modo beffeggeranno la fede dei cristiani: veneriamo non un semplice uomo – non sia mai! – ma Dio per natura, non ignorando la sua gloria, anche se è divenuto come noi pur restando ciò che era, cioè Dio. Per lui e con lui a Dio e Padre la gloria con lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.


[1] Il riferimento a Nestorio risulta esplicito, se si considera che questo titolo era stato propugnato proprio da lui. Cirillo invece intende dimostrare che dire «Madre di Cristo» è assolutamente inadeguato per individuare il Verbo incarnato.

[2] Il termine enipostatico, qui inequivocabilmente utilizzato in ambito cristologico, era di largo uso nella teologia trinitaria, ma non in cristologia. Qualche anno dopo, nel clima del concilio d’Efeso del 431 verrà usato da Teodoto di Ancira come termine forte della sua cristologia (cf. Teodoto di Ancira, Omelie cristologiche e mariane)

[3] Cioè, grazie all’opera salvifica di Cristo l’uomo è divenuto «dio», quindi è divenuto ciò che per natura non è.