1

09 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

09 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL SANTO MARTIRE EUPSYCHIUS

Eupsychius era di nobile nascita e ben istruito nelle pie credenze. Durante il regno di Giuliano l’Apostata e quando San Basilio il Grande governava la Chiesa di Dio a Cesarea, Eupsychius si sposò con un’importante fanciulla. Tuttavia, non gli fu concesso di vivere nemmeno un giorno il matrimonio. Infatti, al momento delle nozze, si svolse una festa pagana con offerte sacrificali all’idolo Fortuna. Eupsychius, con i suoi compagni, entrò nel tempio e distrusse tutti gli idoli, demolendo anche il tempio stesso. Alla notizia, Giuliano si infuriò moltissimo e ordinò la decapitazione dei colpevoli, l’arruolamento di molti cristiani nell’esercito, l’imposizione di un enorme tributo a tutti i cristiani, la ricostruzione del tempio della Fortuna a spese dei cristiani e la privazione della città del nome onorifico di “Cesarea”, conferitole da Cesare Claudio, con il nome precedente di Maza. All’inizio Eupsychius fu legato a un albero, torturato brutalmente e poi decapitato nel 362 d.C. Poco dopo, il malvagio imperatore Giuliano visitò questa città (Maza) mentre si dirigeva verso la Persia contro la quale stava muovendo guerra. San Basilio il Grande gli andò incontro portando tre pani d’orzo in segno di rispetto e ospitalità. L’imperatore ordinò che una manciata di fieno fosse data al santo come dono reciproco. San Basilio disse all’imperatore: “Ti prendi gioco di noi, o imperatore. Noi ti offriamo il pane con cui ci nutriamo e tu, a tua volta, ci dai il cibo per il bestiame che tu, con la tua autorità, non puoi trasformare in cibo per gli uomini”. L’imperatore rispose: “Sappi che ti darò da mangiare questo fieno quando tornerò dalla Persia”. Tuttavia, il malvagio apostata non tornò dalla Persia, perché morì di una morte meritata e innaturale.

  1. IL VENERABILE MARTIRE VADIM

Durante il regno dell’imperatore persiano Sapor, Vadim, abate di un certo monastero e uomo famoso per la sua generosità, fu messo in prigione con sette dei suoi discepoli. Con loro in prigione c’era un certo principe Nirsan, anch’egli cristiano. Ogni giorno venivano portati fuori e picchiati. Il principe Nirsan si spaventò e promise di rinnegare la fede e di adorare il sole. Sapor ne fu soddisfatto e promise di dare a Nirsan, tra le altre cose, l’intero patrimonio del monastero di Vadim se avesse decapitato Vadim con le sue stesse mani. Nirsan accettò. Con la mano tremante e spaventato dal volto maestoso di San Vadim, colpì il santo uomo con la spada molte volte sul collo, finché alla fine lo decapitò. Poco dopo, Nirsan cedette alla disperazione e si trafisse con la spada, ricevendo per mano sua la giusta punizione per l’omicidio del giusto. San Vadim patì nell’anno 376 d.C.

Inno di lode
IL VENERABILE MARTIRE VADIM

Il coraggioso Vadim guarda la morte negli occhi
e si dispiace per Nirsan perché gli è capitata la miseria.
Nirsan, con la spada sguainata, sta davanti a Vadim,
non ha paura di Dio, ma ha paura del santo.
Brandisce la spada e, brandendola, la abbassa!
Davanti al cavaliere di Dio; in verità, un puro codardo!
Nirsan, Nirsan! Vadim, a lui, parla:
Sulla strada dell’eternità, Vadim, a te, parla:
Hai rinnegato Cristo; hai abbracciato la falsità,
Da solo, la tua anima hai perso.
Morte, attendo con ansia ogni ora divina,
che mi apra la porta del regno eterno.
Ma, dalla tua mano, mi è dispiaciuto morire,
e non vederti mai più, o principe.
Ogni traditore di Cristo sarà coperto dalle tenebre eterne.
E, due volte più nero, chi uccide i cristiani”.
Questo disse il santo e tacque,
e Nirsan lo uccise con mano tremante.
Un tale leone morì a causa di un coniglio spaventato!
Ma chi ha ucciso Nirsan? Se stesso o il santo?
La giustizia eterna parla: il ladro giudica se stesso,
E al santo di Dio non è stato fatto alcun male.

Riflessione
Di Pericle si dice che era un uomo di bellezza umana quasi perfetta, ma che la sua testa era oblunga e assomigliava a una zucca, tanto che rischiava di essere ridicolizzato quando appariva a capo scoperto in pubblico. Per nascondere il difetto di questo grande uomo al suo popolo, gli scultori greci lo ritraevano sempre con un elmo in testa. Se alcuni, tra i pagani, sapevano nascondere i difetti dei loro amici, quanto più, quindi, noi cristiani siamo obbligati a fare lo stesso? “Amatevi gli uni gli altri con affetto reciproco; anticipate gli uni gli altri nel mostrarvi onore” (Romani 12:10), comanda l’apostolo a coloro che aderiscono a Cristo. Come possiamo dire di aderire al Cristo mite e tutto-puro, se ogni giorno avveleniamo l’aria con racconti sui peccati e le mancanze degli altri? Nascondere le proprie virtù e le mancanze degli altri, questa è la saggezza spirituale per eccellenza.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come appare a Maria Maddalena nell’orto e, a prima vista, Maria non lo riconosce;
  2. Come Egli si rivolge con tenerezza a Maria e Maria lo riconosce, gioisce in Lui e trasmette la sua gioia ai discepoli.

Omelia
Sulla necessità della morte per portare molto frutto

“Amen, amen vi dico: se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo un chicco di grano; ma se muore, produce molto frutto” (San Giovanni 12:24).

Perché il seminatore getta il grano nel terreno? Lo fa forse perché il grano muoia e marcisca? No, lo fa perché viva e porti frutto. Nel gettare il seme, il seminatore non pensa alla morte e alla decomposizione del seme, ma piuttosto alla sua vita e al suo rendimento.

Il seminatore è Cristo Signore e gli uomini sono il suo grano. Egli si è compiaciuto di chiamarci grano. Ci sono molti altri tipi di seme sulla terra, ma niente è più prezioso del grano. Perché il Signore ci ha seminato in tutto il mondo? Per farci morire e decadere? No, piuttosto perché vivessimo e portassimo frutto. Egli allude alla nostra morte lungo il cammino. Allude alla morte solo come condizione per la vita e per il rendimento moltiplicato. L’obiettivo della semina non è la morte, ma la vita. Il seme deve prima morire e decadere. Lo menziona solo perché sa che ne siamo pienamente consapevoli. Ce lo ricorda lungo il cammino, mentre il suo Vangelo è soprattutto una narrazione di vita, sulla vita e sul portare frutti buoni. Ci parla molto di quest’ultimo aspetto perché sa che non ne siamo consapevoli e che stiamo soffocando per l’ignoranza e il dubbio. Non solo ci parla abbondantemente della vita, ma ci mostra anche la vita. Con la sua risurrezione, ci dimostra la vita e la moltitudine di frutti che sono più luminosi del sole. L’intera storia della sua Chiesa è una chiara mappa della vita.

O Signore della vita, invincibile, salvaci dalla morte del peccato. Riscattaci da una morte spirituale.




07 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

07 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SAN GEORGIO IL CONFESSORE

Per le sue grandi virtù, raggiunte attraverso una lunga e difficile mortificazione, Giorgio fu scelto e ordinato come metropolita di Mitilene. Questo santo governò il suo gregge spirituale con prudenza e zelo fino a un’età matura. Quando iniziò una persecuzione sotto Leone V l’Armeno, con la distruzione delle sacre icone, l’imperatore convocò questo santo anziano a Costantinopoli in un’assemblea di vescovi da lui convocata e la cui intenzione era quella di interrompere la venerazione delle icone, Giorgio non solo si rifiutò di eseguire il desiderio del malvagio imperatore, ma con altri coraggiosi vescovi si schierò in difesa delle sacre icone. Non solo fu ridicolizzato per questo, ma fu anche esiliato dall’imperatore nella regione di Cherson. Qui sopportò ogni sorta di afflizioni e privazioni fisiche per i restanti anni della sua vita. Morì e fu tradotto alla vita eterna verso l’anno 816 d.C. A causa della sua grande santità e del suo amore per il Signore Gesù, Giorgio fu un grande operatore di miracoli, sia durante la sua vita che dopo la sua morte.

  1. IL VENERABILE NIL SORSKY

Nil è uno dei grandi Padri della Chiesa russa. Fu il fondatore dello stile di vita monastico di Scete in Russia. Morì serenamente nell’anno 1508 d.C. Le sue reliquie riposano nel monastero di Sorsky. La sua “Regola di vita” per lo stile di vita monastico di “Scete” rappresenta un’opera di prim’ordine sulla vita spirituale e pratica di un monaco.

  1. IL SANTO MARTIRE CALLIOPIO

Calliopio era il figlio unico concesso da Dio a un senatore di Perga, in Panfilia, dopo che il senatore aveva versato molte lacrime in preghiera. Fin dalla prima giovinezza la sua devota madre, Teoclea, gli insegnò a rispettare Dio e a vivere una vita casta. Calliopio era ancora un giovane quando iniziò una terribile persecuzione durante il regno dell’imperatore Massimiano. Per evitargli la morte, sua madre lo mise su una barca, gli diede una grande somma di denaro e lo fece partire per la città di Pompeiopoli. Tuttavia, Dio, nella sua Divina Provvidenza, aveva previsto diversamente. Sbarcato a Pompeiopoli, si trovò nel bel mezzo di una tumultuosa celebrazione politeista. Quando Calliopio si rifiutò di partecipare a questa ridicola festa, su insistenza della folla impazzita, fu spinto verso il comandante Massimo, davanti al quale Calliopio confessò di essere cristiano. Il comandante ordinò che Calliopio fosse picchiato con bastoni di piombo e bruciato col fuoco. Ferito in ogni parte, lo gettarono in prigione. Venuta a conoscenza delle torture del figlio, Teoclea distribuì tutto il suo patrimonio ai poveri e ai bisognosi e con una misera somma di denaro si precipitò dal figlio in prigione. Entrata nella prigione, Teoclea si inchinò davanti al figlio e ne medicò le ferite. Infine, il comandante pronunciò la sentenza definitiva. Calliopio doveva essere crocifisso su una croce. Gioia e dolore si mescolarono nel cuore di sua madre. Quando portarono suo figlio al luogo dell’esecuzione, ella fece scivolare cinque pezzi d’oro ai carnefici per far crocifiggere suo figlio, non come il Signore, ma a testa in giù. Teoclea fece questo per umiltà davanti al Signore. Calliopio fu crocifisso a testa in giù il Giovedì Santo. Sua madre stava sotto la croce e lodava Dio. Il secondo giorno, quando rimossero il suo corpo senza vita dalla croce, cadde sul figlio e morì lei stessa. Così, questi due andarono insieme davanti al Trono del Re della Gloria. Soffrirono onorevolmente nell’anno 304 d.C.

  1. IL VENERABILE DANIELE DI PEREYASLAVL

Daniele aveva come unica forma di mortificazione quella di prendersi cura dei morti. Ogni volta che sentiva che qualcuno era stato trovato morto congelato o che era morto in qualche altro modo, Daniele si affrettava a seppellirlo decentemente e a offrire preghiere a Dio per lui. Morì serenamente nell’anno 1540 d.C. Le sue reliquie sono rimaste intatte.

  1. IL VENERABILE GREGORIO SINAITI

Grande santo e asceta del Monte Sinai e del Monte Athos [8 agosto].

Inno di lode
IL SANTO MARTIRE CALLIOPIO

Calliopio, Calliopio,
Parti là! Dove non c’è morte!
Sua madre gli parla e gli dà l’ultimo addio,
Sogna il destino del suo unico figlio.
Calliopio, il giovane più bello
Al comandante spiegò la sua fede:
Cristo è la mia vita, la via, la verità,
Cristo è il mio desiderio: il mio unico desiderio!
Alla crocifissione, Calliopio, lo conducono,
Dietro di lui, folle di persone camminano.
Lui, pallido e sereno, rigidamente legato,
cammina in silenzio, amaramente torturato,
Sua madre gli sussurra: Calliopio!
Sto viaggiando, o madre, dove non c’è morte!
Martire di Cristo, martire glorioso,
La croce ricevuta, pesante e a testa alta.
Sul corpo morto, la madre si china:
Con le lacrime bagna Calliopio
E sussurra sottovoce: Calliopio!
Eccomi madre, dove non c’è morte!

Riflessione
“I direttori spirituali devono distinguersi dai loro subordinati come un pastore si distingue dalle sue pecore”. Così parla Sant’Isidoro di Pelusio interpretando la Prima Lettera a San Timoteo. La vita di un sacerdote serve sempre da esempio, sia che sia buona o cattiva. Con una vita esemplare, un sacerdote conferma il Vangelo e, con una vita malvagia, lo nega. Nessuno al mondo è in grado di confermare la verità del Vangelo o di negarla con la sua vita come fa’ un sacerdote. Un buon sacerdote si distingue da un sacerdote malvagio per le sue opere non meno di quanto un pastore si distingua da un lupo. Ecco perché una buona parte dei buoni sacerdoti sarà con i figli di Dio e una buona parte dei sacerdoti malvagi sarà con le bestie selvagge delle tenebre. I buoni pastori della Chiesa, anche negli ultimi istanti della loro vita, si preoccupavano del gregge che stavano lasciando. Sul letto di morte, San Giuseppe l’Innografo pregava Dio: “Preserva il tuo gregge, o Figlio di Dio, creato dalla tua destra e proteggilo fino alla fine dei tempi. Sii di aiuto agli amati figli della tua Chiesa. Concedi alla Tua Sposa [la Santa Chiesa] la pace eterna e una calma senza tempesta”. Sant’Antipa, bruciando in un bue incandescente, tolto dal rame, pregava Dio in questo modo: “Non solo io, ma anche coloro che verranno dopo di me, rendili partecipi della Tua misericordia”.

Contemplazione
Contemplare la risurrezione del Signore Gesù:

  1. Come le donne portatrici di mirra si avvicinarono al sepolcro per ungerlo con mirra e aloe. Ungere Colui che è il profumo del cielo e della terra;
  2. Come l’angelo annuncia loro la risurrezione di nostro Signore con le parole: “Perché cercate il vivente tra i morti?”. (San Luca 24:5).

Omelia
Sulla ricerca del vivo tra i morti

“Perché cercate il vivente tra i morti?”. (San Luca 24:5).

L’angelo di Dio chiede alle donne portatrici di mirra, come se fosse stupito: “Perché cercate il vivente tra i morti?”. Come se chi percepisce il mistero di Dio e la potenza di Dio volesse dire: “Come avete potuto pensare per un momento che Egli sia ostaggio della morte? Non sapete che Egli è la fonte principale della vita? Non sapete che tutta la vita passa attraverso di Lui e che nessun essere vivente può prendere in prestito nemmeno una goccia di vita da un’altra fonte? Non vi ha forse rivelato pienamente la sua autorità sulla vita e sulla morte sulla terra? Chi ha dato la vita all’esanime Lazzaro? Chi ha tolto la vita al fico sterile?”.

O fratelli, smettiamo anche noi di cercare i vivi tra i morti. Se c’è qualcuno di noi che cerca ancora Cristo tra i morti, che desista da questo sforzo che distrugge l’anima. Questo è lo sforzo vano degli ebrei, dei pagani e dei non cristiani. Sappiamo che il Signore e Datore di vita non è nella tomba, ma sul Trono della Gloria nei cieli. Lo spirito, non oscurato dal peccato, guarda in cielo e non vede la tomba; lo spirito, oscurato dal peccato, guarda nella tomba e non vede il cielo. Il peccato e la virtù governano la visione spirituale dell’uomo e rivelano a ciascuno il proprio mondo in contrasto tra loro. Il peccato abbatte la visione dello spirito sulla terra e gli rivela la corruzione del mondo. La virtù eleva lo spirito al cielo e gli rivela il mondo eterno e il Cristo risorto come Re in quel mondo.

O fratelli, non cerchiamo vita dal creato, ma dal Creatore. Non commettiamo un peccato ancora più grave, cioè non cerchiamo il Creatore nella tomba della creazione né l’Illuminante, l’Immortale nelle tenebre della morte.

O Signore Gesù, vincitore della morte, ti gridiamo: risuscita anche noi nella vita eterna dalla corruzione e dalle tenebre della morte.




06 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

06 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SANTO EUTICHIO, PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI

Eutichio nacque in Frigia da genitori pii e devoti. Suo padre era un ufficiale. Una volta, da bambino, quando Eutichio giocava con i suoi compagni di gioco, il loro gioco consisteva nel fatto che ognuno di loro scriveva il proprio nome su un muro e, accanto al nome, indovinava il grado che ognuno di loro avrebbe raggiunto nella vita. Quando fu il turno di Eutichio, egli scrisse: Eutichio – Patriarca! Nel suo trentesimo anno divenne abate del monastero di Amasea. All’età di quarant’anni fu inviato dal metropolita di Amasea a rappresentarlo al quinto Concilio ecumenico [Costantinopoli, 553 d.C.]. Al Concilio brillò come una stella tra i Padri della Chiesa, sia per la sua preparazione che per il suo zelo. Quando si discusse se gli eretici potessero essere anatematizzati dopo la loro morte, egli sostenne l’opinione che potevano esserlo appellandosi al Terzo Libro dei Re (in alcune traduzioni, chiamato Primo Libro dei Re 13,1-8 e al Quarto Libro dei Re (in alcune traduzioni, chiamato Secondo Libro dei Re 23,16). Eutichio si fece apprezzare molto dall’imperatore Giustiniano e dal patriarca Mennas. L’imperatore chiese il suo consiglio in molte occasioni e il patriarca Mennas designò Eutichio come suo successore, implorando l’imperatore di realizzarlo nei fatti. E così avvenne! Sant’Eutichio governò la Chiesa in pace per dodici anni. Poi il diavolo sollevò una tempesta contro di lui. Questa tempesta raggiunse lo stesso Giustiniano. L’imperatore si illuse e cedette all’eresia monofisita, che insegnava falsamente che il Signore Gesù, prima della sua risurrezione, aveva un corpo divino e incorruttibile, senza sentimenti, fame, sete o dolore. Eutichio si oppose con fermezza a questa eresia, per cui l’imperatore lo esiliò nel suo monastero d’origine. Eutichio vi rimase per dodici anni e otto mesi e si dimostrò un grande operatore di miracoli, guarendo le persone da varie malattie con la preghiera e ungendole con l’olio santo. Giustiniano si pentì e morì. Gli successe Giustino, che restaurò Eutichio sul trono patriarcale, dove questo santo rimase, governando la Chiesa di Dio in pace, fino alla sua morte. Nel 582 d.C., nel suo settantesimo anno, prese dimora nel regno di Cristo Signore, che servì fedelmente e coraggiosamente per tutta la vita.

  1. I SANTI CENTOVENTI MARTIRI CHE HANNO SOFFERTO IN PERSIA

Quando l’imperatore persiano Sapor saccheggiò le terre di Bisanzio, ridusse in schiavitù centoventi cristiani. Poiché i suoi tentativi di convincerli a rinnegare Cristo e ad adorare il fuoco si rivelarono vani, l’imperatore li gettò nel fuoco e li bruciò vivi. Tra quei martiri, c’erano nove vergini consacrate a Dio. Tutte soffrirono onorevolmente tra il 344 d.C. e il 347 d.C. e presero alloggio nelle dimore di Cristo Re.

Inno di lode
SANTO EUTICHIO

Eutichio testimoniò Cristo all’imperatore:
Cristo, disse, aveva un corpo indebolito,
un corpo suscettibile alla fame e al dolore,
simile, ma non uguale al corpo sul Trono.
Un raggio del servo sulla terra, il Re della gloria portava con sé
Ma il corpo glorificato salì al cielo.
Dove sarebbero le lacrime nel corpo illusorio?
Dove il sudore sanguinoso, o Imperatore, sulla fronte irreale?
“Ho fame!” “Ho sete!” disse la Verità [Cristo],
Perché spingete il Figlio di Dio alla menzogna?
Quando la sua fame testimonia al mondo
E voi a Lui: sei sazio! Parlate in faccia a Lui!
Quando ha sete, grida mentre è appeso alla croce,
E voi rispondete a Lui: Non hai sete, non hai sete!
O Grande Imperatore, l’impurità non parla,
Dietro le tue parole si nasconde il demonio stesso.
Invano costruisci chiese, quando distruggi la Fede,
E invano le offerte votive, quando le sue fiamme si spengono.
Le sofferenze di Cristo, tra tutte le altre sofferenze, sono più grandi,
Tutta la storia ruota intorno alla Croce.
Per questo, la Croce è onorevole, capace di guarire e impressionante,
Perché [la Croce di Cristo] è la fonte del dolore -.
È traboccante e abbondante.
Sulla croce c’è Cristo, l’uomo inchiodato,
Sangue, sudore e gemiti – e non un sogno che si sogna.

Riflessione
Di un antico oratore si dice che lavorasse giorno e notte per perfezionarsi nell’arte oratoria. Qualcuno gli disse: “Demostene non vuole che tu sia il capo degli oratori”. Al che egli replicò immediatamente: “Né gli permetterò di essere l’unico”. Se non potete essere un santo di prima classe come Sant’Antonio, non abbassate le mani e non dite: “Da me non può venire nulla!”. Aumentate il vostro sforzo e raddoppiate il vostro talento. “Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore”, ha detto il Signore (San Giovanni 14,2). Se meritate di stabilirvi nell’ultima di queste dimore, sarete più gloriosi e più fortunati di tutti i governanti che siano mai esistiti sulla terra. Ognuno, secondo il proprio talento. Non siete Sant’Antonio né sarete Sant’Antonio, solo, occuperete il Regno di Dio.

Contemplazione
Contemplare la Risurrezione del Signore Gesù:

  1. Come la pietra del sepolcro non si spaccò e il sigillo non si ruppe;
  2. Come il Signore onnipotente e mite non ha danneggiato il sepolcro durante la sua risurrezione, come non ha danneggiato il grembo della Vergine al momento della sua nascita.

Omelia
Sulla vittoria sull’ultimo nemico

“L’ultimo nemico da distruggere è la morte” (1 Corinzi 15:26).

Il primo nemico dell’uomo è il diavolo, il secondo è il peccato e il terzo è la morte. Il Signore Gesù ha vinto tutti e tre questi nemici della razza umana. Con la sua umiltà, ha vinto il diavolo orgoglioso. Con la sua morte ha vinto il peccato e con la sua risurrezione ha vinto la morte. Vincendo tutti i nostri nemici, ci invita a partecipare alla sua gloriosa vittoria. Non solo conquistiamo, ma ci attacchiamo al vincitore. Solo la sua potenza vince, solo le sue armi abbattono. Noi siamo senza potere e senza armi, ma i nostri nemici sono temibili. Con Lui e accanto a Lui, conquistiamo chi è più forte di noi. Qual è il prezzo che Egli ci offre per la sua vittoria? Un prezzo misero, fratelli miei; per un prezzo molto misero ci offre la vittoria più preziosa. Umiliarci e sottometterci alla volontà di Dio, questo è il prezzo che Egli cerca per vincere il diavolo per noi. Morire a noi stessi, morire ai desideri e alle passioni della carne, questo è il prezzo che Egli cerca per vincere per noi. Vivere per Lui e non per noi stessi, accoglierlo nel nostro cuore, questo è il prezzo che Egli cerca per vincere la morte per noi. Ha vinto tutti i nemici apertamente e completamente. Questo è il prezzo per cui offre la sua vittoria a ciascuno di noi. L’apostolo Paolo dice: “Ma grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore, Gesù Cristo” (1 Corinzi 15:57).

O Signore risorto, illuminaci, rafforzaci e guariscici con la tua vittoria.




05 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

05 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. I SANTI MARTIRI AGATOPODO E TEODULO

Agatopodo era diacono e Teodulo era lettore nella chiesa di Tessalonica. Agatopodo era adornato dal grigiore dell’età e Teodulo dalla comprensione e dalla castità giovanile. Al tempo della caccia ai cristiani da parte di Diocleziano, furono convocati a corte. Essi risposero con gioia e, tenendosi per mano, camminarono gridando: “Siamo cristiani!”. Tutti i consigli dei giudici, che li invitavano a rinnegare Cristo e ad adorare gli idoli, rimasero vani. Dopo una lunga prigionia e la fame furono condannati a morte per annegamento in mare. Le loro mani furono legate dietro la schiena, una pesante pietra fu appesa al loro collo e furono condotti fuori per essere annegati. Quando per la prima volta vollero gettare Agatopodo negli abissi, egli gridò: “Ecco, con questo secondo battesimo siamo stati lavati da tutti i nostri peccati e in purezza partiamo verso Cristo Gesù”. Poco dopo, il mare gettò i loro corpi annegati sulla riva e i cristiani seppellirono i loro corpi con onore. San Teodulo apparve ai suoi conoscenti come un angelo luminoso in abiti scintillanti e ordinò loro di distribuire tutti i suoi beni rimasti ai poveri. Questi gloriosi e meravigliosi soldati di Cristo soffrirono onorevolmente durante il regno di Diocleziano e del principe tessalonicese Faustino nell’anno 303 d.C.

  1. IL VENERABILE MARCO DI TRACHE

È chiamato anche “Marco l’Ateniese” perché Atene fu il luogo della sua nascita. I suoi genitori morirono dopo che egli ebbe completato gli studi superiori ad Atene. Pensò che la morte, anche per lui stesso, fosse inevitabile e che ci si dovesse preparare a sufficienza in anticipo per una partenza onorevole da questo mondo. Distribuendo tutti i suoi averi ai poveri, si sedette su una tavola in mare e, con una fede tenace nell’aiuto di Dio, pregò che Dio lo dirigesse dove voleva. Dio, nella sua Provvidenza, lo protesse e lo portò in Libia (o Etiopia) su una montagna chiamata Trache. Su questa montagna Marco visse una vita ascetica per novantacinque anni, senza vedere né uomini né animali. Per trent’anni combatté violentemente con gli spiriti maligni e soffrì la fame, la sete, il gelo e il caldo. Mangiò terra e bevve acqua di mare. Dopo trent’anni di sofferenze durissime, i demoni sconfitti fuggirono da lui e un angelo di Dio cominciò a portargli ogni giorno del cibo sotto forma di pane, pesce e frutta. San Serapione lo visitò prima della sua morte e, in seguito, rese nota la vita miracolosa di Marco. Marco chiese a San Serapione: “C’è qualche cristiano al mondo che, se dicesse a questa montagna: “Alzati da qui e scagliati nel mare”, lo farebbe?”. In quel momento, la montagna su cui si trovavano si mosse in direzione del mare. Marco alzò la mano e lo fermò. Tale era il potere di fare miracoli che quest’uomo di Dio possedeva. Prima di morire, pregò per la salvezza dell’umanità e poi consegnò la sua anima a Dio. San Serapione vide gli angeli che portavano l’anima di Marco e vide anche una mano tesa dal cielo che la riceveva. San Marco visse fino a centotrenta anni e morì intorno all’anno 400 d.C.

Inno di lode
LA PREGHIERA DI SAN MARCO DI TRACHE

Ecco che scocca l’ultima ora sulla terra per me,
Vado dove il Signore splende al posto del sole,
Dalla veste polverosa e carnale me ne vado,
E per venire davanti al Tuo volto, o Cristo, io parto.
Solo un altro desiderio sulla terra, sto dispiegando
Davanti al Tuo Trono, con la preghiera penetro:
Per tutta l’umanità desidero la salvezza,
per tutti e per ciascuno, la libertà dal peccato.
Desidero che gli asceti virtuosi siano salvati,
e tutti i lavoratori diligenti nel Tuo campo.
Desidero che i prigionieri [per la fede], a causa tua, siano salvati,
per amore del Tuo amore, che si sacrificano,
E per i peccatori crudeli, che, violenza commettono
E per coloro che sopportano la violenza per amore Tuo,
Salvezza ai monasteri [Lavras] con monaci in abbondanza,
Salvezza ai fedeli, ai lacrimosi e ai poveri,
Salvezza alle chiese di tutto l’universo,
I pastori della Chiesa, a tutti come a me,
A tutti i servi di Dio e a tutte le ancelle,
che il mondo conosce o che si nascondono nella solitudine:
Salvezza ai battezzati e agli adottati,
Con lo Spirito vivificante di Dio, ravvivato:
Salvezza agli umili e ai misericordiosi,
Agli imperatori fedeli e ai principi fedeli.
Ad ogni cuore d’uomo, sano e infermo,
E salvezza al mio fratello Serapione.
O Signore potente, questo è il mio desiderio
e la mia ultima preghiera. Che sia la Tua volontà!

Riflessione
“Vivete come se non foste di questo mondo e avrete la pace”. Così parlava sant’Antonio ai suoi discepoli. Una lezione sorprendente ma veritiera. Ci procuriamo maggiori disgrazie e disagi quando desideriamo associarci e identificarci, per quanto possibile, con la permanenza in questo mondo. Ogni volta che una persona si ritira, per quanto possibile, da questo mondo e tutte le volte che contempla questo mondo come se esistesse senza di lui e quanto più profondamente si immerge nella riflessione sulla sua indegnità in questo mondo, si avvicinerà a Dio e avrà una pace spirituale più profonda. “Ogni giorno affronto la morte”, dice San Paolo (1 Corinzi 15,31), cioè ogni giorno sento che non sono in questo mondo. Per questo ogni giorno si sentiva un cittadino celeste nello spirito. Quando il torturatore Faustino chiese a San Teodulo: “La vita non è forse meglio di una morte violenta?”. San Teodulo rispose: “In effetti, anch’io penso che la vita sia migliore della morte. Per questo ho deciso di aborrire questa vita mortale e temporale, appena accennata sulla terra, per essere partecipe della vita eterna”.

Contemplazione
Contemplare la risurrezione del Signore Gesù:

  1. Come la terra ha tremato al Suo ritorno nel corpo come prima della Sua separazione dal corpo;
  2. Come gli angeli scesero nel sepolcro per servirlo come avevano sempre fatto quando Lui lo permetteva.

Omelia
Sull’adempimento della profezia.

“Perché non abbandonerai la mia anima al mondo sotterraneo, né lascerai che il tuo fedele subisca la corruzione” (Salmo 16,10).

Queste sono le parole, le luminose parole profetiche dell’ispirato discernitore del mistero. Davide parla di Cristo Signore, della sua anima e del suo corpo, cioè di ciò che è umano in lui. Che queste parole di Davide si riferiscano a Cristo risorto è stato testimoniato dall’apostolo Pietro nella sua prima predica subito dopo la discesa dello Spirito Santo: “Perché non abbandonerai l’anima mia al mondo sotterraneo e non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione” (Atti degli Apostoli 2,27). L’apostolo dice infatti: “A proposito del patriarca Davide, egli morì e fu sepolto e la sua tomba è tuttora in mezzo a noi” (Atti degli Apostoli 2,29). Non è possibile che queste parole si riferiscano a Davide, anche se Davide parla come se provenissero da lui e si riferissero a lui, ma piuttosto si riferiscono a un discendente di Davide secondo la carne. Il corpo di Davide è decomposto, così come i corpi degli altri suoi discendenti. Cristo, quindi, è il discendente di Davide nella carne, che non rimase nell’Ade né il suo corpo vide la corruzione. “Egli [Davide] prevedeva e parlava della risurrezione del Messia” (Atti degli Apostoli 2,31). Davvero una profezia luminosa! Davvero una mirabile previsione! Prima della risurrezione del Signore, queste parole dovevano suonare incomprensibili e irrazionali per tutti gli interpreti ebrei dei Salmi! Quando il sigillo sulla tomba viene rimosso, allora viene rimosso anche il sigillo delle molte profezie, totalmente oscure e poco chiare. Cristo risorge e i misteri diventano noti. Il sigillo della tomba viene rimosso non solo dal Suo corpo, ma anche dalle innumerevoli parole e visioni dei profeti. Cristo risorge e risorgono anche le parole profetiche. Scendendo nell’Ade, il Signore ha portato la luce celeste alle anime dei padri e dei profeti giusti. Con la sua risurrezione, ha portato le loro parole e visioni alla luce della comprensione e della verità. Cristo risorge e tutto ciò che è buono, giusto e veritiero, prima e dopo il mattino della risurrezione, risorge anch’esso.

O Signore risorto, mettici tra i cittadini risorti del tuo regno eterno.




4 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

04 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL VENERABILE GIUSEPPE L’INNOGRAFO

Giuseppe nacque in Sicilia da genitori pii e virtuosi, Plotino e Agata. Dopo la morte dei genitori, Giuseppe si trasferì a Tessalonica dove fu tonsurato monaco. Come monaco, fu un modello per tutti nel digiuno, nell’estrema moderazione, nella preghiera incessante, nel canto dei salmi, nelle veglie e nel lavoro. Il vescovo di Tessalonica lo ordinò sacerdote [ieromonaco]. Durante la visita a Tessalonica, l’illustre Gregorio Decapoli rimase così colpito da Giuseppe, per il suo carattere raro, che lo invitò nel suo monastero a Costantinopoli. Quando la fiamma dell’eresia iconoclasta divampò di nuovo sotto Leone V, l’armeno, Giuseppe fu inviato a Roma per invitare il Papa e la Chiesa romana a combattere per l’ortodossia. Durante il viaggio, Giuseppe fu catturato dai pirati e portato a Creta, dove gli eretici lo tennero in prigione per sei anni. Giuseppe si rallegrava di essere stato reso degno di soffrire per Cristo e, per questo, lodava continuamente Dio, considerando le catene di ferro che aveva addosso come un ornamento d’oro. Il mattino presto del giorno di Natale, nel sesto anno di prigionia di Giuseppe, il malvagio imperatore Leone fu ucciso in chiesa mentre assisteva alla messa. In quello stesso momento, San Nicola apparve a Giuseppe in prigione e gli disse: “Alzati e seguimi!”. Giuseppe si sentì sollevare in aria e, tutto d’un tratto, si trovò davanti alle porte di Costantinopoli. Tutti i veri credenti gioirono per la sua venuta. Compose canoni e inni per molti santi. Possedeva il “dono del discernimento”, per cui il patriarca Fozio lo nominò padre spirituale e confessore dei sacerdoti, raccomandandolo come “uomo di Dio, angelo in carne e ossa e padre dei padri”. In estrema vecchiaia, Giuseppe consegnò la sua anima al Signore, che servì fedelmente sia con le parole che con gli inni. Morì serenamente alla vigilia del Giovedì Santo e Grande dell’anno 883 d.C.

  1. LA SANTA MARTIRE PHERBUTHA, LA SORELLA VEDOVA E LA LORO SCHIAVA

Durante il regno dell’imperatore persiano Saborio, fu ucciso il vescovo San Simeone. Per volontà dell’imperatrice, Pherbutha, la sorella del vescovo Simeone, fu portata a palazzo. Pherbutha era eccezionalmente bella e per questo motivo molti pretendenti si accalcarono presso di lei, tra cui molti sacerdoti pagani e indovini. Pherbutha li respinse tutti e provocò molta rabbia contro di sé. A quel tempo, l’imperatrice si ammalò e tutti i sacerdoti pagani spiegarono all’imperatore che l’imperatrice era stata avvelenata da Pherbutha e, come cura per l’imperatrice malata, raccomandarono quanto segue: che Pherbutha, sua sorella e il loro schiavo, in quanto cristiani, venissero segati e che tre parti dei loro corpi venissero poste da un lato e tre parti dall’altro e che l’imperatrice venisse portata in mezzo a loro. L’imperatore accettò la raccomandazione di questi sacerdoti pagani assetati di sangue. Pherbutha, insieme a sua sorella e alla loro schiava, soffrì per Cristo nell’anno 343 d.C., guadagnandosi così la corona incorruttibile nel regno eterno del loro Signore.

  1. IL VENERABILE ZOSIMA

Zosima era un monaco della comunità monastica giordana durante il regno dell’imperatore Teodosio il Giovane. Fu lui a scoprire, amministrare la Santa Comunione e seppellire il corpo di Santa Maria Egiziaca. Morì nel Signore nel suo centesimo anno di vita, nel VI secolo.

  1. IL VENERABILE MARTIRE NICETA

Niceta era uno slavo dell’Albania. Come monaco della Santa Montagna (Monte Athos), si recò a Serres dove discusse con i mullah sulla religione. Non potendo vincere con la ragione, i turchi lo sottoposero a tortura e Niceta, il santo, morì e rese l’anima al suo Dio nel 1808 d.C.

Inno di lode
LA SANTA MARTIRE PHERBUTHA

La serva del Signore, la vergine Pherbutha,
come un agnello innocente, al macello, rimase in silenzio,
E non disse nemmeno: Guai! né disse: “Guai a me!
Ma con gioia accolse e sopportò le sofferenze.
Disprezzava le illusioni e le falsità terrene,
perché per lei il Signore era più caro del mondo intero,
Nella corte reale: la malattia e il vuoto
Senza la mirabile fede nel Figlio di Dio;
Tra gli indovini; le tenebre maledette
Senza la conoscenza del Creatore e del mondo celeste.
La bellezza della carne – una pietra d’inciampo,
Senza l’amore di Dio, la fede e la speranza
Perciò Pherbutha si sacrificò totalmente per Cristo,
Al mondo ha consegnato tutto, tranne la sua anima pura.
La sua gabbia corporea è stata schiacciata dal tormentatore.
Ma l’anima vivente non può essere schiavizzata;
La gabbia [il suo corpo] è stata tagliata; l’anima fugge in Paradiso,
nella vera libertà dalla falsa libertà.
Il sangue schizzò sulla terra e il corpo divenne terra,
E, nell’eternità, Pherbutha rimase viva.

Riflessione
Chi glorifica Dio, anche Dio lo glorifica. Questo è stato mostrato chiaramente e abbondantemente nella vita dei santi. San Giuseppe l’Innografo, infatti, ha glorificato Dio nelle opere, nelle sofferenze e negli inni. Dio lo ha glorificato sia in questa vita che dopo la morte. Durante la sua vita, il Santo Padre Nicola gli apparve in prigione e lo liberò. Quando San Giuseppe si chiedeva se dovesse comporre un Canone all’apostolo Bartolomeo, quest’ultimo gli apparve in paramenti radiosi e disse a Giuseppe che era ben accetto a Dio che componesse questo Canone. Quando San Giuseppe morì, un cittadino di Costantinopoli venne a conoscenza della gloria con cui Dio glorificava il suo eletto. Quest’uomo era entrato nella chiesa di San Teodoro Fanariota per supplicare il santo di rivelargli dove si era nascosto uno dei suoi servi fuggiti. Poiché San Teodoro era conosciuto tra la gente come un santo che rivela dove si trova qualcosa che è stato perso o rubato, fu chiamato Fanariota, che significa Rivelatore. Per tre giorni e tre notti, quest’uomo pregò e, non ricevendo risposta dal santo, volle andarsene. In quel momento, San Teodoro gli apparve in visione dicendo: “Perché ti arrabbi, o uomo? L’anima di Giuseppe l’Innografo si stava separando dal corpo e noi eravamo con lui. Quando è morto questa notte, tutti noi, che lui ha glorificato negli inni, abbiamo tradotto la sua anima in cielo e l’abbiamo posta davanti al Volto di Dio. Ecco perché ho tardato a presentarmi a voi”.

Contemplazione
Contemplare la risurrezione del Signore Gesù:

  1. Come la sua anima è tornata dall’Ade nel suo corpo;
  2. Come Egli, per la sua potenza divina, con la quale ha risuscitato altri corpi morti, ha risuscitato il proprio corpo.

Omelia
Sulla Chiesa come corpo del Signore

“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (San Giovanni 2:19).

Così parlò il Signore ai malvagi Giudei a proposito del “Tempio del suo corpo” (San Giovanni 2:21). Ma poiché ai malvagi non è dato di capire nulla, anche i Giudei non capirono e si fecero beffe di Lui. Il Signore non li rimproverò per questo, ma per quello che disse, e che si verificò. I Giudei distrussero il Suo corpo, ma Egli lo restaurò di nuovo e lo risuscitò in gloria e potenza. Gli empi punirono Dio con la distruzione, ma Dio rimproverò gli empi con la restaurazione. Per i malvagi è una soddisfazione poter mostrare il proprio potere uccidendo, ma per Dio è una gioia mostrare il proprio potere dando la vita. Non c’è nulla di così effimero come il trionfo del male né di così duraturo come il trionfo della verità.

“Distruggete questo tempio”. Il Signore si riferiva al suo corpo come alla Chiesa. Distrutta, quella Chiesa è stata ammassata in una tomba buia e, per mezzo di una pesante pietra, ha impedito alla luce di accedervi. Ma quella Chiesa non aveva bisogno della luce del sole. Aveva la propria luce, il proprio Sole di giustizia, che brillava dall’interno. La tenera mano celeste rimosse la pietra dal sepolcro e il Signore risuscitò nella gloria e nella potenza. Ciò che è accaduto una volta al Corpo tutto puro di Cristo, si è verificato molte volte in seguito alla Chiesa dei santi sulla terra. I nemici della Chiesa la perseguitarono crudelmente e la tormentarono, la demolirono e la seppellirono nelle tenebre. Ma la Chiesa, dopo tali contusioni e confino, risuscitò di nuovo con maggiore gloria e potenza. Come è risorta la Chiesa del Suo Corpo, così risorgerà alla fine dei tempi la Chiesa dei Suoi santi, in pienezza e perfezione.

O Signore risorto, non consegnarci alla decadenza e alla morte eterna, ma risuscitaci alla vita eterna.




3 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

03 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SAN NICETA IL CONFESSORE

Niceta nacque in Bitinia, nella città di Cesarea. Suo padre, Filaret, dopo la morte della coniuge, fu tonsurato monaco, mentre Niceta rimase con la nonna paterna. Dopo aver raggiunto la maturità e completato tutti gli studi, Niceta entrò nel monastero di Medikion, dove l’abate Niceforo lo tonsurò monaco. Dopo sette anni di privazioni e mortificazioni, il patriarca Tarasio lo ordinò sacerdote (ieromonaco). Dopo la morte dell’abate Niceforo e di Atanasio, il fedele compagno di Niceta, la fraternità monastica lo elesse abate, contro la sua volontà. San Niceta fu per molti anni un santo esempio e un modello di vita e di ascesi per i suoi confratelli. Quando Leone V, l’armeno, fu incoronato imperatore, dopo la pia Irene e gli imperatori credenti Niceforo e Michele, la lotta iconoclasta si accese nuovamente. L’imperatore depose il patriarca Niceforo e successivamente lo esiliò e, al suo posto, elevò l’eretico Teodoto Cassiteras, un uomo dalla vita impura. Anche Niceta fu imprigionato e torturato, ma rimase saldo nella sua ortodossia. Fu condotto di prigione e soffrì fame, sete, brividi, caldo opprimente e scherno. Non si permise di vacillare. Ciò che lo infastidiva particolarmente erano le risate e il disprezzo di un certo Nicola. Una notte, il padre defunto di Nicola gli apparve in sogno e rimproverò Nicola dicendo: “Allontanati da Niceta, il servo di Dio”. Da quel momento Nicola si pentì e non infastidì più il santo e allontanò anche gli altri dall’infastidirlo. Quando Leone V, l’Armeno, ebbe una morte malvagia, l’impero fu preso in mano dall’imperatore ortodosso Michele, il Balbuziente, che liberò tutti i sofferenti ortodossi. Niceta si ritirò allora in un luogo isolato vicino a Costantinopoli, dove, in preghiera e ringraziando Dio per tutti, trascorse i restanti giorni della sua vita terrena. Durante la sua vita operò molti miracoli attraverso la preghiera. Alla sua morte il corpo fu traslato nel suo monastero. Al momento della processione funebre, molti malati che si erano avvicinati e avevano toccato il suo corpo furono guariti. Le sue reliquie furono poste accanto alla tomba di Niceforo, suo padre spirituale, e di Atanasio, suo compagno. Questo grande gerarca morì nell’anno 824 d.C.

  1. SAN PAOLO, IL DOLENTE

Paolo era russo di nascita. In gioventù fu ridotto in schiavitù dai Turchi. Non volendo rinnegare la fede di Cristo e abbracciare l’Islam, fu torturato e ucciso di spada a Costantinopoli nell’anno 1683 d.C.

  1. IL SANTO MARTIRE ULFIANO

Ulpiano era un giovane della città di Tiro. Soffrì per Cristo per mano di Urbano, sindaco della città di Tiro, che era anche il torturatore di Anfiano [2 aprile]. Infine, fu legato in un sacco insieme a un cane e a un serpente e gettato in mare. Soffrì e fu glorificato nell’anno 306 d.C.

Inno di lode

SAN PAOLO APOSTOLO

SAN NICETA IL CONFESSORE

“Io porto le ferite di Cristo sul mio corpo”. (*)

“E solo nella croce del Signore mi vanto”. (**)

Così disse Paolo, l’apostolo eletto,

Dopo di lui segue una compagnia di coloro che si sono già pentiti,

una compagnia di pentiti, che hanno ricevuto le ferite

e in molte sofferenze hanno trascorso i giorni,

per amore del Cristo vivente, Salvatore e Signore,

come fece san Paolo, l’apostolo delle genti.

E Niceta, il meraviglioso, portò la pesante croce,

Soffrendo e disprezzando Cristo, sopportò.

Un corpo fragile, ma uno spirito d’acciaio

In Niceta il santo, martire coraggioso.

L’imperatore conquistò e gli imperi sopravvissero,

Per questo la terra e i cieli si stupiscono di lui.

Ora, tra gli angeli sposati nella gloria

Egli aiuta tutti coloro che, per la Croce, sono perseguitati.

Davanti a Dio sale la sua preghiera,

e sulla terra scende il suo aiuto.

(*) Galati 6:17

(**) Galati 6:14

Riflessione
“Io mi aspetto mille morti per me stesso”, scriveva Sant’Atanasio il Grande al suo gregge in Egitto al tempo della terribile eresia ariana. Ogni uomo religioso può dire questo di sé che, nello spirito, ha guardato e visto la rete in cui è contenuta ogni anima umana in questo mondo. Più un uomo è spirituale, più la rete diventa fitta. Questa è la volontà di Dio: che i più spirituali si salvino per la via più stretta. Anche il salmista Davide dice: “Molte sono le afflizioni del giusto” (Salmo 34,19). Tuttavia, alla fine, la vittoria e la gloria appartengono ai giusti. Basta armarsi di fede e di pazienza. Chi crede comprende anche la propria sofferenza. Chi si riveste di pazienza, vedrà la vittoria e la gloria. Per chi ama il Signore, anche il sentiero più stretto è sufficientemente largo, il dolore più grande un giogo facile e la morte più violenta un gioioso banchetto di nozze.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nell’Ade:

  1. Come è sceso nell’Ade con grande potenza, tanto da far tremare l’Ade;
  2. Come gli spiriti maligni, allora signori dell’Ade, fuggono davanti al suo volto;
  3. Come le anime dei giusti antenati e dei profeti si rallegrano oltremodo per la Sua venuta.

Omelia
Sul grande desiderio di Dio

“che vuole che tutti siano salvati” (1 Timoteo 2,4).

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, per questo è sceso nell’Ade per salvare coloro che vivevano sulla terra prima della sua venuta. Infatti, se non fosse sceso nell’Ade, un numero enorme di anime giuste sarebbe morto per sempre. E ancora, se non fosse sceso nell’Ade, principale habitat del male contro Dio e il genere umano, l’Ade sarebbe rimasto indistruttibile. Pertanto, le due ragioni che hanno spinto Cristo, il Datore di Vita, a scendere nell’Ade nello Spirito sono: Primo, distruggere il nido delle potenze dell’Ade e, secondo, portare dall’Ade al Cielo le anime degli antenati, dei profeti e degli uomini e donne giusti che hanno adempiuto all’Antica Dispensazione (l’Antica Legge di Dio) e, per questo, sono piaciuti a Dio. Prima che Satana fosse totalmente esultante nel vedere Cristo umiliato e senza vita sulla croce, Cristo apparve vivo e onnipotente in mezzo all’Ade, la dimora principale di Satana. Che notizia inaspettata e terribile per Satana! Per tre anni Satana ha ordito insidie contro Cristo sulla terra e in tre giorni, ecco, Cristo ha distrutto il regno di Satana e ha portato via il bottino più prezioso sotto forma di un nugolo di anime giuste.

O Signore, Tu vuoi che tutti gli uomini siano salvati. Ti preghiamo: salva anche noi. Perché non c’è salvezza né Salvatore al di fuori di Te. In Te speriamo, Te solo adoriamo, Tu, con il Padre e il Santo Spirito, ora e sempre. Amen.




2 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

02 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL VENERABILE TITO, L’OPERATORE DI MIRACOLI

Fin dalla giovinezza, Tito amò Cristo Signore e detestò le vanità del mondo. Per questo si ritirò dal mondo, entrò in un monastero e ricevette il Grande Abito Angelico [Il Grande Schema – Il Volto Angelico]. Non provando alcun rimorso, si dedicò al cupo e stretto sentiero del monachesimo. Attraverso una grande pazienza, raggiunse due virtù fondamentali: l’umiltà e l’obbedienza. In queste virtù superò “non solo i fratelli, ma anche tutti gli uomini”. Fin dalla giovinezza conservò la purezza dell’anima e del corpo. Al tempo dell’eresia iconoclasta si dimostrò un pilastro incrollabile della Chiesa di Dio. Per la sua grande umiltà e purezza, Dio gli concesse il dono di compiere miracoli, sia in vita che dopo la sua morte. Quando fu tradotto al Signore, lasciò un innumerevole numero di discepoli. Morì serenamente nel IX secolo.

  1. I SANTI MARTIRI ANFIANO ED EDESIO

Questi due giovani erano fratelli di sangue della città di Patara, di genitori illustri ma pagani. Mentre studiavano le scienze secolari nella città di Beirut, furono illuminati dallo Spirito di Dio e, riconoscendo la falsità del paganesimo, scoprirono la verità del cristianesimo. Tornati in patria, non potendo più vivere con i loro genitori e parenti pagani, si rifugiarono segretamente a Cesarea, in Palestina, presso il presbitero Panfilo, noto per la sua santità e la sua cultura spirituale. Con Panfilo studiarono la Legge di Dio giorno e notte e praticarono l’ascetismo cristiano. Di Panfilo si dice che aveva vent’anni secondo la carne, ma che, per comprensione e generosità, ne aveva cento. Quando iniziò una persecuzione durante il regno di Massimiano, molti cristiani fuggirono dalla città e si nascosero. Altri, volentieri e con gioia, si diedero nelle mani dei persecutori per soffrire per il Nome di Colui che per primo aveva sofferto per loro. Anfiano era tra questi ultimi. Senza paura, entrò in un tempio pagano dove il principe Urbano stava offrendo sacrifici agli idoli, afferrò il principe per la mano che reggeva il sacrificio e gli gridò di astenersi dal servire e fare offerte sacrificali agli idoli morti e di riconoscere il vero Dio. Alcuni dei pagani, udite queste parole e visto il grande coraggio di Anfiano, si pentirono e abbracciarono la fede di Cristo. Il principe infuriato sottopose Anfiano a tortura. Tra le altre torture, avvolsero le gambe di Anfiano con del cotone e gli diedero fuoco. Quando rimase vivo, gettarono il suo corpo in mare con una pietra al collo. Il mare si agitò e scagliò il suo corpo martirizzato verso la città. Invece, in un primo momento, Edesio fu mandato in una miniera di carbone in Palestina e poi fu portato in Egitto. Ad Alessandria, Edesio fu riempito di santo zelo contro un certo principe Gerocle che, nella piazza del mercato, radunava monache, fanciulle e donne virtuose cristiane e le consegnava ai più vergognosi pervertiti per deriderle. Edesio, pieno di santo zelo, colpì il vergognoso principe. Per questo fu torturato e annegato in mare, così come suo fratello Anfiano. Come due agnelli innocenti, furono sacrificati per Cristo intorno all’anno 306 d.C. e furono tradotti nelle gloriose dimore del Signore.

Inno di lode
SANTI ANFIANO ED EDESIO

Come sacrificio, due fratelli si sono offerti a Dio,
disprezzando il mondo in decomposizione, un cadavere morto,
Anfiano ed Edesio, fratelli di sangue,
nelle sofferenze, fratelli meravigliosi, graditi a Cristo.
Chi ha fede in Dio, non apprezza il mondo,
Per un’anima morta, il mondo può sostituire Dio.
Chi ha amore per Cristo, della morte non ha paura,
Tra gli immortali e anche prima della morte, è già annoverato.
Chiunque consideri la morte come una fine tetra, una fine ingloriosa,
deve considerarsi schiavo della disperazione.
La morte; i martiri la consideravano il velo del cielo,
Un esempio che hanno dato; che non è necessario temere la morte.
Non temere, o uomo, che non ci sia il cielo.
ma temere il terribile giudizio che il cielo prepara.
Per un peccatore sarebbe più facile se il cielo non esistesse,
Per questo il peccatore si interroga con rabbia:
Ma il cielo, dov’è?
O peccatore, il cielo non è lì, dove sei tu,
Insieme, tu e il cielo non sarete mai.

Riflessione
“È meglio essere un sempliciotto e avvicinarsi a Dio con amore che essere un saputello e, allo stesso tempo, essere un nemico di Dio”. Queste sono le parole del sacerdote-martire San Ireneo di Lione. La verità di queste parole è stata confermata in tutti i tempi ed è confermata anche nel nostro tempo. A questo va aggiunta una cosa: gli amanti di Dio non sono dei sempliciotti, perché conoscono Dio abbastanza bene da poterlo amare. Di tutte le conoscenze umane, questa conoscenza è più importante e più grande. A questo si deve aggiungere che i nemici di Dio non possono essere più sapienti, anche se si considerano tali, perché la loro conoscenza è inevitabilmente caotica, perché non ha una fonte e non ha un ordine. Perché la fonte e l’ordine di ogni conoscenza è Dio. Alcuni santi, come Paolo il Semplice, non sapevano né leggere né scrivere, eppure con la forza del loro spirito e del loro amore divino superavano il mondo intero. Chi si avvicina a Dio con amore, non è capace di commettere reati. La conoscenza senza amore verso Dio è motivata dallo spirito di criminalità e di guerra. Sant’Eutimio il Grande insegnava: “Abbiate amore, perché come il sale è per il cibo, l’amore è per ogni virtù”. Ogni virtù è insapore e fredda se non è condita e riscaldata dall’amore divino.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nell’Ade:

  1. Come il suo piano di salvezza sia onnicomprensivo, abbracciando tutte le generazioni e tutte le epoche, dall’inizio alla fine;
  2. Come sia venuto sulla terra in carne e ossa, non solo per coloro che vivevano allora sulla terra, ma anche per coloro che vivranno e per coloro che sono vissuti;
  3. Come Egli, mentre il Suo corpo senza vita giaceva nel sepolcro, discese nell’Ade con la Sua anima e annunciò la salvezza e la redenzione ai prigionieri.

Omelia
Sul Dio vivente e sui suoi figli viventi

“Dunque, sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Signore” (Romani 14,8).

Di chi siamo mentre viviamo? Siamo del Signore. Di chi siamo dopo la morte? Siamo del Signore. Di chi sono i giusti? Sono del Signore. Di chi sono i peccatori? Sono del Signore. Il Signore abbraccia tutti, sia i vivi che i morti, quelli del passato, quelli del presente e quelli del futuro. Nessuno è così onnicomprensivo come il Signore Gesù. Chi, tra i cosiddetti filantropi dell’umanità, insegnanti, leader o illuminatori, ha mai tentato di fare del bene ai morti? Si può rispondere con decisione: mai e nessuno! Questo solo pensiero sarebbe ridicolo anche agli occhi del mondo: fare qualcosa di buono per i morti? Questo diverte tutti coloro che pensano che la morte sia più potente di Dio e che ciò che la morte inghiotte sia distrutto per sempre. Preoccuparsi dei morti, fare del bene ai morti ha cessato di essere divertente dopo la rivelazione del Signore Gesù, che ha rivelato di essere Dio, il Dio dei vivi; che ha rivelato nelle sue opere, scendendo nell’Ade per redimere e salvare le anime dei giusti dal tempo di Adamo fino alla sua morte sulla croce.

Onnipotente è il nostro Signore, Onnipotente che, con il Suo pensiero perspicace, riflette su tutti e vede tutti i nati di donna, quelli che sono sopra le tombe e quelli che sono nelle tombe. Lo stesso vale per il Suo amore, perché abbraccia tutte le anime dei giusti, indipendentemente dal tempo e dal luogo che le nascondono. Infine, anche con le sue fatiche, perché lavora per tutti loro, per redimerli, per salvarli, per condurli nel regno e per glorificarli davanti al suo Padre celeste, allo Spirito vivificante e alle miriadi di angeli santi.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




1 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

01 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SANTA MARIA EGIZIACA

La biografia di questa meravigliosa santa è stata scritta da San Sofronio, patriarca di Gerusalemme. Una volta, durante L’Onorato Digiuno (stagione quaresimale), un certo ieromonaco, l’anziano Zosima, si ritirò nel deserto oltre il Giordano, per un cammino di venti giorni. Improvvisamente scorse un essere umano dal corpo nudo e avvizzito, con i capelli bianchi come la neve, che iniziò a fuggire alla vista di Zosima. L’anziano corse a lungo, finché questa persona si accovacciò in un ruscello e gridò: “Abba Zosima perdonami per amore del Signore. Non posso affrontarti perché sono una donna nuda”. Zosima allora le gettò la sua veste esterna che lei avvolse su se stessa e poi si mostrò a lui. L’anziano si spaventò sentendo pronunciare il suo nome dalla bocca di questa donna che non conosceva. In seguito alle sue prolungate insistenze, la donna raccontò la sua vita. Era nata in Egitto e all’età di dodici anni aveva iniziato a vivere una vita dissoluta ad Alessandria d’Egitto, dove aveva trascorso diciassette anni in questo stile di vita perverso. Spinta dalla fiamma adultera della carne, un giorno si imbarcò su una nave diretta a Gerusalemme. Arrivata nella Città Santa, voleva entrare in Chiesa per venerare l’Onorevole Croce, ma una forza invisibile la trattenne e le impedì di entrare in Chiesa. Con grande timore, fissò l’icona della Tuttasanta Madre di Dio nel vestibolo e pregò che le fosse permesso di entrare in chiesa per venerare la Croce Onorata, confessando al contempo la sua peccaminosità e impurità e promettendo che sarebbe andata ovunque la Tuttasanta l’avrebbe indirizzata. Le fu quindi permesso di entrare in Chiesa. Dopo aver venerato la Croce, entrò nuovamente nel vestibolo e, davanti all’icona, rese grazie alla Madre di Dio. In quel momento sentì una voce che le disse: “Se attraverserai il Giordano troverai la vera pace!”. Immediatamente acquistò tre pani e si mise in cammino verso il Giordano, dove arrivò la sera stessa. Il giorno dopo ricevette la Santa Comunione nel Monastero di San Giovanni e attraversò il fiume Giordano. Rimase nel deserto per quarantotto anni con grande tormento, paura e lotta con pensieri appassionati come con le bestie selvatiche. Si nutriva di vegetazione. In seguito, quando si mise a pregare, Zosima la vide levitare nell’aria. Lo pregò di portarle la Santa Comunione l’anno successivo sulla riva del Giordano, dove lei sarebbe venuta a riceverla. L’anno successivo, Zosima arrivò sulla riva del Giordano di sera con la Santa Comunione. Si chiese come questa santa avrebbe attraversato il Giordano. In quel momento, alla luce della luna, la vide mentre si avvicinava al fiume, si faceva il segno della croce e camminava sull’acqua come se fosse sulla terraferma. Dopo che Zosima le ebbe amministrato la Santa Comunione, lei lo pregò di tornare l’anno successivo allo stesso ruscello dove si erano incontrati per la prima volta. Zosima arrivò e scoprì il suo corpo senza vita in quel punto. Sopra la sua testa, nella sabbia, c’era scritto: “Abba Zosima, seppellisci il corpo dell’umile Maria in questo luogo; rendi polvere alla polvere”. Sono morta il 1° aprile, la stessa notte della sofferenza salvifica di Cristo, dopo aver ricevuto la Comunione dei Misteri Divini”. Da questa iscrizione Zosima apprese per la prima volta il suo nome e l’altro impressionante miracolo fu che lei, in quella stessa notte dell’anno precedente, quando ricevette la Santa Comunione, arrivò a questo ruscello che gli richiese venti giorni di viaggio. Così, Zosima seppellì il corpo di questa meravigliosa santa, Maria l’Egiziana. Quando tornò al monastero, Zosima raccontò tutta la storia della sua vita e i miracoli di cui era stato personalmente testimone. Così il Signore sa come glorificare i peccatori penitenti. Santa Maria viene commemorata anche nella quinta domenica del digiuno (quinta domenica di Quaresima). La Chiesa la tiene come esempio per i fedeli durante questi giorni di digiuno, come stimolo al pentimento. Morì intorno all’anno 530 d.C.

BIOS SANTA MARIA EGIZIACA, Teandrico

  1. SAN MELITONE, VESCOVO DI SARDI IN ASIA MINORE

Melitone fu un celebre pastore della Chiesa del II secolo. Governando con grande abilità, si sforzò di raccogliere tutti i libri della Sacra Scrittura in un unico Codice. Con la sua mitezza e pietà, Melitone si adoperò nuovamente per riportare la pace nella Chiesa di Laodicea, persa per la controversia sulla celebrazione della Pasqua (Festa della Risurrezione). Inoltre, difese il cristianesimo contro i pagani. Si recò a Roma intorno al 170 d.C. e presentò all’imperatore Marco Aurelio un’Apologia (difesa) della fede e della Chiesa cristiana. San Melitone, quest’uomo colto, pio e zelante, morì serenamente nel Signore nell’anno 177 d.C.

  1. VENERABILE PROCOPIO, IL CECO

Procopio nacque a Hotish, nell’odierna Repubblica Ceca. Fu ordinato sacerdote e si ritirò su una montagna per vivere secondo il modello degli eremiti orientali. Il duca (Herceg) Ulrich si imbatté casualmente in Procopio e lo aiutò a fondare il monastero di San Giovanni il Precursore presso il fiume Sazava. Questo sant’uomo morì nell’anno 1053 d.C.

Inno di lode
SANTA MARIA L’EGIZIANA

Penitente meravigliosa, tormentatrice di se stessa,
Maria si è nascosta dal volto degli uomini.
Oh sì, me peccatore,
dalla passione, oscurato.
Le passioni sono bestie che divorano il nostro cuore,
in noi come serpenti, segretamente fanno il nido.
Oh sì, me peccatore,
dalla passione consumato!
Per salvare i peccatori hai sofferto, o Cristo,
Ora, non disprezzare me impuro!
Ascolta il grido di Maria,
di tutti, la più peccatrice!
Il Signore ha avuto compassione, ha guarito Maria,
La sua anima oscurata, Egli ha imbiancato come neve.
Grazie a Te, o Tutto-Buono,
Oh Signore, carissimo!
Un vaso impuro Tu hai purificato,
con l’oro l’hai indorato,
l’hai riempito fino a traboccare della Tua grazia.
Questa è la vera misericordia,
A te, o Dio, sia gloria!
E Maria divenne raggiante di Spirito
Come un angelo di Dio, con la sua forza,
Per la tua potenza, o Cristo
Misericordia, purissima!
Cosa c’è di così profumato nella natura selvaggia,
come un buon incenso in uno scrigno del tempio?
Quello che Maria respira.
Con la santità che emana!

Riflessione
Perché si parla e si scrive molto delle sofferenze di uomini e donne santi? Perché solo i santi sono considerati vincitori. Si può essere vincitori senza conflitto, dolore e sofferenza? Nel normale combattimento terreno, nessuno può essere considerato vittorioso o eroico se non ha combattuto, non si è torturato o sofferto molto. Tanto più nel combattimento spirituale, dove la verità è nota e dove la vanagloria non solo non aiuta, ma anzi la ostacola. Chi non combatte per amore di Cristo, né con il mondo, né con il diavolo, né con se stesso, come può essere annoverato tra i soldati di Cristo? E come può esserlo con i co-vittoriosi di Cristo? Santa Maria parlò del suo selvaggio combattimento spirituale all’anziano Zosima: “Per i primi diciassette anni in questo deserto ho lottato con i miei desideri sessuali squilibrati come con bestie feroci. Desideravo mangiare carne e pesce, che avevo in abbondanza in Egitto. Desideravo anche bere vino e qui non avevo nemmeno acqua da bere. Desideravo ascoltare canti lussuriosi. Piangevo e mi battevo il petto. Pregai la Madre di Dio tutta pura di scacciare da me questi pensieri. Quando ebbi pianto e battuto il petto a sufficienza, vidi una luce che mi avvolgeva da tutte le parti e una certa pace miracolosa mi riempì”.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nella morte:

  1. Come giaceva nella tomba il corpo senza vita di Colui che, vivendo, ha dato la vita ai morti;
  2. Come anche nella morte l’odio dei suoi nemici si scatenò contro di Lui;
  3. Come i suoi discepoli si rinchiusero in una casa “per paura dei Giudei” (S. Giovanni 20:19).

Omelia
Sull’adempimento della grande profezia

“Come un agnello condotto al macello” (Isaia 53,7).

Nel corso dei secoli il perspicace profeta Isaia ha previsto l’impressionante sacrificio sul Golgota. Da lontano vide il Signore Gesù Cristo condotto al macello come un agnello è condotto al macello. Un agnello si lascia condurre al macello come si conduce al pascolo: indifeso, senza paura e senza malizia. Così Nostro Signore Cristo è stato condotto al macello senza difese, senza paura e senza malizia. Né Egli dice: “Uomini, non fate questo!”. Né domanda: “Perché mi fate questo?”. Non condanna nessuno. Né protesta. Né si arrabbia. Né pensa male dei suoi giudici. Quando il sangue si è versato su di Lui dalla corona di spine, è rimasto in silenzio. Quando il suo volto fu sporcato dagli sputi, tacque. Quando la sua croce divenne pesante lungo il cammino, Egli sopportò. Quando il suo dolore divenne insopportabile sulla croce, non si lamentò con gli uomini, ma con il Padre. Quando ha esalato l’ultimo respiro, ha rivolto il suo sguardo e il suo sospiro verso il cielo e non verso la terra. Perché la fonte della sua forza è il cielo e non la terra. La fonte della sua consolazione è in Dio e non negli uomini. La sua vera patria è il Regno celeste e non quello terreno.

“Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (San Giovanni 1,29). Questo fu il primo grido di San Giovanni Battista quando vide il Signore. Ed ecco, ora sul Golgota quella profezia si è compiuta. Ecco, sotto il peso dei peccati del mondo intero, l’Agnello di Dio giaceva sgozzato e senza vita.

O fratelli, questo è un sacrificio costoso anche per i nostri peccati. Il sangue di questo Agnello mite e senza peccato era destinato a tutti i tempi e a tutte le generazioni, dalla prima all’ultima persona sulla terra. Anche Cristo ha provato i dolori sulla croce per i nostri peccati, anche quelli di oggi. Ha pianto anche nell’orto del Getsemani per la nostra malvagità, la nostra debolezza e il nostro peccato. Ha anche destinato il suo sangue per noi. Fratelli, non disprezziamo questo prezzo indescrivibile con cui siamo stati riscattati. Grazie a questi sacrifici di Cristo, infatti, abbiamo un certo valore come persone. Senza questi sacrifici, o se li rinneghiamo, il nostro valore, da solo, non vale nulla. È pari a un fumo senza fiamma o a una nuvola senza luce.

O Signore, ineguagliabile nella misericordia, abbi pietà anche di noi!




31 MARZO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

31 marzo secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL SACERDOTE-MARTIRE IPAZIO VESCOVO DI GANGRA

Ipazio nacque in Cilicia e fu vescovo di Gangra. Era presente al primo Concilio ecumenico [Nicea, 325 d.C.] ed era famoso in tutto il mondo per la sua vita pia e santa e per i suoi miracoli. L’imperatore Costanzo ordinò che venisse fatto un ritratto di Ipazio durante la sua vita. L’imperatore conservava questo simulacro nel suo palazzo come arma contro tutte le potenze avverse. Una volta, di ritorno da Costantinopoli, Ipazio fu attaccato in una stretta gola dagli eretici Novaziani e, insieme ad altri, fu scaraventato a terra nel fango. In quel momento una donna del gruppo lo colpì alla testa con una pietra e, così, il santo morì. Immediatamente quella donna impazzì e prese quella stessa pietra e si colpì con essa. Quando la portarono alla tomba di Sant’Ipazio, questi intercedette presso Dio in suo favore. La donna fu guarita dalla grande anima compassionevole di Ipazio e visse il resto della sua vita nel pentimento e nella preghiera. Sant’Ipazio morì e prese dimora nel Regno eterno di Cristo Dio, nell’anno 326 d.C.

  1. SAN GIONA, METROPOLITA DI MOSCA

Giona nacque nella provincia di Kostrom. Nel dodicesimo anno di età fu tonsurato monaco e come tale visse a lungo nel monastero di Simonov a Mosca. Al tempo del metropolita Fozio, Giona divenne vescovo di Ryazn. Alla morte di Fozio, Giona fu eletto metropolita e inviato al patriarca di Costantinopoli per l’approvazione e la consacrazione. Allo stesso tempo, Isidoro, di origine bulgara, superò Giona e arrivò prima di lui a Costantinopoli e fu consacrato metropolita dei russi. Giona tornò alla sua cattedrale di Ryazn. Isidoro, il maligno, terminò la sua incombenza della sede metropolitana in modo nefasto. Isidoro partecipò al Concilio di Firenze [1439 d.C.] e poi, dopo tre anni, tornò a Mosca. Tutti lo attaccarono come apostata dall’Ortodossia e lo bandirono. Non si sa dove finì la sua vita. Giona, il pastore buono e saggio, salì al trono della sede metropolitana. Era un grande operatore di miracoli, “un discernitore” e un direttore spirituale. Quando gli Agariani circondarono Mosca, Giona li respinse con le sue preghiere. Negli ultimi anni desiderò di essere colpito da una malattia per poter soffrire e, attraverso il dolore, purificarsi completamente prima della sua partenza per l’altro mondo. Secondo i suoi desideri, Dio permise una piaga al piede, che fu preceduta da una visione a un certo sacerdote, Giacomo. Il santo morì a causa di queste ferite e prese dimora tra i cittadini celesti il 31 marzo 1461 d.C. Sulle sue reliquie si sono verificati molti miracoli. Un certo muto, di nome Giovanni, fu portato davanti alle reliquie del santo. Giovanni baciò la mano di Giona e, come raccontò in seguito, la mano lo afferrò per la lingua ed egli sentì un forte dolore. Quando la mano liberò la lingua, Giovanni tornò dalle persone che lo avevano portato e cominciò a parlare come se non fosse mai stato muto.

  1. IL SACERDOTE-MARTIRE AUDAS

Audas era un vescovo della città di Susa. Fu decapitato per Cristo nell’anno 418 d.C. in Persia dall’imperatore Yezdegird. Il suo diacono, San Beniamino, fu rilasciato dagli aguzzini con l’intesa che non avrebbe mai più predicato il Vangelo. All’inizio egli accettò, ma Beniamino non riuscì a sostenere questo nel suo cuore e continuò a diffondere la verità di Cristo tra la gente. Per questo Beniamino fu catturato e ucciso tre anni dopo San Audas, nell’anno 421 d.C.

  1. IL VENERABILE APOLLONIO

Apollonio era un famoso asceta egiziano. Nel suo quindicesimo anno di vita rinunciò al mondo e si ritirò su una montagna dove visse per quarant’anni nutrendosi di vegetazione. In seguito, fondò un monastero in cui vivevano cinquecento monaci. Morì serenamente nell’anno 395 d.C.

Inno di lode
VERITÀ

Conoscere la verità, comanda il Signore,
Chi conosce la verità, non si lascia schiavizzare.
Ai fedeli la verità dà la libertà,
e con la verità i fedeli dominano il mondo.
La falsità e la schiavitù sono come una sorgente e un fiume,
La falsità, perennemente in schiavitù, tiene il bugiardo.
La falsità è l’oscurità di mezzanotte che porta fuori strada
e per questa via conduce gli uomini nell’abisso.
La falsità incatena con la paura, la paura di tutti,
degli uomini, del mondo e dei demoni malvagi.
La verità è la luce che disperde le tenebre
e concede la libertà allo schiavo avvilito,
libertà dagli uomini, libertà dal mondo,
Libertà dalla paura e dai demoni maledetti.
Chi riconosce la verità, riceve la libertà,
Con la libertà, anche l’autorità su tutti gli avversari.
La culla per la libertà, la verità prepara,
perché senza verità non c’è vera libertà.

Riflessione
San Giovanni della Scala dice: “Chi in cuor suo è orgoglioso delle sue lacrime e condanna segretamente chi non piange, è come un uomo che chiede al re un’arma contro il suo nemico e poi si suicida con essa” (Gradino 7). Se il vostro cuore si è ammorbidito, sia per il pentimento davanti a Dio sia per la conoscenza dell’amore sconfinato di Dio verso di voi, non diventate orgogliosi nei confronti di coloro il cui cuore è ancora duro e insensibile. Ricordate quanto tempo è passato da quando avevate un cuore duro e insensibile. C’erano sette fratelli che stavano male in un ospedale. Uno di loro fu ristabilito e si alzò in piedi. Si affrettò a servire gli altri fratelli con amore fraterno e preoccupazione, affinché anche loro si riprendessero. Siate anche voi come quel fratello. Considerate che tutti gli uomini sono vostri fratelli, fratelli malati. Se sentite che Dio vi ha dato la salute prima di loro, sappiate che vi è stata data per misericordia, affinché anche voi, in quanto sani, possiate servire gli altri malati. Di cosa dobbiamo essere orgogliosi? Come se la salute venisse solo da noi stessi e non da Dio. Come se una buca di fango potesse pulirsi da sola e non da una fonte più profonda e più pulita.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nella morte:

  1. Come il suo corpo giace pacificamente in una tomba;
  2. Come è sceso nello Spirito verso le anime dell’Ade per redimere le anime dei padri.

Omelia
Sulla gioia dopo il dolore

“Anche voi ora siete nell’angoscia. Ma io vi vedrò di nuovo e i vostri cuori si rallegreranno” (San Giovanni 16,22).

Il padre sale sul patibolo e i figli gli piangono intorno. Invece di essere consolato dai figli, è lui a consolare i suoi figli. Qualcosa di simile è accaduto al Signore e ai suoi discepoli. Camminando verso la sua amara morte, il Signore si rattrista più per il dolore dei suoi discepoli che per quello che deve sopportare. Li accarezza con la consolazione e li incoraggia con la profezia della nuova e imminente visione: “Ma io vi vedrò di nuovo”. È una profezia sulla risurrezione. Molte volte nostro Signore ha profetizzato la sua morte, ma quando ha profetizzato la sua morte, ha anche profetizzato la sua risurrezione. Non gli è mai successo nulla di imprevisto. Non ha profetizzato solo su di sé, ma anche su di loro [i discepoli]. Essi saranno in un grande dolore come una donna quando partorisce e sopporta il dolore. Come una donna dimentica il dolore e si rallegra quando partorisce “perché è nato un bambino nel mondo” (San Giovanni 16,22), così sarà per loro. Nella loro coscienza Cristo Signore non era completamente nella forma del Dio-Uomo. Finché lo hanno conosciuto come uomo sofferente e mortale, lo hanno conosciuto solo in parte; fino ad allora, il dolore della nascita dura nelle loro anime. Ma quando lo vedranno di nuovo, risorto e vivo, miracoloso e onnipotente, Signore di tutte le cose in cielo e in terra, il dolore e la tristezza cesseranno e la gioia apparirà nei loro cuori. Perché Cristo sarà completamente formato nella loro coscienza come Uomo-Dio e allora lo conosceranno nella sua pienezza e nella sua totalità. Solo allora Egli nascerà totalmente per loro.

Così per noi fratelli, finché lo conosciamo solo dalla sua nascita alla sua morte sul Golgota, conosciamo parzialmente il Signore Gesù. Lo conosceremo completamente solo quando lo conosceremo come il Risorto, il Vincitore sulla morte.

O Signore Onnivittorioso, abbi pietà di noi e con la tua risurrezione facci gioire come hai confortato e reso gioiosi i tuoi discepoli.




30 MARZO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

30 marzo secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL VENERABILE GIOVANNI CLIMACO

Giovanni Climaco è l’autore de “La scala della divina ascesa”. Giovanni giunse sul monte Sinai quando era un giovane di sedici anni e vi rimase, prima come novizio sotto obbedienza, poi come recluso e infine come abate del Sinai fino al suo ottantesimo anno. Morì intorno all’anno 563 d.C. Il suo biografo, il monaco Daniele, dice di lui: “Il suo corpo salì sulle alture del Sinai, mentre la sua anima salì sulle alture del cielo”. Rimase in obbedienza al suo padre spirituale, Martirio, per diciannove anni. Anastasio del Sinai, vedendo il giovane Giovanni, profetizzò che sarebbe diventato abate del Sinai. Dopo la morte del padre spirituale, Giovanni si ritirò in una grotta, dove visse una difficile vita ascetica per vent’anni. Il suo discepolo, Mosè, un giorno si addormentò all’ombra di una grande pietra. Giovanni, in preghiera nella sua cella, vide che il suo discepolo era in pericolo e pregò Dio per lui. Più tardi, quando Mosè tornò, cadde in ginocchio e ringraziò il suo padre spirituale per averlo salvato da morte certa. Raccontò come, in sogno, sentì Giovanni che lo chiamava, saltò in piedi e, in quel momento, la pietra cadde. Se non fosse saltato, la pietra lo avrebbe schiacciato. Su insistenza della fraternità, Giovanni accettò di diventare abate e diresse la salvezza delle anime degli uomini con zelo e amore. Da qualcuno Giovanni sentì rimproverarsi che parlava troppo. Per non irritarsi, Giovanni rimase in silenzio per un anno intero e non pronunciò una parola finché i fratelli non lo implorarono di parlare e di continuare a insegnare loro la sua saggezza donata da Dio. In un’occasione, quando seicento pellegrini giunsero al monastero del Sinai, tutti videro un agile giovane in abiti ebraici che serviva a tavola e dava ordini ad altri servitori e li assegnava. All’improvviso, questo giovane scomparve. Quando tutti se ne accorsero e cominciarono a interrogarlo, Giovanni disse loro: “Non cercatelo, perché quello era Mosè il Profeta che serviva al mio posto”. Durante il periodo di silenzio nella grotta, Giovanni scrisse molti libri di valore, tra cui il più glorioso è “La scala”. Questo libro viene letto da molti, ancora oggi. In questo libro, Giovanni descrive il metodo per elevare l’anima a Dio, come se si salisse su una scala. Prima di morire, Giovanni designò come abate Giorgio, suo fratello in carne e ossa. Giorgio si addolorò molto per la sua separazione da Giovanni. Allora Giovanni gli disse che, se fosse stato ritenuto degno di stare vicino a Dio nell’altro mondo, lo avrebbe pregato di portarlo in cielo quello stesso anno. E così fu. Dopo dieci mesi, Giorgio riuscì a stabilirsi tra i cittadini del cielo, come il suo grande fratello Giovanni.

  1. MEMORIALE DI UN MONACO CHE MORÌ CON GIOIA E CHE NON GIUDICÒ MAI NESSUNO IN VITA SUA

Questo monaco era pigro, disattento e carente nella vita di preghiera; ma per tutta la sua vita non giudicò nessuno. Mentre moriva, era felice. Quando i confratelli gli chiesero come fosse possibile che con tanti peccati si possa morire felici, egli rispose: “Ora vedo degli angeli che mi mostrano una lettera con i miei numerosi peccati. Ho detto loro: “Nostro Signore ha detto: “Smettete di giudicare e non sarete giudicati” (San Luca 6,37). Io non ho mai giudicato nessuno e spero nella misericordia di Dio che non mi giudicherà”. E gli angeli strapparono il foglio. All’udire ciò, i monaci si stupirono e ne trassero insegnamento.

Inno di lode
SAN GIOVANNI DELLA SCALA (CLIMACO)

Come una specie di torcia sul Sinai, il Monte,
Giovanni risplendeva di luce celeste
Sottomettendo il corpo, sottometteva i suoi pensieri,
Trenta gradini, numerati verso la vittoria.
Strategia miracolosa, tattica meravigliosa
Come eredità, al guerriero spirituale ha donato
La guerra spirituale, che desidera apprendere
E in questa guerra vincere gloriosamente.
La “Scala”, tutta miracolosa, scritta dallo Spirito,
dopo la fine della terribile guerra,
quando Giovanni il vincitore, il mondo da se stesso liberò,
Come dono prezioso, la portò ai fratelli.
Un poema epico, che è l’anima dell’uomo,
quando dalla polvere desidera salire verso il cielo,
Un poema epico impressionante di lotta e sofferenza,
Un poema epico scintillante di fede e di speranza.
Questo, Giovanni, ci ha dato, illuminato da Dio,
Armi, tutte splendenti, a voi e a me.
E ora, davanti al Signore, Giovanni prega
Che il Signore si compiaccia di mandarci aiuto
Quando, per la scala, saliamo a Lui.
Che ci porga la sua mano, affinché noi
possiamo arrivare a Lui.

Riflessione
Se l’umiltà davanti agli uomini è necessaria per essere esaltati davanti a Dio e la fatica temporale per la vita eterna, cosa ti importa se qualcuno scuote la testa e ride della tua umiltà? Giovanni il Silenzioso [l’esicasta] fu vescovo ad Ascalon per dieci anni. Vedendo che gli onori degli uomini lo ostacolavano, si travestì da semplice monaco ed entrò nel monastero di San Saba il Santificato, dove fu incaricato di raccogliere legna e di far bollire le lenticchie per i lavoratori. Quando fu riconosciuto, si chiuse in una cella, dove visse per quarantasette anni, nutrendosi solo di verdure. È così che i Padri evitavano gli onori mondani, per i quali molti ai nostri giorni, con lotte estenuanti, dilapidano le loro anime fino a ridurle in polvere e cenere.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nella morte:

  1. Come il suo corpo viene tolto dalla croce da Giuseppe d’Arimatea;
  2. Come Giuseppe e Nicodemo avvolgono il corpo del Signore in un telo di lino puro, lo ungono con unguenti e lo depongono in una tomba nuova;
  3. Come furono fedeli e non timorosi questi due uomini distinti tra i molti nemici di Cristo, in mezzo alla paura e ai dinieghi generali.

Omelia
Come riconoscere il Figlio dell’uomo tra le tenebre comuni

“In verità, costui era il Figlio di Dio” (Matteo 27,54).

Queste parole furono pronunciate dal capitano che svolgeva coscienziosamente il suo compito di soldato. Per ordine dei suoi superiori, doveva custodire il corpo di Cristo sul Golgota. Esternamente, come una macchina, ma internamente, un’anima sveglia.

Egli, soldato romano, pagano e idolatra, vide tutto ciò che era accaduto al momento della morte di Cristo Signore e gridò: “Veramente questo era il Figlio di Dio”. Non conoscendo il Dio unico e non conoscendo la Legge e i Profeti, egli comprese immediatamente ciò che i sacerdoti del Dio unico e le autorità della Legge e dei Profeti non erano in grado di comprendere! In questa occasione, la parola di Dio si avverò. “Io sono venuto nel mondo per il giudizio, perché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (San Giovanni 9,39). In verità, colui che era cieco nello spirito vedeva e coloro che pensavano di vedere erano completamente accecati. Non era forse possibile che gli anziani dei Giudei non vedessero il sole oscurato, non sentissero il terremoto, non notassero come le rocce erano spaccate, non vedessero che il velo del Tempio era squarciato, non riconoscessero molti dei santi usciti da tombe aperte e apparsi a Gerusalemme? Essi videro tutto questo e furono tutti accuratamente testimoni di tutto questo. Tuttavia, i loro spiriti rimasero ciechi e i loro cuori di pietra. Tutte queste manifestazioni, quelle impressionanti e insolite, probabilmente le interpretarono come farebbero i miscredenti di oggi: incidenti e illusioni. I pagani di tutti i tempi interpretano tutto come incidenti o autoinganni ogni volta che il dito di Dio appare per rimproverare gli uomini, per dirigerli o per informarli. Il capitano romano Longino, che era il nome del soldato, vide tutto ciò che accadeva senza pregiudizi e sotto la croce confessò la sua fede nel Figlio di Dio. La sua esclamazione non fu strappata accidentalmente dal suo cuore spaventato. Ma fu la sua confessione di fede, per la quale in seguito depose la sua vita per abbracciare una vita migliore nel Regno di Cristo.

O fratelli, quanto è grande questo capitano romano che, vedendo il Signore senza vita tra i ladri crocifisso sul letamaio del Golgota, lo riconobbe come Dio e lo confessò come Dio. O fratelli, quanto sono meschini quei cristiani che riconoscono il Signore risorto, glorificato, vincitore e portatore di vittoria attraverso migliaia di suoi santi, ma che tuttavia conservano nel loro cuore il dubbio come un serpente velenoso che li avvelena ogni giorno e seppellisce la loro vita nelle tenebre eterne.

O Signore crocifisso e risorto, abbi pietà di noi e salvaci!