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Anziano Cleopa Ilie: Sermone sulla chiamata e sull’obbedienza

SERMONE SULLA VOCAZIONE DEGLI APOSTOLI

(Sermone fatto nella seconda domenica dopo la Discesa del Santo Spirito – Matteo 4, 18-23)

Amati fedeli, il Santo e divino Vangelo di oggi contiene molti insegnamenti salvifici. Ma due di questi illuminano di più. Questi sono: quello sulla chiamata di Dio e quello sull’obbedienza a Lui.

Dio Onnipotente, che ha creato il cielo e la terra, fin dall’inizio del mondo, come Creatore e Dio di tutti, ha il potere di chiamare tutte le Sue creature e tutte Gli obbediscono. Egli – come disse il profeta – chiama il cielo in alto e la terra in basso. Chiama l’acqua del mare e la versa sulla faccia di tutta la terra. Chiama le nuvole, comanda loro di radunarsi e formare le piogge. Chiama la grandine e la tempesta. Chiama i venti e li fa uscire dai Suoi forzieri. Chiama il calore del fuoco e i raggi del sole per illuminare la terra. Ha dato un ordine alla luna e alle stelle. Li chiama tutti e tutti gli obbediscono.

Egli chiama gli uccelli del cielo, ed essi vengono a noi in primavera da luoghi lontani e di nuovo in autunno li richiama indietro e se ne vanno da dove sono venuti. Ora, quale creatura non obbedisce al suo Creatore, se Egli è ovunque ed è Onnipotente e Onnisciente?

Non chiama solo gli elementi inanimati o muti. Fin dalla fondazione del mondo, ha chiamato i suoi eletti. Chiamò Noè 125 anni prima del diluvio e gli comandò di costruire un’arca per la liberazione dal diluvio. Chiamò Abramo, padre di tutte le nazioni, da un popolo pagano, dalla terra di Ur, dalla tribù dei Caldei e lo rese padre di molte nazioni. Chiamò Mosè il legislatore, che era il prototipo e l’immagine di Cristo nell’Antica Legge. Lo chiamò sul monte Horeb e lo mandò a liberarlo dalla prigionia del faraone 638.000 anime. Chiamò Davide profeta dalla custodia delle pecore e lo fece re d’Israele e grande profeta. Ha chiamato tutti i profeti e tutti i suoi eletti.

Tutti quelli chiamati da Lui, che ricevono lo Spirito di Dio, e hanno fede, e conoscono il loro Creatore, e hanno il timore di Dio nei loro cuori, Gli obbediscono. Si diceva così della chiamata di Dio fino all’avvento della Legge della Grazia.

E quando lo stesso Verbo di Dio venne e si incarnò, come dice il divino evangelista Giovanni che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), quando vennero la Sapienza e lo stesso Verbo di Dio, egli chiamò di mezzo a noi uomini prima gli Apostoli. Avete sentito dal Vangelo divino di oggi come Egli chiamò i suoi apostoli come i primi.

 Avete sentito leggere dal Santo Vangelo che «Gesù, passeggiando presso il lago di Genizaret – che è anche chiamato mare di Tiberiade – vide due fratelli, Pietro e Andrea, suo fratello, che gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. Perché la provvidenza di Dio ha disposto che Gesù fosse sulla riva del mare di Tiberiade, quando i due futuri apostoli, due fratelli, stavano gettando la rete in mare? Ecco perché. Perché Cristo stava per creare questi pescatori di uomini e ha voluto mostrare in anticipo che compito dell’apostolo e del predicatore è gettare la rete – cioè la parola di Dio – nel mare di questo mondo, agitato da tribolazioni e tentazioni. Il Vangelo dice espressamente che c’erano dei pescatori che gettavano le reti in mare. Perché vuole dire specificatamente che erano pescatori? Si sarebbe potuto dire semplicemente che pescavano, ma il Vangelo dice espressamente che erano pescatori.

Sai perché dice questo? Dio Onnipotente e il nostro Salvatore Gesù Cristo, attraverso questa parola, che erano pescatori, vuole mostrare al mondo intero, a tutti i suoi filosofi, a tutti gli imperatori, a tutti i potenti, a tutti i sapienti, a tutti coloro che indagheranno il Vangelo di Cristo, che i primi discepoli di Cristo erano persone povere e ignoranti. Cosa può esserci di più povero di un semplice pescatore? E perché Dio lo ha mostrato? Per dimostrare che Lui, quando viene al mondo, non ha bisogno della nostra saggezza, né della nostra abilità.

Dio può operare attraverso gli esseri più indifesi, come una volta parlò attraverso la bocca dell’asino di Valaam  (Numeri 22, 26-32). Il divino apostolo Paolo disse che Dio ha scelto gli stolti per svergognare i sapienti, gli impotenti, i deboli e i senza voce, per svergognare i forti e chi è pieno di gloria mondana, per mostrare maggiormente la sua potenza e affinché nessuno possa vantarsi davanti a Dio (1 Corinzi 1, 27-29). Per questo Gesù Cristo, nostro Dio, quando viene nel mondo, sceglie i suoi discepoli tra la gente povera e semplice, alcuni pescatori. Ma perché all’improvviso ha chiamato due fratelli, Pietro e Andrea? Per mostrare che tutti coloro che crederanno in Cristo, attraverso la rete della loro parola, dovranno vivere nell’amore come fratelli, diventando fratelli a causa del divino Battesimo e per la santa fede nel Signore Gesù Cristo. Per questo scelse innanzitutto due fratelli come apostoli. E dopo che li ebbe scelti, lasciando lì la rete, seguirono Gesù Cristo. Quando Gesù Cristo li chiamò, non dissero più: “Signore, abbiamo un lavoro da fare, ecco, ho preparato la rete per pescare i pesci”.

No! Nel momento in cui Gesù Cristo li chiamò, non ricordarono per nessun motivo che avevano ancora del lavoro da fare, ma nello stesso momento, lasciando la rete, seguirono Gesù.

Anche il profeta Eliseo, quando fu chiamato a prendere il posto di Elia il Tisbita, non dimostrò tanta diligenza e obbedienza quanto i due fratelli apostoli. Infatti cosa dice la Scrittura? Quando Elia scese e attraversò il Giordano, sulla via del deserto di Damasco, e il profeta venne da Eliseo, che stava lavorando con 12 paia di buoi, e gli gettò addosso la pannocchia e disse: «Dio ti ha scelto, Eliseo, figlio di Safet, profeta al mio posto», egli, sentendo che Dio lo chiamava alla profezia, disse a Elia di Tsibita: «Dammi il permesso di andare a baciare mio padre, mia madre e i miei fratelli, e poi lo farò». Dopo che andò e ricevette la benedizione dalla sua famiglia, andò a macellare i buoi e fece un banchetto, dando l’aratro e gli altri attrezzi in elemosina. Dopodiché andò dietro a Elia, per essere profeta di Dio con un duplice dono, come dice la Scrittura (III Re 19, 16-21).

Ma con questi divini apostoli non si vede nulla di simile. Appena li chiamò, lasciarono le reti nel mare; le lasciarono dove si trovavano in quel momento, per la sequela di Gesù Cristo. Ma questi discepoli, i primi chiamati, conoscevano Gesù Cristo? Sapevano di Lui? Sì, Lo conoscevano.

Perché sia ​​Andrea che Pietro furono i primi discepoli di Giovanni Battista, che indicò il Salvatore presso il Giordano e disse: «Ecco l’Agnello di Dio, Colui che toglie i peccati del mondo!». Da allora capirono che Gesù Cristo è più grande di Giovanni Battista. E un’altra volta, Giovanni Battista disse loro: «Viene da me colui che è più grande di me, al quale non sono degno di slacciare i lacci dei sandali» (Matteo 3,11; Marco 1,8). E ancora: «Tocca a lui crescere e a me rimpicciolire». Chi ha la sposa è lo sposo, ed ella si prostra per rallegrarsi.

Cristo è lo Sposo e la Sua sposa è la Chiesa. Il Divino Precursore lo sapeva e disse queste parole nel senso seguente: quando viene lo Sposo della Chiesa, io sono il servo della Chiesa; devo essere felice di essere con Lui.

Quindi questi due discepoli chiamati oggi hanno conosciuto Gesù.

Fin dalla bocca del loro maestro, da Giovanni Battista, sapevano che Egli è l’Agnello di Dio, che viene dall’alto e che è più grande di Giovanni Battista. Perciò, appena li chiamò, essi seguirono Gesù.

  E dopo questo, che altro dice il divino Vangelo? Mentre Gesù andava oltre, incontrò altri due pescatori. Di chi parla? Di Giacobbe di Zebedeo e di Giovanni suo fratello. Da notare che ci sono due Giacomo tra i 12 apostoli. Uno è chiamato Giacomo di Alfeo, o Giacomo il Minore, e un altro è Giacomo di Zebedeo e Salome e cugino del nostro Salvatore Gesù Cristo. Il divino Vangelo dice che vide questi due apostoli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, in mare con il loro padre e li chiamò. “Venite dietro a me – disse loro – e vi farò pescatori di uomini!”. E lasciando Zebedeo, loro padre, sulla barca, seguirono Gesù. Ma perché non è andato anche Zebedeo? Come mai i figli se ne sono andati e il padre no? Ecco perché. Zebedeo non credeva che Gesù Cristo è il Figlio e la Parola di Dio e per questo il suo cuore era più legato alla sua nave e al pesce che pescava che a Gesù Cristo.

I suoi due figli, conoscendolo mediante lo spirito e avendo udito i miracoli che compiva in Galilea e in quelle parti, non dubitarono più. “Questo è il Messia, questo è Dio!” – si dicevano. E lasciarono il padre nel mare agitato di questo mondo e con la nave (che simboleggia l’instabilità del tempo presente, perché è sempre agitata e sempre mossa dalle onde), e vennero a Gesù Cristo. Era la seconda linea degli apostoli, altri due fratelli.

Così nello stesso giorno il Salvatore chiamò quattro dei principali apostoli, Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni. In un giorno furono chiamati i capi o sommità degli apostoli, le grandi colonne che poi fondarono la Chiesa. Due fratelli sono stati chiamati per due volte, per dimostrare ancora che tutti coloro che crederanno in Cristo devono vivere da fratelli e che sono fratelli nella fede nello stesso Dio. Dopo che il Salvatore chiamò anche loro, si dice nel Vangelo: Gesù andava per tutta la Galilea e per tutta la regione lungo il mare, predicando e insegnando la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei, operando grandi segni e prodigi e guarendo i malati dalle loro infermità.

Questo è in poche parole il Vangelo di oggi.

Fratelli, cristiani, oggi volevo parlarvi della chiamata di Dio, dell’obbedienza dell’uomo a Dio e dell’obbedienza di tutte le Sue creature. Ma volevo soprattutto parlare della chiamata del genere umano, per dirvi in ​​quanti modi Dio ci chiama. Dio chiama i popoli della terra con fame, con carestia, mancanza di pioggia, come se dicesse loro: «Ecco, io sono colui del quale dice il profeta Geremia: «farò piovere su dieci città e su due non pioverà e ancora farò piovere su due città e su dieci non darò pioggia, per dimostrarvi che io sono il Dio delle nuvole e il Padre delle piogge», come disse Giobbe (cfr Gb 12).

Ascoltate Dio che dice: «Farò piovere su dieci città e su due non la darò, e ancora su due la darò e su dieci non la darò» (Geremia 5, 24).

In televisione, quando danno le previsioni del tempo, viene mostrata la cartina del paese, dicendo: qui piove, e vengono mostrati circa 10-15 punti del paese dove piove; vedendolo una volta, mi sono davvero impressionato. Dimostravano che in circa 10-15 punti pioveva e nella maggior parte del paese non pioveva. E mi sono ricordato delle parole del profeta Geremia. Mi sono detto: ecco, adesso si stanno realizzando davanti ai nostri occhi, che in qualche villaggio piove e in 20-30 non piove. Quindi nelle mani di Dio ci sono le piogge, le nuvole, le tempeste e i venti. Perché Cristo dice: «Il Padre ha posto sotto il suo controllo gli anni e i tempi» (Matteo 24,27-36; At 1,7). Nessuno può chiedergli conto della siccità o della tempesta, nessuno può fermare i venti e le piogge, nessuno può provocarli, tranne la mano onnipotente di Dio. Allora, ecco, Dio a volte ci chiama con la siccità, a volte con la grandine, a volte con i fulmini, quando tuona molto, a volte ci chiama con la carestia, a volte con le malattie.

A volte Dio dà malattie e pestilenze e non c’è casa dove non ci sia una persona malata. E questo può farlo quando vuole.

 A volte ci chiama con le guerre, a volte con la schiavitù, a volte con la voce delle Scritture quando dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). E un’altra volta dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 10,38).

Allora ecco, Dio ci chiama e attraverso gli elementi, attraverso i terremoti, attraverso la siccità e la mancanza di pioggia, ci chiama attraverso le malattie e le tribolazioni, attraverso le disgrazie, attraverso tutto chiama a sé i popoli, a conoscere che lui è Padre nei cieli e che può fare con il Suo popolo tutto ciò che vuole.

Cosa dice Isaia? «Signore, tu hai creato la terra come un nulla e tutti i popoli della terra davanti a te sono come una goccia da una vasca» (Isaia 40, 15). Quanto è potente una goccia nella vasca da bagno? O forse prenderai un cucchiaio d’acqua dalle sconfinate acque dei mari? Ecco quanto siamo miseri e deboli davanti a Dio! Dio chiama attraverso la voce della Scrittura, chiama attraverso la voce della creazione che ci piomba addosso con la siccità, o con troppa pioggia, o con un terremoto, o con il caldo. Ma ci chiama anche in un altro modo.

Come? Attraverso la voce della coscienza. Non vedi che quando pecchiamo o sbagliamo, la nostra coscienza ci rimprovera subito? Ti chiede: “Uomo, perché hai fatto questo?”. Perché hai derubato il tuo vicino, perché hai preso la moglie di un altro, perché hai ucciso il bambino innocente che era nel grembo materno, perché hai riso delle cose sante, perché fumi, perché non vai in Chiesa nelle domeniche e nei festivi? Perché non allevi i tuoi figli nel timore di Dio, perché non digiuni durante i quattro digiuni dell’anno, il venerdì e il mercoledì e diventi come gli ebrei? Perché odi tuo fratello, perché bestemmi Dio quando sei disgustato?

In ogni cosa, la nostra coscienza ci rimprovera quando commettiamo errori. Ella è la voce di Dio, che ci chiama a Lui: “Uomo, hai sbagliato! ti perdono Ma non farlo di nuovo! Venite a Me, perché in Me è la fonte del perdono, dell’amore e della misericordia. Comincia bene da oggi, non peccare più!”.

Quindi, la coscienza è la voce di Dio nel nostro cuore.

Questa legge è stata anteposta a tutte le leggi umane.

Alcuni non credenti dicono: “Ma noi cristiani saremo giudicati secondo il Vangelo e Dio ci punirà. Ma i popoli che non conoscono Dio, come la Cina, come il Giappone, che adorano gli dei, gli stregoni e i filosofi, come li punirà Dio? Perché non avevano il Vangelo e non sapevano che era un peccato, e per questo non possono correggersi”.

Ascolta ciò che dice il divino apostolo Paolo nella sua epistola ai Romani: “Le cose invisibili di Dio, fin dall’inizio della creazione del mondo, si vedono attraverso la contemplazione del creato, così come la sua eterna potenza e divinità” (Romani 1, 20). Quindi, tutti i popoli del mondo, nel Giorno del Giudizio, saranno giudicati secondo quattro leggi. È così che dogmatizzano i Santi Padri. Coloro che non avevano la legge scritta saranno giudicati secondo due leggi: secondo la legge della coscienza, che Dio ha posto nell’uomo quando fu creato, e secondo la legge della creazione. Come, secondo la legge della creazione? Ecco come: tutto intorno a noi ci parla. Perché dice San Gregorio di Nissa: “Come una tromba dall’alto del cielo, le creature ci parlano e gridano che c’è un Creatore” (Vita di Mosè). E ciò che dice il profeta Davide: «I cieli raccontano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani dichiara la sua forza» (Salmi). Come ci parlano i cieli? In che modo la sua opera ci parla e annuncia la potenza di Dio? Ecco come.

Quando guardi la sera il cielo stellato e lo vedi pieno di stelle, e adorno come un lampadario pieno di luce, e vedi la luna piena splendere nel cielo e l’ordine troppo bello con cui le stelle, e le galassie, e le costellazioni del cielo sono governate con tanta precisione, che neppure i più grandi studiosi del mondo arrivano ad aggiustare il calendario secondo esse, allora si dice col profeta: «Signore, cos’è l’uomo per cui ti interessi di lui, o il figlio dell’uomo, perché Tu te ne curi?». (Salmi). E poi ti rendi conto che queste stelle, questi loro movimenti sono fatti e portati dalla mano di Dio. É il Creatore, è il loro sovrano. Ti rendi conto che questo mondo ha una mente che li guida, che c’è un Dio che li ha creati e una mano invisibile che si prende cura di loro, proprio come con noi. É così che i cieli ci parlano, così che quando li vediamo, attraverso di loro conosciamo il Creatore dei cieli. Quando guardiamo il sole e vediamo come splende, che possiamo guardarlo solo per pochi minuti o diventiamo ciechi, ricordiamo Colui che ha reso il sole così bello, così luminoso. E ci rendiamo conto che Colui che lo ha creato, il Sole della Giustizia, brilla miliardi di volte più luminoso di lui. E così, il sole loda Dio. Perché è detto: «Lodatelo, sole e luna, lodatelo, stelle e luce tutte!».

In che modo il Sole loda Dio? In che modo Lo lodano la luna, le stelle, il cielo, tutto il firmamento, tutta la creazione? Attraverso la loro esistenza e movimento. Perché «altre sono le contemplazioni delle creature e altre sono le loro leggi» (san Massimo il Confessore, Filocalia).

La contemplazione avviene quando pensiamo a Chi le ha realizzate. E le loro leggi sono le regole secondo le quali si muovono nell’universo. Ed entrambi sono fatte da Dio: la loro esistenza e le leggi secondo le quali si muovono. Così ci parlano il sole, la luna, le stelle e il cielo, i fiori e gli uccelli, gli animali e le bestie, le valli e le acque, le nuvole e l’aria, i venti e tutti gli elementi. Tutti ci parlano e ci dicono che c’è un Creatore, un Dio nel cielo che li ha fatti, li sostiene e li muove.

  Quindi, secondo la legge della coscienza e secondo la legge delle creature, coloro che non avevano la legge scritta saranno giudicati. A partire da Mosè, al quale Dio diede le Tavole della Legge sul monte Sinai, il popolo ebraico sarà giudicato secondo la Legge scritta, e tutti i popoli che hanno conosciuto il Vangelo saranno giudicati secondo la Legge della Grazia.  Dall’inizio del mondo, oggi e sempre, la creazione parla del suo Creatore. Un certo non credente stava attraversando l’Oceano Atlantico, su una grande nave, un transatlantico. E un povero missionario predicava sulla nave, di notte, su Dio, sui suoi miracoli che si vedono nel cielo, in alto, sulla terra e nell’aria. E l’incredulo, per prendersi gioco del missionario, prese il binocolo e continuò a guardare a lungo le stelle. E il missionario di Cristo predicava con il fuoco, perché Dio dà una grande forza alla parola di coloro che evangelizzano e predicano il vero Dio, il Maestro della creazione. Alla fine, il non credente viene e dice al sacerdote: “Padre, tu continui a predicare su Dio, ma io ho guardato le stelle con il binocolo e non l’ho visto, non so dove sia”. E il missionario di Cristo gli disse: «Dici bene, fratello, che non lo vedi, e così non lo vedrai nei secoli dei secoli. Ma sai perché? Per vedere Dio, devi purificare il tuo cuore dall’incredulità, dal paganesimo. Perché questo ci insegna il Vangelo, dicendoci nella sesta beatitudine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,7). Quindi, hai giustamente detto che non lo hai visto e non lo vedrai per sempre e in eterno, finché non purificherai il tuo cuore dall’incredulità, dalla malizia e dai peccati. Allora vedrai Dio, attraverso la luce della fede».

E così oggi. Ci sono molte persone che non sentono la chiamata di Dio. E se non la sentiamo, ci frusterà, ci chiamerà più duramente. Se ritorneremo, Egli darà la prima pioggia, e abbondanza, e salute e felicità, perché nella Sua mano è la vita e la morte. Altrimenti sa come tirare le redini del cavallo!

Perché Ilie Miniat dice che questo mondo è come un cavallo selvaggio, che corre sempre verso la perdizione, verso i peccati, verso il fondo dell’inferno. Ma Dio sa come tenere a freno questo cavallo selvaggio. E qual è la briglia del cavallo? Qual è il freno con cui Dio attira a sé il mondo? C’è la siccità, ci sono le malattie, schiavitù, guerre, morte, sofferenza e tutti i problemi. Quando viene la guerra, cosa chiediamo? “Dona, Signore, la pace.” Quando siamo malati, chiediamo: “Dacci la salute, Signore”. Quando non piove: “Dacci, Signore, acqua, perché stiamo morendo di sete”. Quando siamo schiavi: “Liberaci, Signore, dalla schiavitù”. Quindi, Dio ci sta facendo del bene. Egli sa tenere in scacco questo mondo, che corre come un cavallo al galoppo verso la rovina, verso la perdizione. Ascolta cosa dice il profeta: “Ma con briglia e morso, o Signore, stringerai le loro mascelle, quelle di coloro che non si avvicinano a te” (Salmi 31,10). Non ci avviciniamo volentieri, ci mette in scacco, ci mette le redini e ci fa tornare indietro, perché lui ha il potere. Perché è Dio che può scendere agli inferi, suscitare, uccidere, rendere vivo.

Allora, fratelli miei, quando capiremo che Dio ci chiama attraverso la malattia, attraverso la sofferenza, attraverso la pena, attraverso le tribolazioni, attraverso la schiavitù, attraverso la siccità, non restiamo congelati, ma torniamo a casa dal Padre e diciamo: “Perdonaci i nostri peccati, Signore, e abbi pietà di noi”. E così il Buon Dio ci perdona, perché non discute con noi per odio. Il vero genitore non punisce i suoi figli per odio, Dio non voglia! Quale padre o quale madre vorrebbe punire i propri figli per niente, prendersi gioco di loro? No! Ma se vede che oggi non ascolta, e domani non ascolta, e dopodomani ancora, ed è testardo, e risponde contro di lui e agisce secondo la sua cattiva volontà, allora mette la mano non per sua volontà sull’asta o sulla cintura, o su un bastone. Per cosa allora? Poiché vede che questo bambino ha iniziato a seguire una cattiva strada e va di male in peggio, andrà nell’abisso e, se più tardi lo punirà, sarà troppo tardi.

Dio fa lo stesso con noi. Siamo tutti figli di Dio per grazia. Ascoltate cosa dice la Scrittura: «Ho detto: ‘Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo’. Eppure morrete come gli altri uomini e cadrete come ogni altro potente» (Sal 81,6-7), cioè come uno dei diavoli. Se siamo figli di Dio per grazia e abbiamo la grazia di figli per il Santo Battesimo, abbiamo la Madre Chiesa e Dio Padre, come diciamo sempre: «Padre nostro che sei nei cieli»; se è così, teniamo sempre gli occhi fissi sul nostro Padre e sappiamo che se non Lo amiamo volontariamente e non sappiamo che esiste, Egli metterà la Sua mano sulla verga. Ma è meglio ascoltare per amore e amare Dio e mettere in pratica i suoi comandamenti per obbedienza, affinché Egli abbia sempre misericordia di noi e si prenda cura di noi.

Gli apostoli ascoltarono Cristo, i profeti ascoltarono, ascoltò il cielo, ascoltò la terra, ascoltarono i venti, ascoltò il mare, ascoltò la pioggia, ascoltò la rugiada, ascoltò la grandine, ascoltò le stelle, ascoltò il sole, ascoltarono gli animali e tutta la natura ascoltò, solo l’uomo, l’essere razionale, non vuole obbedire al suo Padre celeste. Ma attenzione, la mano di Dio ha anche una verga con cui batterci!

Quindi sediamoci bene, ricordiamoci! Non dimenticare, da oggi in poi, che ogni problema che ci capita è una chiamata di Dio. Perché dice: «Dio punisce tutti coloro che riconosce come figli».

E non brontoliamo se siamo chiamati in un modo o nell’altro, perché l’apostolo Paolo dice: «Ciascuno badi ciò a cui è chiamato, rimanga in quello».

Dio ti ha chiamato povero, non voler diventare ricco; ti ha chiamato a farti monaco, rimani monaco fino alla morte; ti ha chiamato ad essere sacerdote, sii un sacerdote degno di esserlo; ti ha chiamato a fare il commerciante, sii un commerciante buono e onesto; ti ha chiamato a fare il filosofo o il meccanico, o a svolgere qualche altro servizio, resta così! Ma servite con onore, sappiate che Dio è Colui che vi ha chiamati in un modo o nell’altro, e lasciate che ognuno di noi rimanga in ciò che è chiamato a fare! 

Amin!




Cirillo di Gerusalemme: La Sacra Scrittura

La Sacra Scrittura

Queste dottrine ci sono insegnate dalle Scritture divinamente ispirate, dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Il Dio dei due Testamenti è infatti uno solo: nel Nuovo ci ha annunziato il Cristo e nell’Antico ce l’ha preannunziato attraverso la Legge e i Profeti, come un pedagogo che doveva guidarci al Cristo. Infatti, «prima che giungessimo alla fede eravamo come sotto la custodia della Legge», ma «la Legge ci era stata data come pedagogo per condurci a Cristo». Se quindi ti capita di sentir bestemmiare qualche eretico contro la Legge e i Profeti, ribatti ricorrendo alle sue stesse sante parole: «Gesù non è venuto ad abolire ma a completare la Legge». Impegnati a distinguere i libri dell’Antico da quelli del Nuovo, stando in diligente ascolto di quanto t’insegna la Chiesa. Non leggere mai un apocrifo. Perché sprecare tempo e fatica per dottrine controverse quando ancora ignori quella universalmente riconosciuta come certa? Leggi la Sacra Scrittura, i ventidue libri dell’Antico Testamento nella traduzione dei Settanta.

Dopo la morte di Alessandro il Macedone e la divisione del suo impero nei quattro regni di Babilonia, Macedonia, Asia ed Egitto, uno dei re d’Egitto, Tolomeo Filadelfo, il re più d’ogni altro filologo che collezionò libri da ogni parte, sentì dal bibliotecario Demetrio Falereo dell’esistenza della Scrittura, della Legge e dei Profeti. Piuttosto che ottenere i libri usando la costrizione o andando contro la volontà di quelli che ne possedevano, pensò fosse meglio ingraziarseli con donativi e atti di benevolenza, ben sapendo che quanto è dato per costrizione o comunque contro volontà, spesso con l’astuzia finisce nelle mani dello spossessato, perché solo quanto è dato spontaneamente può dirsi un vero e proprio dono. Mandò quindi una grande quantità di donativi ad Eleazaro, allora sommo sacerdote, per il tempio di Gerusalemme, qui dove adesso stiamo, perché gli mandasse sei traduttori presi da ciascuna delle dodici tribù. Volle poi sperimentare l’ispirazione divina della Bibbia.

Sospettando che gli interpreti a lui inviati e lì convenuti potessero manipolarla consultandosi tra di loro, assegnò a ciascuno un posto dove risiedere nella regione detta di Faro vicino ad Alessandria e li invitò a tradurre e ognuno per conto proprio la Scrittura. Essi in settantadue giorni assolsero il loro compito. E il re, messe insieme tutte le traduzioni eseguite in abitazioni diverse e senza scambio di opinioni, le riscontrò concordanti non solo nel senso ma anche nelle parole. Risultò di fatto non un lavoro di umana interpretazione o un’esercitazione letteraria, ma l’autentica Bibbia ispirata dallo Spirito Santo interpretata sotto l’influsso del medesimo Spirito Santo. Leggi i ventidue libri dell’Antico Testamento e non avere mai a che fare con gli apocrifi. Applicati allo studio di quei soli libri che si leggono senza rischio nell’assemblea e che hanno trasmesso gli apostoli e i primi vescovi posti a capo della Chiesa con più sapienza e prudenza di altri. Questo dunque il deposito che tu, figlio della Chiesa, devi custodire senza travisarlo. I libri dell’Antico Testamento, che devi impegnarti a studiare, sono come ho detto ventidue. Se vuoi sapere quali siano, eccoti questo elenco: i primi cinque della Legge, scritti da Mosè: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico e Deuteronomio; il sesto che segue di Gesù di Nave; il settimo dei Giudici, che include quello di Rut; cinque libri storici, primo e secondo dei Re che gli ebrei contano per uno, terzo e quarto dei Re che fanno pure un’unità; primo e secondo dei Paralipomeni considerati dagli ebrei un solo libro; primo e secondo di Esdra che anch’essi contano per uno; libro di Ester, dodicesimo della lista e ultimo dei libri storici; cinque libri poetici: Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste e diciassettesimo il Cantico dei Cantici; poi cinque libri profetici, uno dei dodici profeti minori, uno di Isaia, uno di Geremia che include Baruc i Treni e la Lettera, uno di Ezechiele e uno infine di Daniele che quindi è il ventiduesimo dell’Antico Testamento.

Il Nuovo Testamento ha solo quattro Vangeli autentici; gli altri sono apocrifi; il vangelo secondo Tommaso, scritto dai manichei, del vero Vangelo ha l’odore e il titolo, ma è una vera rovina delle anime dei più semplici. Vanno invece recepiti gli Atti dei dodici Apostoli e le sette Epistole Cattoliche di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda; le quattordici Epistole di Paolo che infine sigillano le testimonianze dei discepoli.

Tutti gli altri scritti sono apocrifi e tutt’al più hanno valore secondario. Evita di leggerli anche per conto tuo e attieniti, come già detto, ai libri che si leggono nelle assemblee.

Questo ti basti.




P. Seraphim Rose, L’Apocalisse: un libro di misteri

Si ringrazia P. Ambrogio Cassinasco per aver tradotto e messo a disposizione questo testo benevolmente concessogli dai monaci del monastero ortodosso di Platina.

OODE sezione Italiana

L’Apocalisse: un libro di misteri

di P. Seraphim Rose

Discorso tenuto all’eremo ortodosso di Platina (California) nell’estate del 1980, come introduzione a un corso della New Valaam Theological Academy sul Libro dell’Apocalisse. Il corso usava come base il commentario all’Apocalisse, scritto dall’Arcivescovo Averky (Taushev) di Jordanville (pubblicato nel 1985, e ristampato nel 1995). L’articolo nella sua versione originale è reperibile in The Orthodox Word, Vol. 34, n. 3-4 (200-201), Maggio-Agosto 1998.

1. L’approccio sbagliato

I nostri tempi – il ventesimo secolo, e soprattutto l’ultima parte del ventesimo secolo – sono, più che mai, tempi apocalittici, vale a dire tempi in cui vi sono eventi tanto grandi da far sembrare alle porte la fine del mondo. A causa della natura delle invenzioni dei nostri tempi, anche le persone più realistiche e concrete parlano della possibilità dell’annientamento di intere nazioni, e anche di tutta l’umanità, sia a causa di armi come le bombe termonucleari, sia per la produzione di mostri moderni, attraverso l’inquinamento, gli esperimenti chimici e biologici, e così via.

Con un simile carattere dei nostri tempi, non è sorprendente che il Libro dell’Apocalisse sia ora più popolare che mai. Così, iniziando questo studio, vorrei dare un’indicazione su come dovremmo affrontare questo Libro. Oggi la maggior parte degli studi e volumi che trattano di questo Libro sono molto superficiali. Uno dei libri più popolari in materia è The Late Great Planet Earth (Il defunto grande pianeta Terra) di Hal Lindsey, un protestante evangelico. Sulla copertina dice “Uno sguardo penetrante su incredibili profezie che coinvolgono questa generazione.” Parla di Israele, della Russia, di Gog e Magog, della fine del mondo, e della guerra nucleare. A leggere tutte queste cose, si resta un po’ storditi. Quanto al tono, è scritto alla leggera: “La Russia è un Gog”, “Qual’è il tuo gioco, Gog?”, e cose simili. È molto facile, a un livello superficiale, farsi assorbire da questo libro. Quando lo finisci, sei tutto eccitato per ciò che sta accadendo. Compaiono frasi come “Guardate l’Iran”, e “Osservate ciò che farà in seguito la Russia.” Vi si dice che quando le dieci nazioni si uniranno in Europa – e cioè, quando la decima nazione entrerà nel Mercato Comune – quello è il segno da osservare, poiché si tratta delle dieci corna della Bestia. Il re del Nord è ovviamente la Russia; l’Egitto è il re del Sud; la Cina è il re dell’Est, etc. Dopo un po’ ti senti stordito: il tono di eccitazione creato da un simile libro non è il tono giusto per una persona che sta studiando le Scritture. È più a livello di cinema o di televisione. Lo stesso linguaggio usato dall’autore è da conversazione leggera. L’intero approccio non ti aiuta di fatto a capire lo scopo di questo libro; ti aiuta solo ad emozionarti. Alcune delle cose di cui parla potrebbero essere vere. Chi lo sa? La Russia potrebbe essere il re del Nord, ma questo è un punto secondario. Egli fa di queste cose i temi principali, ed esse non lo sono. Il tema principale è qualcosa di completamente diverso.

Questa non è la ragione per cui dovremmo leggere il libro dell’Apocalisse. Conosco persone che lo hanno letto e si sono molto emozionate per tutta la lettura: lo hanno letto tutto in una sera, ma alla fine non vi hanno trovato alcun cibo spirituale. Nella loro eccitazione, sono pronti ad andare a vedere cosa farà la Russia, e chi farà saltare chi altro. Dal punto di vista spirituale, non ne hanno tratto alcun vantaggio, perché non fanno altro che indulgere in indovinelli e congetture, e questo non è lo scopo del libro.

2. Rivelazione di Misteri

Pertanto, dobbiamo affrontare questo libro, così come tutta la profezia biblica, in un modo del tutto differente. Dobbiamo chiederci: perché leggiamo un libro come l’Apocalisse? Dobbiamo dapprima cercare di capire lo scopo per cui il libro fu scritto; È un libro di Misteri, si può dire. I Misteri sono cose profonde che sono collegate con il principio e la fine di tutte le cose, con lo scopo ultimo del mondo e dell’umanità, e con l’apertura del Regno eterno di Dio. Nelle Scritture, questa parola appare molte volte. Nelle funzioni della nostra Chiesa, parliamo del “Mistero che fu prima dei tempi e che è ignoto agli angeli”, vale a dire, il Mistero dell’Incarnazione di Dio. Cose come il Mostro di Loch Ness o il Triangolo delle Bermude non sono Misteri. Sono enigmi o cose strane e “misteriose,” ma non sono Misteri nel senso in cui le Scritture parlano di Misteri. Il “Mistero nascosto prima dei secoli,” d’altro canto, è il Mistero della nostra salvezza, la redenzione per mezzo di Gesù Cristo venuto in questo mondo. È qualcosa in questo mondo che già ci porta in un mondo differente, l’imperituro Regno di Dio.

Leggiamo pure nelle Scritture, inclusa l’Apocalisse, del Mistero dell’Iniquità (2 Ts 2:7, Ap 17:5). Anche questo è qualcosa di molto profondo, perché, in un certo modo, è l’opposto del Mistero nascosto nei secoli: è il mistero dell’opera del diavolo nel mondo. Anche il diavolo ha un regno imperituro: egli vuole portare tutti nell’abisso dell’inferno. Perciò, il compimento del suo piano sulla terra è come un mistero, poiché inizia in questo mondo e porta altrove, nell’abisso senza fondo.

Così, dobbiamo leggere questo libro come un resoconto dei misteri del futuro dell’umanità e della fine del mondo. Se esaminate la storia, non ne vedete esattamente l’inizio o la fine. Studiate il sorgere delle nazioni, la caduta dei regni, e da nessuna parte nella storia leggerete di un tempo in cui tutto giunge improvvisamente alla fine. Questo libro, tuttavia, parla di ciò che accade quando tutta la storia giunge alla fine, quando non ci sarà più storia. Questo è l’elemento di Mistero che ci porta nell’altro mondo, nella nuova era.

3. Consolazione per la Chiesa sofferente

Il proposito per cui fu scritto questo Libro è dato nel suo primo verso. È di “mostrare ai suoi servi (i servi di Cristo) le cose che debbono accadere tra breve.” Quindi, il soggetto dell’Apocalisse è una descrizione mistica del fato futuro della Chiesa di Cristo e di tutto il mondo. Vi sono descritti la battaglia della Chiesa contro i suoi nemici, in particolare il diavolo, e il suo trionfo su tutti i nemici. Questa è una grande consolazione, soprattutto in tempi di persecuzioni e di scoraggiamento per i cristiani, come per esempio i nostri tempi. Attraverso questo libro, gli eventi storici che vediamo attorno a noi sono posti nel contesto dell’intera battaglia della Chiesa contro le potenze del male, e della vittoria finale della Chiesa e dell’apertura del Regno eterno dei Cieli.

Chiunque abbia letto le storie della Chiesa delle Catacombe in Russia saprà che molti ne parlano nei termini della donna fuggita nel deserto negli ultimi tempi (Ap 12,6-14). Essi vedono se stessi in tempi apocalittici. Poiché l’intera società è governata dall’ateismo, e non v’è alcuna consolazione per un cristiano, ed essi stessi sono perseguitati e nascosti, le immagini di questo libro dell’Apocalisse sono molto consolanti. Esse mostrano che, nonostante il nemico abbia conquistato tutta la società, alla fine la Chiesa trionferà. Perciò le persone che leggono questo libro in tempi simili, sotto grandi difficoltà e persecuzioni, ne traggono forza per la loro difficile prova. Quando le potenze del male prendono una forma così potente come quella dei governi atei di oggi, è molto facile che le persone abbandonino la lotta, se non hanno un quadro del significato della loro prova, il significato del fatto che il male sembra trionfare in questo mondo, e la conoscenza che la Chiesa di Cristo alla fine trionferà. Così questo libro è stato letto e compreso dai cristiani soprattutto in tempi di grandi prove e persecuzioni; ma è stato letto dagli eretici in modo molto sbagliato, perché anch’essi lo leggono in tempi di persecuzione, e, non avendone una profonda e mistica comprensione, si lasciano trasportare dalle immagini, creano ogni sorta di nuove dottrine contrastanti con l’intero insegnamento della Chiesa, e alla fine sbagliano strada. Trovano, per esempio, che il numero 666 si riferisce a questa o a quella persona, o al Papa di Roma, o a qualcun altro, e pertanto tutto acquista un senso in tali termini; e quando la storia prova che quei termini non sono veri, le dottrine crollano. Naturalmente, quello non è il modo di leggere questo libro.

4. Il pericolo di confidare nelle proprie opinioni

Così non dobbiamo farci trasportare dalle immagini particolari di questo Libro, che sono estremamente vivide e drammatiche: bestie e draghi e donne nel cielo e così via. Non dobbiamo trarre alcuna conclusione dalla nostra fantasia. È importante che non ci limitiamo a leggere e raccogliere e interpretare secondo quanto ci viene in testa. Dobbiamo leggere il libro nel contesto di tutta la Sacra Scrittura e dell’interpretazione che ne dà la Chiesa. Dev’essere letto in primo luogo assieme a un regolare nutrimento spirituale, da fedeli ortodossi che frequentano la Chiesa, pregano ogni giorno, ricevono i Sacramenti, leggono le Sacre Scritture (e non soltanto questo libro delle Sacre Scritture) e altri libri spirituali. Se è presente un regime completo di vita cristiana, e se il nostro cristianesimo ortodosso è uno sforzo cosciente mantenuto quotidianamente al nostro livello – vale a dire, dicendo almeno alcune preghiere e leggendo alcuni brani delle Scritture ogni giorno, consapevoli di essere cristiani impegnati in una lotta – allora non saremo sopraffatti da qualche nuova catastrofe che giunge nella nostra vita, o interpretando in modo errato qualche immagine di questo libro, e finendo traviati.

Soprattutto, dobbiamo leggere un libro come questo con timor di Dio e sfiducia nella nostra sapienza personale. Chiunque legga libri simili – incluso il libro di Daniele, che ha immagini molto simili – dovrebbe, proprio all’inizio, decidere di non fidarsi di tutte le idee che verranno alla sua mente. Se pensiamo di poter comprendere per nostra esperienza o studio ciò a cui si riferisce un passo particolare, dovremmo essere esitanti ad accettare questa comprensione. Non dovremmo saltare alle conclusioni prima di avere controllato i Santi Padri, i nostri stessi preti, e di aver visto se questo va d’accordo con la nostra vita cristiana. Non dovremmo pensare in alcun modo di avere compreso qualcosa solo perché siamo riusciti a dargli un senso. Per esempio, molti si sono figurati ogni sorta di cose sul numero 666. Potete provare che è Napoleone; potete provare che è Hitler; potere provare che è il Papa di Roma, e vari Cesari, e chiunque vogliate. Ma ciò non è necessariamente vero; è solo un’interpretazione privata.

La comprensione delle Sacre Scritture è l’impegno di una vita, e perciò dovremmo essere molto lenti a pensare che comprendiamo molto. Quanto più esitanti siamo a fidarci della nostra comprensione personale, tanto più profondamente inizieremo a capire, soprattutto se stiamo leggendo anche altri libri in materia: libri e commentari ortodossi.

Il principale commentario che seguiremo in questo corso è quello dell’Arcivescovo Averky di Jordanville; l’ultimo capitolo del suo commentario sulle Epistole del Nuovo Testamento. Egli trae la maggior parte delle sue interpretazioni da un Padre del V secolo, Sant’Andrea di Cesarea. Non ci sono molti Padri che hanno scritto commentari sull’intero Libro dell’Apocalisse, e il suo è il principale.

5. L’approccio giusto

Nell’interpretare questo libro, il nostro primo proposito sarà quello di non identificare le immagini dell’Apocalisse con eventi contemporanei. A un certo punto forse ne parleremo per un po’, ma questo non è assolutamente uno scopo principale. Queste identificazioni saranno chiare solo quando gli eventi staranno realmente accadendo. Fino ad allora, dovremmo sospendere il giudizio ed essere molto cauti. Forse il re del Nord sarà la Russia, se questi eventi dovranno accadere nella nostra vita, ma finché non vedremo effettivamente gli eventi descritti nell’Apocalisse, non dovremmo emozionarci tanto per simili cose.

La nostra prima preoccupazione nell’interpretare questo libro è più profonda. Dobbiamo vederlo come una descrizione mistica della natura e del destino della Chiesa di Cristo e dei suoi nemici, che sono il diavolo, il mondo e l’Anticristo. Questa consapevolezza ci terrà al sicuro da molti degli errori elementari che i protestanti fanno riguardo al Millennio, il cosiddetto regno di mille anni di Cristo in questo mondo, che è un’eresia; al Rapimento in cielo dei giusti, che di fatto non fu inventato che nel XIX secolo; alla vera natura e al regno dell’Anticristo, e via dicendo.

Come per l’interpretazione di tutta la Sacra Scrittura, dobbiamo leggere il Libro assieme agli altri libri della Scrittura che danno indizi per la sua comprensione, specialmente il Libro di Daniele, che ha alcune delle sue stesse immagini. E di nuovo, dobbiamo leggerlo secondo l’interpretazione dei Padri portatori di Dio in ogni età, e non soltanto secondo le nostre idee.

Quanto più è profonda la nostra vita spirituale, tanto più profonda sarà la nostra comprensione di tali libri. Non dovremmo leggere questo libro finché non avremo iniziato una regolare vita spirituale, con tempi regolari di preghiera, letture spirituali, un padre spirituale. Allora non ci farà uscire dal seminato.

6. L’errore di interpretare il Libro cronologicamente

Questo libro è composto da una serie di visioni di tipo molto complicato, cosicché se iniziate a leggerlo senza alcuna interpretazione, ne uscirete totalmente confusi. Alcune di queste sono visioni del passato, alcune del presente e alcune del futuro. San Giovanni Crisostomo, nel suo commentario ai libri di Daniele e della Genesi, dice che la prima parte della Genesi è una profezia del passato, poiché nessuno era là a vedere gli eventi che vi sono narrati, ed essi furono rivelati allo stesso modo in cui gli eventi del futuro furono rivelati a Daniele e a Giovanni.

Il contenuto generale del Libro dell’Apocalisse riguarda gli eventi che devono accadere alla fine del mondo. Talvolta la fine del mondo è vista come un intero periodo, che ha inizio con la prima venuta di Cristo, nel qual caso è già trascorso un periodo di quasi duemila anni. Altre volte la fine del mondo indica gli ultimi eventi di questo periodo, subito prima della fine effettiva. Per rendere l’intero contesto della fine del mondo, alcune delle visioni – per esempio, la battaglia degli angeli nel cielo – riguardano cose che sono accadute anche prima dell’inizio del mondo. Perciò, nessuna spiegazione semplice è possibile. Per esempio, non si può dire che tutti gli eventi appaiano in ordine cronologico. Qui è dove sbagliano i protestanti con la loro interpretazione del Millennio, poiché pensano che tutto avvenga cronologicamente secondo l’ordine in cui è scritto. Questo è impossibile, perché il testo salta avanti e indietro: futuro, passato, presente, e quindi viene una nuova visione della cosa che è già stata profetizzata. Non si può assolutamente seguire il libro in modo cronologico. Il Libro dell’Apocalisse non è semplicemente una cronologia di eventi futuri, ma una visione mistica dell’intera Storia della Chiesa di Cristo; e solo incidentalmente presenta visioni di eventi futuri.

Vi sono altresì molti differenti livelli di interpretazione delle visioni di questo Libro. Così, con poche eccezioni, non è possibile dire che una data immagine corrisponde a una data realtà, poiché – come in tutta la Sacra Scrittura e nei nostri offici divini, che sono lo stesso genere di letteratura – un’immagine può significare molte cose differenti. Ci arriveremo quando vedremo le immagini di questo libro e troveremo che un Padre dice che un’immagine significa qualcosa, un altro Padre dice che significa un’altra cosa, e un altro ancora potrebbe dare un altro significato; e tutti e tre questi quadri potrebbero essere veri, perché non vi è una corrispondenza univoca tra immagini e realtà. Naturalmente, prima di leggere un libro come questo dovreste averne letti degli altri, come le lettere di Giacomo, Pietro e Giovanni, che trattano di cose molto più semplici: come vivere una vita morale, come essere cristiani, come combattere la guerra invisibile, e così via. Per il suo stesso contenuto, il Libro dell’Apocalisse presume che abbiate già letto cose come queste, poiché presume che già sappiate qual è la battaglia in corso tra la Chiesa e il diavolo, qual è la vita cristiana, e che genere di sforzo dobbiamo sopportare. Se non ne avete un’idea, non capirete nulla di questo libro.

7. L’imminenza della venuta di Cristo

Il libro inizia: “Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere rapidamente e che egli fece conoscere, mandandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni.” E cosa significa quando dice “le cose che devono accadere rapidamente”? Dobbiamo ricordare ciò che si dice in 2 Pietro 3:3-8:

Prima di tutto dovete sapere questo, che negli ultimi giorni verranno degli schernitori, che cammineranno secondo le loro proprie voglie, e diranno: “Dov’è la promessa della sua venuta? Da quando infatti i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione.” Ma essi dimenticano volontariamente che per mezzo della parola di Dio i cieli vennero all’esistenza molto tempo fa, e che la terra fu tratta dall’acqua e fu formata mediante l’acqua, a motivo di cui il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì, mentre i cieli e la terra attuali sono riservati dalla stessa parola per il fuoco, conservati per il giorno del giudizio e della perdizione degli uomini empi. Ora, carissimi, non dimenticate quest’unica cosa: che per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno.”

Tutto ciò mostra che anche ai giorni di San Pietro – vale a dire, proprio dopo la venuta di Cristo – la gente stava già dicendo ai cristiani: “Voi parlate della fine del mondo, ma il mondo è com’è sempre stato: nulla è differente.” Ora sono passati due millenni, e ancora la gente dice la stessa cosa: “Voi parlate della fine del mondo; i cristiani hanno sempre pensato che la fine del mondo fosse alle porte, e sono passati duemila anni. Andrà avanti così per millenni e millenni.” Naturalmente, quando San Giovanni dice “le cose che devono accadere rapidamente,” dobbiamo ricordare che “rapidamente” potrebbe significare questi duemila anni. Se mille anni sono come un giorno al cospetto del Signore, allora duemila anni sono un periodo piuttosto breve. Questo periodo è necessario perché entrino nella Chiesa quanti devono essere salvati, e perché si sveli il mistero dell’iniquità.

Per tutte le ere, molti Padri hanno detto che la fine delle cose è alle porte, che Cristo verrà presto; ma non sembra che Egli venga presto. Ora viviamo in quelli che chiamiamo ultimi giorni, e ancora diciamo che la fine sembra alle porte. E perché? I cristiani sono sempre in errore o sviati a pensare che la fine venga presto, quando si scopre che non è venuta?

Prima di tutto, Cristo viene per ogni persona; ogni persona deve vivere in questo mondo per una volta e morire. Perciò, per ognuno di noi la venuta di Cristo è molto imminente. Ciò è molto vero.

In secondo luogo, chiunque vive di fede e guarda misticamente alle cose – vale a dire, cerca di vedere il retro degli eventi esterni della storia – vede che in verità quelle cose che devono accadere stanno già accadendo. Di fatto, San Giovanni stesso dice, in una delle sue Epistole: “Avete udito che l’Anticristo deve venire; e fin da ora sono sorti molti Anticristi.” Anche nei suoi tempi, la fine del primo secolo, già molti Anticristi erano venuti; vale a dire, molte persone che erano nello spirito dell’Anticristo; e ce ne sarebbero stati molti altri. L’Anticristo è sia all’esterno che all’interno della Chiesa. Certamente i comunisti sono un tipo di Anticristo; e le persone che cercano di corrompere la Chiesa dall’interno svolgono il ruolo di Anticristo. Possiamo guardare a tutta la Storia e vedere molti che furono certamente nello spirito dell’Anticristo, ma che non furono ancora l’Anticristo che dovrà venire alla fine. Quello spirito di Anticristo era presente all’inizio stesso della storia della Chiesa, poiché il diavolo iniziò immediatamente la sua guerra contro di essa.

Pertanto, visto che il libro dell’Apocalisse parla di tutta la guerra della Chiesa di Cristo contro il diavolo, tutte le cose che accadranno alla fine iniziano ad accadere proprio all’inizio della Storia della Chiesa.

In conclusione, dobbiamo vedere quel “rapidamente” come un riferimento alla nostra morte, perché l’escatologia – lo studio delle cose ultime – non si riferisce solo alla fine del mondo, ma anche alla fine della nostra vita, poiché quando ciascuno di noi muore va in quell’altro mondo e là attende la fine di questo mondo. E in secondo luogo, si riferisce al fatto che il tempo è davvero breve per le misure della storia, e al cospetto di Dio. Noi possiamo risalire nella storia di cinque, sei, sette millenni. Duemila anni ne sono una piccola parte.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Apocalisse.htm

OODE sezione Italiana: https://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/escatologia/apocalisseraphim.htm




Arcivescovo Averky (Taushev): Commento all’Apocalisse o Rivelazione di San Giovanni il Teologo (I)

“Poi c’è un altro tipo di libro: i commentari alle Sacre Scritture. Non ce ne sono molti in inglese ma abbiamo alcuni dei commentari di san Giovanni Crisostomo. Questo è un campo un po’ debole in inglese, perché ci sono molti buoni libri in russo che non ci sono ancora in inglese, inclusi i libri più recenti di commentari alle Scritture, anche sull’Apocalisse. I libri dell’arcivescovo Averky sono molto buoni, ma solo ora vengono tradotti in inglese. A Dio piacendo, tra non molto saranno pubblicati”[1]

P. Seraphim Rose di Platina

Articolo del (PER)CORSO DI SOPRAVVIVENZA ORTODOSSA

Biografia dell’Arcivescovo Averky

Il futuro arcivescovo Averky (Taushev) nacque nel 1906 a Kazan’. A causa della natura del lavoro del padre, in gioventù viaggiò per tutta la Russia e giunse ad amare i suoi monasteri, facendo profonde letture. Nel 1920 la famiglia Taushev fuggì dalla Russia nella città bulgara di Varna. Qui, mentre ancora al liceo, il giovane incontrò l’arcivescovo esule Teofane di Poltava, che ispirò ulteriormente il suo amore per la vita monastica. Dopo aver lasciato la scuola il futuro arcivescovo si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università di Sofia.

Dopo la laurea accettò un posto di lavoro come assistente segretario della diocesi carpato-russa in quella che allora era la Cecoslovacchia. Lì, nel 1931, fu tonsurato monaco con il nome di Averky, fu ordinato diacono e nel 1932 sacerdote, in servizio nelle parrocchie locali. Dopo aver svolto vari compiti per la diocesi, nel 1940 padre Averky fu costretto a lasciare la Rus’ carpatica. Si trasferì a Belgrado, dove insegnò teologia pastorale e omiletica, ma nel 1945, ritirandosi di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa, arrivò a Monaco insieme con il Sinodo dei Vescovi della Chiesa fuori della Russia. Qui continuò l’insegnamento.

Nel 1951 padre Averky fu assegnato a insegnare al Seminario della Santa Trinità a Jordanville nello Stato di New York. Padre Averky fu presto consacrato vescovo e nel 1960 fu scelto come abate del monastero. Come abate, l’arcivescovo Averky – questo era il suo nuovo titolo – guidò gli studi, insegnando Nuovo Testamento e omiletica, scrittura e predicazione. Inoltre partecipò attivamente alla pubblicazione del periodico russo ‘Rus ortodossa’. Si addormentò nel Signore nel 1976, noto per i suoi scritti e sermoni ortodossi che invitavano al pentimento, la sua vita santa, l’adesione alla Tradizione contro l’ecumenismo e l’estremismo, e la sua convinzione che la fine del mondo si stava rapidamente avvicinando in mezzo all’apostasia contemporanea.

Il mistero che ci riguarda deriva dal fatto che l’arcivescovo era molto convinto che la fine del mondo era vicina. Già una volta, oltre 1950 anni fa, l’apostolo Paolo scrisse allo stesso modo riguardo alla fine del mondo. È possibile quindi che i santi si sbaglino? In realtà, i santi non si sono sbagliati. La fine del mondo è stata vicina in diverse occasioni. Le persone di vita santa ne hanno intuizioni ed è proprio per questo che sono inviati da Dio ad avvertirci e a chiamarci al pentimento. Questo è ciò che ha fatto l’apostolo Paolo ed è anche quello che ha fatto l’arcivescovo Averky. E i fedeli hanno ascoltato le loro parole e quelle di altri.

Nel 1981, cinque anni dopo il riposo dell’arcivescovo Averky, il Sinodo dei Vescovi ha canonizzato i nuovi martiri e confessori della Russia. Grazie alle loro preghiere, le persecuzioni sono cessate nelle terre russe e ha avuto inizio il processo del ribattesimo della Rus’. Con questo atto di pentimento per l’abbattimento della vecchia Russia e dei suoi fondamenti ortodossi tre generazioni prima nel 1917, il mondo è cambiato. Dio ha dato una proroga al mondo, e la fine che effettivamente era stata vicina negli anni ’60 e ’70, proprio come aveva detto il santo arcivescovo, si ritrasse.

Oggi, con la situazione del mondo sul filo del rasoio, con il mondo occidentale che è attanagliato dalla brama satanica di controllo militare ed economico globale e cerca di distruggere le ultime vestigia di vita spirituale in tutto il mondo, con molti paesi ortodossi come la Grecia, Cipro, la Romania e la Bulgaria compromessi dalla propaganda occidentale, con molte delle ultime roccaforti di pietà ortodossa, tra cui la Serbia, la Georgia, la Moldova e ora l’Ucraina sotto minaccia, e con la Russia solo a metà strada del cammino del pentimento, è chiaro che la fine si avvicina ancora una volta. Ora solo la Madre di Dio può estendere la storia e concederci un altro periodo di pentimento. Ora dobbiamo tornare di nuovo alle profezie e agli avvertimenti dell’arcivescovo Averky.

originale: http://www.events.orthodoxengland.org.uk/the-mystery-of-archbishop-averky/

Commento all’Apocalisse o Rivelazione di San Giovanni il Teologo (I)

IL SIGNIFICATO DELL’APOCALISSE E L’INTERESSE PER ESSA

L’Apocalisse, o come di consueto si traduce dal greco, la Rivelazione di San Giovanni il Teologo, è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. È la conclusione naturale dell’intera raccolta dei libri sacri del Nuovo Testamento. Nei libri della Legge, in quelli storici o pedagogici, un cristiano acquisirà conoscenza sul fondamento e sulla crescita storica della vita della Chiesa di Cristo come fosse una guida per le personali attività quotidiane; nell’Apocalisse, la mente e il cuore dei credenti ricevono mistiche indicazioni profetiche sul destino futuro della Chiesa e del mondo intero. L’Apocalisse è un libro misterioso, molto difficile da comprendere e interpretare correttamente, per cui il Typicon della Chiesa non richiede letture da esso durante i servizi divini. Ma allo stesso tempo, è proprio il carattere misterioso di questo libro che attira l’interesse sia dei cristiani credenti che dei pensatori semplicemente curiosi. Nel corso di tutta la storia dell’umanità coeva al Nuovo Testamento, gli uomini hanno cercato di svelare il significato e il senso delle misteriose visioni in esso descritte. Esiste un’enorme letteratura sull’Apocalisse, tra cui anche molte opere assurde riguardanti l’origine e il contenuto di questo misterioso libro. Si potrebbe indicare come una di queste opere uscite in tempi recenti, il libro di N.A. Morozov “Rivelazioni in tuoni e tempeste. Sulla base dell’idea preconcetta che le visioni descritte nell’Apocalisse, con la precisione di un osservatorio astronomico, rappresentino lo stato del cielo stellato in un preciso momento storico, N.A. Morozov fa un calcolo astronomico e giunge alla conclusione che era descritto il cielo stellato del 30 settembre 395. Sostituendo le persone, le azioni e le immagini dell’Apocalisse con pianeti, stelle e costellazioni, N.A. Morozov utilizza ampiamente i vaghi contorni delle nuvole, sostituendo con essi i nomi mancanti di stelle, pianeti e costellazioni consentendogli di rappresentare un’immagine completa del cielo secondo i dati dell’Apocalisse. Se le nuvole non lo aiutano, con tutta la morbidezza e l’elasticità di questo materiale in mani capaci, allora Morozov rifà il testo dell’Apocalisse nel senso che gli necessita. Morozov giustifica la sua libera manipolazione del testo del libro sacro attraverso errori materiali o con l’ignoranza dei copisti dell’Apocalisse, “che non capirono il significato astronomico dell’immagine”, o anche con la considerazione che lo stesso scrittore dell’Apocalisse “grazie a un’idea preconcetta”, ha forzato l’interpretazione nel descrivere l’immagine del cielo stellato. Utilizzando lo stesso “metodo scientifico”, N.A. Morozov determina che l’autore dell’Apocalisse fosse San Giovanni Crisostomo (nato nel 347, morto nel 407), arcivescovo di Costantinopoli. Alla totale assurdità storica delle sue conclusioni, Morozov non presta alcuna attenzione. (Prot. Nik. Alexandrov). Nel nostro tempo – il periodo della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa, e poi l’ancor più terribile seconda guerra mondiale, quando l’umanità ha vissuto tanti terribili sconvolgimenti e disastri – il tentativo di interpretare l’Apocalisse in rapporto con gli eventi vissuti sono aumentati ancora di più, con più o meno successo. Nel fare tali tentativi, c’è una cosa essenziale ed importante da ricordare: nell’interpretazione dell’Apocalisse, come in generale per ogni interpretazione di questo o quel libro della Sacra Scrittura, è essenziale fare uso dei fatti contenuti negli altri libri sacri che fanno parte della nostra Bibbia, come pure delle opere interpretative dei S. Padri e dei dottori della Chiesa. Delle specifiche opere patristiche sull’interpretazione dell’Apocalisse, bisogna valutare specialmente il “Commento sull’Apocalisse” di S. Andrea, arcivescovo di Cesarea, che riassume l’intera comprensione dell’Apocalisse nel periodo pre-niceno (cioè antecedente al primo Concilio Ecumenico del 325). Pregevolissima è anche l’Apologia sull’Apocalisse di S. Ippolito di Roma (c. 230). Nei tempi recenti sono apparse così tante opere interpretative sull’Apocalisse che alla fine del XIX secolo il loro numero era arrivato a 90. Delle opere russe, le più preziose sono: 1) A. Zhdanova- “La Rivelazione del Signore sulle sette Chiese d’Asia” (un tentativo di spiegare i primi tre capitoli dell’Apocalisse); 2) Vescovo Pietro – “Spiegazione dell’Apocalisse del S. Apostolo Giovanni il Teologo”; 3) N. A. Nikolsky – ” L’Apocalisse e la falsa profezia smascherate da essa”; 4) N. Vinogradova – “Sul destino finale del mondo e dell’uomo” e 5) M. Barsova – “Raccolta di Saggi sull’interpretazione e la lettura edificante dell’Apocalisse”.


[1]Il Padre Seraphim Rose tradusse l’intero Commento all’Apocalisse dell’arcivescovo Averky, oltre che alcune parti del suo Commento ai Vangeli e alle Epistole.




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 3

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Omelia 3

Matt. I. 1.

“Libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ecco il terzo discorso, e non abbiamo ancora terminato le premesse. Non per nulla dissi che è nella natura di questi pensieri avere una grande profondità.

Su, dunque, parliamo oggi di ciò che resta. Che cos’è dunque che ci domandiamo ora? Perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha avuto parte alla nascita? Una causa l’abbiamo già menzionata; ma è necessario menzionare anche l’altra, quella più mistica e segreta della prima. Qual è dunque questa? Egli non vuole che al momento della nascita sia manifesto ai Giudei che Cristo è nato da una vergine.

Non turbatevi per la stranezza dell’affermazione, perché non è una mia affermazione, ma dei nostri Padri, uomini meravigliosi e illustri. Infatti, se Egli ha dissimulato molte cose fin dall’inizio, chiamandosi Figlio dell’uomo e non ci ha rivelato ovunque e chiaramente neppure la sua uguaglianza con il Padre, perché vi meravigliate che abbia mascherato per un certo tempo anche questo, in ordine al raggiungimento di un certo scopo grande e meraviglioso? Inoltre, l’avrebbero condannata per adulterio. Infatti, se per quanto riguarda le altre questioni, per le quali esistevano frequenti precedenti anche nell’antico ordinamento, erano abbastanza sfacciati nella loro ostinazione (infatti, poiché aveva scacciato i demoni, lo chiamavano indemoniato; e poiché guariva in giorno di sabato, lo ritenevano un avversario di Dio; eppure spesso anche prima di ciò il sabato era stato infranto), che cosa non avrebbero detto, se questo fosse stato rivelato loro? Tanto più che avevano dalla loro parte tutto il tempo precedente, che non aveva mai prodotto nulla di simile. Infatti, se dopo tanti miracoli lo chiamavano ancora figlio di Giuseppe, come avrebbero potuto credere, prima dei miracoli, che fosse nato da una vergine?

È per questo motivo che Giuseppe ha la sua genealogia e la Vergine gli è stata promessa in sposa. Infatti, se persino lui, che era un uomo giusto e meravigioso, ebbe bisogno di molte prove per accettare ciò che era avvenuto – un angelo, la visione in sogno e la testimonianza dei profeti – come avrebbero potuto i Giudei, ottusi e depravati e di spirito così ostile nei suoi confronti, ammettere questa idea nella loro mente? Infatti, la stranezza e la novità della cosa li avrebbero sicuramente turbati molto e il fatto che non avessero mai sentito parlare di una cosa simile ai tempi dei loro antenati. Infatti, come l’uomo che fosse stato convinto che Egli fosse Figlio di Dio, da quel momento non avrebbe avuto motivo di dubitare anche di questo; così colui che lo riteneva un ingannatore e un avversario di Dio, come avrebbe potuto non essere ancora più offeso da questo, ed essere indotto alla convinzione opposta? Per questo motivo gli apostoli non parlano direttamente di tutto ciò, mentre parlano molto spesso della sua risurrezione (perché di questo c’erano stati esempi nei tempi precedenti, anche se non come questa); che Egli sia nato da una vergine non lo esprimono sempre: anzi, nemmeno sua madre si azzardò a dirlo. Si veda, ad esempio, cosa dice la Vergine anche a sé stessa: “Ecco, tuo padre e io ti abbiamo cercato” (Lc 2,48). Se si fosse nutrito questo sospetto, infatti, non si sarebbe più ritenuto che Egli fosse Figlio di Davide e se non ci fosse stata questa opinione, sarebbero sorti molti altri mali. Per questo motivo, gli angeli non dicono queste cose a tutti, ma solo a Maria e a Giuseppe; ma quando mostrarono ai pastori la lieta novella di ciò che era avvenuto, non aggiunsero anche questo.

2. Ma perché, dopo aver menzionato Abramo e aver detto che egli generò Isacco e Isacco Giacobbe, e non fa’ alcuna menzione di suo fratello, quando arriva a Giacobbe, si ricorda di Giuda e dei suoi fratelli? Alcuni dicono che è stato a causa della perversione di Esaù e degli altri che l’hanno preceduto. Ma io non direi questo, perché se fosse così, come mai poco dopo menziona quelle donne? È per contrasto, è in questo luogo che si manifesta la sua gloria, non avendo grandi antenati, ma bassi e di poco conto. Perché per l’eccelso è una grande gloria potersi abbassare molto. Perché allora non li ha menzionati? Perché i Saraceni, gli Ismaeliti, gli Arabi e tutti coloro che discendono da questi antenati non hanno nulla in comune con la razza degli Israeliti. Per questo motivo li passa sotto silenzio e si affretta a passare ai suoi antenati e a quelli del popolo ebraico. Per questo dice: “Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli”. Perché a questo punto la razza degli Ebrei comincia ad avere il suo marchio peculiare.

3. E Giuda generò Phares e Zara da Thamar. (Mt 1,3) Cosa fai tu, o uomo, ricordandoci una storia che contiene un rapporto illecito? Ma perché si dice questo? Poiché, se si raccontasse la stirpe di un semplice uomo, si sarebbe naturalmente potuto tacere toccando queste cose; ma se si tratta del Dio incarnato, lungi dal tacere, bisognerebbe farne gloria, mostrando la sua tenera cura e la sua potenza. Sì, per questo è venuto, non per sfuggire alle nostre disgrazie, ma per portarle via. Perciò così come è tanto più ammirato, in quanto non solo morì, ma fu anche crocifisso (sebbene la cosa sia oltraggiosa, ma quanto più è oltraggiosa quanto più lo mostra pieno d’amore per l’uomo), così similmente possiamo parlare della sua nascita; non è solo perché si è incarnato e si è fatto uomo che giustamente rimaniamo meravigliati di lui, ma perché si è degnato anche di avere anche tali antenati, senza vergognarsi affatto dei nostri mali. E questo proclamava fin dall’inizio della sua nascita, non vergognandosi di nessuna di quelle cose che ci appartengono; mentre ci insegna anche in questo modo, a non nascondere mai la nostra faccia davanti alla malvagità dei nostri antenati, ma a cercare solo una cosa, la virtù. Perché un tale uomo, anche se ha uno straniero per suo antenato, anche se ha una madre che è una prostituta, o quello che vuoi, non può subire alcun danno da ciò. Infatti, se il fornicatore stesso, essendo cambiato, non è disonorato dalla sua vita precedente, molto più la malvagità della sua stirpe non avrà il potere di svergognare colui che è nato da una meretrice o da un’adultera, se è virtuoso.

Ma ha fatto queste cose non solo per istruirci, ma anche per abbattere la superbia dei Giudei. Poiché essi, trascurando la virtù nelle loro anime, ostentavano il nome di Abramo, pensando di potersi appellare alla virtù dei loro antenati; mostra fin dall’inizio che non è di queste cose che gli uomini devono gloriarsi, ma delle proprie buone azioni.

Oltre a questo, stabilisce anche un altro punto, per mostrare che tutti sono sotto il peccato, anche i loro stessi antenati. In effetti si dimostra che il loro patriarca e omonimo ha commesso un peccato non piccolo, poiché Thamar si erge davanti a lui, per accusare la sua prostituzione. E anche Davide ebbe Salomone dalla moglie che corruppe. Ma se dai grandi la legge non fu adempiuta, molto più dai minori. E se non si è adempiuta, tutti hanno peccato e la venuta di Cristo si rese necessaria.

Per questo fece menzione anche dei dodici patriarchi, abbattendo così di nuovo il loro orgoglio per la nobile nascita dei loro padri. Poiché anche molti di questi sono nati da donne che erano schiave; ma nondimeno la differenza dei genitori non ha fatto differenza nei figli. Perché tutti erano ugualmente sia patriarchi che capi tribù. Perché questa è la precedenza della Chiesa, questa è la prerogativa della nobiltà che è in mezzo a noi, assumendone il tipo fin dall’inizio. Sicché, sia che tu sia schiavo o libero, non ne hai né più né meno; ma la questione riguarda solo una cosa, vale a dire la mente e la disposizione dell’anima.

4. Ma oltre a ciò che abbiamo già detto, c’è anche un’altra causa per cui si cita questa storia; perché, per essere sicuri, il nome di Zara non è stato gettato a caso su quello di Phares. (Infatti, era irrilevante e superfluo, quando aveva già menzionato Phares, da cui doveva risalire alla genealogia di Cristo, menzionare anche Zara). Perché allora la nominò? Quando Thamar era sul punto di partorirli, essendo sopraggiunte le doglie, Zara fece uscire per prima la sua mano. (Gn 38,27) La levatrice, vedendo ciò, per far riconoscere il primo nato, gli legò la mano con lo scarlatto; ma il bambino, una volta legato, ritrasse la mano e, quando l’ebbe ritratta, uscì prima Phares e poi Zara. La levatrice, vedendo ciò, disse: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” (Gn 38,29)

Vedi l’espressione oscura dei misteri? Infatti non è senza scopo che queste cose siano state registrate per noi, poiché non valeva la pena di studiare cosa avesse detto la levatrice, né valeva la pena di raccontare che colui che era uscito per secondo aveva messo la mano per primo. Qual è dunque la lezione misteriosa? In primo luogo, dal nome del bambino apprendiamo ciò che viene richiesto, perché Phares è una divisione e una rottura. E poi dal fatto stesso che avvenne, poiché non era nell’ordine della natura che, dopo aver spinto fuori la mano, la tirasse di nuovo dentro quando era legata; queste cose non appartengono a un movimento diretto dalla ragione, né avvennero in modo naturale. Infatti, dopo che la mano aveva trovato la sua via d’uscita, forse non era innaturale che un altro bambino nascesse prima. Ma che egli la ritirasse e desse il posto ad un altro, non era più come avviene naturalmente ai bambini al momento della nascita, ma la grazia di Dio era presente con i bambini, ordinando queste cose e tracciando per noi una sorta di immagine delle cose che dovevano venire.

E allora? Alcuni di coloro che hanno esaminato accuratamente queste cose dicono che questi bambini sono un tipo delle due nazioni. Affinché possiate imparare che la polarità di quest’ultimo popolo risplendeva prima dell’origine del primo, il bambino che ha la mano tesa non si mostra intero, ma si ritrae; dopo che suo fratello è uscito via intero, allora anche lui appare intero. E questo avvenne anche per quanto riguarda le due nazioni. Voglio dire che, dopo che la civiltà della Chiesa si era manifestata ai tempi di Abramo, e poi si era ritirata nel bel mezzo del suo corso, arrivò il popolo ebraico e la civiltà legale; allora il nuovo popolo apparve intero con le proprie leggi. Per questo la levatrice dice anche: “Perché la siepe è stata spezzata per voi?”, perché la legge, entrando, ha infranto la civiltà della libertà. Infatti la Scrittura è solita chiamare la legge siepe, come dice il profeta: Tu hai abbattuto la sua siepe, così che tutti quelli che passano per la strada strappano i suoi grappoli; e io ho posto una siepe intorno ad essa; e Paolo, che ha abbattuto il muro di mezzo della siepe. Ma altri dicono che il detto: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” sia stato pronunciato per il nuovo popolo, perché questo, alla sua venuta, ha abbattuto la legge.

5. Vedete che non è per pochi o futili motivi che ci ha fatto ricordare tutta la storia di Giuda? A questo scopo ha menzionato anche Ruth e Rahab, l’una straniera, l’altra prostituta, affinché impariate che Egli è venuto per eliminare tutti i nostri mali. Infatti è venuto come medico, non come giudice. Perciò, come quelli di un tempo presero per mogli le prostitute, così anche Dio sposò a sé la natura che aveva fatto la prostituta; proprio questo anche i profeti fin dall’inizio dichiarano essere avvenuto nei confronti della Sinagoga. Ma quella sposa fu ingrata nei confronti di Colui che l’aveva sposata, mentre la Chiesa, una volta liberata dai mali ricevuti dai nostri padri, continuò ad abbracciare lo Sposo.

Guardate, per esempio, ciò che accadde a Ruth, come è simile alle cose che ci appartengono. Poiché era di razza straniera e ridotta alla massima povertà, Boaz, quando la vide, non disprezzò la sua povertà né aborriva la sua nascita meschina, così come Cristo, che ha ricevuto la Chiesa, essendo straniero e in grande povertà, la prese come partecipe delle grandi benedizioni. Ma come Ruth, se non avesse prima abbandonato il padre e rinunciato alla famiglia e alla razza, al paese e alla parentela, non sarebbe arrivata a questa alleanza, così anche la Chiesa, avendo abbandonato i costumi che gli uomini avevano ricevuto dai loro padri, allora, e non prima, divenne amabile per lo Sposo. Per questo il profeta le dice: “Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, così il re si compiacerà della tua bellezza”. Anche Ruth lo fece, e per questo divenne madre di re, come anche la Chiesa. Da lei, infatti, è nato Davide. Quindi, per svergognarli con tutte queste cose e per convincerli a non essere altezzosi, ha composto la genealogia e ha presentato queste donne. Sì, perché per questo fine, attraverso coloro che sono intervenuti, è stata genitrice del grande re e di queste origini Davide non si vergogna. Perché non può, anzi, non può essere che un uomo sia buono o cattivo, oscuro o glorioso, né per la virtù né per il vizio dei suoi antenati; ma se si deve dire qualcosa di paradossale, risplende di più colui che, non avendo antenati degni, è diventato eccellente.

6. Nessuno, dunque, si faccia un’opinione elevata di simili questioni, ma considerando gli antenati del Signore, metta da parte ogni superbia e faccia delle buone azioni il suo vanto; o meglio, nemmeno di queste. Perché fu così che il fariseo divenne inferiore al pubblicano. Così, se volete dimostrare che l’opera buona è grande, non abbiate pensieri elevati e l’avrete dimostrata tanto più grande. Fate conto di non aver fatto nulla e avrete fatto tutto. Infatti, se da peccatori, quando ci consideriamo tali, diventiamo giusti, come fece il pubblicano, quanto più lo saremo quando, da giusti, ci considereremo peccatori. Poiché se da peccatori gli uomini diventano giusti grazie all’umiltà d’animo (anche se non si trattava di umiltà d’animo, ma di rettitudine d’animo), se l’umiltà d’animo è così utile nel caso dei peccatori, considerate cosa non farà l’umiltà d’animo nei confronti degli uomini giusti.

Non rovinare le tue fatiche, non gettare via i frutti dei tuoi sforzi, non correre invano, non vanificare il tuo lavoro dopo i tanti percorsi che hai fatto. Anzi, il vostro Signore conosce le vostre opere buone meglio di voi. Anche se date solo una tazza d’acqua fredda, Egli non trascura nemmeno questo; anche se contribuite solo con un soldo, anche se emettete solo un sospiro, Egli riceve tutto con grande favore, ne è consapevole e assegna per questo grandi ricompense.

Ma perché prendete le vostre azioni e le portate continuamente davanti a noi? Non sapete che se lodate voi stessi, Dio non vi loderà più? Così come se vi lamentate, Egli non smetterà di proclamarvi davanti a tutti. Perché non è affatto sua volontà che le vostre fatiche siano sminuite. Perché dico “sminuite”? Anzi, Egli sta facendo e progettando ogni cosa, affinché anche per poco possa incoronarvi; e va cercando ogni scusa per liberarvi dall’inferno. Per questo motivo, anche se lavorate solo l’undicesima ora del giorno, Egli vi dà il vostro salario intero; e anche se non offrite alcun motivo di salvezza, Egli dice: “Lo faccio per il mio bene, affinché il mio nome non sia profanato”: (Ez 36,22) anche se tu dovessi solo sospirare, anche se tu dovessi solo piangere, tutte queste cose Egli le coglie al volo per salvarti.

Non innalziamoci dunque, ma dichiariamoci non utili, per diventare utili. Infatti, se ti dichiari approvato, sei diventato inutile, anche se eri approvato; ma se sei inutile, sei diventato utile, anche se eri reprobo.

7. Per questo è necessario dimenticare le nostre buone azioni. Ma come è possibile, si dirà, non sapere quelle cose che conosciamo bene? Come si fa a dire? Offendendo continuamente il tuo Signore, vivi con superficialità e ridi, e non sai nemmeno di aver peccato, ma hai consegnato tutto all’oblio; e delle tue buone azioni non riesci a mettere via il ricordo? Eppure la paura è una cosa più forte. Ma noi facciamo proprio il contrario: da un lato, mentre ogni giorno commettiamo un’offesa, non ce lo ricordiamo nemmeno; dall’altro, se diamo un po’ di soldi a un povero non facciamo che ripensarci. Questo tipo di comportamento è frutto di una totale follia e rappresenta una grande perdita per chi fa i conti in questo modo. Perché il deposito sicuro delle opere buone è dimenticare le nostre opere buone. E come per le vesti e l’oro, quando li esponiamo al mercato, attiriamo molti malintenzionati; ma se li mettiamo in casa e li nascondiamo, li depositeremo tutti al sicuro, così per le nostre buone azioni: se le teniamo continuamente in memoria, provochiamo il Signore, armiamo il nemico, lo invitiamo a rubarle; ma se nessuno le conosce, oltre a Colui che è l’unico a doverle conoscere, giacciono al sicuro.

Non ostentatele sempre, per evitare che qualcuno le porti via. Come accadde al fariseo, che le portava sulle labbra e per questo il diavolo gliele portò via. Eppure ne faceva menzione con gratitudine e rimandava tutto a Dio. Ma nemmeno questo gli bastò. Perché non è ringraziamento rinfacciare agli altri, essere vanagloriosi davanti a molti, esaltare sé stessi contro coloro che hanno offeso. Piuttosto, se state rendendo grazie a Dio, accontentatevi solo di Lui e non fatelo sapere agli uomini, né condannate il vostro prossimo, perché questo non è ringraziamento. Volete imparare le parole di ringraziamento? Ascoltate i tre giovani cosa dicono: “Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito. Tu sei giusto, o Signore, in tutto ciò che ci hai fatto, perché hai fatto ricadere tutto su di noi con un vero giudizio” (Dn 3,28ss). Confessare i propri peccati, infatti, significa rendere grazie a Dio con la confessione: un tipo di cosa che implica che uno sia colpevole di innumerevoli reati, senza che gli venga inflitta la pena dovuta. Quest’uomo è soprattutto colui che rende grazie.

8. Guardiamoci dunque dal dire qualcosa di noi stessi, perché questo ci rende odiosi agli uomini e abominevoli a Dio. Per questo motivo, quanto più grandi sono le opere buone che compiamo, tanto meno diciamo di noi stessi; questo è il modo per ottenere la massima gloria sia presso gli uomini che presso Dio. O meglio, non solo gloria da parte di Dio, ma anche una ricompensa, sì, una grande ricompensa. Non chiedete dunque una ricompensa per ricevere una ricompensa. Confessate di essere salvati per grazia, affinché Egli si dichiari debitore nei vostri confronti; e non solo per le vostre buone opere, ma anche per questa rettitudine d’animo. Infatti, quando facciamo opere buone, Lo abbiamo debitore solo per le nostre opere buone; ma quando non pensiamo di aver fatto alcuna opera buona, allora anche per questa disposizione, e più per questa che per le altre cose, nel modo che questa stessa sia considerata equivalente alle nostre opere buone. Infatti, se questa consapevolezza non c’è, non appaiono grandi neanche le opere. Allo stesso modo, infatti, anche noi, quando abbiamo dei servi (Lc 17,10), li approviamo maggiormente quando, dopo aver svolto tutti i loro servizi con buona volontà, non pensano di aver fatto qualcosa di grande. Perciò, se volete rendere grandi le vostre buone azioni, non pensate che siano grandi, e allora saranno veramente grandi.

Così anche il centurione disse: “Non sono degno di ospitarti sotto il mio tetto”; per questo divenne degno e fece rimanere stupefatti (Mt 8,8) soprattutto i Giudei. Così anche Paolo dice: “Non sono adatto a essere chiamato apostolo”; (1 Corinzi 15,9) per questo divenne il primo di tutti. Così anche Giovanni: “Non sono degno di sciogliere il nodo dei tuoi calzari” (Mc 1,6); per questo era l’amico dello Sposo, e la mano che affermava essere indegna di toccare i suoi calzari, Cristo l’ha attirata verso il suo capo. Così anche Pietro disse: “Vattene da me, perché sono un uomo peccatore”; (Luca 5,8) per questo divenne un fondamento della Chiesa. Infatti, nulla è così gradito a Dio come l’annoverarsi tra gli ultimi. Questo è il primo principio di ogni saggezza pratica. Perché chi è umiliato e contrito nel cuore non sarà vanaglorioso, non sarà iracondo, non invidierà il suo prossimo, non coverà altre passioni. Infatti, quando una mano è contusa, anche se ci sforziamo diecimila volte, non riusciamo a sollevarla in alto. Se dunque dovessimo ferire così anche il nostro cuore, anche se fosse agitato da diecimila passioni, non potrebbe essere innalzato, no, nemmeno di poco. Infatti, se un uomo, piangendo per le cose relative a questa vita, scaccia tutte le malattie della sua anima, molto più colui che piange per i peccati, godrà della benedizione della moderazione.

9. Ma chi, si dirà, sarà in grado di ferire così il proprio cuore? Ascoltate Davide, che divenne illustre soprattutto per questo, e vedete la contrizione della sua anima. Dopo aver compiuto diecimila opere buone e quando stava per essere privato della patria, della casa e della vita stessa, proprio nel momento della sua calamità, vedendo un vile ed emarginato soldato comune calpestare la svolta della sua fortuna e disprezzarlo, in contraccambio lungi dal disprezzarlo, fermò del tutto uno dei suoi capitani che desiderava ucciderlo e disse: “Lascialo stare, perché il Signore glielo ha ordinato” (2 Sam 16,10). E ancora, quando i sacerdoti volevano portare con sé l’arca di Dio, non lo permise; ma cosa disse? Lasciatemi posare l’arca nel tempio e, se Dio mi libererà dai pericoli che mi stanno davanti, ne vedrò la bellezza; ma se mi dirà: “Non ho alcun piacere in te, ecco, sono qui; lascia che mi faccia ciò che gli sembra bene”. E ciò che fu fatto nei confronti di Saul, più e più volte, quale eccellenza di autocontrollo non dimostra? Sì, perché superò persino l’antica legge e si avvicinò alle ingiunzioni apostoliche. Per questo motivo sopportò con serenità tutto ciò che veniva dalle mani del Signore, senza contestare ciò che gli accadeva, ma mirando a un solo obiettivo: obbedire e seguire in tutto le leggi da Lui stabilite. E quando, dopo tante nobili azioni da parte sua, vide il tiranno, il parricida, l’assassino del suo stesso fratello, quell’ingiurioso, quel pazzo, possedere al suo posto il suo stesso regno, non si offese nemmeno un po’. Ma se questo piace a Dio, disse, che io sia inseguito, vaghi e fugga, e che lui sia in onore, io lo accetto, lo accetto e ringrazio Dio per le sue molte afflizioni. Non come molti sfaccendati e impudenti che, pur non avendo fatto la benché minima parte delle sue opere buone, se vedono qualche afflizione in prosperità e si scoraggiano un po’, si rovinano l’anima con diecimila bestemmie. Ma Davide non era così; anzi, dava prova di tutta la sua modestia. Per questo Dio disse: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, un uomo secondo il mio cuore”.

Acquistiamo anche noi uno spirito simile, e qualsiasi sofferenza sopporteremo con facilità e, prima del Regno, raccoglieremo qui il guadagno derivante dall’umiltà d’animo. Imparate, dice Egli, da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. (Mt 11,29). Perciò, affinché possiamo godere del riposo sia qui che nell’aldilà, cerchiamo di impiantare con grande diligenza nelle nostre anime la madre di tutte le cose buone, cioè l’umiltà. In questo modo saremo in grado di attraversare il mare di questa vita senza onde e di terminare il nostro viaggio in quel porto tranquillo, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




Passi biblici sulla nascita dell’Emmanuele, il ‘Dio con noi’

ISAIA 7,10-16

10,10 Il Signore parlò ancora ad Acaz: 11 «Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». 12 Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13 Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? 14 Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. 15 Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. 16 Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re.

ISAIA 9,5-6

9,5 Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; 6 grande sarà il suo dominio
e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

DAL VANGELO DI MATTEO

1,1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 7Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 13Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 14Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
17In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele
,

che significa Dio con noi24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

2,1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:

da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele“.

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. 14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

DAL VANGELO DI LUCA

1, 26 Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.34 Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 35 Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio”. 38 Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. 39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!  43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. 46Allora Maria disse:

“L’anima mia magnifica il Signore
47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
50di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
51Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre”.

56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. 57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. 61Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. 64All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: “Che sarà mai questo bambino?”. E davvero la mano del Signore era con lui. 67Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:

68“Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
69e ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
70come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
71salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
72Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
73del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, 74liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, 75in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
76 E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
77 per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
78 Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
79 per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi
sulla via della pace”.

80Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

2,1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. 15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. 25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

29“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
31preparata da te davanti a tutti i popoli:
32luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele”.

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. 36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. 49Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.




Anziano Aimilianos di Simonopetra: Come leggere le Scritture 

Quando uno si impegna a esaminare la Scrittura in modo ozioso e intellettuale, crea odio e litigi. Come mai? Perché l’approccio intellettuale alla Scrittura non ci aiuta a voltarci e a riflettere sui nostri peccati, ma invece ci fa concentrare su problemi e concetti relativi allo studio della Scrittura, con il risultato che le nostre facoltà logiche e intellettuali sono eccitate senza alcuno scopo reale. “Conoscenza” che di per sé non aggiunge nulla. Al contrario, incoraggia la coltivazione dell’individuo e il suo senso privato delle cose; favorisce l’autosufficienza delle sue opinioni personali, che poi cerca di giustificare e imporre agli altri.

Questo tipo di approccio alla Scrittura ti mette immediatamente in conflitto con gli altri; oppone la tua volontà e la tua opinione alla loro, spingendoti a dissentire e discutere con loro, e a farti dei nemici i tuoi fratelli. Pieno come sono delle mie opinioni sulle cose, sono noto per ricevere qualsiasi cosa da Dio. Il modo corretto è leggere la Scrittura con semplicità e permettere a Dio di dirci ciò che vuole dirci. Una cosa è leggere la Scrittura perché vuoi raccogliere informazioni, un’altra è leggerla perché vuoi acquisirne il vero contenuto, cioè lo Spirito Santo. Questo tipo di conoscenza è la vita di Dio (cfr Gv 17,3), l’ingresso e il prolungamento di Dio nella nostra vita, è la discesa e la dimora di Dio in mezzo a noi. Possiamo giudicare se il nostro studio della Scrittura è autentico o meno in base al numero di lacrime che versiamo quando studiamo. Certo, posso anche leggere la Scrittura senza versare lacrime e senza un forte senso dei miei peccati, ma con la speranza che la grazia di Dio, attraverso la mia lettura della Scrittura, spezzi il mio cuore indurito. Leggi la Scrittura, quindi, ma non dimenticare i tuoi peccati e non ridurre la Scrittura ad un oggetto di indagine intellettuale perché, a quel punto, cessa di essere la parola di Dio e inizi a vederla come qualcosa di umano. Il criterio per il tuo studio dovrebbe essere questo: il modo in cui leggi la Bibbia dovrebbe portare pace al tuo cuore, comunione con Dio, amore per il prossimo e consapevolezza della tua peccaminosità: il riconoscimento di quanto sei indegno e mal preparato per stare davanti a Dio .




L’IMPORTANZA DELLA BIBBA LXX (dei Settanta)

LA VERSIONE GRECA DEL VECCHIO TESTAMENTO:
LA SETTANTA

Introduzione al libro: Il Salterio della Tradizione. L. Mortari, GRIBAUDI

Il prologo del libro del Siracide (o Ecclesiastico) ci attesta che, attorno al 135 a. C., il Vecchio Testamento era già stato quasi tutto tradotto dall’ebraico in greco. Alcune fonti del giudaismo alessandrino raccontano dei particolari molto interessanti sull’origine della versione della Torah, la Legge, cioè il Pentateuco. Fonte primaria a questo riguardo è la cosiddetta Lettera di Aristea48, che si può riassumere a grandi linee così: un alessandrino di nome Aristea scrisse a suo fra­tello Filocrate raccontandogli come Demetrio, capo della famosa li­breria di Alessandria, aveva persuaso Tolomeo II Filadelfo (285-246 a. C.) a mandare una delegazione a Eleazaro, sommo sacerdote in Ge­rusalemme, con la richiesta di incaricare sei anziani di ogni tribù di Israele, segnalati per probità di vita ed esperti nella legge, di tradurre la Torah in greco. Demetrio aveva detto e ripetuto al re che questa legislazione era degna di essere tradotta (§ 10) perché «ben precisa, piena di sapienza e pura» (§ 31). I 72 anziani — divenuti poi 70 nella tradizione per analogia coi settanta saliti con Mosè sul monte secondo Es 24, 1 ss — si recarono da Gerusalemme ad Alessandria, accompa­gnati dagli alessandrini che erano stati inviati in delegazione a Geru­salemme, Aristea stesso e Andrea.

Vennero ad Alessandria portando la pergamena su cui la Torah in caratteri ebraici era incisa in oro. Fecero un banchetto di sette giorni durante il quale, interrogati dal re su varie questioni, risposero con sua piena soddisfazione mostrando la loro grande sapienza. Furono quindi condotti alla vicina isola di Faros e alloggiati in un edificio bello e tranquillo, preparato per loro, ove, in 72 giorni, completarono la traduzione, giungendo, mediante confronti, al pieno accordo su ogni punto (§ 302). Allora Demetrio radunò la popolazione giudaica e lesse a tutti la traduzione, che ottenne una «grandiosa accoglienza» (§ 308). Quindi, fra generali acclamazioni, fu pronunziata maledi­zione contro chiunque osasse apportare alla versione il minimo mu­tamento, o aggiunta, o sottrazione, «affinché fosse custodita perenne e fissa per sempre» (§ 311).

Evidentemente la Lettera non è priva di particolari leggendari, ma al di là di essi e della finzione di questa pseudo-lettera viene ricono­sciuto ormai al documento, col vastissimo consenso di studiosi di varia provenienza, ebrei e cristiani, «una certa quantità di materiale attendibile sulle origini della Settanta »49, una «considerevole parte di verità», così che la lettera è «lungi dall’essere antistorica»50. Una fonte giudaica della metà del II secolo a.C., il Frammento di Aristo­bulo, mostra che in quell’epoca era effettivamente già diffusa ad Ales­sandria la tradizione sull’origine della versione greca del Pentateuco per iniziativa di uno dei primi re Tolomei. Testimonianze posteriori aggiungono abbellimenti più o meno fittizi, ma insieme rivelano l’esi­stenza di tradizioni convergenti e indipendenti da Aristobulo e Aristea. Fra queste è attestata la celebrazione di una grande festa annuale all’isola di Faros per il grande dono al mondo ellenico della versione greca”.

Un grande studioso, Orlinsky, promotore da un qualche decennio di una seria rivalutazione della Settanta in campo ebraico, ha segna­lato ripetutamente nei suoi studi «un fatto poco noto sulla prima tra­duzione della Torah», cioè un antichissimo commento rabbinico (b Megillah 9b) che applica alla Settanta il versetto della Genesi: Possa Dio allargare Japhet – ed egli abiti nelle tende di Sem (9, 27). L’esten­dersi di Japhet, capostipite dei greci, sarebbe appunto la versione greca della Torah”.

È lo stesso Orlinsky a sottolineare come in vari punti della lettera di Aristea sia istituito un voluto parallelismo tra la vicenda della Set­tanta e la legge data al Sinai, più alcuni aspetti delle vicende succes­sive del popolo. La lettera afferma così l’equivalenza fra la legge della Settanta e la Torah ebraica. Ritroviamo la stessa affermazione in Filone di Alessandria, giudeo vissuto a cavallo dell’era cristiana. Per lui e per il giudaismo di lingua greca della diaspora non c’è dubbio che il testo greco non è meno autoritativo e canonico di quello ebraico usato dagli ebrei di Palestina”. Da notarsi anche che nel frattempo era stata completata o quasi la traduzione degli altri libri del Vecchio Testamento, oltre al Pentateuco, ed essi cominciarono a diffondersi tra il popolo, anche se all’ombra del Pentateuco, che manteneva un po­sto del tutto privilegiato ed era il solo ad essere «canonizzato dalla promulgazione ufficiale» nella letteratura alessandrina. Orlinsky con­clude che la versione greca era semplicemente la Bibbia dei giudei della diaspora e del tutto naturalmente è tale per i cristiani fin dal loro nascere Orlinsky si ferma qui; ma i cristiani sanno che la Bibbia greca che hanno ricevuto, insieme a quella ebraica, da Gesù e dalla comu­nità apostolica, è la base e la condizione del linguaggio del Nuovo Testamento e il ponte di passaggio obbligato tra le scritture ebraiche e il nuovo messaggio in greco; è il testo citato nella grande maggio­ranza dei casi nelle citazioni veterotestamentarie del Nuovo Testa­mento, anche là dove diverge dal testo ebraico; rappresenta la forma più avanzata e più ricca nella evoluzione del Vecchio Testamento. Lo stesso testo ebraico d’altronde già mostrava nel suo interno una evo­luzione: basti vedere la rilettura interpretativa dei libri dei Re fatta nelle Cronache, il salmo 17 rispetto a 2 Sam 22 ecc. A mano a mano che cresce il tempo di avvicinamento al Cristo, il testo stesso cresce, acquisisce nuovi elementi, evolve, si arricchisce; le scuole ispirate, rileggendo tutta la Bibbia, capiscono cose che non avevano capito prima e le determinano in una nuova forma. L’evoluzione è partico­larmente avanzata nella Settanta, che ha aperto vie nuove nella storia della salvezza e che, anche attraverso il nuovo strumento linguistico, completa e universalizza e inevitabilmente trasforma, arricchisce, e fa progredire la comunicazione della Parola”.

Fra gli ebrei però, dopo qualche secolo di favore per la versione greca, avvenne un profondo mutamento, fino a giungere a dire che il giorno in cui la Torah fu tradotta in greco fu come quello in cui Israe­le fece il vitello d’oro, perché la Torah non poteva essere tradotta adeguatamente”. Questo grande cambiamento è frutto di vari fattori: la distruzione del secondo tempio nel 70 d. C., l’annientamento della sovranità giudaica, la diffusione del cristianesimo con l’assunzione da parte dei cristiani della Bibbia greca come la Bibbia e come fonda­mento delle loro argomentazioni. A questo non solo contribuì la com­posizione prevalente delle comunità cui era proclamato l’Evangelo —comunità di lingua greca della diaspora ebraica o di popolazioni pa­gane — ma anche lo stato più avanzato della rivelazione divina di cui la Settanta è portatrice, la sua preparazione più diretta e la maggiore prossimità al Cristo. Il giudaismo disperso, riorganizzandosi pian piano sotto la guida dei farisei, si trincera dietro il testo ebraico per la difesa dell’antichità e della «ortodossia» giudaica e per la polemica contro i cristiani. Quanto ad essi invece, «si può dire che la Settanta ha costituito l’Antico Testamento per tutta la Chiesa fino alla metà del quarto secolo. Si può dunque affermare senza esagerazione che è proprio la Settanta a rappresentare l’Antico Testamento per tutta la fase creatrice della teologia patristica

Oltre alla consacrazione della Settanta — e non solo del Penta­teuco — fatta dal Nuovo Testamento, oltre al suo uso pressoché uni­versale nei primi secoli, abbiamo anche non poche dichiarazioni for­mali dei Padri sul valore da essi attribuitole. Basti qui citarne qualcuna, rimandando per il resto ad altri studi. Ireneo e Clemente Ales­sandrino vedono l’opera dei Settanta in continuità con quella di Esdra, che, ispirato da Dio, aveva restituito le Scritture integre. Ireneo di­ceva anche che «l’unico e medesimo Spirito, che nei profeti aveva annunciato l’avvento del Signore, nei [Settanta] anziani ha interpre­tato bene ciò che bene era stato profetato», e negli apostoli ha annun­ciato la pienezza dei tempi. E Clemente: «Niente di strano che l’ispirazione di Dio, dopo aver dato la profezia, ne abbia fatta anche la traduzione come profezia in greco».

Origene, rispondendo a Giulio Africano che obiettava contro le parti in più della Bibbia greca non aventi il corrispondente ebraico, dichiarava che «non bisogna spostare i confini stabiliti dai padri» (cf. Pr 22, 28), che le Scritture sono quelle che le Chiese di Cristo da più di due secoli leggevano come tali, donate dalla Provvidenza a edificazione di tutte le Chiese di Cristo, nella sollecitudine di Dio per tutti coloro che sono stati redenti dal sangue di Cristo.

Agostino attribuisce decisamente allo Spirito Santo le particolarità e le varianti stesse del testo greco rispetto a quello ebraico: «Tutto ciò che manca nei codici ebraici, mentre c’è nei Settanta, è il mede­simo Spirito che ha preferito dirlo con questi invece che con quelli, mostrando con ciò che entrambi erano profeti». E Giovanni Criso­stomo attribuisce alla divina dispensazione, all’economia dello Spiri­to, pur nella diversità dei carismi, l’ispirazione di Mosè e di Esdra, l’invio dei profeti, l’interpretazione dei Settanta.

Tutto questo è rimasto attuale fino ad oggi, senza alcun dubbio, nella Chiesa d’Oriente, mentre in Occidente è stata provocata una gravissima frattura da Girolamo che, dopo aver venerato egli stesso dapprima la Settanta, si buttò poi unilateralmente nel principio della veritas hebraica. Molto interessante su questo punto considerare la disputa con lui di Agostino, che esprime il suo dissenso, in favore delle Scritture usate dagli apostoli, venerate dalle Chiese, note e diffuse tra il popolo. Ago­stino racconta perfino che il vescovo di Ea (attuale Tripoli di Libia), avendo letto in chiesa un passo del profeta Giona nella versione di Girolamo dall’ebraico, contenente cose molto diverse dal testo «ormai fissato nel pensiero e nella memoria di tutti e così trasmesso per tante generazioni», provocò un tale tumulto che dovette tornare al testo precedente per non restare senza fedeli! Agostino, che pure apprezza moltissimo e loda più volte Girolamo come traduttore, gli dice però recisamente: «Non voglio che la tua versione dall’ebraico venga letta nelle chiese, perché, introducendola come una novità contro l’autorità dei Settanta, non turbiamo con grande scandalo i fedeli di Cristo, le cui orecchie e i cui cuori sono abituati ad ascoltare quella versione che è stata approvata anche dagli apostoli».

La rottura operata da Girolamo non si consumò che lentamente nella Chiesa latina, dove ancora per secoli in letture e testi liturgici e nei Padri troviamo in uso la Vetus latina, cioè le traduzioni latine fatte sulla Settanta anteriormente a Girolamo. Queste poi, nella forma ri­vista da Girolamo stesso, sono rimaste integralmente per i libri deu­terocanonici, i libri cioè scritti direttamente in greco e di cui manca, o mancava, l’originale ebraico, e che Girolamo, a un certo punto, per coerenza al principio dell’hebraica veritas, rigettò. La Chiesa invece risolse positivamente le dispute a loro riguardo e il problema da essi costituito; così ha continuato a custodirli e venerarli come libri sacri ed ispirati. In questo modo la Chiesa, optando per il canone della Settanta, ha attribuito a questa un’autorità così forte da impugnare il canone ebraico e accusare gli ebrei di aver contratto le Scritture.

Ma purtroppo Girolamo ha aperto la strada alla definizione prote­stantica del canone ridotto. Quanto alla versione latina dei protoca­nonici, cioè dei libri conservati in ebraico, in Occidente prese a poco a poco il sopravvento dall’antichità la traduzione bellissima di Giro­lamo dall’ebraico stesso, e la Settanta venne sempre più abbandonata. Nella Bibbia latina dunque, cui da qualche secolo è stato dato il nome di Vulgata, figurano i deuterocanonici tradotti dal greco e i protoca­nonici tradotti dall’ebraico.

RIFERIMENTI

S. JELLICOE, The Septuagint and Modern Study, Oxford 1968, p. 59. P, il parere di una delle più grandi autorità negli studi sulla LXX, scomparso da qualche anno, promotore di una organizzazione internazionale per lo studio della LXX, che pubblica dal 1971 un Bulletin e a cui si deve il progetto di uno strumento basilare che finora purtroppo mancava e che è in preparazione, un lessico della LXX.

H. M. ORLINSKY, The Septuagint. The Oldest Translation of the Bible, in Essays in Biblical Culture and Bible Translation, New York 1974, p. 366.

H. M. ORLINSKY, The Septuagint as Holy Writ and the Philosophy of the Translators, H1JCA 46 (1975), p. 97s, nota 12.

La lettera di Aristea a Filocrate, a cura di R. TRAMONTANO, Napoli 1931;

Adversus Haereses III, 21, 4, SC 211, p. 408-410.

Stromata I, 149, 3, SC 30, p. 152.

De civitate Dei 18, 43, PL 41, 604.

In Epistulani ad Hebraeos homiliae 8, 4, PG 63, 74

AGOSTINO, Ep. 71, Lettere 1, CN XXI, p. 566-569.