1

Arciprete (ortodosso-georgiano) Theodore Gignadze: il cristianesimo non è una religione!

L’unicità dell’Ortodossia

“Una delle più grandi conquiste dell’Ortodossia, una delle più grandi conquiste del cristianesimo è che ha trasceso il concetto di religione. E cos’è una religione? È un tentativo dell’essere umano di stabilire una connessione con Dio e per questo usa norme e regole legali.
In altre parole, io, un essere umano, so che Dio esiste e per stare bene osservo i Suoi comandamenti e obbedisco alle Sue leggi. E quindi, se lo faccio correttamente, merito una ricompensa da Lui, e se non lo faccio correttamente, merito una punizione. Tutto il giudaismo e l’islam si basano su questo concetto. Sfortunatamente, questa è diventata la base anche del cattolicesimo e del protestantesimo.

L’ortodossia è assolutamente unica!.

L’ortodossia capovolge completamente questa posizione. Nel Santo Vangelo, Cristo stesso capovolge questa posizione. Vediamo che le persone che vivono nel modo giusto dal punto di vista religioso e morale uccidono Cristo. Lo giudicano e lo condannano. Gli dicono: adulteri e pubblicani ti seguono, tu mangi e bevi insieme ai peccatori. Quando Cristo sta morendo sulla croce, Egli, come Giudice, emette il verdetto per l’umanità, e questo verdetto è stupefacente. I peggiori esseri umani, i più grandi peccatori – le persone che stanno uccidendo Cristo… sono in piedi accanto alla Sua croce, non si pentono (almeno non fino a quel momento), in altre parole, queste persone che sono piene di uno spirito impenitente, cinico e omicida sta uccidendo Cristo, e Cristo, come Sommo Sacerdote, intercede per loro e chiede al Padre Celeste: “perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Questo tipo di amore ha commosso nel profondo una persona che non aveva fatto altro che male per tutta la vita. Questo amore onnicomprensivo e infinito ha ammorbidito e sciolto il cuore di un ladro, ed è diventato la prima persona ad entrare nel Regno dei Cieli.

Dov’è la giustizia qui?

Uno dei Santi Padri (Sant’Isacco il Siro, se non sbaglio) dice: “Dio non è giusto. Lui è Amore.” Questo Santo Padre continua e dice: “se Dio fosse giusto, sarei il primo a finire all’inferno, senza di Lui”. Questo è molto importante da ricordare.
Lo spirito legalista si oppone al cristianesimo. Lo spirito legalistico prevale con noi oggi, nella Chiesa ortodossa, ed è molto dannoso. Lo spirito legalistico significa che se mi comporto bene, guadagnerò punti davanti a Dio e sarò ricompensato, e se mi comporterò male, sarò punito.
Vivo spiritualmente con la speranza del lusso celeste o la paura dell’inferno. Con questo tipo di cuore, con questo spirito, non sarai mai in grado di vedere Cristo, perché il simile si conosce dal simile. Cristo chiede qualcosa di completamente diverso da noi.

Cosa chiede?

L’apostolo Paolo dice che un cristiano diventa un nuovo essere, una nuova creazione.
Spesso incontriamo questa tentazione. Una persona viene in chiesa e io gli chiedo: “Perché sei venuto?”
Le persone vengono in chiesa per molte ragioni diverse. Alcuni vengono per guadagno personale, per interesse personale, per interesse personale fisico, sia che si tratti di qualcosa legato alla salute o di qualche altro problema che stanno affrontando.
C’è anche l’interesse personale spirituale: “Non ho pace. Voglio sentirmi in pace. “Anche questo è interesse personale.” – gli dico. “Non credi che Dio te lo concederà? Tuttavia, questo non è l’obiettivo in sé e per sé. È un sottoprodotto e una conseguenza della tua ricerca di Dio”.
Prendiamo un esempio da questo mondo: un giovane si innamora di una giovane donna e le chiede di sposarlo. “Perché vuoi sposarmi?” – lei chiede. Si aspetta che lui dica: “Perché ti amo!” Invece, le dice che vuole avere un figlio o una figlia. Riesci a immaginare? È bello avere figli. Non c’è niente di sbagliato in questo. I figli sono il frutto del matrimonio. Tuttavia, quando dici a una ragazza che vuoi sposarla per questo motivo e che lei è solo un mezzo per ottenerlo… immagina quanto sarebbe terribile.
Per noi è fondamentale sapere molto bene qual è l’atteggiamento corretto da avere nella vita spirituale. Abbiamo bisogno di sapere questo per poter smettere di essere egocentrici nella vita spirituale e per poter rompere con questa forma di relazione con Dio.
Finché una persona continua a essere egocentrica, dicendo: “Voglio questo, voglio quello. Voglio avere la pace. Voglio che i miei problemi siano risolti”. Finché sarà così, continuerà ad avere un problema nella sua vita spirituale. Una persona deve staccarsi da questo. Tuttavia, questo non è molto facile da fare, a meno che non abbia la giusta prospettiva nella vita spirituale.

  • L’arciprete (ortodosso -georgiano) Theodore Gignadze



14 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

14 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SAN MARTINO IL CONFESSORE, PAPA DI ROMA

Martino divenne papa il 5 luglio 649 d.C., all’epoca dei furiosi dibattiti tra gli ortodossi e gli eretici monoteliti, che aderivano alla credenza in un’unica volontà in Cristo. A quel tempo regnava Costanzo II, nipote di Eraclio. Il patriarca di Costantinopoli era Paolo. Per stabilire la pace nella Chiesa, l’imperatore compilò un libretto, intitolato Typos, molto favorevole agli eretici. Papa Martino convocò un Concilio di centocinque vescovi (nella Chiesa del Santissimo Salvatore nel Palazzo del Laterano, in ottobre) che condannò questo opuscolo dell’imperatore. Allo stesso tempo, il Papa scrisse una lettera al Patriarca Paolo, implorandolo di aderire alla purezza della fede ortodossa e di consigliare all’imperatore di rinunciare a questi sofismi eretici. Questa lettera fece arrabbiare sia l’imperatore che il patriarca. L’imperatore inviò Olimpio, uno dei suoi comandanti, a Roma per portare il papa a Costantinopoli in catene. Il comandante non osò legare il papa, ma corruppe un soldato perché lo uccidesse in chiesa con una spada. Quando il soldato entrò in chiesa con la spada nascosta, fu immediatamente accecato. Così, per la Provvidenza di Dio, Martino scampò alla morte. In quel periodo, i Saraceni attaccarono la Sicilia e a Olimpio fu ordinato di recarsi in Sicilia e lì morì. Poi, secondo gli intrighi del patriarca eretico Paolo, l’imperatore inviò Teodoro, un altro comandante, per legare il Papa e portarlo a Costantinopoli con l’accusa che lui, Papa Martino, era in collaborazione con i Saraceni e non onorava la Madre di Dio Tutta Pura. Quando il comandante arrivò a Roma e lesse l’accusa contro di lui, Papa Martino rispose che: “Si tratta di una calunnia e che egli non ha alcun legame con i Saraceni, gli avversari del cristianesimo”. Per quanto riguarda la Madre di Dio tutta pura, se uno non la onora, non la confessa e non la riverisce, sia maledetto in questo mondo e nell’altro”. Tuttavia, ciò non modificò la decisione del comandante. Papa Martino fu legato e portato a Costantinopoli, dove rimase a lungo in prigione, dolorosamente malato, soffrendo di ansia e fame, finché alla fine fu condannato all’esilio a Cherson. Papa Martino visse due anni in esilio e morì nell’anno 655 d.C., offrendo la sua anima al Signore, per il quale aveva molto sofferto. Due anni prima della morte di Papa Martino, morì Paolo, pentito. Quando l’imperatore gli fece visita prima della sua morte, Paolo volse la testa verso il muro e pianse, confessando di aver molto peccato contro Papa Martino e pregando l’imperatore di liberarlo.

  1. I SANTI MARTIRI ANTONIO, GIOVANNI ED EUSTACHIO [EUSTATHIUS]

Tutti e tre erano pagani e, all’inizio, erano adoratori del fuoco. Erano tutti servi nel palazzo del principe lituano Olgard a Vilna. In passato erano chiamati: KRUGLETZ, KUMETZ E NEZILO. Tutti e tre furono battezzati dal sacerdote Nestor. Tutti e tre furono impiccati, uno dopo l’altro, alla stessa quercia nell’anno 1347 d.C. I cristiani abbatterono l’albero ed eressero una chiesa in onore della Santissima Trinità. Le venerate reliquie di questi martiri furono poi collocate in questa chiesa e dal ceppo della quercia fu ricavato un sacro tavolo d’altare. Le loro reliquie riposano a Vilna.

  1. IL SANTO MARTIRE ARDALIONE, L’ATTORE

All’inizio Ardalione era un attore-comico. Per intrattenere il popolo, interpretava con entusiasmo il ruolo di un martire della fede deridendo i cristiani in ogni modo possibile. Quando si verificò una persecuzione durante il regno dell’imperatore Massimiano, il suo spirito cambiò completamente. Davanti alla folla, gridò a gran voce che era cristiano e che non stava scherzando. Per questo motivo, Ardalione fu condannato, soffrì per Cristo e morì legato a un’intelaiatura di verghe roventi, rappresentando così il vero e onorevole ruolo di un martire.

Inno di lode
SAN MARTINO

San Martino Papa, prima che parli il Senato:
Che il mio corpo sia schiacciato e bruciato,
e le sofferenze più crudeli le sopporterò con gioia;
Ma la vera fede non la rinnegherò.
Il Buon Salvatore era Dio e Uomo,
Due nature diverse con due volontà, Egli portava,
ma due nature in una sola persona,
ed entrambe le volontà in un’unica luce.
Una tale fede ci è stata trasmessa da tutti i Padri,
Per questa fede, molti hanno sofferto.
Che possa soffrire anch’io, il più piccolo di tutti.
Il servo del mio Signore, tra tutti il più peccatore!
Così Martino confessò a tutti la sua fede
E disse la verità davanti agli eretici.
Qual è il valore dell’uomo quando teme Dio?
Al di sopra dei piccoli uomini, egli [Martino] sta come una montagna!

Riflessione
“Al monaco si addice amare Dio come un figlio e temerlo [Dio] come uno schiavo”, dice sant’Evagrio. Naturalmente, questo si addice anche a ogni cristiano, anche se non è un monaco. È una grande arte per chiunque unire l’amore per Dio e il timore di Dio. Molti altri Santi Padri, quando parlano dell’amore per Dio, menzionano allo stesso tempo anche il timore di Dio e viceversa. Nella sua omelia: “Sull’amore perfetto”, San Giovanni Crisostomo parla contemporaneamente della sofferenza e delle pene dell’inferno. Perché? Perché il grande amore dell’uomo verso Dio senza paura sconfina impercettibilmente nell’orgoglio e poi, di nuovo, un grande timore di Dio senza amore porta alla disperazione.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come apparve ai discepoli sulla riva del lago e si rivolse a loro come “figli” (San Giovanni 21:5).
  2. Come riempì di nuovo le loro reti di pesci ed essi lo conobbero ma non osarono chiedergli: “Chi sei?” (San Giovanni 21:12).

Omelia
Sull’esperienza personale di tutti gli apostoli.

“Ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo guardato e toccato con le nostre mani, ora ve lo annunciamo” (1 S. Giovanni 1,1).

Ecco, questa è la predicazione apostolica! Gli apostoli non parlano come saggi mondani, né come filosofi e tanto meno come teorici che fanno supposizioni su qualcosa per scoprire qualcosa. Gli apostoli parlano di cose che non hanno cercato ma da cui sono stati inaspettatamente circondati; di fatti che non hanno scoperto ma che, per così dire, hanno inaspettatamente trovato e colto. Non si sono occupati di ricerche spirituali né hanno studiato psicologia, né tanto meno si sono occupati di spiritismo. La loro occupazione era la pesca, un’occupazione fisica totalmente esperienziale. Mentre pescavano, l’Uomo-Dio [Gesù] apparve loro e, cautamente e lentamente, li introdusse a una nuova vocazione al Suo servizio. All’inizio non gli credettero, ma ancora più cautamente e lentamente, con timore, esitazione e molti tentennamenti, si avvicinarono a Lui e lo riconobbero. Finché gli apostoli non lo videro molte volte con i loro occhi e finché non ne discussero molte volte tra di loro e finché non lo sentirono con le loro mani, il fatto sperimentato è soprannaturale, ma il loro metodo per riconoscere questo fatto è completamente sensoriale e positivamente appreso. Nemmeno uno studioso contemporaneo sarebbe in grado di utilizzare un metodo più positivo per conoscere Cristo. Gli apostoli non videro solo un miracolo, ma numerosi miracoli. Ascoltarono non solo una lezione, ma molte lezioni che non potevano essere contenute in numerosi libri. Hanno visto il Signore risorto per quaranta giorni; hanno camminato con Lui, hanno conversato con Lui, hanno mangiato con Lui e lo hanno toccato. In una parola: hanno avuto personalmente e di prima mano migliaia di fatti meravigliosi grazie ai quali hanno appreso e confermato un unico grande fatto, cioè che Cristo è l’Uomo-Dio, il Figlio del Dio vivente, il Salvatore amante dell’umanità e il Giudice onnipotente dei vivi e dei morti.

O Signore risorto, confermaci nella fede e nell’ardore dei tuoi Santi Apostoli.




GELASIO

ἀββᾶ Γελασίου

1. Di Abba Gelasio si diceva che possedeva una Bibbia di cuoio del valore di diciotto pezzi d’argento. In effetti conteneva tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. L’aveva messa in Chiesa perché tutti i fratelli che lo desideravano potessero leggerla. Un fratello sconosciuto venne a trovare il vecchio e, vedendo la Bibbia, volle averla e la rubò mentre se ne andava. L’anziano non gli corse dietro per prenderla, pur sapendo cosa stava facendo. Allora il fratello andò in città e cercò di venderla e, trovato un acquirente, gli chiese tredici pezzi d’argento. L’acquirente gli disse: “Prima prestamela, così la esaminerò e poi ti darò il prezzo”. Così gliela diede. Prendendola, l’acquirente la portò ad Abba Gelasio perché la esaminasse e gli comunicò il prezzo che il venditore aveva stabilito. Il vecchio gli disse: “Comprala, perché è bella e vale il prezzo che mi hai detto”. Quest’uomo, quando tornò, disse al venditore qualcosa di molto diverso e non quello che gli aveva detto l’anziano. L’ho mostrata ad Abba Gelasio”, disse, “e mi ha risposto che era cara e non valeva il prezzo che dicevi tu”. Sentendo questo, chiese: “L’anziano non ha detto altro?” “No”, rispose. Allora il venditore disse: “Non voglio più venderla”. Pieno di rimorsi, andò a cercare l’anziano, per fare penitenza e chiedergli di riprendersi il libro. Ma l’anziano non voleva porre rimedio alla perdita. Allora il fratello gli disse: “Se non la riprendi, non avrò pace”. L’anziano rispose: “Se non avrai pace, allora la riprenderò”. Così il fratello rimase lì fino alla morte, edificato dallo stile di vita dell’anziano.

2. Una cella circondata da un appezzamento di terreno era stata lasciata ad Abba Gelasio da un anziano, anch’egli monaco, che aveva la sua dimora nei pressi di Nicopoli. Ora, un parente del defunto che era un contadino al servizio di Bacato, che allora era governatore a Nicopoli in Palestina, andò a cercare Bacato, chiedendogli di ricevere l’appezzamento di terra, perché, secondo la legge, doveva tornare a lui. Bacato era un uomo violento e cercò di sottrarre il campo ad Abba Gelasio con la forza. Ma il nostro Abba Gelasio, non volendo che una cella monastica fosse ceduta a un secolare, non volle cedere il terreno. Bacato, accortosi che le bestie da soma di Abba Gelasio trasportavano olive dal campo che gli era stato lasciato, le fece deviare con la forza dal loro percorso e prese le olive per sé; a stento restituì le bestie con i loro conducenti, avendo fatto subire loro degli oltraggi. Il vecchio benedetto non reclamò i frutti, ma non cedette il possesso della terra per il motivo che abbiamo esposto sopra. Furioso con lui, Bacato, che aveva anche altre questioni da sbrigare (perché amava le cause), si diresse a Costantinopoli, facendo il viaggio a piedi. Giunto nei pressi di Antiochia, dove la fama di San Simeone brillava di grande splendore, sentì parlare di lui (era davvero un uomo eminente) e, da cristiano, desiderò vedere il santo. Il beato Simeone, dall’alto della sua colonna, lo vide appena entrato nel monastero e gli chiese: “Da dove vieni e dove vai?” Egli rispose: “Vengo dalla Palestina e sto andando a Costantinopoli”. E continuò: “E per quali ragioni?”. Bacato rispose: “Per molte questioni. Spero, grazie alle preghiere della vostra santità, di tornare e di inchinarmi davanti alle vostre orme sante”. Allora San Simeone gli disse: “Disgraziato, non vorrai dire che stai per agire contro l’uomo di Dio. Ma la tua strada non ti è favorevole e non rivedrai più la tua casa. Se vuoi seguire il mio consiglio, lascia queste parti e corri da lui a chiedergli perdono, se sarai ancora vivo quando arriverai in quel luogo”. Immediatamente Bacato fu colto dalla febbre. I suoi compagni di viaggio lo misero su una lettiga ed egli si affrettò, secondo la parola di San Simeone, a raggiungere Abba Gelasio e a chiedergli perdono. Ma quando giunse a Beirut, morì senza rivedere la sua casa, secondo la profezia del vecchio. È stato suo figlio, anch’egli chiamato Bacato, a raccontarlo a molti uomini fidati, nello stesso momento in cui raccontava la morte del padre.

3. Molti dei suoi discepoli raccontavano anche quanto segue: Un giorno qualcuno aveva portato loro un pesce e, una volta cotto, il cuoco lo portò al cellerario. Un motivo urgente costrinse quest’ultimo a lasciare il magazzino. Così lasciò il pesce a terra in un piatto, chiedendo a un giovane discepolo di Abba Gelasio di occuparsene per un po’ fino al suo ritorno. Il ragazzino fu preso dal desiderio e cominciò a mangiare il pesce con avidità. Il cellerario al suo ritorno, trovandolo che mangiava, si arrabbiò con il bambino che era seduto a terra e senza badare a ciò che faceva gli diede un calcio. Colpito in una parte mortale, per la forza demoniaca, il giovinetto emise lo spirito e morì. Il cantiniere, preso dalla paura, lo adagiò sul proprio letto, lo coprì e andò a gettarsi ai piedi di Abba Gelasio, raccontandogli l’accaduto. Gelasio gli consigliò di non parlarne con nessuno e gli ordinò di portare il ragazzo, quando tutti fossero andati a riposare la sera, al diaconicum, di metterlo davanti all’altare e poi di ritirarsi. Giunto al diaconicum, il vecchio continuò a pregare; all’ora della salmodia notturna, quando i confratelli si riunirono, il vecchio si ritirò, seguito dal piccolo discepolo. Nessuno seppe cosa era stato fatto, tranne lui e il cellerario, fino alla sua morte.

4. Non solo i suoi discepoli, ma anche molti di coloro che lo incontrarono, raccontarono spesso di Abba Gelasio. Al tempo del sinodo ecumenico di Calcedonia, Teodosio, che aveva preso l’iniziativa nello scisma di Dioscoro in Palestina, prevedendo che i vescovi sarebbero tornati alle loro chiese particolari (perché anche lui era presente a Calcedonia, espulso dalla patria perché il suo destino era quello di fomentare problemi), si precipitò da Abba Gelasio nel suo monastero. Gli parlò, opponendosi al sinodo, dicendo che l’insegnamento di Nestorio aveva prevalso. Con questo mezzo pensava di conquistare il santo uomo e di portarlo alla sua stessa delusione e al suo scisma. Ma egli, per il portamento del suo interlocutore e per la prudenza che Dio gli aveva ispirato, comprese la natura dannosa delle sue parole. Non solo non si unì a questo apostata, come fecero quasi tutti gli altri, ma lo mandò via coperto di rimproveri. Anzi, fece venire in mezzo a loro il giovane bambino che aveva risuscitato dai morti e parlò così, con grande rispetto: “Se vuoi discutere sulla fede, hai vicino a te chi ti ascolterà e ti risponderà; per quanto mi riguarda, non ho tempo di ascoltarti”. Queste parole riempirono Teodosio di confusione. In fretta e furia partì per la città santa e lì portò tutti i monaci dalla sua parte, con il pretesto di un fervente zelo. Poi, sfruttando questo aiuto, si impadronì del trono di Gerusalemme. Aveva preparato tale posizione per sé con assassinii e fece molte cose contrarie alla legge divina e ai precetti canonici. Divenuto padrone e raggiunto il suo scopo, imponendo le mani a molti vescovi per metterli sui troni dei vescovi che non si erano ancora ritirati, fece venire da sé Abba Gelasio. Lo invitò nel santuario, cercando di conquistarlo, pur temendolo. Quando Gelasio entrò nel santuario, Teodosio gli disse: “Anatemizza Giovenale”. Ma egli rimase impassibile e rispose: “Non conosco altro vescovo di Gerusalemme all’infuori di Giovenale”. Teodosio, temendo che altri imitassero il suo santo zelo, ordinò di cacciarlo dalla chiesa, coprendolo di ridicolo. Gli scismatici lo presero e gli misero intorno delle fascine, minacciando di bruciarlo. Ma vedendo che nemmeno questo lo faceva desistere né lo spaventava e temendo una sollevazione popolare, poiché era molto celebre (tutto ciò gli era stato concesso dalla Provvidenza dall’alto), mandarono via sano e salvo il nostro martire, che si era offerto in olocausto a Cristo.

5. Di lui si diceva che in gioventù aveva condotto una vita di povertà come anacoreta. A quel tempo nella stessa regione c’erano molti altri uomini che, con lui, avevano abbracciato la stessa vita. Tra loro c’era un anziano di grandissima semplicità e povertà, che visse fino alla fine in una sola cella, anche se in età avanzata aveva dei discepoli. I particolari atti di ascetismo di questo vecchio erano stati di guardarsi dall’avere due tuniche e fino al giorno della sua morte di non pensare all’indomani mentre era con i suoi compagni. Quando Abba Gelasio, con l’assistenza divina, fondò il suo monastero, ricevette molti doni e acquistò anche bestie da soma e bestiame, necessari per il monastero. Colui che all’inizio rivelò al divino Pacomio che avrebbe costruito un monastero, gli venne in aiuto per tutta la durata della fondazione. L’anziano, di cui abbiamo parlato sopra, vedendolo impegnato in questo, e volendo conservare il grande amore che aveva per lui, gli disse: “Abba Gelasio, temo che il tuo spirito sarà reso schiavo dalle terre e da tutti gli altri beni del monastero”. Ma egli rispose: “Il tuo spirito è più schiavo dell’ago con cui lavori che lo spirito di Gelasio di questi beni”.

6. Si dice che Abba Gelasio fosse spesso assalito dal pensiero di andare nel deserto. Un giorno disse al suo discepolo: “Fammi il favore, fratello, di sopportare qualsiasi cosa io faccia e non dirmi nulla per tutta questa settimana”. Presa una canna, cominciò a camminare nel suo piccolo atrio. Quando fu stanco, si sedette un po’, poi si alzò di nuovo per camminare. Quando arrivò la sera, disse a sé stesso: “Chi cammina nel deserto non mangia pane, ma erbe; quindi, poiché sei stanco, mangia qualche verdura”. Lo fece, poi disse di nuovo a sé stesso: “Chi è nel deserto non si corica in un letto, ma all’aria aperta; fai lo stesso”. Così si sdraiò e dormì nell’atrio. Camminò così per tre giorni nel monastero, mangiando qualche foglia di cicoria la sera e dormendo tutta la notte all’aria aperta e si stancò. Allora, riprendendo il pensiero che lo turbava, lo confutò con queste parole: “Se non sei in grado di compiere le opere del deserto, vivi pazientemente nella tua cella, piangendo i tuoi peccati, senza vagare qua e là. Perché l’occhio di Dio vede sempre le opere dell’uomo e nulla gli sfugge ed egli conosce coloro che fanno il bene”.




13 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

13 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL SACERDOTE-MARTIRE ARTEMONE

Artemone era sacerdote a Laodicea durante il regno dell’imperatore Diocleziano. Davanti al giudice che lo tormentava, parlava di sé: “Mi chiamo Artemone, schiavo di Cristo, mio Dio. Per sedici anni sono stato lettore e ho letto libri nella Chiesa del mio Dio. Per ventotto anni sono stato diacono e ho letto il Santo Vangelo. Con l’aiuto di Cristo, ho compiuto trentatré anni come presbitero insegnando agli uomini e mettendoli sulla via della salvezza”. Il giudice lo portò al tempio di Esculapio, dove gli indovini allattavano grandi rettili dedicati a questo “dio”. Tutti ipotizzarono che i serpenti avrebbero morso Artemone. Artemone si fece il segno della croce e con il suo potere inchiodò a terra tutti i serpenti rendendoli incapaci di muoversi. Poi li portò tutti nel cortile, soffiò su di loro e tutti morirono all’istante. Tutti gli indovini furono presi da grande paura. Vedendo questo miracolo, Vitalis, l’indovino capo del tempio, cadde in ginocchio davanti ad Artemone e gridò: “Grande è il Dio cristiano!”. Il martire allora lo battezzò insieme a diversi suoi amici. Il giudice maligno continuò a nutrire la sua cattiveria e a torturare l’anziano Artemone in vari modi. Una volta voleva gettarlo in una vasca di pece bollente, ma cadde da cavallo nella pece ed egli stesso fu incenerito. Furono viste due aquile che piombarono sul giudice, lo sollevarono da cavallo e lo gettarono nella pece. Sant’Artemone rimase libero per un certo periodo e viaggiò, sempre accompagnato dai suoi due amati cervi, e istruì il popolo. Di nuovo catturato, fu decapitato nell’anno 303 d.C. e la sua anima prese dimora nel Regno di Cristo nostro Dio, che Sant’Artemone servì fedelmente.

  1. IL SANTO MARTIRE CRESCENS

Crescens era originario della città di Myra, in Licia. Era un cittadino onorato e ben conosciuto. Confessò apertamente la sua fede in Cristo e derise gli idoli morti. Per questo motivo fu bruciato dai pagani.

  1. LA SANTA MARTIRE THOMAIS

Thomais nacque ad Alessandria d’Egitto da genitori onorevoli. Fin da giovane le fu insegnata la pietà. All’età di quindici anni si sposò con un uomo d’onore. Suo suocero era un vecchio vile e, in assenza del figlio, aggredì la nuora e volle sedurla. Thomais, terrorizzata, ricordò al suocero la Legge di Dio e gli sfuggì dalle mani. Dopo una lotta prolungata, il suocero estrasse un coltello e uccise la nuora, tagliandola poi a metà. In quel momento, il castigo di Dio si abbatté su di lui. Rimase accecato all’istante e non riuscì a trovare la porta da cui uscire. Qui, in questa stanza, fu colto sul fatto e consegnato al tribunale che lo condannò a morte. Così, Thomais soffrì per il comandamento di Dio sulla fedeltà coniugale e la castità. In seguito, molti di coloro che sarebbero stati tentati da passioni adulterine rivolsero le loro preghiere a Santa Thomais e ricevettero da lei un forte aiuto. Daniele, il grande asceta, traslò le sue reliquie a Scete e le seppellì nel cimitero dei monaci-sacerdoti. Santa Thomais soffrì nell’anno 476 d.C.

Inno di lode
SANTA THOMAIS

Chiunque soffra a causa delle sue azioni malvagie
non ha parte con gli angeli:
Chi soffre per la volontà di Dio,
e per amore di Cristo, sopporta le disgrazie,
sia da parte dei fedeli che degli infedeli,
quello guarderà il volto di Dio.
Thomais, serva di Dio,
secondo il suo cuore, era una persona vera, devotamente orante.
Ma, per amore della legge di Dio, soffrì
dal suocero, arrogante.
Lascia, o suocero, il mio povero corpo in pace!
Non hai paura del Dio altissimo?
Il corpo umano, anche se è semplice fango
per l’anima, da Dio, a noi, è dato.
Se, con il peccato, contaminiamo il corpo,
della nostra anima, spezziamo le ali,
dal Dio vivente la separiamo,
e all’impuro la diamo come bottino.
Per una passione cieca, il suocero la fece a pezzi;
Che Dio perdoni! disse il giusto.
Ma all’assassino è toccata la cecità.
Il duplice cieco, intorno all’Ade, striscia.

Riflessione
Quando portarono in tribunale il martire Crescens, un nobile di Myra in Licia, il giudice, per convincerlo ad adorare gli idoli, lo consigliò a lungo. Non riuscendovi, disse infine a Crescens: “Adora [gli idoli] solo nel corpo e inchinati davanti al tuo Dio nello spirito!”. A ciò, l’onorevole Crescens rispose: “Il corpo non può fare nulla indipendentemente dall’anima, che è la sua forza motrice e la sua guida”. Per questo Crescens fu ucciso. Una lezione evidente: un cristiano non può essere doppio. Un’altra lezione ancora: Un cristiano ha l’obbligo di servire il suo Creatore anche con il corpo e non solo con l’anima. Con questo si confuta la falsa posizione di certi cristiani che vivono fisicamente come pagani e nel frattempo si lodano di credere in Dio e di amare Dio con la loro anima. Si dividono in due e si mettono al servizio di due padroni, anche se le labbra più sante [Le labbra di Gesù Cristo] hanno proclamato che ciò è impossibile.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come a causa di Tommaso, momentaneamente l’unico incredulo tra i discepoli, Egli apparve di nuovo nel suo corpo glorificato;
  2. Come Tommaso credette di nuovo, quando mise il dito sulle cicatrici delle ferite del Corpo tutto puro del Signore e credette.

Omelia
Sulla prova di Tommaso

“Mio Signore e mio Dio” (San Giovanni 20,28).

Quando l’apostolo Tommaso sentì le ferite del Signore Gesù, gridò: “Mio Signore e mio Dio!”. Quando Maria Maddalena udì la voce del Risorto nella sua anima, gridò: “Mio Signore e mio Dio!”. Quando Saulo vide la luce e udì le parole del risorto, riconobbe: “Mio Signore e mio Dio!”. Quando i pagani, stupiti, osservarono come l’innumerevole numero di martiri si sottopone con gioia alle pene e chiesero loro: “Chi è questo Cristo?” Tutti risposero: “Il mio Signore e il mio Dio!”. Quando gli schernitori ridicolizzarono l’esercito degli asceti e chiesero loro: “Chi è Colui per il quale hanno preso su di sé l’imponente peso della mortificazione?”. Tutti avevano una sola risposta: “Il mio Signore e il mio Dio!”. Quando gli spregiatori deridevano le vergini che avevano fatto voto di verginità e chiedevano loro: “Chi è Colui per il quale hanno rinunciato al matrimonio?”. Tutte avevano una sola risposta: “Il mio Signore e il mio Dio!”. Quando gli avari, stupiti, chiesero ai ricchi: “Chi è Colui per il quale distribuiscono le loro ricchezze e diventano mendicanti?”. Tutti risposero, all’unisono: “Il mio Signore e il mio Dio!”. Alcuni Lo hanno visto e hanno detto: “Mio Signore e mio Dio!”. Alcuni Lo hanno solo udito e hanno detto: “Mio Signore e mio Dio!”. Alcuni lo hanno solo sentito e hanno detto: “Mio Signore e mio Dio!”. Alcuni Lo hanno solo osservato nel tessuto degli eventi e nei destini dei popoli e hanno detto: “Mio Signore e mio Dio!”. Alcuni hanno sentito la Sua presenza nella loro vita e hanno gridato: “Mio Signore e mio Dio!”. Alcuni lo hanno riconosciuto da qualche segno, su se stessi o sugli altri, e hanno gridato: “Mio Signore e mio Dio!”. Altri ancora hanno solo sentito parlare di Lui da altri, hanno creduto e hanno gridato: “Mio Signore e mio Dio!”. In verità, questi ultimi sono i più benedetti! Esclamiamo anche noi, con tutto il cuore, indipendentemente da come siamo arrivati a riconoscerlo o da come siamo venuti a conoscenza di Lui: “Mio Signore e mio Dio!”.




12 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

12 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. VENERABILE ISACCO IL SIRO (II) – Abate di Spoleto (ca. 550)

Isacco il Siro (I) è commemorato il 28 gennaio. San Gregorio nei Dialoghi scrive di questo Isacco II. Venne in Italia al tempo dei Goti ed entrò in una chiesa per pregare nella città di Spoleto. Implorò il sagrestano di permettergli di rimanere chiuso in chiesa per tutta la notte. Così trascorse l’intera notte in preghiera, rimanendo nello stesso luogo. La stessa cosa accadde il giorno successivo e anche la notte dopo. Il sagrestano lo chiamò ipocrita e lo colpì con un pugno. Immediatamente il sagrestano impazzì. Vedendo che il sagrestano era amaramente tormentato, Isacco si chinò su di lui e lo spirito maligno si allontanò da lui e il sagrestano tornò in salute. Alla notizia di questo incidente, l’intera popolazione della città si affollò intorno a questo sorprendente straniero. Gli offrirono denaro e proprietà, ma egli rifiutò tutto e non accettò nulla e si ritirò nella foresta dove si costruì una cella, che si trasformò rapidamente in un grande monastero. Isacco era noto per aver compiuto miracoli e soprattutto per il suo speciale “dono del discernimento”. In un’occasione, ordinò ai confratelli di portare tutte le zappe nella vigna e di lasciarle lì. Il giorno dopo Isacco, insieme ai fratelli, uscì nella vigna e portò con sé il pranzo. I fratelli erano perplessi. Per chi era questo pranzo, visto che non c’erano operai? Arrivati alla vigna, c’erano tanti uomini che scavavano quante erano le zappe. Ecco cosa accadde: questi uomini erano venuti come ladri per rubare le zappe, ma per la potenza di Dio furono trattenuti a scavare tutta la notte. In un’altra occasione, due uomini parzialmente vestiti vennero da Isacco e gli chiesero dei vestiti. Isacco mandò un monaco in un albero cavo lungo la strada per recuperare ciò che avrebbe trovato lì. Il monaco partì, trovò degli abiti e li portò al monastero. L’abate prese questi abiti e li diede ai mendicanti. I mendicanti si vergognarono moltissimo quando riconobbero i propri abiti che avevano nascosto in quell’albero. Una volta, un uomo mandò due arnie al monastero. Il monaco ne nascose una lungo la strada e l’altra la portò al monastero e lo consegnò all’abate. Il santo gli disse: “Fai attenzione al tuo ritorno. Nell’alveare che hai lasciato lungo la strada, infatti, si è intrufolato un serpente velenoso. Fai attenzione, quindi, che non ti morda”.

  1. SAN BASILIO IL CONFESSORE

All’epoca della controversia iconoclasta, quest’uomo devoto era vescovo nella città di Parius, in Asia Minore. Si rifiutò di firmare un documento imperiale contro la venerazione delle icone. Per questo motivo, Basilio fu molto perseguitato e duramente torturato. Rimase saldo come un diamante nella sua ortodossia. Morì all’inizio dell’VIII secolo e fu tradotto al Signore.

  1. IL VENERABILE ACACIO

Acacio era originario del villaggio di Gollitsa, in Epiro. Era un grande asceta athonita, padre spirituale e possedeva il “dono del discernimento”. Acacio ebbe molte visioni celestiali. Diede la sua benedizione a diversi monaci che scelsero la mortificazione del martirio. Acacio morì nel suo novantottesimo anno di età, nel 1730 d.C.

  1. LA VENERABILE ATANASIA

Atanasia nacque nell’isola di Eginia da genitori ricchi e benevoli. Distribuì i suoi beni ai poveri e si ritirò in un convento. Lì si sottopose a mortificazioni sempre più difficili. Atanasia si nutriva solo una volta al giorno e solo di pane e acqua. Durante il digiuno del periodo quaresimale, mangiava una volta ogni due giorni. Assaggiava olio e pesce solo nelle feste della Natività e della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Anche se era la badessa di questo convento, Atanasia era una serva delle altre sorelle e non si faceva servire da nessuno. Atanasia fu resa degna del grande dono di operare miracoli, sia in vita che dopo la morte. Morì nel Signore nell’anno 860 d.C.

Inno di lode
SANTA ATANASIA

Atanasia, anima bellissima,
sulla terra, risplendeva come una stella luminosa,
Per mezzo dello spirito, vinse la debolezza corporea,
Ancora giovane, si innamorò di Dio;
Attraverso digiuni e veglie, il suo corpo appassì,
solo per ottenere la salvezza della sua anima;
Molto ha posseduto, molto ha distribuito ai poveri,
Tutto di se stessa, alla volontà di Dio, diede.
Una visione che vide nella chiesa, santa:
Una luce celeste penetrò le tenebre,
e le giunse una voce: Atanasia,
Mitezza e umiltà: questo è gradito a Dio,
In questo, esercitati sopra ogni altra cosa
Mentre il tuo cuore batte e il tuo spirito respira.
Atanasia, eseguì il consiglio.
E, ogni orgoglio in se stessa, fu schiacciato,
La sua volontà a Dio si è totalmente consegnata,
Obbediente a Dio, come il sole ardente.
Amore, con amore il Signore la ricambiò
E con Grazia ricompensò le sue fatiche.
E quando il suo tempo sulla terra finì
le concesse la vita, immortale e paradisiaca.

Riflessione
Il malvagio imperatore Costantino Copronimo aveva una figlia virtuosa, la fanciulla Anthusa: “Un bel ramo su un albero malvagio”. Nonostante tutte le pressioni esercitate dal padre affinché si sposasse, Anthusa rimase irremovibile, perché era fermamente legata a un amore sincero per Cristo Signore. Alla morte del padre, Anthusa distribuì tutto il suo patrimonio ai poveri, entrò in convento e fu tonsurata suora. Quanto stupore infondono i molti uomini nobili che hanno lasciato la vanità di questo mondo e hanno seguito la via stretta di Cristo; due volte più stupiscono le molte donne che hanno disprezzato sia la giovinezza e le ricchezze sia le attrazioni transitorie di questo mondo per amore di Cristo. Nostro Signore stesso ha detto: “Sarebbe difficile per chi è ricco entrare nel Regno dei Cieli” (San Matteo 19:23). Difficile sì, ma non impossibile. Per colui che disprezza se stesso, è facile disprezzare le ricchezze del mondo intero.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come entra attraverso le porte chiuse tra i suoi discepoli e dà loro la pace;
  2. Come il suo corpo glorificato non ha ostacoli materiali per apparire dove vuole.

Omelia
Sulla città che si sta costruendo.

“Poiché qui non abbiamo una città duratura, ma cerchiamo quella che deve venire” (Ebrei 13:14).

Fratelli, dove sono le grandi città di Babilonia e Ninive? Oggi solo lucertole giacciono nella polvere delle loro torri. Memphis e Tebe, non erano forse l’orgoglio dei faraoni e dei principi dell’umanità? Oggi è difficile stabilire il luogo esatto in cui si trovavano queste due città.

Tuttavia, lasciamo queste città di pietre e mattoni. Guardiamo alle città di sangue, carne e ossa. Gli uomini costruiscono la città del loro corpo più lentamente e più minuziosamente di quanto non facciano le fortezze e le cattedrali. Gli uomini impiegano dagli ottanta ai cento anni per costruire la città del loro corpo e, alla fine, vedono che il loro sforzo è vano. Ciò che hanno impiegato decenni per costruire con cura e costante paura, crolla nella polvere della tomba in un batter d’occhio. Quale città corporea non viene rovesciata e ridotta in polvere? Nessuna.

Ma lasciamo le città del corpo. Guardiamo alle città della fortuna che gli uomini hanno costruito di generazione in generazione. I materiali con cui sono state costruite queste città sono: bei tempi, piacere, proprietà, autorità, onore e gloria. Dove sono queste città? Come una ragnatela girano intorno all’uomo in un istante e come una ragnatela si spezzano e svaniscono, rendendo il fortunato più sfortunato dello sfortunato.

In verità, qui non c’è città che rimanga.

Per questo cerchiamo la città che verrà. Questa è la città costruita con lo Spirito, la Vita e la Verità. Questa è la città il cui unico e solo architetto è il Signore Gesù Cristo. Questa città è chiamata Regno dei Cieli, Vita eterna, dimora degli angeli, rifugio dei santi e dei martiri. In questa città non esiste il dualismo tra bene e male, ma tutto è un’armonia di bene. Tutto ciò che viene costruito in questa città è costruito per durare per sempre. Ogni mattone di questa città rimane senza fine e senza conclusione. I mattoni sono angeli e uomini viventi. In questa città il Signore Gesù Cristo risorto siede sul trono e regna.

O Signore risorto, riscattaci da sotto le rovine del tempo e guidaci misericordiosamente nella tua città eterna, il Paradiso.




11 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

11 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL SACERDOTE-MARTIRE ANTIPA, VESCOVO DI PERGAMO IN ASIA MINORE

Nel Libro dell’Apocalisse, Antipa è menzionato come “Antipa, il mio testimone fedele, che è stato martirizzato in mezzo a voi, dove abita Satana” (Apocalisse 2:13), cioè nella città di Pergamo. Gli abitanti di questa città vivevano nelle tenebre dell’idolatria e nell’estrema impurità. Erano schiavi delle passioni. Erano calunniatori, tiranni e incestuosi. In altre parole, erano servi di Satana. Qui tra loro viveva Antipa, “come luce in mezzo alle tenebre, come rosa tra le spine e come oro nel fango”. Chi catturava e uccideva un cristiano veniva considerato buono e giusto. La totalità delle credenze pagane consisteva nell’indovinare, nell’interpretare i sogni, nel servire i demoni e nella perversione estrema. Avendo paura di Antipa come del fuoco, i demoni apparvero in sogno agli indovini e confessarono di avere paura di Antipa e che, a causa sua, dovevano allontanarsi dalla città. I sacerdoti pagani convocarono un gran numero di persone contro Antipa e cominciarono a interrogarlo e a costringerlo a rinnegare Cristo e ad adorare gli idoli. Antipa disse loro: “Quando i vostri cosiddetti dèi, signori dell’universo, hanno paura di me, un uomo mortale, e devono fuggire da questa città, non riconoscete che, per questo, la vostra fede è un’aberrazione?”. Il santo parlò loro anche della fede di Cristo come unica e vera fede salvifica. Essi si infuriarono come battitori selvaggi e trascinarono l’anziano Antipa al tempio di Artemide, davanti al quale si trovava un bue fuso in bronzo. Riscaldarono il bue bronzeo e scagliarono il servo di Dio nel bue fuso e arroventato. Dall’interno del bue fuso, Sant’Antipa glorificò Dio con ringraziamento, come un tempo Giona nel ventre della balena o i Tre Giovani nella fornace ardente. Antipa pregò per il suo gregge e per il mondo intero, finché la sua anima si separò dal corpo indebolito e salì tra gli angeli nel Regno di Cristo. Morì soffrendo e fu incoronato con gloria imperitura nell’anno 92 d.C.

  1. I SANTI MARTIRI PROCESSO E MARTINIANO

Processo e Martiniano erano carcerieri nella prigione romana dove erano rinchiusi gli Apostoli Pietro e Paolo. Sentendo le parole e assistendo ai miracoli degli Apostoli, si fecero battezzare e liberarono gli Apostoli dalla prigione. Gli Apostoli lasciarono Roma, ma il Signore, mentre si recava a Roma, apparve a Pietro il quale gli chiese: “Signore dove vai?” (Quo Vadis?) Il Signore rispose: “Vado a Roma per essere crocifisso una seconda volta”. Vergognandosi, gli Apostoli tornarono a Roma dove furono catturati e uccisi. Con gli Apostoli furono uccisi anche i due coraggiosi martiri Processo e Martiniano.

Inno di lode
SAN ANTIPA

In un bue infuocato come in un tempio luminoso
Antipa, il cristiano, non soffre la solitudine:
Nel suo cuore puro dimora il Signore
Né il fuoco lo brucia, né ne ha orrore.
Il santo per Cristo sopporta pazientemente tutto,
e dal fuoco sale le preghiere a Cristo,
Oh, Cristo onnipotente, Re di tutti i secoli,
Per queste sofferenze, cento volte grazie a Te!
Tutto ciò che è peccaminoso in me, bruci col fuoco,
affinché io sia più prezioso secondo il valore celeste.
Oh Salvatore, ti prego; il mio gregge proteggi
In questa città, in un terribile letamaio!
Che il mio sangue li rafforzi nella fede,
e che i loro cuori siano fissati a Te.
E anche per i pagani, o Benedetto, Ti prego
Che li liberi, una volta per tutte, dalle menzogne demoniache;
E per tutti i peccatori che deridono la tua legge,
indirizzali a Te, l’unico da servire.
Ecco, tutto rientra nell’autorità della Tua Santa Volontà,
E infine, Ti prego: che sia il meglio per la Chiesa!

Riflessione
“Non c’è riposo per coloro che desiderano essere salvati sulla terra”, dice Sant’Efrem il Siro. La lotta è incessante, sia esterna che interna. L’avversario agisce a volte in modo visibile attraverso gli uomini e le altre cose e altre volte in modo invisibile attraverso i pensieri. A volte, l’avversario appare apertamente e si comporta in modo brutale e crudele come un nemico e, altre volte, sotto le sembianze di un amico lusinghiero, seduce con la sua astuzia. Ciò che avviene nella battaglia tra due eserciti contrapposti si verifica anche per ogni uomo individualmente in lotta con le passioni di questo mondo. In verità, “non c’è riposo per coloro che desiderano essere salvati”. Quando arriva la salvezza, arriva anche il riposo.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come Simon Pietro e l’altro discepolo corsero subito al sepolcro per confermare la notizia della risurrezione;
  2. Come uno dopo l’altro entrarono nel sepolcro e videro i teli e il sudario;
  3. Come entrambi videro e credettero e, in seguito, testimoniarono e per la loro testimonianza morirono.

Omelia
I due Adami: quello che crea la morte e quello che dà la vita

“Infatti, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati” (1 Corinzi 15:22).

Seguendo l’esempio di Adamo, la vita viene seminata nella vergogna e seguendo l’esempio di Cristo, la vita viene risuscitata nella gloria. Il peccato viene da Adamo e la giustizia da Cristo. La debolezza e la morte vengono da Adamo e la forza e la vita vengono da Cristo. Di conseguenza, in Adamo moriamo tutti. Di conseguenza, in Cristo, saremo tutti vivi. Quello è l’uomo terreno [Adamo], questo è l’uomo celeste [Cristo]. Quello è l’uomo corporeo [Adamo] e questo è l’uomo spirituale [Cristo].

Cristo non è risorto per sé, ma per noi, così come non è morto per sé, ma per noi. Se la sua risurrezione non significa la nostra risurrezione, allora la sua risurrezione è amarezza e non dolcezza. Dove sarebbe allora l’amore di Dio? Dove sarebbe il senso della nostra misera esperienza terrena? Quale sarebbe allora lo scopo della venuta di Cristo sulla terra?

Là dove finisce Adamo, inizia Cristo. Adamo finisce nella tomba e Cristo inizia con la resurrezione dalla tomba. La generazione di Adamo, cioè il seme sotterraneo che marcisce e decade, non vede il sole, non crede di poter emergere dal sottosuolo per sbocciare in una pianta verde con foglie, fiori e frutti. La generazione di Cristo è un campo verde su cui il grano cresce, diventa verde, si ricopre di foglie, fiorisce e porta molto frutto.

“In Adamo” non significa solo che un giorno moriremo, ma piuttosto che siamo già morti, morti fino alla fine. “In Cristo” non significa solo che un giorno rinasceremo, ma piuttosto che siamo già vivi, cioè che il seme nel terreno ha già iniziato a germogliare e a irrompere alla luce del sole. L’espressione completa della morte è nella tomba, ma l’espressione completa della vita eterna è nel regno di Dio.

La mente dei figli di Adamo è in accordo con la morte, si riconcilia con la decadenza e sprofonda ancora di più nella terra. La mente dei figli di Cristo si ribella alla morte e alla decadenza e si sforza ancora di più di spingere l’uomo verso la luce, aiutata dalla Grazia di Dio. O Signore risorto, fai sobbollire le menti di tutti i figli dell’uomo affinché fuggano dalle tenebre e dalla distruzione e si dirigano verso la luce e la vita eterna che è in Te.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




10 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

10 Aprile secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. I SANTI MARTIRI TERENZIO, AFRICANUS, MAXIMUS, [POMPILIUS] POMPEIUS E ALTRI TRENTASEI CON LORO

Molti hanno sofferto per Cristo e sono stati incoronati con corone di gloria durante il regno dell’imperatore Decio. Per ordine dell’imperatore, il governatore dell’Africa annunciò al popolo che tutti dovevano offrire sacrifici agli idoli. A coloro che resistevano, il governatore minacciava crudeli torture. Alla notizia di queste minacce molti si allontanarono dalla fede e adorarono gli idoli. Tuttavia, questi quaranta rimasero incrollabili nella loro fede e furono esposti alle torture. San Terenzio incoraggiò i suoi compagni dicendo: “Fratelli, stiamo attenti a non rinnegare Cristo, nostro Dio, per evitare che egli ci rinneghi davanti al Padre celeste e ai santi angeli”. Il governatore li divise in due gruppi. Trentasei di loro, dopo la fustigazione, la raschiatura della pelle e il versamento di sale nelle ferite aperte, furono tutti decapitati. I primi quattro furono gettati in prigione con pesanti catene di ferro al collo, alle mani e ai piedi. Un angelo di Dio apparve nella prigione, toccò le catene degli incatenati e le catene caddero. Poi l’angelo preparò per loro una tavola imbandita e li sfamò. Ancora una volta, furono portati fuori e torturati e, ancora una volta, furono imprigionati. Allora il governatore ordinò agli indovini di raccogliere il maggior numero possibile di creature velenose e schifose, come serpenti e scorpioni, e di rinchiuderle nella stessa cella dei martiri. Le creature schifose non vollero toccare i prescelti da Dio, ma rimasero compresse in un angolo, dove rimasero per tre giorni. Il terzo giorno, quando la porta della cella fu aperta, le creature ripugnanti si precipitarono fuori e morsero gli indovini. Infine, il governatore pronunciò la pena di morte per i quattro martiri. Quando furono portati fuori per essere decapitati, cantarono con gioia i salmi e lodarono Dio, che li aveva resi degni di una morte da martiri. Essi soffrirono onorevolmente nell’anno 250 d.C. e furono ritenuti degni del Regno.

  1. I SEIMILA MARTIRI IN GEORGIA

Nella regione selvaggia di David-Garejeli, in Georgia, c’erano dodici monasteri in cui molti monaci praticarono e vissero la vita ascetica per secoli. Nel 1615 d.C., il grande re di Persia, Shah Abbas I, attaccò la Georgia, la devastò e decapitò molti cristiani. Una volta, mentre cacciava al mattino presto durante la festa della Resurrezione, lo scià Abbas notò molte luci sulle montagne. Erano i monaci dei dodici monasteri in processione intorno alla Chiesa della Resurrezione con ceri accesi in mano. Quando lo scià scoprì che erano monaci, chiese stupito: “Non è stata data tutta la Georgia in mano alla spada?”. Ordinò quindi ai suoi soldati di andare immediatamente a decapitare tutti i monaci. In quel momento un angelo di Dio apparve all’abate Arsenio e lo informò della morte imminente. Arsenio informò i suoi confratelli. Tutti ricevettero la Comunione dei Misteri Purissimi e si prepararono alla morte. All’improvviso arrivarono gli assalitori e fecero a pezzi prima l’abate, che precedeva gli altri, e poi tutti gli altri. Tutti soffrirono onorevolmente e furono incoronati con corone incorruttibili nell’anno 1615 d.C. Così si concluse la storia di questi famosi monasteri che, per più di mille anni, servirono come focolare spirituale di illuminazione per i georgiani. Oggi esistono solo due monasteri: San Davide e San Giovanni il Precursore. L’imperatore georgiano Arcil raccolse le reliquie dei monaci e le interrò con onore. Ancora oggi, queste reliquie emettono un crisma (olio) profumato e guariscono i malati.

Inno di lode
I SEIMILA MARTIRI DELLA GEORGIA

Seimila eletti di Dio
Hanno gioito nella gloriosa risurrezione,
Seimila cuori di uomini,
L’intero gregge di agnelli innocenti!
Intorno alla chiesa, con i ceri, hanno lavorato,
Inni dolci alla Risurrezione cantavano,
Mentre il terribile lupo, dall’oscurità della mezzanotte
Con lupi affamati attaccava,
per massacrare gli agnelli innocenti.
Quelli non erano agnelli, ma pastori
Della sofferente razza georgiana,
Santi e illuminatori,
tutti monaci, meravigliosi asceti.
Per tutti Arsenio previde la morte,
e parlò così ai monaci:
Fratelli miei, figli della Georgia,
È giunta l’ora di bere il calice
Il dolce calice della sofferenza per Cristo.
Ecco, i lupi si precipitano tra le montagne
Più veloci, fratelli, verso la Comunione tutta pura.
E, dopo, un battesimo di sangue!
Pentitevi per voi e per il popolo,
e dirigete tutti i vostri pensieri a Dio,
I vostri malfattori, perdonate,
Le porte del Paradiso, per noi, si aprono.
Che ogni fratello perdoni il suo fratello.
Cristo è risorto – anche noi risorgiamo,
Fedeli a Lui, lo siamo fino alla morte!

Riflessione
Quando un uomo stacca la sua mente dalla terra, la apre verso Dio con il desiderio di piacere a Dio, allora Dio rivela la sua volontà in vari modi. San Pietro di Damasco scrive: “Se un uomo ha la piena intenzione di piacere a Dio, allora Dio gli insegna la sua volontà attraverso i pensieri, attraverso qualche altra persona o attraverso la Sacra Scrittura”. Un uomo di questo tipo diventa attento, acuto e attende i suggerimenti di Dio dall’interno e dall’esterno. Per lui le possibilità cessano di esistere. Il mondo intero diventa come un’arpa a dieci corde che non emette un solo suono senza il dito di Dio.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come apparve a due dei suoi discepoli sulla strada di Emmaus ed essi non lo riconobbero;
  2. Come il cuore di questi due discepoli ardeva quando Egli parlava loro e come Lo riconobbero solo quando benedisse e spezzò il pane per loro;
  3. Come, all’improvviso, il Signore divenne invisibile ai loro occhi.

Omelia
Sulla speranza viva

“Benedetto sia il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua misericordia ci ha fatto rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1 Pietro 1:3).

Fratelli, chi ha una speranza morta e chi una speranza viva? Chi spera nelle cose morte ha una speranza morta. Chi spera nel Dio vivente ha una speranza viva. Inoltre, chi spera in se stesso e negli altri ha una speranza morta. Chi spera nel Dio vivente ha una speranza viva. Inoltre, chi spera nella fortuna e nel benessere in questa breve esistenza terrena e non estende la sua speranza oltre la tomba, ha una speranza morta. Chi spera nella risurrezione e nella vita eterna nel regno dei cieli ha una speranza viva. In verità, una speranza viva è migliore di una speranza morta, come la vita è migliore della morte, come la luce è migliore delle tenebre, come la salute è migliore della malattia, come la comprensione è migliore dell’ignoranza. Ma chi ha portato e mostrato all’uomo questa speranza viva? Chi e come? L’apostolo Pietro dà una risposta a questa domanda: Nostro Signore Gesù Cristo, e ciò mediante la sua risurrezione dai morti. Nessun altro se non il Signore Gesù Cristo e nient’altro che la sua stessa risurrezione dai morti. Con la sua risurrezione, il Signore ha messo le ali alle patetiche speranze dell’uomo, lo ha portato oltre la tomba e gli ha mostrato la meta, lo scopo e il frutto dell’oltretomba.

Tutto questo non è confermato da un uomo credulone, ma da un apostolo che ha vacillato a lungo nella sua fede e che ha rinnegato Cristo tre volte. Ecco perché la testimonianza di San Pietro sul Signore risorto e sul significato della sua risurrezione ha per noi un valore inestimabile.

O Signore risorto, vincitore della morte, sradica da noi la speranza morta e pianta in noi una speranza viva attraverso le preghiere di San Pietro, il tuo grande apostolo.




09 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

09 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL SANTO MARTIRE EUPSYCHIUS

Eupsychius era di nobile nascita e ben istruito nelle pie credenze. Durante il regno di Giuliano l’Apostata e quando San Basilio il Grande governava la Chiesa di Dio a Cesarea, Eupsychius si sposò con un’importante fanciulla. Tuttavia, non gli fu concesso di vivere nemmeno un giorno il matrimonio. Infatti, al momento delle nozze, si svolse una festa pagana con offerte sacrificali all’idolo Fortuna. Eupsychius, con i suoi compagni, entrò nel tempio e distrusse tutti gli idoli, demolendo anche il tempio stesso. Alla notizia, Giuliano si infuriò moltissimo e ordinò la decapitazione dei colpevoli, l’arruolamento di molti cristiani nell’esercito, l’imposizione di un enorme tributo a tutti i cristiani, la ricostruzione del tempio della Fortuna a spese dei cristiani e la privazione della città del nome onorifico di “Cesarea”, conferitole da Cesare Claudio, con il nome precedente di Maza. All’inizio Eupsychius fu legato a un albero, torturato brutalmente e poi decapitato nel 362 d.C. Poco dopo, il malvagio imperatore Giuliano visitò questa città (Maza) mentre si dirigeva verso la Persia contro la quale stava muovendo guerra. San Basilio il Grande gli andò incontro portando tre pani d’orzo in segno di rispetto e ospitalità. L’imperatore ordinò che una manciata di fieno fosse data al santo come dono reciproco. San Basilio disse all’imperatore: “Ti prendi gioco di noi, o imperatore. Noi ti offriamo il pane con cui ci nutriamo e tu, a tua volta, ci dai il cibo per il bestiame che tu, con la tua autorità, non puoi trasformare in cibo per gli uomini”. L’imperatore rispose: “Sappi che ti darò da mangiare questo fieno quando tornerò dalla Persia”. Tuttavia, il malvagio apostata non tornò dalla Persia, perché morì di una morte meritata e innaturale.

  1. IL VENERABILE MARTIRE VADIM

Durante il regno dell’imperatore persiano Sapor, Vadim, abate di un certo monastero e uomo famoso per la sua generosità, fu messo in prigione con sette dei suoi discepoli. Con loro in prigione c’era un certo principe Nirsan, anch’egli cristiano. Ogni giorno venivano portati fuori e picchiati. Il principe Nirsan si spaventò e promise di rinnegare la fede e di adorare il sole. Sapor ne fu soddisfatto e promise di dare a Nirsan, tra le altre cose, l’intero patrimonio del monastero di Vadim se avesse decapitato Vadim con le sue stesse mani. Nirsan accettò. Con la mano tremante e spaventato dal volto maestoso di San Vadim, colpì il santo uomo con la spada molte volte sul collo, finché alla fine lo decapitò. Poco dopo, Nirsan cedette alla disperazione e si trafisse con la spada, ricevendo per mano sua la giusta punizione per l’omicidio del giusto. San Vadim patì nell’anno 376 d.C.

Inno di lode
IL VENERABILE MARTIRE VADIM

Il coraggioso Vadim guarda la morte negli occhi
e si dispiace per Nirsan perché gli è capitata la miseria.
Nirsan, con la spada sguainata, sta davanti a Vadim,
non ha paura di Dio, ma ha paura del santo.
Brandisce la spada e, brandendola, la abbassa!
Davanti al cavaliere di Dio; in verità, un puro codardo!
Nirsan, Nirsan! Vadim, a lui, parla:
Sulla strada dell’eternità, Vadim, a te, parla:
Hai rinnegato Cristo; hai abbracciato la falsità,
Da solo, la tua anima hai perso.
Morte, attendo con ansia ogni ora divina,
che mi apra la porta del regno eterno.
Ma, dalla tua mano, mi è dispiaciuto morire,
e non vederti mai più, o principe.
Ogni traditore di Cristo sarà coperto dalle tenebre eterne.
E, due volte più nero, chi uccide i cristiani”.
Questo disse il santo e tacque,
e Nirsan lo uccise con mano tremante.
Un tale leone morì a causa di un coniglio spaventato!
Ma chi ha ucciso Nirsan? Se stesso o il santo?
La giustizia eterna parla: il ladro giudica se stesso,
E al santo di Dio non è stato fatto alcun male.

Riflessione
Di Pericle si dice che era un uomo di bellezza umana quasi perfetta, ma che la sua testa era oblunga e assomigliava a una zucca, tanto che rischiava di essere ridicolizzato quando appariva a capo scoperto in pubblico. Per nascondere il difetto di questo grande uomo al suo popolo, gli scultori greci lo ritraevano sempre con un elmo in testa. Se alcuni, tra i pagani, sapevano nascondere i difetti dei loro amici, quanto più, quindi, noi cristiani siamo obbligati a fare lo stesso? “Amatevi gli uni gli altri con affetto reciproco; anticipate gli uni gli altri nel mostrarvi onore” (Romani 12:10), comanda l’apostolo a coloro che aderiscono a Cristo. Come possiamo dire di aderire al Cristo mite e tutto-puro, se ogni giorno avveleniamo l’aria con racconti sui peccati e le mancanze degli altri? Nascondere le proprie virtù e le mancanze degli altri, questa è la saggezza spirituale per eccellenza.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù risorto:

  1. Come appare a Maria Maddalena nell’orto e, a prima vista, Maria non lo riconosce;
  2. Come Egli si rivolge con tenerezza a Maria e Maria lo riconosce, gioisce in Lui e trasmette la sua gioia ai discepoli.

Omelia
Sulla necessità della morte per portare molto frutto

“Amen, amen vi dico: se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo un chicco di grano; ma se muore, produce molto frutto” (San Giovanni 12:24).

Perché il seminatore getta il grano nel terreno? Lo fa forse perché il grano muoia e marcisca? No, lo fa perché viva e porti frutto. Nel gettare il seme, il seminatore non pensa alla morte e alla decomposizione del seme, ma piuttosto alla sua vita e al suo rendimento.

Il seminatore è Cristo Signore e gli uomini sono il suo grano. Egli si è compiaciuto di chiamarci grano. Ci sono molti altri tipi di seme sulla terra, ma niente è più prezioso del grano. Perché il Signore ci ha seminato in tutto il mondo? Per farci morire e decadere? No, piuttosto perché vivessimo e portassimo frutto. Egli allude alla nostra morte lungo il cammino. Allude alla morte solo come condizione per la vita e per il rendimento moltiplicato. L’obiettivo della semina non è la morte, ma la vita. Il seme deve prima morire e decadere. Lo menziona solo perché sa che ne siamo pienamente consapevoli. Ce lo ricorda lungo il cammino, mentre il suo Vangelo è soprattutto una narrazione di vita, sulla vita e sul portare frutti buoni. Ci parla molto di quest’ultimo aspetto perché sa che non ne siamo consapevoli e che stiamo soffocando per l’ignoranza e il dubbio. Non solo ci parla abbondantemente della vita, ma ci mostra anche la vita. Con la sua risurrezione, ci dimostra la vita e la moltitudine di frutti che sono più luminosi del sole. L’intera storia della sua Chiesa è una chiara mappa della vita.

O Signore della vita, invincibile, salvaci dalla morte del peccato. Riscattaci da una morte spirituale.




ANZIANO PORFIRIOS: Testimonianze ed esperienze – Prefazione

Prefazione alla prima edizione

“Quando i santi si addormentano abbiamo l’obbligo di scrivere e raccontare quanto più sappiamo di loro”. Queste le parole di incoraggiamento pronunciate durante una conversazione telefonica, tre giorni dopo la partenza dell’anziano Porfirio, dallo ieromonaco Athanasios del Santo Monastero di Vatopedi. Questa affermazione ci ha dato il massimo impulso ed è stata determinante per la compilazione del materiale iniziale di questa edizione.

Il nostro obiettivo iniziale era quello di offrire ai fedeli di Cipro alcune testimonianze, sia da parte dei figli spirituali del grande anziano, sia da parte di persone che lo conoscevano abbastanza bene. Questo doveva avvenire attraverso il programma radiofonico “Orthodoxy Today”, trasmesso dal Primo Programma della Cyprus Broadcasting Corporation (CBC).

Ben presto, però, ci siamo resi conto che il gran numero di testimonianze che ci venivano inviate non potevano rientrare nelle esigenze di tempo di un programma radiofonico. Così, grazie alle preghiere dell’anziano Porfirio e su sollecitazione dei suoi numerosi figli spirituali, sia a Cipro che in Grecia, abbiamo iniziato a raccogliere altro materiale. Ciò ha portato alla preparazione di questa edizione come un “profumo spirituale”.

Non è stato facile né prendere né realizzare una tale decisione. Che Dio, che ha permesso di completare questa edizione, conceda anche a noi, gli ultimi di tutti, la sua infinita misericordia.

Certamente nessuno può veramente scrivere sulla vita e sulle opere di una figura spirituale del calibro dell’anziano Porfirio, per quanto lo si sia visto e ascoltato, per quanto si sia vissuto vicino a lui. In questa edizione ci limitiamo a offrire alcune testimonianze di persone che hanno conosciuto l’anziano. Tuttavia, il grande capitolo dell’anziano Porfirio comincia solo ora.

Vorremmo chiarire che questo libro non è una biografia dell’anziano Porfirio. Quella sarà lasciata ad altre persone. Questo volume contiene esclusivamente alcune testimonianze ed esperienze degne di nota, così come ci sono state date dai nostri fratelli e sorelle in Cristo che hanno avuto la grande fortuna di conoscere l’anziano Porfirio. Mi assumo personalmente la responsabilità di tutto ciò che è scritto in questo libro.

Se ci sono obiezioni da parte di atei, razionalisti, persone spiritualmente fredde o tiepide, c’è solo una risposta. Il regno del sacro e del trascendente, come espresso da quel figlio di Dio e vero uomo che è l’anziano Porfirio, appartiene alla categoria dell’incredibile. Tuttavia, può diventare credibile perché “il peccato non prevale dove abbonda la grazia”. L’anziano Porfirio era una persona piena di grazia, portatrice della forza dello Spirito Santo, un figlio del Regno, un vero e proprio albero del paradiso.

Forse c’è chi, per ignoranza, disinformazione o intenzione, vuole dare una propria interpretazione di quanto contenuto in questa edizione. Questo non ci addolora né ci scoraggia. Il Signore è l’unica Verità. Come ci diceva spesso l’anziano Porfirio, egli non parlava mai con la propria autorità, ma sempre a partire dai Vangeli; le sue parole erano parole di Cristo.

Che l’anziano Porfirio, faro spirituale e guida per migliaia di persone, ci permetta, dall’alto dei cieli, dove può essere trovato, di trasmettere alcune conversazioni che si sono tenute con lui:

“Anziano, dove possiamo trovare la soluzione ai nostri problemi?”.

“Solo la santità risolverà i vostri problemi”.

Quando gli abbiamo chiesto se fosse difficile per qualcuno diventare santo, ha sorriso e ha detto:

“È la cosa più facile da fare. Basta pensare costantemente a Dio”.

Qualche tempo dopo, rispondendo alla nostra richiesta di una parola benefica, ha semplicemente citato l’apostolo Paolo dicendo: “Non sono più io che vivo, perché Cristo vive in me”.

Un’altra volta, quando gli abbiamo chiesto se il nostro rapporto con Cristo fosse di amore (eros), ci ha ricordato San Massimo il Confessore, che parla di “amore della mente” (eros nou). Questo amore divino dell’anima, che anela allo Sposo celeste, e che si acquisisce dopo una lunga e prolungata pratica del ricordo della morte, è un tipo di contemplazione che equivale alla contemplazione di Dio.

Poiché era a conoscenza della mia capacità poetica, mi spiegò che Cristo non vuole persone rozze, ma persone sensibili. Aggiunse: “I santi sono poeti. Guardate quanta poesia c’è nella scena del Signore lì sul lago di Tiberiade, insieme ai suoi discepoli. Lì, dove insegnava, amministrava e guariva la gente”. L’anziano Porfirio era un vero padre della Chiesa. Svolgeva i suoi compiti pastorali con un cuore caldo e una saggia discrezione, di cui disponeva in modo così unico.

Abbiamo anche avuto la benedizione e la gioia di vedere il suo dono del discernimento (diakrisis). Controllando semplicemente il mio polso, scoprì l’estrema stanchezza da superlavoro che avevo mentre ero studente a Parigi. Questo accadeva undici anni prima che incontrassi l’anziano.

Ad ogni incontro con l’anziano Porfirio avevamo una nuova opportunità di vedere il funzionamento interno del cielo. Per un po’ di tempo ci apriva il cielo. In qualche modo aveva acquisito le chiavi del Regno. Avremmo guardato per un breve periodo e poi, peccatori come siamo, saremmo tornati alle nostre vecchie abitudini. La sacra memoria dell’anziano Porfirio è legata a quelle scene paradisiache, a quel sapore di paradiso.

Questo volume contiene le testimonianze e le esperienze dei figli spirituali dell’anziano Porfirio, sia in Grecia che a Cipro. Oltre a queste, ci sono testimonianze di altre persone che hanno avuto la benedizione di parlare con lui. Ognuna di queste persone ha voluto, per ragioni proprie che rispettiamo, rimanere anonima. Tutti hanno testimoniato le parole e gli atti dell’anziano, esprimendo le parole di San Giovanni Evangelista nella sua Prima Lettera Cattolica, “ciò che abbiamo udito, che abbiamo visto con i nostri occhi, che abbiamo guardato e che le nostre mani hanno toccato…”.

Le immagini dell’anziano Porfirio alle pagine 10 e 364 sono state ricevute nelle seguenti circostanze.

Quasi fin dall’inizio della mia conoscenza con l’anziano è sorto in me il desiderio di avere una sua fotografia. Vivendo a Cipro, sentivo che nei momenti difficili della mia vita il solo avere davanti a me il suo volto santo mi avrebbe dato forza, anche se si trattava solo di un’immagine di carta. Ne parlai ad alcuni figli spirituali dell’anziano. Mi scoraggiarono, dicendo che l’anziano si sarebbe arrabbiato se avessimo chiesto il permesso di fotografarlo.

Gli anni passarono finché tre anni prima che l’anziano morisse. Mi sono messo in croce e ho chiesto a Dio di rendermi degno di questo dono. Il Signore ascoltò la mia preghiera. L’anziano Porfirio accettò immediatamente la mia richiesta di fotografarlo. Che umiltà aveva! Sdraiato nel suo letto, come era solito fare negli ultimi anni della sua vita, ha indossato la sua croce. Mentre preparavo la macchina fotografica, chiuse gli occhi e ripeté più volte la preghiera: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”.

Fedele alla promessa che gli avevo fatto, non ho detto nulla a nessuno e non ho mostrato le fotografie a nessuno quando era ancora in vita.

Le Sacre Autorità del Monte Athos ci hanno inviato tutte le fotografie della Santa Skete di Kavsokalyvia, della capanna dell’anziano Porfirio e del letto in cui è morto. Li ringraziamo calorosamente per questo dono per questa edizione.

Siamo molto grati allo ieromonaco Athanasios del Santo Monastero di Vatopedi, direttore del Monte Athos dal 1° giugno 1991 al 31 maggio 1992. Ci ha incoraggiato con molto amore in questo nostro sforzo. Ci ha aiutato e sostenuto in vari modi.

Ringraziamo di cuore tutti i collaboratori di questa edizione per la loro totale fiducia in noi. Lo stesso debito di riconoscenza lo abbiamo nei confronti del Santo Convento della “Trasfigurazione del Salvatore” per l’aiuto che ci ha dato nell’inviarci la breve biografia dell’Anziano. Ci hanno anche presentato persone che conoscevano molto bene l’anziano e potevano parlarci di lui.

Ringraziamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo della Grecia, attraverso i quali abbiamo conosciuto l’anziano, e coloro che hanno reso possibile incontrarlo più volte, nonostante le condizioni sfavorevoli.

Siamo in debito con il Santo Convento di Santa Marina e San Raffaele a Xylotimpou e con il Protopresbitero Kyriakos Panagiotou, teologo e parroco di Xylotimpou, responsabile del Convento. Egli si è fatto carico delle spese finanziarie sostenute per la realizzazione di questo libro da parte del Convento.

 Infine, vorremmo ringraziare la CBC per l’opportunità che ci ha dato di trasmettere ai fedeli di Cipro le testimonianze e le esperienze di illustri greci e ciprioti che hanno conosciuto l’anziano Porfirio. Quasi subito dopo la sua scomparsa, queste testimonianze sono state trasmesse durante le edizioni settimanali di “Orthodoxy Today”, sul primo programma della CBC. Questi programmi radiofonici sono stati prodotti da Mary Kontogianni Ioannidou.

 Ringraziamo Dio per questo grande dono che ci è stato fatto, di aver conosciuto e di poter scrivere di un uomo santo del nostro tempo. Preghiamo affinché la misericordia del Signore scenda anche su di noi, qui a Cipro, l’isola per la quale l’anziano ha sempre espresso un amore speciale. Ha espresso particolare preoccupazione per i suoi problemi e ha pregato continuamente per Cipro.

Con timore di Dio offriamo questo libro al Suo popolo, con la speranza che dia il nutrimento di Cristo alle anime che hanno fame di Dio. Benedetto il Dio dei nostri Padri!

Klitos Ioannides

Nicosia, 21 marzo 1992.


Tradotto da Teandrico.it

Tratto dal sito OODE

https://www.oodegr.com/english/biblia/Porfyrios_Martyries_Empeiries/perieh.htm

Published by the Holy Convent of the Transfiguration of the Saviour – Athens 1997

(con il permesso del Monastero ad OODE di pubblicare il libro in formato elettronico)




07 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

07 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. SAN GEORGIO IL CONFESSORE

Per le sue grandi virtù, raggiunte attraverso una lunga e difficile mortificazione, Giorgio fu scelto e ordinato come metropolita di Mitilene. Questo santo governò il suo gregge spirituale con prudenza e zelo fino a un’età matura. Quando iniziò una persecuzione sotto Leone V l’Armeno, con la distruzione delle sacre icone, l’imperatore convocò questo santo anziano a Costantinopoli in un’assemblea di vescovi da lui convocata e la cui intenzione era quella di interrompere la venerazione delle icone, Giorgio non solo si rifiutò di eseguire il desiderio del malvagio imperatore, ma con altri coraggiosi vescovi si schierò in difesa delle sacre icone. Non solo fu ridicolizzato per questo, ma fu anche esiliato dall’imperatore nella regione di Cherson. Qui sopportò ogni sorta di afflizioni e privazioni fisiche per i restanti anni della sua vita. Morì e fu tradotto alla vita eterna verso l’anno 816 d.C. A causa della sua grande santità e del suo amore per il Signore Gesù, Giorgio fu un grande operatore di miracoli, sia durante la sua vita che dopo la sua morte.

  1. IL VENERABILE NIL SORSKY

Nil è uno dei grandi Padri della Chiesa russa. Fu il fondatore dello stile di vita monastico di Scete in Russia. Morì serenamente nell’anno 1508 d.C. Le sue reliquie riposano nel monastero di Sorsky. La sua “Regola di vita” per lo stile di vita monastico di “Scete” rappresenta un’opera di prim’ordine sulla vita spirituale e pratica di un monaco.

  1. IL SANTO MARTIRE CALLIOPIO

Calliopio era il figlio unico concesso da Dio a un senatore di Perga, in Panfilia, dopo che il senatore aveva versato molte lacrime in preghiera. Fin dalla prima giovinezza la sua devota madre, Teoclea, gli insegnò a rispettare Dio e a vivere una vita casta. Calliopio era ancora un giovane quando iniziò una terribile persecuzione durante il regno dell’imperatore Massimiano. Per evitargli la morte, sua madre lo mise su una barca, gli diede una grande somma di denaro e lo fece partire per la città di Pompeiopoli. Tuttavia, Dio, nella sua Divina Provvidenza, aveva previsto diversamente. Sbarcato a Pompeiopoli, si trovò nel bel mezzo di una tumultuosa celebrazione politeista. Quando Calliopio si rifiutò di partecipare a questa ridicola festa, su insistenza della folla impazzita, fu spinto verso il comandante Massimo, davanti al quale Calliopio confessò di essere cristiano. Il comandante ordinò che Calliopio fosse picchiato con bastoni di piombo e bruciato col fuoco. Ferito in ogni parte, lo gettarono in prigione. Venuta a conoscenza delle torture del figlio, Teoclea distribuì tutto il suo patrimonio ai poveri e ai bisognosi e con una misera somma di denaro si precipitò dal figlio in prigione. Entrata nella prigione, Teoclea si inchinò davanti al figlio e ne medicò le ferite. Infine, il comandante pronunciò la sentenza definitiva. Calliopio doveva essere crocifisso su una croce. Gioia e dolore si mescolarono nel cuore di sua madre. Quando portarono suo figlio al luogo dell’esecuzione, ella fece scivolare cinque pezzi d’oro ai carnefici per far crocifiggere suo figlio, non come il Signore, ma a testa in giù. Teoclea fece questo per umiltà davanti al Signore. Calliopio fu crocifisso a testa in giù il Giovedì Santo. Sua madre stava sotto la croce e lodava Dio. Il secondo giorno, quando rimossero il suo corpo senza vita dalla croce, cadde sul figlio e morì lei stessa. Così, questi due andarono insieme davanti al Trono del Re della Gloria. Soffrirono onorevolmente nell’anno 304 d.C.

  1. IL VENERABILE DANIELE DI PEREYASLAVL

Daniele aveva come unica forma di mortificazione quella di prendersi cura dei morti. Ogni volta che sentiva che qualcuno era stato trovato morto congelato o che era morto in qualche altro modo, Daniele si affrettava a seppellirlo decentemente e a offrire preghiere a Dio per lui. Morì serenamente nell’anno 1540 d.C. Le sue reliquie sono rimaste intatte.

  1. IL VENERABILE GREGORIO SINAITI

Grande santo e asceta del Monte Sinai e del Monte Athos [8 agosto].

Inno di lode
IL SANTO MARTIRE CALLIOPIO

Calliopio, Calliopio,
Parti là! Dove non c’è morte!
Sua madre gli parla e gli dà l’ultimo addio,
Sogna il destino del suo unico figlio.
Calliopio, il giovane più bello
Al comandante spiegò la sua fede:
Cristo è la mia vita, la via, la verità,
Cristo è il mio desiderio: il mio unico desiderio!
Alla crocifissione, Calliopio, lo conducono,
Dietro di lui, folle di persone camminano.
Lui, pallido e sereno, rigidamente legato,
cammina in silenzio, amaramente torturato,
Sua madre gli sussurra: Calliopio!
Sto viaggiando, o madre, dove non c’è morte!
Martire di Cristo, martire glorioso,
La croce ricevuta, pesante e a testa alta.
Sul corpo morto, la madre si china:
Con le lacrime bagna Calliopio
E sussurra sottovoce: Calliopio!
Eccomi madre, dove non c’è morte!

Riflessione
“I direttori spirituali devono distinguersi dai loro subordinati come un pastore si distingue dalle sue pecore”. Così parla Sant’Isidoro di Pelusio interpretando la Prima Lettera a San Timoteo. La vita di un sacerdote serve sempre da esempio, sia che sia buona o cattiva. Con una vita esemplare, un sacerdote conferma il Vangelo e, con una vita malvagia, lo nega. Nessuno al mondo è in grado di confermare la verità del Vangelo o di negarla con la sua vita come fa’ un sacerdote. Un buon sacerdote si distingue da un sacerdote malvagio per le sue opere non meno di quanto un pastore si distingua da un lupo. Ecco perché una buona parte dei buoni sacerdoti sarà con i figli di Dio e una buona parte dei sacerdoti malvagi sarà con le bestie selvagge delle tenebre. I buoni pastori della Chiesa, anche negli ultimi istanti della loro vita, si preoccupavano del gregge che stavano lasciando. Sul letto di morte, San Giuseppe l’Innografo pregava Dio: “Preserva il tuo gregge, o Figlio di Dio, creato dalla tua destra e proteggilo fino alla fine dei tempi. Sii di aiuto agli amati figli della tua Chiesa. Concedi alla Tua Sposa [la Santa Chiesa] la pace eterna e una calma senza tempesta”. Sant’Antipa, bruciando in un bue incandescente, tolto dal rame, pregava Dio in questo modo: “Non solo io, ma anche coloro che verranno dopo di me, rendili partecipi della Tua misericordia”.

Contemplazione
Contemplare la risurrezione del Signore Gesù:

  1. Come le donne portatrici di mirra si avvicinarono al sepolcro per ungerlo con mirra e aloe. Ungere Colui che è il profumo del cielo e della terra;
  2. Come l’angelo annuncia loro la risurrezione di nostro Signore con le parole: “Perché cercate il vivente tra i morti?”. (San Luca 24:5).

Omelia
Sulla ricerca del vivo tra i morti

“Perché cercate il vivente tra i morti?”. (San Luca 24:5).

L’angelo di Dio chiede alle donne portatrici di mirra, come se fosse stupito: “Perché cercate il vivente tra i morti?”. Come se chi percepisce il mistero di Dio e la potenza di Dio volesse dire: “Come avete potuto pensare per un momento che Egli sia ostaggio della morte? Non sapete che Egli è la fonte principale della vita? Non sapete che tutta la vita passa attraverso di Lui e che nessun essere vivente può prendere in prestito nemmeno una goccia di vita da un’altra fonte? Non vi ha forse rivelato pienamente la sua autorità sulla vita e sulla morte sulla terra? Chi ha dato la vita all’esanime Lazzaro? Chi ha tolto la vita al fico sterile?”.

O fratelli, smettiamo anche noi di cercare i vivi tra i morti. Se c’è qualcuno di noi che cerca ancora Cristo tra i morti, che desista da questo sforzo che distrugge l’anima. Questo è lo sforzo vano degli ebrei, dei pagani e dei non cristiani. Sappiamo che il Signore e Datore di vita non è nella tomba, ma sul Trono della Gloria nei cieli. Lo spirito, non oscurato dal peccato, guarda in cielo e non vede la tomba; lo spirito, oscurato dal peccato, guarda nella tomba e non vede il cielo. Il peccato e la virtù governano la visione spirituale dell’uomo e rivelano a ciascuno il proprio mondo in contrasto tra loro. Il peccato abbatte la visione dello spirito sulla terra e gli rivela la corruzione del mondo. La virtù eleva lo spirito al cielo e gli rivela il mondo eterno e il Cristo risorto come Re in quel mondo.

O fratelli, non cerchiamo vita dal creato, ma dal Creatore. Non commettiamo un peccato ancora più grave, cioè non cerchiamo il Creatore nella tomba della creazione né l’Illuminante, l’Immortale nelle tenebre della morte.

O Signore Gesù, vincitore della morte, ti gridiamo: risuscita anche noi nella vita eterna dalla corruzione e dalle tenebre della morte.