THE ORTHODOX WORD, 1965 – Vol. 1, No. 1, pp. 17-20

THE ORTHODOX WORD

1965 – Vol. 1, No. 1

Gennaio – Febbraio

Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.

Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.

Pagina 17

«Andate dunque, e insegnate ad ogni nazione, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»

Mt 28,18-20

THE ORTHODOX WORD ha una sola ragione d’esistenza: predicare le verità della Cristianità Ortodossa e, così facendo, riunire coloro che la pensano allo stesso modo per offrire una testimonianza unitaria di queste verità. Si rivolge agli Ortodossi di tutte le nazionalità, ai convertiti alla fede ortodossa e a coloro che, al di fuori della Chiesa, desiderano conoscere meglio la sua fede e la sua pratica.

I redattori sono pienamente consapevoli della loro totale inadeguatezza a realizzare le intenzioni esposte. Nessun uomo, o gruppo di uomini, può parlare a nome della Chiesa di Cristo. È tuttavia possibile parlare dall’interno della Chiesa, in conformità con la tradizione Ortodossa, ed è questo che cercheremo di fare.

I redattori sono membri della Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia e obbedienti al Sinodo di questa Chiesa; ma tra i nostri collaboratori ci saranno anche membri di altre Chiese Ortodosse che si preoccupano di preservare la verità e la tradizione Ortodossa nella loro pienezza. All’esterno, è vero, le Chiese Ortodosse presentano al mondo un fronte diviso. Le circostanze storiche, fin da prima della caduta di Costantinopoli nel XV secolo, hanno dettato lo sviluppo di Chiese Ortodosse nazionali in relativo isolamento l’una dall’altra; e nel XX secolo le idee moderniste e la capitolazione ai governi comunisti hanno causato la divisione all’interno di alcune Chiese Ortodosse e fatto deviare molti dal cammino di fedeltà a nostro Signore.

Ma in tutti i paesi Ortodossi, oggi, c’è almeno un residuo fedele di credenti pronti a testimoniare la loro fede senza compromessi di fronte al mondo contemporaneo, fino ad arrivare a condividere il martirio che molti dei nostri fratelli Ortodossi hanno subito in questo secolo.

Tra questi credenti esiste un’unità che è del tutto indipendente da conferenze internazionali o panortodosse; è l’unità di tutti coloro che credono e confessano correttamente l’Ortodossia. La Chiesa ortodossa di Cristo è una e indivisibile in tutti i suoi membri che sono rimasti fedeli alla verità che ogni Chiesa locale possiede fin dalla sua fondazione.

È apparso relativamente poco materiale attendibile che riguarda la Chiesa Ortodossa in inglese, mentre in diverse lingue ortodosse tradizionali – in particolare il greco e il russo – c’è un vero e proprio tesoro di testi che attendono di essere tradotti. Uno degli scopi di questa rivista sarà quello di iniziare ad aprire questo tesoro e distribuire le sue ricchezze a coloro che ne sono affamati. Dopo tutto, la funzione propria di un tesoro non è quella di rimanere inattivo in una cassaforte chiusa, ma di essere utilizzato; i tesori della Santa Ortodossia sono soprattutto un patrimonio attuale il cui valore può essere meglio dimostrato nella vita dei cristiani contemporanei.

Tra i più importanti tesori Ortodossi ci sono le vite dei santi, che ci danno esempi di una vera vita in Cristo. Le vite dei santi recenti non sono meno istruttive, a questo proposito, di quelle dei primi santi; e l’inclusione di entrambe in The Orthodox World dovrebbe servire a sottolineare il fatto che la vita cristiana non è diventata antiquata nel mondo contemporaneo e allo stesso tempo non è cambiata affatto nel corso dei secoli.

Anche il XX secolo ha avuto i suoi santi: uno dei più grandi santi Russi è morto nel 1908, e i martiri di questo secolo sono probabilmente più numerosi di quelli dell’intera epoca dei martiri della Chiesa primitiva.

Un altro prezioso tesoro Ortodosso è costituito dagli scritti dei Santi e dei Padri della Chiesa, sia sui problemi pratici della vita cristiana, sia su argomenti più generali come la dottrina Ortodossa, i sacramenti, la storia della Chiesa, le funzioni religiose e le principali festività dell’anno ecclesiastico. Un’altra fonte di ricchezza spirituale per i cristiani Ortodossi sono le icone di nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei santi e delle feste. È previsto che almeno una di queste venga riprodotta in ogni numero, insieme a una spiegazione del suo significato e a un resoconto della sua storia e dei suoi miracoli.

Questa sarà dunque la funzione principale di The Orthodox Word: rendere più accessibili alcune delle fonti fondamentali della fede Ortodossa. In alcuni casi si tratterà di saggi esplicativi o introduttivi, in modo da rendere accessibile ai lettori contemporanei materiale che potrebbe essere facilmente frainteso da chi non conosce a fondo la vita e il pensiero della Chiesa. Inoltre, il periodico presenterà informazioni sugli avvenimenti contemporanei nel mondo ortodosso. L’Ortodossia, non c’è bisogno di dirlo, fa ormai “notizia”.

La dispersione in Occidente di Ortodossi di ogni nazionalità, l’aumento dei convertiti all’Ortodossia in Europa occidentale e in America, lo stato della Chiesa sofferente dietro la cortina di ferro, gli incontri a livello ufficiale e personale con i cattolici romani e i protestanti, come ad esempio nel Concilio Vaticano e nel Consiglio Mondiale delle Chiese, ed eventi critici all’interno dello stesso mondo Ortodosso — tutti questi e altri fattori si combinano per attirare l’attenzione di un mondo occidentale che, fino a poco tempo fa, aveva praticamente ignorato l’esistenza della Chiesa Ortodossa per secoli, o l’aveva considerata al massimo come una parte “fossilizzata” dell’Oriente.

Ma se l’Ortodossia è diventata “notiziabile”, non tutte le notizie su di lei sono state positive. La posizione dell’Ortodossia nel mondo, le sue relazioni con le altre Chiese, e anche le relazioni delle Chiese Ortodosse tra di loro, sono piuttosto complicate e devono essere viste criticamente e interpretate in modo sano alla luce della verità e della tradizione Ortodossa, con l’intenzione di rimanere assolutamente fedeli a queste, sia nello spirito che nella lettera. I redattori di The Orthodox Word cercheranno, a loro modo, di adempiere a questo solenne dovere.

Speriamo sempre di essere guidati dalla consapevolezza che governa la vita di tutti i fedeli cristiani Ortodossi, una consapevolezza che nessuna complicazione temporanea dovrebbe cancellare. La Chiesa Ortodossa non è solo una Chiesa tra le tante, non è solo “la quarta maggior fede”, ma è l’unica vera Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, alla quale tutti gli uomini sono chiamati e contro la quale «le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16, 18). Essa non è solo una delle tante notizie, ma l’unico contenitore dell’intero mistero della creazione di Dio e del suo piano per l’umanità.

È quindi con uno scopo essenzialmente missionario che questa rivista è stata avviata. Per questo il nostro patrono e protettore celeste è il Padre Herman dell’Alaska, uno dei primi missionari Ortodossi nel continente Americano ed esempio nella vita di ascesi, preghiera e fedeltà ai comandamenti di nostro Signore a cui ogni cristiano, secondo le sue forze, è chiamato. È nell’ottica di lavoro collettivo di una fratellanza nel nome di Padre Herman che presentiamo questa rivista, con un accorato appello ad altri che con lo stesso spirito possano unirsi a noi, con articoli e traduzioni, con commenti e soprattutto con la preghiera, affinché questo lavoro possa essere, con la benedizione di Dio, di aiuto all’Unica Chiesa, Santa, Cattolica e Apostolica di nostro Signore Gesù Cristo.

La redazione




DIADOCO

L’anima non può desiderare di separarsi dal corpo, se la sua disposizione non è di totale indifferenza per questa stessa aria. Tutti i sensi del corpo, infatti, si oppongono alla fede perché essi si realizzano nelle realtà presenti, mentre essa promette soltanto la magnificenza dei beni futuri. Conviene dunque che colui che pratica la xenitia e la lotta ascetica non pensi più ad alberi ombrosi dai bei rami, o a fonti dalle belle acque, a prati variopinti, a case eleganti, a soggiorni in famiglia, né si ricordi di eventuali pubblici onori ricevuti, ma usi delle cose necessarie rendendo grazie, e consideri la vita come una strada straniera, sprovvista di ogni risorsa per la carne. Poiché così. la nostra mente si troverà alle strette e noi la volgeremo tutta sulle tracce della vita eterna . La vista, il gusto e gli altri sensi dissipano la memoria del cuore. quando ce ne serviamo oltre misura. […] Perciò, difficilmente poi l’intelletto umano può ricordarsi di Dio o dei suoi comandamenti. Noi dunque, volgendo lo sguardo al profondo del nostro cuore con un incessante ricordo di Dio, passiamo come ciechi attraverso questa vita seduttrice.




Vita del Santo Padre John Maximovic, di Shanghai e San Francisco

La nostra anziana monaca, Madre Augusta, ha scritto quanto segue in risposta alla nostra richiesta:

Perdonate il disturbo, per molto tempo non ho preso la decisione di scrivervi del nostro vescovo John di Shanghai. Ma poiché sono nell’età in cui potrei morire presto, non voglio portare nella tomba ciò che il Signore mi ha mostrato per edificare. Il vescovo Giovanni aveva grande fede.

Nel 1939 ho mandato mia figlia in Italia da mio marito. Mio marito l’ha incontrata su un battello a vapore e l’ha portata dai suoi genitori, hanno vissuto insieme 11 giorni, poi gli hanno ordinato di andare in Africa. Quando se n’è andato, i suoi genitori hanno detto a mia figlia di lasciare la loro casa. Non conoscendo la lingua (aveva solo 17 anni), mi scrisse delle lettere disperate. Ho pregato molto, sono passati due mesi, ho sofferto molto, sono andata al tempio di Shanghai ogni giorno, ma la mia fede ha iniziato a vacillare. Poi ho deciso di non andare più in chiesa, ma di andare da persone che conosco, così non mi sono affrettata ad alzarmi prima. Stavo camminando davanti al tempio e ho sentito cantare dentro. Sono entrata. Il vescovo John era ministrante. L’altare è stato aperto. Il vescovo disse la preghiera: “Prendete, questo è il mio corpo”… “e così è il mio sangue…  rinunciando ai peccati”, e poi si mise in ginocchio e fece un profondo inchino fino a terra. In quel momento vidi la coppa con i doni santi scoperti e come dopo le parole del Vescovo, un fuoco scendeva dall’alto nella coppa. La forma del fuoco sembrava come un tulipano, ma di dimensioni più grandi. Mai in vita mia avrei pensato di poter assistere effettivamente alla santificazione dei Doni Santi dall’inestinguibile fuoco del Divino. In questo momento, la mia fede si è riaccesa. Il Signore mi ha mostrato la grande fede del vescovo John, e mi sono vergognata della mia piccola anima. Penso che si possa aggiungere questo alla biografia del vescovo. Per favore, scrivetela meglio di me e metta la firma come meglio vi pare. Perdona e benedici.

Madre Augusta

Monastero in onore dell’icona di Vladimir della Madre di Dio

1967, San Francisco, California, Stati Uniti

* * *

L’arcivescovo John Maximovic nacque il 4 giugno 1896. in Russia meridionale, il villaggio di Adamovka, governatorato di Charkiv. Al suo santo battesimo, fu chiamato Michele, in onore del Santo Arcangelo Michele. Anche nella sua infanzia, si distingueva per la sua profonda devozione religiosa, stando di notte in preghiera, raccogliendo diligentemente icone e libri di chiesa. Soprattutto amava leggere la vita dei santi. Il piccolo Michael amava i santi con tutto il suo cuore, era impregnato del loro spirito e cominciò a vivere come loro. La vita santa e giusta del bambino ha fatto una forte impressione sulla sua governante francese e lei adottò l’Ortodossia.

Negli anni successivi alla rivoluzione bolscevica, Michail si trovava a Belgrado, dove si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università locale. Nel 1926 fu tonsurato dal metropolita Antonio (Hrapovitski) monaco con il nome John, in onore del suo lontano parente Giovanni (Massimovich) Tobolski. A quel tempo, il vescovo Nikolai (Velimirovich), arcivescovo di Ohrid, il serbo Zlatoust, diede tale valutazione al giovane ieromonaco: “Se vuoi vedere un santo vivente, vai a Bitola da padre John.”

Padre John pregava costantemente, digiunava, serviva la Divina Liturgia ogni giorno e prendeva la comunione. Aveva una tempra eccezionale – dal giorno della sua tonsura monastica non dormiva a letto. A volte fu trovato mentre sonnecchiava davanti alle icone. Ispirò la sua fratellanza con alti ideali cristiani perché la gente vedeva quanto fosse straordinario il suo pastore. La sua mansuetudine e umiltà ricordavano ciò che si raccontava nella vita dei grandi eremiti e degli asceti. Padre John era un raro guerriero della preghiera. Si immergeva così tanto nei testi delle preghiere, come se parlasse direttamente al Signore, alla Vergine Santissima, agli angeli e ai santi. Raccontava gli eventi del Vangelo come se stessero accadendo in quel momento, davanti ai suoi occhi.

Nel 1934, lo Ieromonaco John fu fatto Arcivescovo e poi inviato a Shanghai, dove all’epoca c’era una grande diaspora russa. Secondo il metropolita Antonio, l’arcivescovo John era “uno specchio di rigidità ascetica e rigore nel nostro tempo di generale rilassamento spirituale”. Il giovane vescovo amava visitare i malati e lo faceva quotidianamente, confessandosi e facendo la comunione. Se le condizioni del paziente erano gravi, il Vescovo si rivolgeva più spesso a lui e pregava a lungo vicino al suo letto. Numerosi casi di guarigione sono noti a causa delle preghiere di san John Maximovic.

Con l’arrivo dei comunisti in Cina, i russi dovettero nuovamente fuggire, soprattutto attraverso le Filippine. Nel 1949, sull’isola di Tubabao, più di cinquemila russi sfollati dalla Cina vivevano nel campo dell’Organizzazione Internazionale dei Rifugiati. L’isola era sulla via dei tifoni stagionali che attraversavano questo settore dell’Oceano Pacifico. Nei 27 mesi successivi alla costruzione del campo, solo una volta c’è stata la minaccia di un uragano, ma poi lo stesso ha sorprendentemente cambiato direzione e ha superato l’isola. Quando un russo condivideva con la gente del posto la sua paura dei tifoni, lo rassicuravano che non aveva nulla di cui preoccuparsi perché “il tuo santo benedice il tuo accampamento ogni notte nelle quattro direzioni.”

Quando il campo era già stato evacuato, una terribile tempesta si rovesciò sull’isola abbattendo tutte le strutture.

San John si prendeva cura della sua comunità e fece per lei anche l’impossibile. Andò da solo a Washington per organizzare il trasferimento dei suoi poveri con il passaporto in America. Con le sue preghiere è avvenuto un miracolo – anche le leggi americane sono state modificate e la maggior parte del campo sull’isola di Tubabao – oltre 3.000 persone hanno ricevuto asilo politico negli Stati Uniti e il resto in Australia.

Nel 1951 l’arcivescovo John fu nominato arcivescovo regnante dell’Esarcato dell’Europa occidentale della Chiesa ortodossa russa all’estero. In Europa e poi a San Francisco dal 1962, il suo lavoro missionario, basato sulla preghiera incessante e sulla purezza degli insegnamenti ortodossi, ha dato frutti abbondanti. La gloria del Vescovo si è diffusa sia tra le confessioni ortodosse che cristiane e non cristiane. In una chiesa cattolica a Parigi, il prete locale ha cercato di ispirare i giovani con le parole: “State cercando prove e dite che oggi non ci sono miracoli o santi.” Perché darvi prove di teoria quando potete vedere con i vostri occhi San John camminare per le strade di Parigi? “La gente conosceva il vescovo John in tutto il mondo e lo venerava molto. A Parigi, l’addetto della stazione ferroviaria, che attendeva il suo arrivo, ha impedito al treno di partire senza “Arcivescovo russo”. Molti ospedali europei sapevano di questo Vescovo, che poteva venire a pregare per i moribondi tutta la notte. Chiedetegli di pregare accanto al capezzale dei malati gravi – anche se fossi cattolico, protestante, ortodosso o di altre confessioni, perché quando il vescovo John pregava, Dio è stato sempre misericordioso.

I bambini, nonostante la consueta severità del Vescovo, gli erano assolutamente devoti. Ci sono molte storie toccanti di come il Beato John sapesse in modo incomprensibile dove si trovava un bambino malato e in qualsiasi momento – giorno o notte, andava per confortarlo o guarirlo. Il Vescovo ricevette rivelazioni da Dio e salvò molte persone da problemi imminenti e talvolta apparve a coloro a cui era particolarmente necessario, anche se in quel momento era molto lontano e tale trasferimento era fisicamente impossibile.

Il vescovo John ha predetto la sua morte. Il 2 luglio 1966, durante la sua visita arcipastorale a Seattle con la miracolosa icona della Madre di Dio, a 70 anni, davanti al più grande santuario della Chiesa russa d’oltremare, il grande giusto passò al Signore.

Il dolore riempì i cuori di molte persone in tutto il mondo. Dopo la morte del vescovo, un prete ortodosso olandese scrisse con il cuore spezzato: “Non ho più e non avrò mai un padre spirituale che mi chiami a mezzanotte per dirmi: ‘Ora vai a dormire.’ Avrai ciò per cui preghi.”

Il servizio funebre è durato quattro giorni. I vescovi che conducevano il servizio non riuscivano a contenere i loro singhiozzi, lacrime che scendevano sul loro volto, innumerevoli candele accese intorno. Ma il Vescovo non ha lasciato i suoi figli in lutto. Presto iniziarono ad accadere miracoli intorno alla sua tomba ed era già chiaro a tutti che non stavano partecipando a un funerale, ma alla scoperta delle reliquie di un nuovo santo.

Così, 28 anni dopo la sua morte, l’arcivescovo John Maximovic, di Shanghai e San Francisco, è stato canonizzato come santo. I suoi resti immortali riposano nella Chiesa Cattedrale della Santa Vergine – la Gioia di tutti a San Francisco e sono fonte di aiuto e guarigione. Il tempo ha dimostrato che San John è un rapido intercessore e aiutante di tutti coloro che sono nel dolore e lo pregano con fede e speranza.

Santo Padre John, operatore di miracoli meravigliosi, prega Dio per noi!

San John Maximovic disse: “Negli ultimi anni il male e l’eresia si saranno diffuse tanto che i fedeli non troveranno un sacerdote e un pastore che li proteggano dall’errore e che li consigli nella salvezza. allora i fedeli non potranno ricevere istruzioni sicure dagli uomini, ma la loro guida saranno i testi dei Santi Padri. Specialmente in questo momento, ogni credente sarà responsabile di tutto l’equipaggio della Chiesa.”




NUTRITI DAI SANTI PADRI: LEZIONI DALLA VITA E DALLE OPERE DI P. SERAPHIM ROSE

In occasione del trentesimo anniversario del riposo di P. Seraphim Rose, il 2 settembre 2012, centinaia di fedeli pellegrini si sono riuniti nel monastero di St. Herman a Platina, in California, per ricordare P. Seraphim e offrire preghiere sia per lui che da lui. I fedeli riuniti erano un microcosmo del grande mondo ortodosso, con pellegrini che rappresentavano, tra gli altri, le tradizioni ortodosse russa, greca, serba, rumena, bulgara e georgiana. Durante il fine settimana sono stati offerti diversi discorsi commoventi da parte di coloro che hanno conosciuto personalmente P. Seraphim e di coloro la cui vita è stata influenzata dalla testimonianza della sua vita e delle sue opere.

Sua Grazia Sua Eccellenza Arcivescovo Daniil (Nikolov), Vicario della Diocesi Ortodossa Orientale Bulgara di Stati Uniti, Canada e Australia, ha parlato dopo la Liturgia del sabato mattina alla vigilia dell’anniversario del riposo di Padre Seraphim, ricordando quanto sia stato importante e influente per i giovani bulgari che sono tornati alla Chiesa dopo la caduta del comunismo nei primi anni ’90 e quanto apprezzasse le critiche penetranti di Padre Seraphim alla menzogna della nostra epoca moderna. Il giorno seguente sono stati offerti alcuni ricordi personali di P. Seraphim, davanti ai quali P. Damasceno (Christensen), che ora è l’igumeno del monastero di Sant’Ermanno, ha offerto una riflessione sul diario spirituale di Padre Seraphim recentemente scoperto, evidenziando la sua implacabilità nella lotta contro il peccato e la sua enfasi nel nutrirsi degli scritti dei Santi Padri. P. Damasceno fu introdotto dall’allora igumeno P. Hilarion.

Sua Eccellenza V. Daniil (Nikolov), Vicario della Diocesi Ortodossa Orientale Bulgara di USA, Canada e Australia (ndr oggi Patriarca di Bulgaria):

In questi giorni della festa della Dormizione della santa Madre di Dio, veniamo qui in questo luogo santo per venerare e onorare un’altra dormizione, quella dello ieromonaco Seraphim Rose, sempre memorabile. La santa Madre di Dio ha partorito per tutti noi suo Figlio e Dio nostro Salvatore, ed è benedetta da tutte le generazioni. Anche P. Seraphim ha contribuito alla mia vita e a quella di tutti noi qui, e a quella di molte altre persone, e noi veniamo qui per dare il dovuto amore e per ricevere la sua benedizione. Quando stavo muovendo i miei primi passi nella Chiesa a metà degli anni ’90 del secolo scorso, negli anni dopo il comunismo, padre Seraphim era molto popolare tra i nuovi convertiti bulgari che entravano nella Chiesa per la prima volta. È stato molto insolito e sorprendente sentire da questo luogo, dove fiorisce la cultura occidentale, qualcuno che ha una visione sobria e che ci mette in guardia dai pericoli di questa società dei consumi, e che educa i nostri figli in modo tale che diventino piccoli principi e re, nei cui cuori le passioni sono radicate fin dalla prima infanzia. E tutto questo non da un punto di vista psicologico, ma dal punto di vista ortodosso: il mondo moderno rende la vita cristiana più difficile ed è così pericoloso per la salvezza delle nostre anime. Egli era la presenza stessa di Cristo.

Più tardi, quando abbiamo saputo come aveva formato la Confraternita di Sant’Herman dell’Alaska con Padre Herman, e hanno iniziato a pubblicare la rivista La Parola Ortodossa con la missione e la benedizione di San Giovanni Maksimovic, e siamo cresciuti nella fede davanti ai suoi occhi, e abbiamo appreso come erano venuti qui e avevano iniziato questo monastero, portando l’acqua su per la collina, e così via, lui e P. Herman e tutti i fratelli che sono venuti a vivere qui sono diventati esempi per noi. Ora possiamo vedere che è riuscito a dissipare la menzogna degli spiriti di questo mondo e a mostrare che la società occidentale è avvelenata da idee pericolose che fin dall’inizio rendono impossibile la vita cristiana […] Nelle sue opere è riuscito a portare così chiaramente a tutti una difesa della verità della nostra fede e a vincere quello spirito che ha catturato la maggior parte delle persone che vivono qui.

Nessuno lo aveva fatto prima, specialmente per quanto riguarda l’evoluzionismo, portando avanti l’insegnamento dei Padri in modo così dettagliato e rendendolo così chiaro che le persone che lo avrebbero letto non sarebbero state influenzate da questo falso spirito. Dopodiché abbiamo sentito che non era sufficiente dipingere le sue icone e illuminare le nostre menti con le sue opere, ma avevamo anche bisogno di ricevere la sua benedizione, e di chiedergli di aiutare coloro che difendono la fede ortodossa, e di portare l’insegnamento e le parole di P. Seraphim a tutti i nostri amici e a tutte le persone. Sono grato e felice di poter venire qui per la prima volta per partecipare alla celebrazione di questi giorni della Dormizione della Santa Madre di Dio. Da molto tempo desideravo venire qui, alla sua tomba, per vedere, toccare, venerare e ricevere la sua benedizione. Possa Dio con le Sue misericordie, e credo con le preghiere di Padre Seraphim, benedire tutti noi, e rafforzarci nella nostra lotta per andare per la nostra strada in questo mondo temporale come è andato Padre Seraphim, e per ricevere, come credo che abbia ricevuto, la corona della vita.

* * *

P. Hilarion: Siamo grati a Dio che tutti voi siete venuti a mostrare il vostro amore e il vostro rispetto per P. Seraphim. Crediamo che questo sia un evento significativo non solo per il nostro monastero e per tutti noi qui oggi, ma anche per tutta la Chiesa, in onore di un uomo giusto come P. Seraphim, che ha combattuto la buona battaglia e crediamo che gli sia stato concesso il Regno dei Cieli. Stiamo dando gloria a Dio e alla Sua Chiesa perché è Cristo e la Sua Chiesa che ha salvato, redento e santificato Padre Seraphim e tutti i santi e i giusti. Possa Cristo nostro Dio inviare la sua grazia sul nostro raduno di oggi, e aiutarci lungo il cammino che Padre Serafino ha percorso prima. Ora P. Damasceno dirà qualche parola.

P. Damasceno: Nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito. Amin.

Eminenza, Vostra Grazia, fratelli del clero, fratelli e sorelle in Cristo, siano rese grazie a Dio che ci ha condotti fino ad oggi. Come ha detto l’igumeno Hilarion, siamo fortunati ad avervi tutti con noi in questo giorno molto importante nella vita del nostro monastero e nella vita della Chiesa. Siamo particolarmente onorati di aver celebrato oggi la Divina Liturgia gerarchica con Sua Eminenza Hilarion e Sua Grazia Daniil. Non è la prima volta che Sua Eminenza ci incontra. Hilarion è venuto qui quando Padre Seraphim era vivo. A quel tempo Hilarion era un laico. Non è nemmeno la prima volta che partecipa a un evento in onore di P. Seraphim. Nella diocesi australiana, dove è arcivescovo da molti anni, si sono tenute conferenze annuali in onore di padre Seraphim per far conoscere e promuovere la sua eredità spirituale e Sua Eminenza ha partecipato a molte di queste. Siamo profondamente grati che quest’anno Lei possa essere qui con noi, Eminenza, e condividere i suoi ricordi di P. Seraphim.

Siamo anche molto grati che Sua Grazia il Vescovo Daniil sia con noi. È il vicario del nostro buon amico Met. Joseph, che è qui da diversi anniversari dal riposo di P. Seraphim. In occasione del venticinquesimo anniversario ha tenuto un discorso molto commovente in cui ha parlato di ciò che P. Seraphim ha significato personalmente per lui, e ha detto che P. Seraphim ha cambiato la sua vita attraverso il suo esempio di una vita interamente donata a Cristo, e ha parlato di come questo esempio sia stato reso ancora più forte dal fatto che P. Seraphim non è nato in una famiglia ortodossa o cresciuto in un paese ortodosso. Ora, Vostra Grazia, Vescovo Daniil mentre partecipate e portate avanti le opere pastorali del Met. Joseph qui in America, sia tra i bulgari che tra le nuove generazioni di convertiti, siamo molto contenti che tu abbia stabilito questa connessione spirituale con il nostro monastero in questo giorno così importante.

Per quelli di voi che non erano qui ieri mattina, il Vescovo Daniil ha tenuto un sermone molto commovente sul significato di P. Seraphim per i nostri tempi e il suo messaggio, dove in realtà, come direbbe lo stesso P. Seraphim, “ha colto il punto”, portando a casa il messaggio di P. Seraphim come uno che ha visto la menzogna dei nostri tempi, identificandola per noi in modo che potessimo liberarci da quella menzogna e vedere i sottili inganni da cui siamo tutti influenzati, in modo che possiamo aderire più pienamente e in modo più puro alla Verità, che è Cristo e la sua Chiesa.

Abbiamo anche molti altri vecchi amici e benefattori che ci visitano. Il nostro caro amico Archimandrita Luka è venuto dal Montenegro, in Serbia, dove era abate del monastero di Sretenje che è la sede dell’antico metropolitinato di quella regione, ed è ora l’igumeno di due monasteri in Montenegro. È stato a lungo un grande veneratore di P. Seraphim e nel monastero di Setenje ha dedicato una kellia in onore di P. Seraphim.

Abbiamo anche l’igumeno Sava della Repubblica di Georgia. È l’igumeno di un nuovo monastero negli Stati Uniti, a Wilkes-Barre, Pennsylvania, dedicato a San Davit il Costruttore

Abbiamo scoperto, circa tre anni fa, alcuni scritti personali di P. Seraphim, tra cui una specie di diario confessionale del 1974-1976 in cui P. Serafino annotava i suoi pensieri e le sue inclinazioni peccaminose e le sue lotte spirituali contro di essi. Da questo diario si evince chiaramente che lo tenne per aiutarlo a tagliare tutto ciò che nella sua vita gli impediva di avvicinarsi a Dio. È anche chiaro che non intendeva pubblicarlo, quindi non condividerò qui il suo contenuto specifico, ma ci sono alcune citazioni nell’ultima edizione della sua biografia, Padre Seraphim Rose: la sua vita e le sue opere.

Oggi condividerò due delle cose principali che ho imparato da ciò che ha scritto, che credo possano essere di beneficio per tutti noi qui mentre ci sforziamo di guardare più a fondo nella vita di quest’uomo giusto dei nostri tempi, Padre Seraphim, e di applicare le lezioni della sua vita alle nostre vite di cristiani ortodossi. La cosa più ovvia che si deduce è che P. Seraphim era implacabile nella sua lotta spirituale contro i peccati e le passioni. Vigilava rigorosamente su se stesso, custodendo scrupolosamente la sua purezza davanti a Dio ed essendo responsabile davanti a Lui di ogni cosa. Considerava anche una breve indulgenza in un pensiero peccaminoso come totalmente inaccettabile e indegna di un cristiano. Era impegnato in una battaglia cosciente per sradicare il male in se stesso e avvicinarsi sempre di più a Dio nell’amore. Allo stesso tempo, anche se progrediva costantemente sulla via della santità in Cristo, non pensava mai molto a se stesso, ma solo accusava se stesso.

La seconda cosa che si nota nel suo diario è che, scrivendo su come si dovrebbe intraprendere la lotta di cui sopra, ha spesso sottolineato la lettura degli scritti dei Santi Padre insieme alla Preghiera di Gesù e ad altre forme di preghiera. Scrisse di “un’occupazione costante con i Santi Padri per evitare l’ozio della mente” e di “fare la guerra riempiendo la mente con i Santi Padri”. Questo può sembrare un consiglio piuttosto banale per se stesso, ma si noti che non si limitò a dire a se stesso: “Leggi di più spiritualmente”, ma piuttosto di riempire la sua mente specificamente con gli scritti dei Santi Padri. I libri di autori moderni che non sono Santi Padri hanno il loro posto e possono essere di beneficio, ma Padre Seraphim, per la sua vita spirituale, per la sua sopravvivenza di cristiano ortodosso, è andato prima di tutto alle fonti primarie, ai Padri stessi. Molte volte Padre Seraphim ha parlato e scritto della necessità per i cristiani ortodossi di andare alla fonte dell’insegnamento cristiano, la Sacra Scrittura e i Santi Padri, al fine di trovare la guida sicura al vero cristianesimo e alla salvezza. Ha detto che dobbiamo venire ai Padri non come studiosi e nemmeno come semplici studenti, ma proprio come discepoli, come figli e figlie dei Padri.

Nel piccolo diario vediamo P. Seraphim che applica a se stesso questo consiglio e suggerimento. Padre Seraphim era un asceta, un podvizhnik. Le sue conquiste fisiche ascetiche potrebbero non essere fonte di grande meraviglia se paragonate a quelle dei tempi precedenti, ma considerando che era un convertito all’Ortodossia del XX secolo, potrebbero davvero essere considerate notevoli. Ma P. Seraphim non era solo un asceta nel corpo – ogni ascetismo se è veramente cristiano è di tutto l’uomo – corpo e anima, mente e cuore. Padre Seraphim, come scrisse in una lettera ancor prima di venire qui, crocifisse la sua mente, e diede tutto se stesso a Cristo, portando le sue croci in segno di gratitudine e di gioia per poter essere rifatto a somiglianza di Cristo, e man mano che progrediva su quel cammino trovò gli scritti dei Santi Padri non solo importanti, ma necessari. Nel processo di riempirsi con i Santi Padri ha sviluppato un rapporto personale molto reale e profondo con loro. Da loro ricevette parole di vita. Da loro ha ricevuto il pensiero della Chiesa, che è il pensiero di Cristo. Li ha pregati come Padri viventi ed è stato personalmente istruito, nutrito, addestrato e guidato da loro. Per lui i santi erano certamente esempi da seguire, ma molto di più, erano parte integrante, essenziale, viva della sua vita quotidiana.

Dipendeva da loro, e di tutti loro non c’era nessuno più vicino a lui, nessuno da cui dipendeva di più, di un Santo Padre che aveva conosciuto sia prima che dopo il suo riposo: cioè San Giovanni di Shanghai e San Francisco. Ha scritto in un punto che “si aspetta che Vladika John ci dica cosa fare”. E come sappiamo da alcuni incontri miracolosi tra P. Seraphim e Vladika Giovanni dopo il riposo di quest’ultimo, San Giovanni ha soddisfatto quell’aspettativa.

Mentre riflettiamo sul motivo per cui Padre Seraphim è diventato così ampiamente amato e riverito dopo il suo riposo, perché i suoi scritti hanno avuto un impatto così profondamente positivo sulla Chiesa ortodossa in tutto il mondo, anche se era un semplice americano moderno e un californiano, penso che abbiamo una chiave per la risposta a questa domanda proprio nel suo diario spirituale sopra menzionato. Gli scritti di P. Seraphim sono nati dalla sua vita. La sua autentica presentazione dell’insegnamento patristico all’uomo moderno è nata dalla sua lotta ascetica contro le passioni. Era intransigente con se stesso nella sua vita spirituale ed era intransigente allo stesso tempo nella sua adesione all’insegnamento patristico ortodosso, senza mai annacquarlo per renderlo appetibile alla mentalità moderna. Padre Seraphim non ha mai pubblicato nulla sulla sua personale lotta spirituale, ma le sue parole stampate che coprono una moltitudine di argomenti, che toccano la vita delle persone ogni giorno, respirano quella lotta. Anime che cercano la verità pura di Cristo nel seno della nostra Chiesa, nel seno di Padre Seraphim, uno che ha combattuto la buona battaglia e che è finito vittorioso per grazia di Cristo.

Ci si può allora chiedere: nel rapporto di P. Seraphim con i Padri, nel suo riempirsi la mente di loro e diventare loro discepoli, alla fine è diventato uno con loro e quindi uno di loro? Ognuno può rispondere a questa domanda da sé e un giorno, se sarà volontà di Dio, deciderà la Chiesa nel suo insieme. Ma per quanto mi riguarda, come uno che ha conosciuto personalmente Padre Seraphim, per un tempo che mi è sembrato troppo breve ma per il quale sono profondamente grato a Dio, e come uno che ha studiato la sua vita e i suoi scritti per molti anni, sia pubblicati che personali, direi che la risposta è “sì”. Come ha detto al suo funerale il padre confessore di P. Seraphim di Seattle, uno dei padri confessori di P. Seraphim, ora possiamo chiedere l’aiuto di P. Seraphim dal Cielo, così come P. Seraphim ha cercato l’aiuto di tanti Santi Padri prima di lui e, soprattutto, di Vladika Giovanni.

Nell’Epistola di oggi, che abbiamo letto per provvidenza di Dio sulla tomba di P. Seraphim, abbiamo ascoltato parole che mi hanno veramente colpito, come provenienti da P. Seraphim a noi, sono le parole di San Paolo. 1 Corinzi 16: Vegliate, rimanete saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Questo è qualcosa che sappiamo che P. Seraphim ha fatto e qualcosa che ha sempre insegnato: stare in piedi e guardare i segni dei tempi. È più tardi di quanto pensi. Rimanete saldi nella fede e non permettete a nulla di allontanarvi dalla vera fede che Cristo ci ha dato nella Sua Chiesa e siate forti in Cristo. La frase successiva è: Fate tutte le vostre cose con carità e Padre Serafino ha fatto questo. Ha detto la verità, ha aiutato le persone a rimanere salde nella fede, e ha fatto tutto in carità e man mano che cresceva nella carità e nell’amore nella sua vita di cristiano ortodosso, e soprattutto come pastore, quell’amore emerge ancora più forte. San Paolo conclude: Se qualcuno non ama il Signore Gesù Cristo, sia anatema. Maranatha. Padre Seraphim è stato molto audace in questo, come Sua Grazia il Vescovo Daniil ha menzionato ieri, scoprendo la menzogna dei nostri tempi moderni, mostrandoci che la credenza che assorbiamo con i nostri tempi, questa visione del mondo e questo modo di pensare, non è né di Cristo né proviene da coloro che amano Cristo. Viene dal maligno e dall’uomo caduto. Padre Seraphim ci ha chiesto di essere consapevoli di queste cose in modo da poter fare una rottura e avere veramente la mente di Cristo. Anatema significa tagliare, e nella vita e nell’insegnamento di P. Seraphim ci ha insegnato come fare quel taglio.

La grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia con voi. Il mio amore sia con tutti voi in Cristo Gesù. Amen. Credo che tutti noi siamo venuti per mostrare il nostro amore per Padre Seraphim, venendo alla sua tomba, pregando per lui, onorando la sua memoria, e allo stesso tempo lui sta dimostrando il suo amore per noi. Ha dimostrato il suo amore per noi durante tutta la storia della nostra fratellanza, proprio nei momenti difficili. Grazie alle preghiere di Sant’Herman, di Vladika Giovanni, di Padre Seraphim, della Santissima Theotokos e di tutti i santi siamo stati liberati da ogni tipo di tentazione e prova e Dio ci ha condotti fino ad oggi. Sentiamo l’amore di P. Seraphim molto profondamente per noi in questo monastero e crediamo che P. Seraphim abbia questo amore per tutti noi. Durante la sua vita era così preoccupato di portare il suo prossimo alla vera Chiesa e dopo il suo riposo attraverso le sue preghiere molti sono venuti alla Chiesa, e oggi sta esprimendo e mostrando quell’amore, e la grazia che abbiamo sperimentato da Dio in questo giorno arriva in parte attraverso le preghiere di Padre Seraphim per noi. Egli ci sta dicendo: “Il mio amore sia con tutti voi”. Questo amore non è semplicemente quello di P. Seraphim, ma il suo amore e la grazia che dona è l’amore di Cristo che viene attraverso P. Seraphim, come da tutti i santi. Oggi, mentre celebriamo la memoria di P. Seraphim, possiamo veramente apprezzare i doni che Cristo ci ha dato attraverso P. Seraphim e, allo stesso tempo, apprezzare veramente l’amore di Cristo per noi e l’amore del Suo umile servo P. Seraphim per noi. Amin.

09/03/2016

Fonte: Nurtured by the Holy Fathers: Lessons from the life and works of Fr. Seraphim Rose / OrthoChristian.Com




Padre Justin Pârvu: La preghiera del cuore sarà la nostra unica salvezza


– E come dobbiamo pregare? In ospedale, a Cluj, mi avete detto che vi dispiaceva di non aver esortato la gente a pregare di più, di non aver insegnato loro a pregare.

– È molto importante sapere come pregare. Molte volte anche noi monaci, stiamo nei monasteri e non preghiamo, ci sembra semplicemente di pregare. Non basta andare in chiesa, alle funzioni e stare lì [con il corpo] come se avessi fatto il tuo dovere, per obbligo. Dobbiamo insistere sul lavoro interiore. Invano diciamo tante preghiere con la bocca o con la mente, se non approfondiamo, se non viviamo ciò che preghiamo.

Adesso anche i laici devono approfondire la preghiera del cuore, perché sarà la nostra unica salvezza – la preghiera del cuore.

Perché nel cuore c’è la radice di tutte le passioni ed è lì che dobbiamo lavorare.

Finora andava bene essere più superficiali, ma per i tempi a venire non sarà sufficiente.

Se non avremo una preghiera che punge il cuore [che parta dal più profondo del cuore], non resisteremo a tutti gli attacchi psicologici, perché hanno metodi invisibili per rieducare la mente.

 Oggi mi sembra che l’indifferenza sia il peccato peggiore.

Non sentiamo più nulla quando preghiamo, non abbiamo lacrime di pentimento.

Verranno tempi in cui solo coloro che saranno sensibili alla grazia di Dio saranno in grado di distinguere il bene dal male.

Con la mente umana sarà impossibile distinguere tra il bene e il male.

Ci saranno grandi inganni e solamente la grazia di Dio potrà liberarci da essi.

Perciò pregate, pregate per non cadere nella tentazione dell’inganno!

Perché solo attraverso la preghiera possiamo ricevere la grazia di Dio. Se non preghiamo e perseveriamo nella nostra pigrizia e negligenza senza pentimento, allora è possibile perdere l’istinto del ravvedimento. Che Dio ci impedisca di perdere l’istinto del ravvedimento!

– Ma non c’è il rischio che in queste ristrettezze e sullo sfondo di una grande povertà gli uomini si facciano prendere dal panico e si sollevino gli uni contro gli altri e così non esista più la buona volontà cristiana?

– Ebbene, proprio per questo avremo bisogno di imparare la preghiera interiore, per poterci controllare in queste situazioni e non perdere la grazia di Dio. Questo è ciò che cercano: l’instaurazione dell’anarchia, affinché l’odio e la divisione tra le persone prendano il sopravvento, anche tra i cristiani.

[…]

– In conclusione, vorremmo che ci raccontaste come avete superato il peso della malattia e allo stesso tempo una parola di incoraggiamento per i cristiani che attraversano gravi malattie e sofferenze fisiche.

– Desidero ringraziare ancora tutti coloro che hanno pregato per la mia indegnità e impotenza e che la Madre di Dio ricompensi la preghiera e lo sforzo di tutti.

Ma sappi che le malattie e le difficoltà sono sempre la conseguenza del peccato, da cima a fondo.

Ognuno è punito da Dio secondo la responsabilità che ha, piccola o grande che sia.

Ero nel letto all’ospedale a Cluj e pensavo: quale sarà la causa della mia sofferenza, visto che il Signore non vuole rialzarmi affatto?

E la causa ero solo io, i miei peccati. E quando ho realizzato che soffrivo di questa malattia a causa dei miei peccati, allora Dio mi ha sollevato.

 Il mio orgoglio è la causa della malattia.

 Ora Dio mi ha dato anche questa zoppia alla gamba destra – e questo ha una ragione: perché prima camminavo con superbia.

Pensavo che tutto il mondo fosse mio, e io fossi il centro del mondo.

Ma ecco, non sono altro che erba secca. Diamo allora gloria a Dio nella malattia, perché attraverso la malattia impariamo l’umiltà, la gentilezza, la pazienza ed è così che riceviamo la salvezza.

Tutte queste cose [che ci capitano] sono per la nostra umiltà e salvezza. Senza umiltà non possiamo salvarci.

(dalla rivista Atitudini, n. 11 )

FONTE: Mănăstirea Petru Vodă – https://manastirea.petru-voda.ro/2017/02/23/parintele-justin-parvu-rugaciunea-din-inima-va-fi-singura-noastra-izbavire/




ll Patriarca di Gerusalemme durante la Divina Liturgia della Domenica della Samaritana:

ll Patriarca di Gerusalemme ha pronunciato il seguente sermone prima della Santa Comunione durante la Divina Liturgia della Domenica della Samaritana:

«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chiunque beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; ma l’acqua che io gli darò sarà in lui una fonte d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14)

Carissimi Fratelli in Cristo,

stimati cristiani e pellegrini,

La Grazia dello Spirito Santo ci ha riuniti tutti oggi in questo luogo santo del Pozzo del Patriarca Giacobbe, per celebrare la festa della Samaritana, del Santo martire Foteini.

Nel successivo dialogo con la Samaritana, Gesù le dice: «L’acqua che io gli darò sarà in lui una fonte d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14). Interpretando queste parole del Signore, san Cirillo d’Alessandria dice: dobbiamo sapere che il Salvatore qui chiama “acqua” la Grazia del Santo Spirito. Se qualcuno diventa partecipe di questa Grazia, allora avrà la provvista della conoscenza divina proveniente da Lui stesso, in modo che non abbia più bisogno dell’ammonizione degli altri. Saranno invece sufficientemente capaci di esortare/incoraggiare con facilità coloro che hanno sete della parola divina e celeste. Questi furono i Santi, i profeti e gli Apostoli durante la loro vita terrena, ma anche gli eredi del loro servizio/ministero, di cui è scritto: “Perciò con gioia attingerete acqua alle fonti della salvezza” (Isaia 12, 3).

Interpretando nuovamente le parole del profeta Isaia, san Cirillo dice: «Egli chiama l’acqua parola vivificante di Dio, mentre chiama le sorgenti i Santi Apostoli, Evangelisti e Profeti. Salvezza Egli chiama Cristo. Infatti, per la potenza illuminante del Santo Spirito i Santi Profeti, Apostoli ed Evangelisti hanno scritto le Sacre Scritture. Le Sacre Scritture sono quelle che alimentano la fede salvifica in Cristo mediante la loro conoscenza, come dice Paolo al suo discepolo Timoteo: «E che fin da bambino hai conosciuto le sante Scritture, le quali possono darti la sapienza per la salvezza mediante la fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è data per ispirazione di Dio ed è utile per insegnare, per rimproverare, per correggere, per istruire nella giustizia: affinché l’uomo di Dio possa essere perfetto, completamente fornito per tutte le buone opere». (2 Tim 3, 15-17)

In altre parole, l’acqua che Cristo offrì alla Samaritana era il dono del Santo Spirito, che conduce l’uomo dal cuore puro alla sua divinità, cioè alla vita eterna. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», dice il Signore (Matteo 5,8).

È interessante notare che Gesù nel dialogo con la Samaritana, da un lato, insegna che «Dio è Spirito e coloro che lo adorano in Spirito e Verità lo adorano» (Gv 4,24), dall’altro quando la Samaritana dice: «So che viene il cosiddetto Cristo; quando verrà, ci annuncerà ogni cosa (Gv 4,25), perché è il Messia», le rivela «Io che ti parlo sono lui» (Gv 4,26).

Commentando le parole di Gesù sopra riportate, san Teofilatto dice: Molti rendono culto spirituale a Dio, cioè con la mente, ma sono fuori dalla verità redentrice. Lo dice il Santo Padre della Chiesa perché la purezza della vita e la correttezza delle dottrine costituiscono il culto vero e salvifico di Dio.

E San Cirillo di Alessandria dice: Cristo non si rivela semplicemente e solo alle anime non istruite e completamente sprovvedute (come la Samaritana), ma in quelle anime risplende e si fa vedere, che si sono preparate a imparare qualcosa e in loro è nata la fede e “verso la conoscenza più perfetta si affrettano”, cioè si affrettano a imparare i misteri più perfetti. Questo è esattamente ciò per cui si distingue la Samaritana, nella ricerca della conoscenza della fede più perfetta, che si distingue in introduttiva e completa.

San Cirillo d’Alessandria commenta: «Cristo interrompe il dialogo con la Samaritana, quando i suoi discepoli si avvicinarono e si meravigliarono che parlasse con quella donna», (Gv 4,27) [Così Cristo tace, dice la Scrittura. Avendo piantato nella Samaritana la calda scintilla della fede, Cristo permette che, nel corso del tempo, questa scintilla si trasformi in una grande fiamma. Ecco come dovrete comprendere ciò che Egli disse: «Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra; e che mi resta da desiderare, se già è acceso? (Luca 12,49)

Questa scintilla divina e calda, impiantata nel cuore innocente della Samaritana, fece di lei una grande martire e apostola del Vangelo di Cristo, per questo la nostra Santa Chiesa la onora particolarmente nella propria patria, la Samaria, come l’innografa : “Sei venuto a Samaria, mio Salvatore, Tu, Signore onnipotente, e parlando con una donna, l’hai supplicata di avere dell’acqua, Tu che per gli Ebrei facevi scaturire acqua fresca da una roccia di pietra; e l’hai portata alla fede in Te, e ora gode della vita nei cieli per sempre”. (Mattutino, Exaposteilarion).

Va notato che questa “scintilla calda della parola di vita” unse i discepoli di Cristo come “cristiani”, come riporta l’evangelista Luca nel libro degli Atti degli Apostoli: “Allora Barnaba partì per Tarso, per cercare Saulo: E quando lo ebbe trovato, lo condusse ad Antiochia. E avvenne che per un anno intero si riunirono con la Chiesa e insegnarono a molte persone. E i discepoli furono chiamati per la prima volta cristiani ad Antiochia” (At 11, 25-26).

Con questo nome, i primi chiamati cristiani esprimevano l’aspettativa di ereditare il Regno del Signore nei cieli; di diventare “eredi di Dio” e “coeredi di Cristo” (Rm 8,17). Questo nome fu adottato e onorato dalla Samaritana con il suo sangue di martire, che nacque come co-erede di Cristo, “colui che disse alla gente: ‘Guardate, venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto’” (cfr. Gv 4,28-29).

Anche noi, miei cari fratelli, abbiamo ricevuto questa inestimabile eredità, cioè il nome “cristiano”, al momento del nostro battesimo, essendo stati incorporati al corpo della Chiesa. Tuttavia, questo nome implica conformità al nostro modo di vivere simile a Cristo. «Che cosa? non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete da Dio, e non siete vostri? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6,19-20), predica san Paolo. Infatti, non apparteniamo più a noi stessi, perché siamo stati comprati con il santo Sangue del nostro Cristo Salvatore Crocifisso e Risorto. Ora siamo membra del Corpo mistico di Cristo, cioè della Sua Chiesa.

Noi, miei amati, che oggi onoriamo la memoria della santa Samaritana, imploriamo con lei il Signore misericordioso, dicendo: “Concedimi l’acqua della fede, e riceverò le acque della fonte del battesimo, con straordinaria gioia e redenzione. O datore di vita, Signore, gloria a te” (Vespri, stichera, 9).

Cristo è risorto!




Le diaconesse nella Chiesa primitiva erano simili alle donne mirofore

Fonte: Orthochristian.com, 23 maggio 2024

Cristo è risorto dai morti, con la morte ha vinto la morte e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

Oggi [domenica scorsa], seconda domenica dopo Pasqua, ricordiamo le Mirofore, le quali, come ci dicono le Sacre Scritture, si dedicarono al servizio del Signore Gesù Cristo. Lo seguirono, lo servirono e servirono i suoi discepoli.

Dopo che Dio creò Adamo e gli concesse l’autorità, creò Eva affinché fosse un aiuto per Adamo. Pertanto, Dio ha assegnato un servizio all’uomo e un altro servizio alla donna, in modo che si completassero a vicenda. La Chiesa ha seguito quest’ordine che Dio ha determinato per la sua creazione. Tuttavia, ai nostri giorni, stiamo assistendo ad un’inversione di questo ordine e a una distorsione del sistema che Dio ha stabilito fin dall’inizio della creazione.

Oggi assistiamo a una spinta verso il sacerdozio femminile negli ambienti ecclesiali, sia da parte del clero che dei laici. Recentemente abbiamo sentito parlare dell’ordinazione di una diaconessa nella Chiesa ortodossa dello Zimbabwe, che è sotto il Patriarcato di Alessandria. Questa diaconessa partecipa al servizio liturgico, legge le petizioni e amministra ai fedeli il corpo e il sangue del nostro Signore Gesù Cristo. Va notato che le diaconesse nella Chiesa primitiva erano simili alle donne mirofore, e il loro servizio era limitato ad assistere i vescovi nel battesimo delle donne e ungerle con il santo crisma, in modo che il vescovo non toccasse il corpo della donna. A quel tempo, molti convertiti al cristianesimo erano adulti. Tuttavia, man mano che il cristianesimo si diffuse più ampiamente all’interno dell’impero, la necessità di questo servizio diminuì, poiché il battesimo dei bambini divenne più comune di quello degli adulti. A quel punto nella Chiesa cessò l’ordinazione delle diaconesse.

Ora all’interno della Chiesa si promuovono strane pratiche che non hanno mai fatto parte della sua storia o tradizione. Tali ordinazioni sono innovazioni che equivalgono a un’eresia. Sentiamo voci che chiedono l’uguaglianza tra uomini e donne, come se la Chiesa avesse fatto un torto alle donne assegnando loro un ruolo specifico! Assistiamo a un’inversione di ruoli, a un’inversione di servizio. Dio, come ho detto all’inizio, ha assegnato a ciascuno il proprio ruolo, ma ora ognuno cerca di assumere il ruolo dell’altro. Assistiamo anche a una significativa promozione dell’omosessualità, del transgenderismo e dell’ordinazione delle donne da parte di chierici e laici ortodossi.

Vescovi e sacerdoti sono nominati da Dio servitori della sua parola e amministratori della Tradizione della Chiesa. Qualsiasi vescovo, sacerdote o laico che tradisce questa fiducia e distorce la fede della Chiesa e la Sacra Tradizione è un servitore di satana, non di Cristo. Non esiste una via di mezzo nel cristianesimo. Cristo disse: “O siete con me o con il diavolo”. Chiunque distorce la fede e la Tradizione e dissacra i santi sacramenti, come ha fatto il vescovo ortodosso dell’arcidiocesi americana sotto il Patriarcato ecumenico che ha battezzato i bambini adottati da una coppia dello stesso sesso, è un servitore di satana e un profanatore dei misteri della Chiesa.

Questo è ciò che sta accadendo ai nostri giorni e ci si aspetta che ne succedano ancora. Leggiamo nella Bibbia di un periodo di apostasia. Questa apostasia è un allontanamento dalla vera fede in Gesù Cristo, il vero Dio, e la promozione di un Cristo distorto. Quei vescovi e sacerdoti che promuovono un Cristo distorto sono servitori dei governanti di quest’epoca, servitori di un nuovo ordine mondiale che cerca di cambiare l’intero ordine della creazione, e servitori dello spirito dell’epoca che vuole modernizzare la Chiesa, la Chiesa celeste di Cristo, e trasformarla in un’istituzione mondana non diversa dalle altre istituzioni, organizzazioni e partiti mondani.

La Chiesa deve rimanere fedele a tutto ciò che ha ricevuto da Cristo, proprio come le Mirofore che non si discostarono dall’obbedienza di Cristo e non innovarono, ma servirono il Signore e i suoi Apostoli con tutte le loro forze. Gli Apostoli di Cristo predicarono e amministrarono i sacramenti, divenendo fondamento per la diffusione della Chiesa di Cristo.

Ognuno di noi deve confrontarsi con questo spirito mondano e satanico che cerca di distruggere tutta la Tradizione della Chiesa e i fondamenti della fede. Oggi assistiamo ad un pericoloso allontanamento dalla fede. Ancora più pericoloso è il silenzio. Qualsiasi vescovo ortodosso che tace su quanto sta accadendo è complice di questo atto. La missione primaria di un vescovo è preservare la fede, e se rimane in silenzio, è, volenti o nolenti, complice di questo tradimento. Coloro che vengono nominati custodi della fede diventano profanatori della fede e dei misteri della Chiesa, celebrando tutto ciò che contraddice la sacra Tradizione della Chiesa e diventando mercenari dello spirito del tempo.

Tutti coloro che contribuiscono a ciò non conoscono né vivono secondo la Tradizione. Vogliono una Chiesa che accetti tutte le eresie e le trasformazioni di questa epoca. Diventano così figli di uno spirito satanico e servitori di satana, che cerca di indebolire la Chiesa di Cristo per imporre il suo governo e la sua legge in questo mondo.

La Chiesa è rafforzata dalla sua fede e dalla conservazione della santa Tradizione. È così che rimane fedele a Cristo e si confronta con i governanti di quest’epoca. Ma se permetterà alle eresie di entrare e distruggere la fede, le porte dell’inferno lo supereranno. Questo è ciò che desiderano Satana e i suoi agenti, da parte di vescovi, sacerdoti e laici che hanno ceduto allo spirito del tempo.

Non lasciatevi influenzare da tutte queste cose derivanti dalla logica umana, che richiede solo un amore falso. Il vero amore è in Cristo ed è il frutto della vera fede in lui. Chi non crede in Gesù Cristo può amare solo se stesso. Chi ama Cristo sarà fedele a lui, ai suoi comandamenti e alla Tradizione della Chiesa. È così che amiamo Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, sottomettendo la nostra volontà alla volontà di Cristo e diventando servitori fedeli.




Teodoro Studita: un’epistola dogmatica sulle sante icone

Lettera 380, A Naucrazio

San Teodoro Studita, Icone, Iconoclastia, Istituto Patristico Pappas

Teodoro Studita ( 759 – + 11 novembre 826), un monaco e teologo, igumeno del monastero di Stoudios a Costantinopoli. Nato da una famiglia benestante e socialmente inserita, il padre era un funzionario del tesoro imperiale, la madre era di famiglia senatoria e una sua cugina divenne la seconda moglie di Costantino VI (sed. 780-797). Seguendo il suo esempio, la maggior parte dei membri della sua famiglia divennero monaci e monache. Sotto la sua direzione, il monastero di Stoudios divenne un importante centro di cambiamento sociale e culturale. L’obiettivo di Teodoro era quello di liberare la vita monastica dall’influenza e dal controllo del governo. Zelante oppositore dell’iconoclastia, trascorse più di quindici anni in esilio, in gran parte per la sua difesa delle sante icone, e gli fu conferito il titolo di Confessore della Fede. Fu anche uno scrittore prolifico. Tra le sue opere ci sono tre Confutazioni degli Iconoclasti; una Piccola e Grande Catechesi; più di una dozzina di omelie su feste e santi vari; un’orazione funebre per sua madre; e una celebre Omelia pasquale che incorpora l’Omelia pasquale di San Giovanni Crisostomo. Scrisse anche numerosi canoni e regolamenti riguardanti la vita monastica, e un gran numero di poesie, inni e canoni, compreso il primo canone del Theotokarion, oltre a più di 500 lettere, molte delle quali sono importanti trattati teologici. Le sue ultime parole furono: “Mantieni incrollabile la tua fede e pura la tua vita”.

La lettera tradotta di seguito, Lettera 380: A Naukratios , è datata all’818, quando Teodoro era esiliato in Anatolia. [1] Il monaco Naucrazio fu discepolo di Teodoro e futuro successore; all’epoca era l’amministratore (οἰκονόμος) del Monastero di Studios. Insieme alla lettera 57 (a suo zio Platone), la lettera 380 è per molti versi un epitome della teologia dell’icona di Teodoro. [2]

Mi rallegro di te, fratello mio Naucrazio, perché sei veramente il figlio della mia gioia, il che significa che hai sofferto per Cristo, perché cosa potrebbe esserci di più gioioso e glorioso di questo? A imitazione di Cristo sei stato flagellato; sei stato trascinato da una cella all’altra; e fosti consegnato nelle mani dell’empio Giovanni, [3] col quale anch’io dovetti contendere. E sebbene ti abbia attaccato con veemenza, tu non hai indebolito o annacquato le tue convinzioni, ma al contrario hai resistito a quell’uomo stolto e gli hai risposto con un severo rimprovero, che mi ha fatto rallegrare molto e mi ha riempito di letizia. Possa il Signore continuare ad aiutarti in qualunque cosa ti accada nei giorni a venire! Mi hai informato che, durante il tuo interrogatorio, e nei loro sforzi per indebolire le icone sacre, hanno portato avanti argomenti di Asterio, [4] Epifanio, [5] e Teodoto. [6] Ritengo quindi necessario confutare questi argomenti, anche se ciò estenderebbe la lunghezza della mia lettera.

Secondo Asterio, “Non si deve rappresentare un’immagine di Cristo, poiché l’unica umiliazione della sua incarnazione, che egli accettò di subire volontariamente per il nostro bene, era sufficiente; dovresti invece portare spiritualmente nella tua anima la Parola incorporea”. [7] Ci si chiede, però, perché egli si oppone a fare un’immagine di Cristo, dicendo che «è stata sufficiente la prima umiliazione della sua incarnazione», come se si trattasse di un fatto inglorioso e unico accaduto nel passato, e Cristo voleva evitare una seconda rappresentazione (cioè in un’icona) della sua umiliazione. Ma come potrebbe essere ingloriosa l’incarnazione del Verbo è stata volontaria, dal momento che tutto ciò che è volontario è glorioso e non ha nulla della mancanza di gloria che si trova in ciò che è involontario? Se così non è, e l’icona di Cristo è, come dice lui, una “seconda” umiliazione, come potrebbe essere “seconda” se l’immagine ci mostra proprio la somiglianza della prima umiliazione?

E come potrebbe evitare di ripudiare il ricordo della passione di Cristo, che il racconto scritto offre al nostro udito, se denigra il ricordo visivo in quanto replica dell’evento? Poiché vedere e udire sono capacità uguali, ciascuna operante in congiunzione con l’altra, come ha dichiarato la bocca divina, Basilio il Grande. Consideriamo, ad esempio, che una seconda immagine dell’unica croce è un’altra croce, il che è vero anche per il Vangelo. E poiché entrambi vengono riprodotti e copiati continuamente, ci sono innumerevoli croci e innumerevoli Vangeli, e non semplicemente uno! Allo stesso tempo, esiste solo una croce e non un’altra, anche se riprodotta migliaia di volte. E il Vangelo è uno solo, e non un altro, anche se ne esistono innumerevoli copie. E Cristo è uno, non due o più, anche se, allo stesso modo, la sua forma è riprodotta in innumerevoli immagini. Quando Cristo è raffigurato in un’icona, è come se fosse descritto nella Scrittura, e il nostro udito non è mai sazio del suo suono; né i nostri occhi potranno mai riempirsi di vederlo, perché stiamo ascoltando e vedendo Dio che si è fatto uomo; l’Eterno apparso sulla terra come bambino; Colui che sostiene l’universo bevendo il latte di sua madre; Colui che non può essere contenuto essendo contenuto tra le sue braccia; Colui che è al di là della divinità e tuttavia si è fatto uomo; la Profondità della Saggezza immersa nell’acqua del battesimo, facendo le cose che sono proprie sia a Dio che all’uomo, benché sia ​​al di là di ogni essenza ed essere; il Signore della gloria inchiodato alla croce; la vita del mondo sepolta e risorta; Colui che l’universo non può contenere, assunto in cielo come uomo.

Il confuso Asterio smetta dunque di vietare e di argomentare contro la rappresentazione salvifica di Cristo in queste due forme (cioè immagini e parole), cioè smetta di pensare che la gloria del Signore sia disonorevole, [8] e che la sua umiliazione volontaria era invece involontaria. E cessi inoltre di porsi in opposizione a Basilio Magno, la cui voce – che è la voce di Dio – comanda quanto segue: “Sia raffigurato in un’icona Cristo, che presiede alle nostre lotte”. [9] E si escluda dalla compagnia dei santi anche ciò che Asterio afferma, insieme a ciò che cerca di negare, poiché sono ugualmente illogici e assurdi: “Dovresti portare spiritualmente nella tua anima il Verbo incorporeo”. Che follia è questa? Quale bocca di santo ha mai detto che il Verbo era incorporeo dopo essersi fatto carne? Sebbene l’apostolo Paolo non abbia continuato a chiamare Cristo “carne”, non ha detto che la Parola è ora incorporea. Secondo Gregorio il Teologo, le parole: «Anche se una volta consideravamo Cristo secondo la carne, non lo facciamo più» (2 Cor 5,16), significano che non consideriamo più Cristo soggetto a passioni carnali come le nostre, anche se prive di peccato. E altrove Gregorio dice: «non più secondo la “carne”, ma nemmeno “incorporeo”». [10] Pertanto, chiunque affermi che dopo l’Incarnazione il Verbo è “senza corpo”, contraddice non solo questi due Padri, ma tutti i santi e teofori Padri e maestri della Chiesa.

È stato così dimostrato che un’affermazione illogica segue naturalmente da un’altra. Dopo aver rovesciato le loro bugie, quindi, procediamo a presentare la verità. Come potresti riuscire a farlo? Raffigurando Cristo in un’immagine ovunque sia necessario, e farlo facendolo dimorare nel tuo cuore, affinché quando lo leggi in un libro o lo vedi in un’immagine, sarà conosciuto attraverso questi due sensi e illuminerà la tua mente in duplice modo. In questo modo, Colui che hai conosciuto e sentito attraverso il tuo senso dell’udito, arriverai anche a vedere e conoscere con i tuoi occhi. Infatti, quando viene udito e visto in questo modo, Dio non può che essere glorificato, e l’uomo pio non può che essere mosso a compunzione – e cosa potrebbe esserci di più salvifico di questo, e cosa può avvicinare l’uomo a Dio? Noi dunque, che non siamo nulla e senza valore, comprendiamo la Verità in questo modo, anche se alcuni dei nostri santi Padri prima di noi hanno tentato di spiegare la questione in un altro modo.

Dopo aver trattato le opinioni di Asterio, quali sono le opinioni di Epifanio? [11] «Vostra Reverenza capirà», dice, «se è giusto che noi rappresentiamo Dio con i colori». [12] Ma guarda questo spacciatore di menzogne! Non ha detto “Cristo” – al quale ci riferiamo quando parliamo della possibilità di circoscrizione (in un’immagine), e che affermiamo allo stesso tempo fuori circoscrizione, poiché qui si tratta di indicare ciascuno delle sue due nature – ma dice che noi facciamo “raffigurazioni di Dio “, spogliando il Signore della sua natura umana (alla maniera dei manichei) e proponendo un Dio nudo – e lo dice per convincere l’ascoltatore con l’assurdità della proposizione. E infatti è veramente insensato e irrazionale parlare di un “Dio visibile”, poiché la Scrittura dice che «Dio nessuno lo ha mai visto». E in quanto è Dio e visibile, il Figlio unigenito «lo ha fatto conoscere» (Gv 1,18). Ma è ovvio che un Dio nudo di umanità non è mai stato visto da nessuno, ma poiché l’Unigenito non è nudo di umanità dopo essersi fatto carne, ne consegue che è visibile e può essere visto. E così, il Santo Apostolo proclama: «Dio apparve nella carne, fu confermato dallo Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunziato fra le nazioni, fu creduto in tutto il mondo e fu assunto nella gloria» (1 Tm 3,16). Ad ogni dichiarazione in comune va applicata l’espressione “nella carne”, perché la prima formula è una sorta di fondamento non solo di quanto segue, ma di tutte le proprietà umane assunte nell’Incarnazione. Quindi, come Dio «apparve» nella carne, così avvenne di tutte le altre cose appena menzionate (perché senza essere «nella carne» non poteva apparire né essere assunto), così anche nella carne si nutriva di latte, cresceva in età, camminava su due piedi, sudava agonizzante e parlava con la lingua, insieme ad ogni altra attività di questo genere.

Se dunque stanno così le cose e se una delle proprietà del corpo è la circoscrizione, è evidente che Dio è circoscritto nella carne, o mediante l’uso dei colori, o mediante qualche altro mezzo. Questo perché, per necessità, entrambe queste due cose devono essere vere. Se egli «è apparso nella carne», allora necessariamente deve anche essere circoscritto, perché ciascuno è tratto concomitante e corrispondente dell’altro. Se dunque la seconda non è vera, allora non lo è nemmeno la prima. Ma se è vera la prima, lo è anche la seconda. Pertanto, coerentemente sia con la Sacra Scrittura che con il pensiero logico, sarebbe insensato non ammettere che Dio possa essere raffigurato nella carne, per il semplice motivo che Egli è stato visto nella carne. Altrove questo impetuoso disgraziato dice: “Ho sentito che alcuni ordinano ad altri di rappresentare in immagini anche l’inafferrabile Figlio di Dio, cosa che è terrificante anche solo a sentirla”. [13] Ma quale persona, dotata anche di una piccola parte di intelligenza, non riderebbe di un’affermazione così ridicola? Non ha mai letto dove dice: «Arrestarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna», il sommo sacerdote? (Gv 18,12) O dove dice: «Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende di lino e con aromi»? (Gv 19,40). Non professa che Gesù è Dio? Se è Dio, come mai l’inafferrabile è stato arrestato e legato, se non era nella carne, proprio come ci ha insegnato il saggio Paolo? Lasciamo dunque che quest’uomo illuso trattenga la sua bocca dall’infierire con follia contro Cristo.

Certo, se dovesse venire a sua attenzione che abbiamo un Dio che viene mangiato (cioè nell’Eucaristia), immagino che non solo tremerebbe di terrore, ma si straccerebbe le vesti, non potendo sopportare ciò che ha. sentito. Ma cosa dice Cristo? «Chi mangia me vivrà per me» (Gv 6,57). Naturalmente non c’è altro modo per mangiarlo che nella carne. Questo perché Cristo, che è allo stesso tempo perfetto Dio e perfetto uomo, può essere nominato e identificato da ciascuna delle due nature di cui è composto, e può essere chiamato sia Dio che uomo, letteralmente e in senso stretto di ciascuna parola, senza che la particolarità dell’una o dell’altra venga sminuita o confusa nella sua singolare ed unica ipostasi. E testimone delle mie parole è Dio Verbo stesso, che in un luogo dice: «Perché cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità?» (Gv 8,40) (anche se chi diceva questo era il Dio immortale), e in un altro: «Perché mi accusi di bestemmia perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”?» (Gv 10,36) (anche se colui che disse questo era anche il Figlio dell’uomo). Ne consegue che quando attribuiamo i nomi propri ad una sola delle nature, non togliamo assolutamente nulla a Cristo.

Poiché ora possiamo mettere da parte anche le parole di quest’uomo, vediamo qual è l’argomentazione di Teodoto? [14] Ecco le sue stesse parole:

Per quanto riguarda le forme esteriori dei santi, non abbiamo ricevuto la tradizione di raffigurarli in icone fatte di colori materiali, ma piuttosto ci è stato insegnato a ricevere le loro virtù come immagini viventi attraverso ciò che ci è stato detto su di loro nei libri e a lasciarci ispirare da uno zelo come il loro. Ma coloro che hanno collocato tali immagini ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali forme. Ma è abbastanza ovvio che questi espedienti sono inutili e sono l’invenzione di un inganno diabolico. [15]

A dire il vero, il punto di partenza per la riflessione (vale a dire, negli scritti e nelle vite dei santi) non è di per sé degno di condanna, anche se è inteso a prepararci alle cose assurde e insensate che seguono, dal momento che molti di questi maestri sacri considerano le descrizioni verbali più necessarie delle rappresentazioni visive, senza ovviamente condannare queste ultime. Eppure alcuni insegnano il contrario. Quindi i due hanno in realtà lo stesso valore, come dice Basilio Magno: “Infatti le cose che la parola scritta descrive attraverso l’udito, le stesse cose vengono espresse silenziosamente dall’immagine attraverso l’imitazione”. [16] E non tutti sono artisti, come non tutti sono scrittori; ma a ciascuno Dio ha dato una misura di grazia.

Dopo aver ascoltato ciò che dice San Basilio, lo stolto ripeta: “Coloro che hanno collocato tali immagini, ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali immagini”. Ora quest’uomo avventato e insolente può rispondere da solo: quale beneficio spirituale e quale visione sacra non possiamo ottenere attraverso le sante icone? Perché, se è natura di ogni immagine essere imitazione dell’archetipo – come dice Gregorio il Teologo [17] – e se, inoltre, l’archetipo si manifesta nella sua immagine – secondo il saggio Dionisio [18] – ne deriva che è del tutto evidente che dall’imitazione, con questo intendo, dall’icona, scaturisce un grande beneficio spirituale, e attraverso l’imitazione ci eleviamo ancora di più alla contemplazione spirituale del prototipo. A testimoniare la verità delle mie parole è lo stesso divino Basilio, il quale dice: “L’onore reso all’immagine ascende [19] all’archetipo”. [20] Se essa “ascende”, allora è appena il caso di dire che discende anche all’immagine dall’archetipo, e quindi nemmeno una persona di intelligenza limitata potrebbe dire che onorare l’icona è senza alcun beneficio, o che la l’imitazione non porta l’impronta né la forma di ciò che imita, sicché ciascuna è presente nell’altra, secondo il divino Dionisio. [21] Cosa potrebbe esserci di più benefico o di più efficace nel sollevarci attraverso l’anagogia di questo? Questo perché l’icona è l’impressione di una visione che si è vista con i propri occhi, non dissimile dalla luce simile della luna – se posso usare un esempio familiare tratto dalla nostra esperienza – in relazione alla luce del sole. Perché se questo non è ciò che l’icona è, allora di che beneficio era per gli antichi la Tenda della Testimonianza, che era un’imitazione delle realtà celesti? [22] Infatti in esso erano contenuti, tra le altre cose, i cherubini gloriosi, che sovrastavano l’altare della propiziazione, cioè immagini realizzate con sembianze antropomorfe. Tutte queste cose avevano una funzione anagogica ed erano allegorie del culto nello spirito (cfr Gv 4,23). Ma secondo la vuota teoria di quest’uomo, anche la forma della croce non ci è assolutamente di alcun beneficio; non ci giova a nulla la forma della lancia, o la forma della spugna, perché sono tutte imitazioni (anche se non sono antropomorfe); e non giovano neppure le altre immagini sensibili, che – per parlare alla maniera di Dionisio – ci sono state tramandate e che anagogicamente ci elevano, per quanto ciò ci è possibile, alla contemplazione delle realtà intelligibili.

Dopo viene l’immaginazione (phantasia), che è una delle cinque potenze dell’anima. [23] L’immaginazione stessa può essere considerata una sorta di immagine, poiché entrambe sono somiglianze. [24] Ne consegue dunque che l’immagine non è priva di utilità, poiché è come la potenza dell’immaginazione. E se la prima è senza beneficio, allora la seconda deve essere di beneficio ancora minore e non avrebbe senso averla come parte della nostra natura. E se fosse senza beneficio, sarebbe parimenti senza beneficio tutto ciò che gli corrisponde, intendo la facoltà del sentimento, dell’opinione, del pensiero logico e dell’intelletto. Così, un’indagine razionale della natura mostra, per induzione, che la persona che denigra l’immagine, cioè l’immaginazione, è essa stessa priva di intelletto. Ma ammiro il potere dell’immaginazione per un motivo diverso. Alcuni raccontano che una donna, la quale, al momento del concepimento, immaginò un etiope, successivamente diede alla luce un etiope. [25] Così avvenne al patriarca Giacobbe, quando tolse strisce di corteccia dai rami, affinché le pecore che nascevano dal gregge prendessero le loro macchie e strisce bianche per l’impressione visiva che ne derivava. (Gen 30,38), e – oh, che meraviglia! – ciò che era immaginato nella mente produceva risultati reali e visibili. [26]

Ma torniamo al punto, cioè alla sua affermazione: “Coloro che propongono tali forme ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale contemplazione spirituale sono innalzati dal loro ricordo”. E chi, si potrebbe chiedere a quest’uomo noioso e faticoso, dopo aver osservato con attenzione e chiarezza le raffigurazioni di varie forme, è in grado di allontanarsene senza che il suo intelletto sia pieno da ogni parte della loro somiglianza e impronta? Se le immagini sono ammirevoli, allora le impressioni saranno ottime, ma se sono vergognose, lo saranno anche le riflessioni, e così accade spesso che, anche quando non usciamo di casa, siamo mossi a compunzione da una o subiamo una caduta a causa dell’altra. E non è forse vero che le immagini viste di notte nei sogni possono farci sentire felici o tristi? E se questo è vero nei sogni, quanto più lo è nel caso delle immagini – belle o brutte – viste da svegli? E questo bravissimo ometto non ha mai letto che per mezzo di “copie” e di “ombre” gli uomini dell’Antico Testamento adoravano le realtà celesti? E cosa erano quelle cose se non immagini? E non era attraverso queste immagini che essi venivano condotti alla contemplazione delle realtà celesti? E, per parlare alla maniera di Davide, «l’uomo che segue i suoi malvagi disegni». (Sal 37,7)? E non sei tu stesso, o iconoclasta, un’immagine di Dio? Non sei nato secondo la somiglianza paterna? Non puoi essere raffigurato su una tavola di legno? Oppure solo tu non puoi essere raffigurato, come se non fossi un essere umano ma una sorta di mostro, ed è per questo che pensi la stessa cosa dei santi?

Ma affinché il mio discorso possa trovare ulteriore conferma, e non semplicemente dogmatizzarsi sulla base delle nostre stesse argomentazioni, permettetemi ora di portare avanti quei fari luminosi dell’oikoumene , che risponderanno essi stessi alle vostre domande.

Gregorio di Nissa: “Molte volte ho visto dipinta un’icona della sofferenza (cioè quella di Isacco in Gen 22,9) e non mi sono allontanato dalla sua visione senza versare lacrime, perché l’arte mi ha chiaramente riportato alla vista l’evento storico .” [27]

Giovanni Crisostomo: “Amo anche l’immagine di cera, perché è piena di pietà. Perché ho visto un angelo in un’icona che sconfiggeva schiere di barbari. Ho visto orde di barbari calpestate e ho visto Davide dichiarare con verità: «Signore, tu cancellerai la loro immagine dalla città» (Sal 72,20)». [28]

Cirillo d’Alessandria: “In un dipinto su un muro, ho visto una giovane fanciulla martire, e mi sono commosso fino alle lacrime.” [29]

Gregorio il Teologo: “Quando una cortigiana vide Polemone [30] affacciarsi da un’immagine, subito si allontanò, sconvolta dalla vista (era infatti un’immagine veneranda) e rimase svergognata dal ritratto come se fosse vivo .” [31]

Basilio Magno: “Alzatevi, o eminenti pittori di imprese di combattimento, e glorificate con la vostra abilità l’immagine del generale a cui non ho reso giustizia. Illumina l’incoronato con i colori della tua saggezza, perché l’ho raffigurato troppo debolmente con le mie parole. Possa io andarmene sconfitto dalla tua descrizione delle imprese del martire. Possa io gioire di essere stato sconfitto oggi da questa vittoria del tuo talento superiore. Possa io vedere la lotta della sua mano con il fuoco da te descritta in modo più accurato; potrei vedere il lottatore raffigurato nella tua immagine in modo più luminoso. Piangano ancora una volta i demoni, colpiti dalla prodezza del martire che tu hai reso visibile. Possa la mano, bruciata ma vittoriosa, essere nuovamente mostrata davanti a loro”. [32]

Vedi come quello aggiunge l’immagine dipinta al testo scritto, e come l’esperienza visiva del primo è così grande da far gemere i demoni? Vedi come l’altro chiama un’icona “venerabile”, così che avesse la capacità di portare una cortigiana alla castità? O come mai l’altro non se ne sia andato senza lacrime agli occhi dopo aver visto l’immagine dipinta di un martire che subisce il martirio? O ancora, come un altro dice che l’immagine di cera è amata, poiché in essa ha visto l’archetipo? Oppure colui che li segue, come non ha potuto trattenersi dal piangere alla vista dell’immagine, come se avesse visto l’evento reale? Vedi tutti i vantaggi? Considera per un momento tutti i vantaggi. E poiché ti chiedi quale sia il vantaggio, non ascoltare ciò che dice questo o quell’individuo di poca o nessuna importanza, ma coloro che hanno parlato nello spirito di Dio e la cui voce tuonava attraverso la terra, e vieni alla giusta conclusione, brillante dogmatico! Tu cioè che hai detto: “È evidente che questi artifici sono inutili e che si tratta di un’invenzione di un inganno diabolico”. A queste parole è tempo di gridare con forza: «Stupitene, cieli» (Ger 2,12), che le sacre dottrine dei Padri teologi siano state calunniate come “inutili artifici” e “ingannevoli invenzioni del diavolo”. Ma non è così, o più grande degli ingannatori, anzi tutta la tua appariscente eloquenza si è rivolta contro di te.

Poiché siamo ormai giunti alla fine del nostro argomento, c’è una cosa, fratello, che desidero che tu sappia: qualunque passaggio o testo di prova portato dagli iconoclasti è chiaramente tratto dagli scritti degli eretici (perché la verità non cresce insieme alle falsità, come la zizzania col grano). E se citano passaggi dei Santi Padri, invariabilmente li distorcono e li interpretano male secondo il loro modo di pensare ottenebrato; mentre quei passaggi che identificano l’icona di Cristo con gli idoli dei pagani sono del tutto bizzarri ed estranei alla fede. Non bisogna mai accettare acriticamente ciò che dicono, né entrare in dialogo con gli eretici, cosa contraria al consiglio apostolico. Per quanto riguarda ciò che ci aspetta, possa tu trovare la salvezza, mio caro figlio, e prega affinché anch’io possa essere salvato.


NOTE:

[1] Sull’esilio di Teodoro, vedi lettera 48.

[2] Per il testo della lettera si veda George Fatouros, Theodori Studitae Epistulae , vol. 1 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, Serie Berolinensis 31) (Berlino: De Gruyter, 1991), 511-19.

[3] Giovanni il Grammatico fu l’ultimo patriarca iconoclasta di Costantinopoli (21 gennaio 837 – 4 marzo 843); la sua cultura teologica e il suo potere politico lo resero un avversario formidabile e pericoloso. Sebbene questa lettera sia indirizzata a Naucrazio, è principalmente una risposta alle argomentazioni iconoclaste del patriarca (e quindi Teodoro ammette che la sua “lettera” va oltre la forma propria dell’epistolografia).

[4] Cioè Asterio di Amasea (350-410), vescovo ariano della Cappadocia e autore di sedici omelie sopravvissute (Fozio conosceva altre sue opere). Qui uno dei manoscritti aggiunge a margine il seguente commento: “Va notato che si tratta dello stesso Asterios che fu anatemizzato da san Sofronio di Gerusalemme nelle sue lettere sinodali, così come da un altro Padre, che lo trovò della stessa mente di Apollinario ed Eutiche”.

[5] Cioè Epifanio di Salamina (310-403). Gli iconoclasti invocavano l’autorità di Epifanio, sebbene i passaggi da loro citati fossero interpolazioni o di dubbia autenticità; vedere Kenneth Parry, Depicting the Word: Byzantine Iconophile Thought of the Eighth and Ninth Centuries (Leiden: Brill, 1996), 148-51.

[6] Cioè Teodoto di Ancira, sul quale vedi sotto.

[7] Asterios di Amasea, Omelia sul ricco e Lazzaro 4 (a cura di C. Datema, Asterius di Amasea, Omelie I-XIV [Leiden: Brill, 1970], 10-13); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio; trans. Richard Price, Gli Atti del Secondo Concilio di Nicea (787) (Testi tradotti per gli storici 68) (Liverpool: Liverpool University Press, 2018), 505.

[8] Nel Vangelo di Giovanni la “gloria” di Cristo è direttamente associata alla sua crocifissione.

[9] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489B).

[10] Gregorio il Teologo, Orazione 30,14: «Egli, anche adesso, come uomo, intercede per la mia salvezza, perché continua a esistere con il corpo che ha assunto, anche se non è più conosciuto secondo la carne, per la quale io significo le passioni carnali” (SC 250:256); e id., Orazione 40,45: «Verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti, non più secondo la carne, ma nemmeno senza il corpo, per ragioni a lui note, ma in un corpo più divino, affinché possa essere visto da coloro che lo trafissero (Gv 19,37; Zac 12,10)» (SC 358,306).

[11] Qui alcuni manoscritti contengono a margine il seguente scolione: “Notare che gli insegnamenti di Valentino e Isidoro si trovano sotto il nome di Epifanio nel capitolo 42 del suo Contro le eresie [PG 41:544 ss.], e che questi due, insieme a Carpocrate, furono anatematizzati da San Sofronio”.

[12] Epifanio, frammento 21 (a cura di K. Holl, Gesammelte Aufsätze zur Kirchengeschichte, II [Tübingen: JCB Mohr (P. Siebeck), 1928; ripr. Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1964]), 360.

[13] Epifanio, frammento. 22 (Holl 361).

[14] Alcuni manoscritti riportano a margine il seguente scolion: “Va notato che questo è uno dei quattro uomini chiamati Teodoto anatematizzati da san Sofronio, anche se solo tre furono menzionati per nome, l’altro implicitamente, e che era condannato anche da un altro Padre, che, come ho letto, lo nominò Teodoto di Ancyra.

[15] Teodoto di Ancira, passaggio citato nella Sesta Sessione del Settimo Concilio (trad. Price 509), e non noto da nessun’altra fonte. Anche Niceforo discute l’autenticità di questo frammento nella sua Refutatio (93), scritta ca. 820-30.

[16] Basilio di Cesarea, Omelia sui Quaranta Martiri 2 (PG 31:509A).

[17] Gregorio il teologo, orazione 30.20: αὕτη γὰρ εἰκόνος φύσις, μίμημα εἶναι τοῦ ἀρχετύπου (SC 268: 23-25).

[18] Dionigi l’Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica IV.3: “Come nel caso delle immagini sensibili, se l’artista guarda senza distrazione la forma archetipica… egli, se si può dire così, duplicherà (εἰ θέμις εἰπεἶν, διπλασιάσει) la stessa persona (αὐτὸν ἐκεῖνον) raffigurata, [e mostrerà la realtà nella somiglianza, e l’archetipo nell’immagine,] e ciascuno essendo presente in ciascuno, salvo la differenza nella sostanza ( ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ παρὰ τὸ τῆς οὐσίας διάφορον). Così, ai copisti che amano il bello nella loro mente, la contemplazione della bellezza nascosta conferirà l’apparenza infallibile e quasi divina (θειοειδέστατον ἴνδαλμα)” (a cura di Günter Heil e Adolf Martin Ritter, Corpus Dionysiacum II [Berlino: De Gruyter, 1992] , 96, 5-11). Il passaggio tra parentesi sembra essere un’interpolazione successiva, sebbene esistente in molti dei primi manoscritti del corpus Dionysiacum. Sulla frase ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ, vedi Aristotele, Top. 150a28; Damascio, Parm. 211, 21; e Teodoro, lettere 57, 20; 476, 24; 524, 38, 48; 528, 48-50; 532, 110.

[19] Teodoro ha ἀναβαίνει mentre Basilio ha διαβαίνει, sebbene la differenza sia trascurabile.

[20] Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo 18,45 (PG 32,149C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 312-13; e 518).

[21] Dionisio, EH 4.3 (come sopra).

[22] Vedi Esodo 25:20.

[23] La difesa della phantasia da parte di Teodoro, che è spesso citata come elemento standard nella teologia iconofila, è in realtà un’opinione minoritaria (anche nel contesto della stessa teologia di Teodoro); Niceforo, ad esempio, non ha praticamente nulla di positivo da dire sull’immaginazione, a lungo denigrata dai filosofi greci. Teodoro probabilmente invocò la categoria perché vide che vi si alludeva implicitamente nella citazione di Teodoto (che parla anche di epinoia). Si noti che la discussione di Teodoro riguarda principalmente l’eccitazione delle passioni attraverso l’immaginazione. Sull’uso da parte della Scrittura di un linguaggio appassionato per descrivere l’attività di Dio e di vari individui, vedere Massimo il Confessore, Risposte a Thalassios, Qu. 1.4 (Constas 2018, 96).

[24] ἰνδάλματα, che significa anche forma o apparenza, ed è spesso usato per descrivere immagini mentali.

[25] L’enfasi qui è sulla trasmissione del colore e non della nazionalità. Eliodoro di Emesa, Aethiopica IX.14, 7 (un romanzo scritto nel III o forse IV secolo d.C.) , racconta la storia di una donna il cui bambino portava le sembianze di un dipinto che lei fissava durante il rapporto; la storia è centrale nella narrazione poiché rivela le vere origini dell’eroina.

[26] Cfr. Aglae Pizzone, “Teodoro e l’uomo nero: immaginare (attraverso) l’icona a Bisanzio”, in Knotenpunkt Byzanz , ed. A Speer e P. Steinkruger (Miscellanea Mediaevalia 36) (Berlino: De Gruyter, 2012), 47-70.

[27] Gregorio di Nissa, Della divinità del Figlio e dello Spirito Santo (PG 46:572C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 265-66; e 518).

[28] Giovanni Crisostomo (= Severiano di Gabala), Omelia sul Legislatore 6 (PG 56:407); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 502).

[29] Questa citazione non si trova tra le opere esistenti di san Cirillo, ma è citata da altri autori iconofili, ad esempio, Nikephoros di Costantinopoli, Adversus Epiphanidem 17 (ed. JB Pitra, Spicilegium Solesmense , vol. 4 [Paris: Didot , 1858], 351).

[30] Da non confondere con l’omonimo padre del deserto, Polemone era il capo dell’Accademia platonica nel IV secolo a.C. Era noto per la sua dissolutezza ma si pentì e abbracciò una vita di castità.

[31] Gregorio il Teologo, Carmina 1.2.10 (PG 37:489A); citato da Giovanni Damasceno, Immagini III.109 (a cura di Boniface Kotter, Die Schriften Johannes von Damaskos III [Berlino: De Gruyter, 1975], 189-90); la Quarta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 268-69); e Nikephoros, Antirrheticus III.17 (PG 100:401AB). Il testo è disponibile in edizione critica a cura di Carmelo Crimi, Gregorio Nazianzeno, Sulla Virtù: Carme giambico [I,2,10] (Pisa: Edizioni ETS, 1995), 170-72.

[32] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489AB). Il sermone di San Basilio continua: “Sia raffigurato sulla tavola anche il giudice della gara, cioè Cristo, al quale è la gloria nei secoli dei secoli”.




1994: Lettera al Patriarca Ecumenico Bartolomeo dalla Sacra Comunità del Monte Athos sulla dichiarazione di Balamand

Nel 1993 si tenne un incontro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali a Balamand (Libano), dove fu redatta una dichiarazione sull’uniatismo. Uno dei tasselli del movimento ecumenico, la paneresia come la definì il teologo ortodosso e Santo Justin Popovitch.

La Dichiarazione di Balamand fu ampiamente contestata tra gli ortodossi. La seguente lettera al Patriarca Ecumenico Bartolomeo è stata scritto dalla Sacra Comunità del Monte Athos. Apparve originariamente in greco in Orthodoxos Typos, il 18 marzo, 1994, e fu tradotta in russo, serbo e inglese. La riproponiamo in una nostra traduzione in italiano.

8 dicembre 1993

[…]

Santissimo Padre e Maestro:

L’unione delle Chiese o, per essere precisi, l’unione degli eterodossi con la nostra Chiesa Ortodossa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica è auspicabile anche per noi affinché si compia la preghiera del Signore… affinché siano una cosa sola (Giovanni 17,21). In ogni caso la comprendiamo e attendiamo secondo l’interpretazione ortodossa. Come ci ricorda il professor John Romanides, “Cristo prega qui affinché i suoi discepoli e i loro discepoli possano, in questa vita, diventare una cosa sola nella visione della sua gloria (che Egli ha per natura dal Padre) quando diventeranno membri del suo Corpo, la Chiesa…” [1]

Per questo motivo, ogni volta che ci visitano cristiani eterodossi, ai quali offriamo amore e ospitalità in Cristo, siamo dolorosamente consapevoli che ci separiamo nella fede e, per questo, non possiamo avere la comunione ecclesiastica.

Lo scisma, la divisione tra ortodossi e non calcedoniani prima e tra ortodossi e occidentali poi, costituisce davvero una tragedia di fronte alla quale non dobbiamo tacere o compiacerci.

In questo contesto, quindi, apprezziamo gli sforzi compiuti con timore di Dio e in conformità con la Tradizione ortodossa che guardano ad un’unione che non può realizzarsi attraverso il silenzio o la minimizzazione delle dottrine ortodosse, o attraverso la tolleranza delle false dottrine degli eterodossi, perché non sarebbe un’unione nella Verità. E alla fine questo non sarebbe accettato dalla Chiesa né benedetto da Dio, perché, secondo il detto patristico, “Una cosa buona non è buona se non è realizzata in modo buono”.

Al contrario, porterebbe nuovi scismi e nuove divisioni e miserie nel corpo già [dis]unito[2] dell’Ortodossia. A questo punto vorremmo dire che di fronte ai grandi cambiamenti in atto nelle terre di presenza ortodossa, e di fronte a tante condizioni di instabilità su scala mondiale, l’Una, Santa, Cattolica e Apostolica, in in altre parole, la Chiesa Ortodossa avrebbe dovuto rafforzare la coesione delle Chiese locali e dedicarsi alla cura dei suoi membri colpiti dal terrore e alla loro stabilizzazione spirituale, da un lato e nella sua coscienza [come Chiesa Una Santa], dall’altro, avrebbe dovuto suonare la tromba del suo potere e della sua Grazia redentrice unici e manifestarli davanti all’umanità caduta.

In questo spirito, nella misura in cui il nostro ufficio monastico ce lo consente, seguiamo da vicino gli sviluppi del cosiddetto movimento e dialogo ecumenico. Notiamo che a volte la parola della Verità viene giustamente tenuta divisa e, a volte, si fanno compromessi e concessioni su questioni fondamentali della Fede.

I

Pertanto, le azioni e le dichiarazioni dei rappresentanti delle Chiese Ortodosse, inaudite fino ad oggi e del tutto contrarie alla nostra santa fede, ci hanno causato un profondo dolore.

Citeremo innanzitutto il caso di Sua Beatitudine [Parthenios], il Patriarca di Alessandria, il quale, in almeno due occasioni, ha affermato che noi cristiani dovremmo riconoscere Maometto come profeta. Fino ad oggi, tuttavia, nessuno gli ha chiesto di dimettersi, e questo Patriarca terribilmente incurante continua a presiedere la Chiesa di Alessandria come se non ci fosse nulla di sbagliato.

In secondo luogo, citiamo il caso del Patriarcato di Antiochia, che, senza una decisione pan-ortodossa, ha proceduto alla comunione ecclesiastica con i non calcedoniani [monofisiti]. Ciò è stato compiuto nonostante il fatto che un problema molto serio non sia stato ancora risolto. È proprio la non accettazione da parte di quest’ultimi dei Concili ecumenici successivi al Terzo e, in particolare, il Quarto, il Concilio di Calcedonia, che costituisce di fatto una base inamovibile dell’Ortodossia. Purtroppo anche in questo caso non abbiamo assistito ad una sola protesta da parte delle altre Chiese ortodosse.

La questione più grave, tuttavia, è il cambiamento inaccettabile nella posizione degli ortodossi che emerge dalla dichiarazione congiunta della commissione mista per il dialogo tra cattolici romani e ortodossi alla Conferenza di Balamand del giugno 1993. Hanno adottato posizioni antiortodosse, ed è soprattutto su questo che richiamiamo l’attenzione di Vostra Santità.

In primo luogo, dobbiamo confessare che le dichiarazioni che Vostra Santità ha fatto di tanto in tanto, secondo cui il movimento Uniate è un ostacolo insormontabile alla continuazione del dialogo tra ortodossi e cattolici romani, ci hanno finora tranquillizzato.

Ma il suddetto documento [di Balamand] dà l’impressione che le sue affermazioni vengano eluse. Inoltre, l’Unia riceve l’amnistia ed è invitata al tavolo del dialogo teologico nonostante la decisione contraria della Terza Conferenza Panortodossa di Rodi che richiedeva: “il ritiro completo dalle terre ortodosse da parte degli agenti e propagandisti uniati del Vaticano; l’incorporazione delle cosiddette Chiese uniate e la loro sottomissione sotto la Chiesa di Roma prima dell’inaugurazione del dialogo, perché Unia e dialogo allo stesso tempo sono inconciliabili”.

II

Santità, lo scandalo più grande, però, è causato dalle posizioni ecclesiologiche contenute nel documento. Ci riferiremo qui solo alle deviazioni fondamentali.

Al paragrafo 10 leggiamo:

La Chiesa cattolica… (che ha svolto un’opera missionaria contro gli ortodossi e) si è presentata come l’unica alla quale è stata affidata la salvezza. Per reazione, la Chiesa ortodossa, a sua volta, arrivò ad accettare la stessa visione secondo la quale solo in essa si poteva trovare la salvezza. Per assicurare la salvezza dei «fratelli separati» avvenne addirittura che i cristiani venissero ribattezzati e che alcune esigenze della libertà religiosa delle persone e del loro atto di fede fossero dimenticate. Questa prospettiva era quella verso la quale quel periodo mostrò poca sensibilità.

Come ortodossi, non possiamo accettare questo punto di vista. Non è stato per reazione contro l’Unia che la nostra Santa Chiesa Ortodossa ha cominciato a credere di possedere esclusivamente la salvezza, ma lo ha creduto prima che esistesse l’Unia, fin dai tempi dello Scisma, avvenuto per ragioni dogmatiche. La Chiesa Ortodossa non ha atteso la venuta dell’Unia per acquisire la coscienza di essere la continuazione incontaminata della Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica, perché ha sempre avuto questa autocoscienza, così come ha avuto la consapevolezza che il Papato era in eresia. Se non usò frequentemente il termine eresia, fu perché, secondo san Marco di Efeso, “I latini non sono solo scismatici, ma anche eretici. Tuttavia, la Chiesa ha taciuto su questo perché la loro razza è grande e più potente della nostra… e noi abbiamo voluto non cadere nel trionfalismo sui latini come eretici, ma accettare il loro ritorno e coltivare la fratellanza”.

Ma quando gli uniati e gli agenti di Roma furono scatenati contro di noi in Oriente per fare proselitismo tra gli ortodossi sofferenti con mezzi per lo più illegali, come fanno anche oggi, l’Ortodossia fu costretta a dichiarare quella verità, non a fini di proselitismo ma per proteggere il gregge.

San Fozio definisce ripetutamente il Filioque come un’eresia e i suoi credenti come cacodossi [credenti errati].

San Gregorio Palamas dice dell’occidentale Barlaam, che quando arrivò all’Ortodossia, “non accettò l’acqua santificante della nostra Chiesa… per cancellare le [sue] macchie dall’Occidente”. San Gregorio lo considera ovviamente un eretico bisognoso della grazia santificante per entrare nella Chiesa Ortodossa.

L’affermazione contenuta nel paragrafo in questione scarica ingiustamente la responsabilità sulla Chiesa ortodossa per alleggerire quella dei papisti. Quando gli ortodossi hanno calpestato la libertà religiosa degli uniati e dei cattolici romani battezzandoli contro la loro volontà? E se ci sono state delle eccezioni, gli ortodossi che hanno firmato il documento di Balamand dimenticano che coloro che sono stati ribattezzati contro la loro volontà erano discendenti degli ortodossi resi uniati con la forza, come è avvenuto in Polonia, Ucraina e Moldavia. (Vedi paragrafo 11)

Al paragrafo 13 leggiamo:

Infatti, soprattutto a partire dall’inizio delle Conferenze panortodosse e dal Concilio Vaticano II, la riscoperta e la valorizzazione della Chiesa come comunione, sia da parte degli ortodossi che dei cattolici, ha cambiato radicalmente prospettive e quindi atteggiamenti. Da entrambe le parti si riconosce che ciò che Cristo ha affidato alla sua Chiesa — professione di fede apostolica, partecipazione agli stessi sacramenti, soprattutto l’unico sacerdozio celebrante l’unico sacrificio di Cristo, la successione apostolica dei vescovi — non può essere proprietà esclusiva di una delle nostre Chiese. In questo contesto è chiaro che ogni forma di ribattesimo va evitata.

La nuova scoperta della Chiesa come comunione da parte dei cattolici romani ha, ovviamente, un certo significato per loro che non avevano via d’uscita dal dilemma della loro ecclesiologia totalitaria e, quindi, hanno dovuto rivolgere il loro sistema di pensiero al carattere comunitario della Chiesa. Così, accanto ad un estremo del totalitarismo, essi pongono l’altro della collegialità, sempre motivata sullo stesso piano antropocentrico. La Chiesa ortodossa, però, ha sempre avuto la coscienza di non essere una semplice comunione, ma una comunione teantropica o una «comunione di theosis [divinizzazione]», come dice san Gregorio Palamas nella sua omelia sulla processione dello Spirito Santo. Inoltre, la comunione della theosis non solo è sconosciuta, ma è anche inconciliabile con la teologia cattolica romana, che rifiuta [la dottrina delle] energie increate di Dio che formano e sostengono questa comunione.

Date queste verità, è con la più profonda tristezza che abbiamo confermato che questo paragrafo [13] rende la Chiesa Ortodossa uguale alla Chiesa cattolica romana che dimora nella cacodossia [credenza sbagliata].

Gravi differenze teologiche, come il Filioque, il primato e l’infallibilità papale, la grazia creata, ecc., ricevono l’amnistia e si sta forgiando un’unione senza accordo dogmatico.

Si verificano così le premonizioni che l’unione disegnata dal Vaticano, nella quale, come diceva san Marco di Efeso, “i volenterosi vengono involontariamente manipolati” (cioè gli ortodossi, che vivono oggi anche in circostanze ostili etnicamente e politicamente e sono prigioniera di nazioni di altre religioni), viene spinta a svolgersi senza accordo riguardo alle differenze dottrinali. Il progetto è che l’unione avvenga, nonostante le differenze, attraverso il riconoscimento reciproco dei Misteri e della successione apostolica di ciascuna Chiesa, e l’applicazione dell’intercomunione, limitata all’inizio e più ampia poi. Dopo di ciò, le differenze dottrinali possono essere discusse solo come opinioni teologiche.

Ma una volta avvenuta l’unione, che senso ha discutere di differenze teologiche? Roma sa che gli ortodossi non accetteranno mai i suoi insegnamenti estranei. L’esperienza lo ha dimostrato nei vari tentativi di unione fino ad oggi. Pertanto, nonostante le differenze, Roma sta costruendo un’unione e spera, da un punto di vista umanistico (come è sempre la sua prospettiva), che, come fattore più potente, col tempo assorbirà quello più debole, cioè l’Ortodossia. Padre John Romanides lo aveva presagito nel suo articolo “Il movimento uniate e l’ecumenismo popolare”, pubblicato su The Orthodox Witness, febbraio 1966.

Vorremmo porre queste domande agli ortodossi che hanno firmato questo documento:

Il Filioque, il primato e l’infallibilità [papale], il purgatorio, l’Immacolata Concezione e la grazia creata costituiscono una confessione apostolica? Nonostante tutto ciò, è possibile per noi ortodossi riconoscere come apostolica la fede e la confessione dei cattolici romani?

Queste gravi deviazioni teologiche di Roma costituiscono eresie oppure no?

Se lo sono, come sono stati descritti dai Concili e dai Padri ortodossi, non comportano l’invalidità dei Misteri e la successione apostolica di eterodossi e cacodossi di questo tipo?

È possibile che esista la pienezza della grazia dove non c’è la pienezza della verità?

È possibile distinguere il Cristo della Verità dal Cristo dei Misteri e dalla successione apostolica?

La successione apostolica è stata proposta innanzitutto dalla Chiesa come conferma storica della continua conservazione della sua verità. Ma quando la verità stessa viene distorta, che significato può avere una preservazione formulistica della successione apostolica? I grandi eresiarchi non avevano spesso questo tipo di successione esterna? Come è possibile che anch’essi siano considerati portatori di Grazia?

E come è possibile che due Chiese siano considerate “Chiese sorelle” non per la loro discendenza comune pre-scismatica, ma per la cosiddetta confessione comune, la grazia santificante e il sacerdozio nonostante le grandi differenze nei dogmi?

Chi tra gli ortodossi può accettare come vero successore degli Apostoli colui che è infallibile, colui che ha il primato di autorità per governare su tutta la Chiesa e per essere la guida religiosa e laica dello Stato Vaticano?

Non sarebbe questa una negazione della Fede e della Tradizione Apostolica?

Oppure i firmatari di questo documento non sono consapevoli del fatto che molti cattolici romani oggi gemono sotto i piedi del Papa (e del suo sistema ecclesiologico scolastico e centrato sull’uomo) e desiderano entrare nell’Ortodossia?

Come possono queste persone che sono tormentate spiritualmente e desiderano il santo Battesimo non essere accolte nell’Ortodossia perché si suppone che la stessa Grazia sia qui e là? Non dovremmo, a quel punto, rispettare la loro libertà religiosa, come richiede in un’altra circostanza la dichiarazione di Balamand, e concedere loro il battesimo ortodosso? Quale difesa presenteremo al Signore se neghiamo la pienezza della Grazia a coloro che, dopo anni di agonia e di ricerca personale, desiderano il santo Battesimo della nostra Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica?

Il paragrafo 14 del documento cita Papa Giovanni Paolo II: “L’impegno ecumenico delle Chiese sorelle d’Oriente e d’Occidente, fondato sul dialogo e sulla preghiera, è la ricerca della comunione perfetta e totale, che non è né assorbimento né fusione, ma incontro nella Verità e nella Amore.”

Ma come è possibile un’unione nella Verità quando le differenze nei dogmi vengono eluse ed entrambe le Chiese vengono descritte come sorelle nonostante le differenze?

La Verità della Chiesa è indivisibile perché è Cristo stesso. Ma quando ci sono differenze nei dogmi non può esserci unità in Cristo.

Da quello che sappiamo della storia della Chiesa, le Chiese erano chiamate Chiese sorelle quando avevano la stessa fede. La Chiesa ortodossa non è mai stata definita sorella di alcuna chiesa eterodossa, indipendentemente dal grado di eterodossia o cacodossia che manteneva.

Ci poniamo una domanda fondamentale: il sincretismo religioso e il minimalismo dottrinale – sottoprodotti della secolarizzazione e dell’umanesimo – hanno forse influenzato i firmatari ortodossi del documento?

È evidente che il documento adotta, forse per la prima volta da parte ortodossa, la posizione secondo cui due Chiese, quella ortodossa e quella cattolica romana, insieme costituiscono l’unica Santa Chiesa o sono due legittime espressioni di essa.

Sfortunatamente, è la prima volta che gli ortodossi accettano ufficialmente una forma della teoria dei rami.

Permetteteci di esprimere il nostro profondo dolore per questo in quanto questa teoria entra fino ad ora in stridente conflitto con la tradizione e la coscienza ortodossa.

Abbiamo molti testimoni della coscienza ortodossa che solo la nostra Chiesa costituisce l’Unica Santa Chiesa, e sono riconosciuti come autorità pan-ortodosse. Questi sono il:

1. Concilio di Costantinopoli, 1722;

2. Concilio di Costantinopoli, 1727;

3. Concilio di Costantinopoli, 1838;

4. Enciclica dei Quattro Patriarchi d’Oriente e loro sinodi. 1848;

5. Concilio di Costantinopoli, 1895.

Questi hanno decretato che solo la nostra Santa Chiesa Ortodossa costituisce l’Unica Santa Chiesa.

Il Concilio di Costantinopoli del 1895 riassume tutti i Concili precedenti:

L’Ortodossia, cioè la Chiesa d’Oriente, giustamente si vanta in Cristo di essere la Chiesa dei sette Concili ecumenici e dei primi nove secoli del cristianesimo e quindi di essere la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica, “colonna e baluardo della verità.”E l’attuale Chiesa Romana è la chiesa del modernismo e dell’adulterazione degli scritti dei Padri della Chiesa e della distorsione delle Sacre Scritture e dei decreti dei Santi Concili. Giustamente e a ragione è stato denunciato e viene denunciato finché persiste nel suo delirio. «Meglio una guerra lodevole», dice san Gregorio Nazianzeno, «che una pace separata da Dio».

I rappresentanti delle Chiese ortodosse hanno dichiarato le stesse cose alle conferenze del Consiglio ecumenico delle Chiese. Tra loro c’erano illustri teologi ortodossi, come padre George Florovsky. Così, alla Conferenza di Lund del 1952, si dichiarò:

Siamo venuti qui non per giudicare le altre Chiese, ma per aiutarle a vedere la verità, per illuminare il loro pensiero in modo fraterno, informandole sugli insegnamenti della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, cioè la Chiesa Greco-Ortodossa , che è inalterato rispetto al periodo apostolico.

A Evanston nel 1954:

In conclusione, siamo obbligati a dichiarare la nostra profonda convinzione che solo la Santa Chiesa Ortodossa ha preservato “la fede una volta trasmessa ai santi” in tutta la sua pienezza e purezza. E questo non per qualche nostro merito umano, ma perché Dio si compiace di custodire il suo tesoro in vasi di creta…

E a Nuova Delhi nel 1961:

L’unità è stata spezzata ed è necessario riconquistarla. Per l’Ortodossia la Chiesa Ortodossa non è una Confessione, non una delle tante o una tra le tante. Per gli ortodossi la Chiesa ortodossa è la Chiesa. La Chiesa ortodossa ha la percezione e la coscienza che la sua struttura interna e il suo insegnamento coincidono con il kerygma apostolico e con la tradizione della Chiesa antica e indivisa. La Chiesa ortodossa esiste nella successione ininterrotta e continua del ministero sacramentale, della vita sacramentale e della fede. La successione apostolica dell’ufficio episcopale e del ministero sacramentale, per gli ortodossi, è veramente una componente essenziale e, per questo, un elemento necessario dell’esistenza di tutta la Chiesa. Secondo la sua convinzione interiore e la consapevolezza delle circostanze, la Chiesa Ortodossa occupa una posizione speciale e straordinaria nella cristianità divisa come portatrice e testimone della tradizione dell’antica Chiesa indivisa, da cui provengono le attuali denominazioni cristiane attraverso riduzione e separazione.

Potremmo qui riportare anche le testimonianze dei più illustri e riconosciuti teologi ortodossi. Ci limiteremo a uno, il defunto padre Dumitru Stăniloae, un teologo distinto non solo per la sua saggezza ma per l’ampiezza e la mentalità ortodossa della prospettiva ecumenica.

In molti punti del suo notevole libro, Verso un ecumenismo ortodosso, fa riferimento a temi rilevanti per la dichiarazione congiunta [di cui si discute qui] e rende testimonianza ortodossa. Attraverso di esso, quindi, si mostrerà il disaccordo tra le posizioni assunte nel documento e la fede ortodossa:

“Senza unità di fede e senza comunione nello stesso Corpo e Sangue del Verbo Incarnato, non potrebbe esistere una tale Chiesa, né potrebbe esistere una Chiesa nel senso pieno della parola”.

“Nel caso di chi entra nella piena comunione di fede con i membri della Chiesa Ortodossa e ne diventa membro, si intende per economia [dispensazione] dare validità a un Mistero precedentemente compiuto fuori della Chiesa”.

“Dal punto di vista cattolico romano, la Chiesa non è tanto un organismo spirituale guidato da Cristo quanto piuttosto un’organizzazione nomocanonica che, anche nelle migliori circostanze, vive non a livello divino ma soprannaturale [3] grazia creata.”

«Nella conservazione di questa unità, un ruolo indispensabile è svolto dall’unità della fede, perché questa lega integralmente le membra a Cristo e tra loro».

“Coloro che non confessano Cristo tutto e integro, ma solo alcune parti di Lui, non possono raggiungere una comunione completa né con la Chiesa né tra loro”.

“Come è possibile che i cattolici si uniscano agli ortodossi in una comune eucaristia quando credono che l’unità deriva più dal Papa che dalla Santa Eucaristia? Può scaturire dal Papa l’amore per il mondo, cioè l’amore che scaturisce dal Cristo della Santa Eucaristia?”

“C’è un crescente riconoscimento del fatto che l’Ortodossia, come corpo completo di Cristo, si protende in modo concreto per accogliere le parti che erano separate”.

È evidente che non possono esistere due corpi completi di Cristo.

III

Santità, c’è da chiedersi perché gli ortodossi procedono a fare queste concessioni mentre i cattolici romani non solo persistono ma rafforzano la loro ecclesiologia incentrata sul Papa.

È un dato di fatto che il Concilio Vaticano II [1963] non solo ha trascurato di minimizzare il primato e l’infallibilità [del Papa], ma li ha anzi amplificati. Secondo il defunto professor John Karmiris, “Nonostante il fatto che il Concilio Vaticano II abbia coperto le familiari affermazioni latine sul dominio monarchico assoluto del Papato con il manto della collegialità dei vescovi, non solo tali affermazioni non sono state diminuite; al contrario, sono state rafforzate da questo Concilio. L’attuale Papa [Giovanni XXIII] non esita a promuoverli, anche in tempi inopportuni, con molta enfasi».

E l’Enciclica del Papa, “Ai Vescovi della Chiesa Cattolica” (28 maggio 1992), riconosce solo Roma come chiesa “cattolica” e il Papa come unico vescovo “cattolico”. La Chiesa di Roma e il suo vescovo costituiscono l'”essenza” di tutte le altre Chiese. Inoltre, ogni Chiesa locale e il suo vescovo costituiscono semplicemente espressione della “presenza” e dell’“autorità” diretta del vescovo di Roma e della sua Chiesa, che determina dall’interno l’identità ecclesiale di ogni Chiesa locale.

Secondo questo documento papale, poiché le Chiese ortodosse rifiutano di sottomettersi al Papa, non portano affatto il carattere della Chiesa e sono semplicemente viste come “Chiese parziali”. “Verdienen der titer teilkirchen.”

La stessa ecclesiologia è espressa nella Guida Ecumenica (“una guida per l’applicazione dei principi e dell’agenda riguardanti l’ecumenismo”) della Chiesa Cattolica Romana, presentata dal cardinale Cassidy all’incontro dei vescovi cattolici romani (10-15 maggio 1993, un mese prima di Balamand), alla presenza di non cattolici e addirittura ortodossi.

La Guida ecumenica sottolinea che i cattolici romani «mantengono la ferma convinzione che la Chiesa singolare di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, la quale è retta dal successore di Pietro e da vescovi con lui in comunione», in quanto il «Collegio dei Vescovi ha come capo il Vescovo di Roma, successore di Pietro».

Nello stesso documento, si dicono molte cose belle sulla necessità di sviluppare un dialogo ecumenico e un’educazione ecumenica – ovviamente per confondere le acque e allontanare gli ingenui ortodossi con quell’efficace metodo di unità ideato dal Vaticano, cioè di sottomissione a Roma.

Il metodo, secondo La Guida Ecumenica, è il seguente:

I criteri stabiliti per la collaborazione ecumenica sono, da un lato, il riconoscimento reciproco del battesimo e la collocazione dei simboli comuni della fede nella vita liturgica empirica; e, dall’altro, la collaborazione nell’educazione ecumenica, nella preghiera comune e nella cooperazione pastorale affinché si possa passare dal conflitto alla convivenza, dalla convivenza alla collaborazione, dalla collaborazione alla condivisione, dalla condivisione alla comunione.

Tali documenti, tuttavia, pieni di ipocrisia, sono generalmente accolti come positivi dagli ortodossi.

Siamo rattristati nel constatare che la dichiarazione congiunta si fonda sul suddetto ragionamento cattolico romano. A causa di questi recenti sviluppi in tali termini, tuttavia, cominciamo a chiederci se coloro che sostengono che i vari dialoghi siano dannosi per l’Ortodossia non siano dopo tutto giustificati.

Santissimo Padre e Despota, in termini umani, per mezzo di quella dichiarazione congiunta i cattolici romani sono riusciti a ottenere un certo riconoscimento ortodosso come legittima continuazione dell’Unica Santa Chiesa con la pienezza della Verità, della Grazia, del Sacerdozio, dei Misteri e della Successione Apostolica .

Ma questo successo va a loro discapito perché toglie loro la possibilità di riconoscere e pentirsi della loro grave ecclesiologia e malattia dottrinale. Per questo motivo le concessioni degli ortodossi non sono filantropiche. Non sono per il bene né dei cattolici romani né degli ortodossi. Saltano dalla speranza del Vangelo (Col 1,23) di Cristo, unico Dio-Uomo, al Papa, uomo-Dio e idolo dell’umanesimo occidentale.

Per il bene dei cattolici romani e del mondo intero, la cui unica speranza è l’Ortodossia pura, siamo obbligati a non accettare mai l’unione o la descrizione della Chiesa cattolica romana come “Chiesa sorella”, o il Papa come vescovo canonico di Roma. , o la “Chiesa” di Roma come avente successione apostolica, sacerdozio e misteri canonici senza la loro rinuncia [da parte dei papisti] espressamente dichiarata al Filioque, all’infallibilità e al primato del Papa, alla grazia creata e al resto delle loro cacodossie. Perché non considereremo mai queste differenze senza importanza o semplici opinioni teologiche, ma come differenze che sviliscono irrevocabilmente il carattere teantropico della Chiesa e introducono blasfemie.

Sono tipiche le seguenti decisioni del Vaticano II:

Il Romano Pontefice, successore di Pietro, è fonte e fondamento permanente e visibile dell’unità dei vescovi e della moltitudine dei fedeli.

Questa sottomissione religiosa della volontà e della mente deve manifestarsi in modo speciale davanti all’autentico magistero del Romano Pontefice, anche quando questi non parla ex cathedra.

Il Romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi, in virtù del suo ufficio, possiede l’infallibilità quando, confermando i suoi fratelli (Lc 23,32) come pastore e sommo maestro di tutti i fedeli, dichiara un insegnamento mediante un atto di definizione riguardante la fede o la morale. Per questo giustamente si dice che i decreti del Papa sono di natura irreversibile e non soggetti a dispensa da parte della Chiesa, in quanto sono stati pronunciati con la collaborazione dello Spirito Santo… Di conseguenza, i decreti del Papa non sono soggetti a nessun’altra approvazione, a nessun altro appello, a nessun altro giudizio. Il Romano Pontefice, infatti, non esprime la sua opinione come privato, ma come il massimo maestro della Chiesa universale, sul quale poggia personalmente il dono dell’infallibilità della Chiesa stessa e che propone e custodisce l’insegnamento della fede cattolica.

Nell’esercizio della sua responsabilità di vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice ha nella Chiesa la più piena, alta e universale autorità, che gli è sempre conferito il potere di esercitare liberamente… Non può esistere un potere del Concilio Ecumenico se non sarà convalidato o almeno accolto dal successore di Pietro. La convocazione, la presidenza e l’approvazione delle decisioni dei Concili sono prerogativa del Romano Pontefice.

Tutti questi insegnamenti, Santità, non arrivano alle orecchie ortodosse come una bestemmia contro lo Spirito Santo e contro il Divino Costruttore della Chiesa, Gesù Cristo, l’unico Capo eterno e infallibile della Chiesa, dal quale solo scaturisce l’unità della Chiesa? Ciò non contraddice completamente l’ecclesiologia ortodossa centrata sul Vangelo e centrata sul Dio-Uomo, ispirata dallo Spirito Santo? Non subordinano forse l’Uomo-Dio all’uomo?

Come possiamo fare concessioni o coesistere con un tale spirito senza perdere la nostra fede e salvezza?

Rimanendo fedeli a tutto ciò che abbiamo ricevuto dai nostri Santi Padri, non accetteremo mai l’attuale “Chiesa” romana come co-rappresentante con la nostra della Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica.

Riteniamo necessario che tra le differenze teologiche si sottolinei la distinzione tra l’essenza e l’energia di Dio, e che le energie divine sono increate, perché se si crea la grazia, come sostengono i cattolici romani, viene annullata la salvezza e la theosis dell’uomo e la Chiesa cessa di essere una comunione di theosis e degenera in un’istituzione nomocanonica.

Profondamente addolorati nella nostra anima per tutto quanto sopra, ricorriamo a te, nostro Padre Spirituale. E con il più profondo rispetto, vi invitiamo e vi imploriamo, nella vostra caratteristica comprensione e sensibilità pastorale, di prendere in mano questa gravissima questione e di non accettare il documento [di Balamand], e in generale di intraprendere ogni azione possibile per evitare le indesiderabili conseguenze che avrebbe per l’unità pan-ortodossa se per caso alcune Chiese lo adottassero.

Inoltre, chiediamo le vostre preghiere sante e obbedienti a Dio affinché anche noi, umili abitanti e monaci della Sacra Montagna, in questo tempo di confusione spirituale, di compromesso, di secolarizzazione e di ottundimento della nostra acutezza dottrinale, possiamo rimanere fedeli fino alla morte a ciò che ci è stato trasmesso dai nostri Santi Padri come forma di dottrina (Rm 6,17), qualunque cosa possa costarci.

Con il più profondo rispetto veneriamo la tua santa mano destra.

Firmato da: Tutti i Rappresentanti e Presidenti dei Venti Sacri Monasteri del Sacro Monte Athos

PS. Si noti che questa lettera è stata inviata anche alle Chiese che hanno partecipato al dialogo teologico e sono, quindi, direttamente interessate, e alle restanti Chiese per tenerle informate.


Note finali

1. Per completare il pensiero dell’autore continuiamo qui il brano: «…che si sarebbe formato nella Pentecoste e i cui membri dovevano essere illuminati e glorificati in questa vita… Così intendono questa preghiera i Padri. Non è certamente una preghiera per l’unione delle chiese… che non hanno la minima comprensione della glorificazione (theosis) e di come arrivarvi in ​​questa vita.” Dalla confutazione dell’Accordo di Balamand da parte del celebre teologo ortodosso, p. John S. Romanides, Professore di Teologia, Scuola Teologica Ortodossa San Giovanni Damasceno (Antiochia), Balamand, Libano; Professore Emerito, Univ. di Salonicco, Grecia; ex professore di teologia ortodossa, scuola teologica greco-ortodossa della Santa Croce, Brookline, MA

2. Nel testo greco apparso in Orthodox Typos c’è un evidente errore tipografico e questa parola era semplicemente “unito”, sebbene il contesto della frase completa implichi chiaramente la parola “disunito”.

3. Nel contesto occidentale qui, il soprannaturale di cui l’uomo sperimenta o partecipa, come la grazia creata, si riferisce a qualcosa che non è increato: «Ciò che è ricevuto nella creatura deve essere esso stesso creato». Enciclopedia Cattolica, vol. 13, New York, 1967, pag. 815.

Il testo completo della Dichiarazione di Balamand dal titolo: L’UNIATISMO METODO DI UNIONE DEL PASSATO
E LA RICERCA ATTUALE DELLA PIENA COMUNIONE, Balamand (Libano) 23 giugno 1993




PASQUA: Tutte le creature di Dio, animali e uccelli, lodano il Signore!

Nei giorni pasquali la vita è piena di gioia, e anche le altre creature di Dio, animali e uccelli, lodano il Signore in questi giorni! Questa storia è avvenuta il 24 aprile 2020, durante la processione della croce, che si è svolta con la benedizione dell’arcivescovo Sophrony di Mogilev e Mstislavl della Chiesa ortodossa bielorussa.

Coloro che hanno partecipato alla processione della croce ricordano che ad un certo punto si è unito alla colonna un pellegrino insolito, una cicogna bianca. In Bielorussia fin dall’antichità le cicogne sono state considerate “uccelli della pace”. Il numero dei loro enormi nidi aumenta ogni anno e la gente del posto tratta con cura i “cittadini del cielo” deboli o feriti.

I partecipanti allo straordinario evento hanno ricordato con gioia il “pellegrino alato”. Mentre il corteo camminava tra i campi primaverili che si risvegliavano, da qualche parte apparve una cicogna. Facendo un cerchio sopra la processione della croce, cominciò a scendere, come se sbirciasse sull’icona Belynichi della Santissima Theotokos.

Dopodiché la cicogna scese e camminò avanti! “Cristo è risorto dai morti, calpestando la morte con la morte e donando la vita a coloro che sono nei sepolcri!” i pellegrini cantavano di gioia, mentre l’uccello alto e maestoso si pavoneggiava accanto a loro.

La meravigliosa cicogna camminò in processione insieme ai fedeli lungo il bordo della strada fino a Belynichi, per oltre sette miglia! Quando il “pellegrino alato” rimase leggermente indietro, perché i fedeli camminavano a passo regolare, volò fino al punto in cui venivano portati gli stendardi, e poi riprese a camminare!

I partecipanti al corteo della Croce erano preoccupati per la vita della cicogna quando l’uccello volò nella zona di traffico. L’auto della polizia stradale che ha accompagnato il corteo della Croce ha addirittura fermato più volte il traffico, in modo che le auto non travolgessero accidentalmente l'”adoratore alato”. Allora tutti lo pregarono di attraversare o di volare sul lato sicuro della strada e di proseguire con la colonna, e la cicogna obbedì.

Ma tutti i tentativi dei partecipanti alla processione della croce di convincere la cicogna a riposare furono vani: l’uccello camminava senza sosta, senza paura né delle persone, né delle macchine o dei camion che passavano. La cosa durò più di quattro ore.

Quando fecero l’ultima sosta nel bosco, a poco più di un miglio dal paese, il “pellegrino” miracoloso rimase, circondato dalla gente, ad ascoltare preghiere e canti pasquali. Poi si è avvicinato direttamente all’icona Belynichi della Madre di Dio, si inchinò davanti ad essa e, secondo testimoni oculari, toccò con riverenza l’icona altamente venerata con la punta del becco. Dopo questa pausa, la cicogna procedette come parte della processione della croce verso la sua destinazione finale.

Era già buio quando i pellegrini raggiunsero la città. La cicogna prese il volo e, facendo un giro d’onore, come se benedicesse il popolo, volò via… Questa è una lezione della sconfinata devozione e fiducia in Dio e nella Sua Purissima Madre che un coraggioso uccello insegnò ai pellegrini. Ogni cosa che respira lodi il Signore (Sal 150,3). Cristo è risorto!

Svetlana Rybakova

Monastero Sretenskij

09/05/2024

Fonte: https://orthochristian.com/160089.html