Metropolita Filarete: Sulla revoca degli anatemi del 1054. Lettera al Patriarca Atenagora

Lettera di protesta al Patriarca Atenagora

Sulla revoca degli anatemi del 1054

2/15 dicembre 1965

Santità,

abbiamo ereditato dai Santi Padri l’obbligo di fare tutto nella Chiesa in modo canonico, all’unanimità e in conformità alle antiche Tradizioni. Se uno qualsiasi dei vescovi e persino dei primati di una delle Chiese autocefale fa qualcosa che non è in accordo con l’insegnamento dell’intera Chiesa, ogni membro della Chiesa può protestare contro di esso. Il Canone 15 del Primo-secondo Concilio di Costantinopoli dell’anno 861 definisce “degni di godere dell’onore che si addice loro tra i cristiani ortodossi” quei vescovi e ecclesiastici che si separano dalla comunione, persino con il loro Patriarca, se questi predica pubblicamente l’eresia e la insegna apertamente nella Chiesa. In tal modo diveniamo tutti custodi della verità della Chiesa, che è sempre stata protetta dall’attenzione per cui nulla che ha un’importanza generale per la Chiesa venisse fatto senza il consenso di tutti. Pertanto, il nostro atteggiamento nei confronti di vari scismi al di fuori dei limiti locali di singole Chiese autocefale non è mai stato determinato se non dal consenso comune di queste Chiese.

Se all’inizio la nostra separazione da Roma fu dichiarata a Costantinopoli, in seguito divenne una questione di interesse per l’intero mondo ortodosso. Nessuna delle Chiese autocefale, e in particolare nemmeno la venerabile Chiesa di Costantinopoli, da cui la nostra Chiesa russa ha ricevuto il tesoro dell’Ortodossia, può modificare alcunché in questa materia senza il previo consenso di tutti. Inoltre, noi, Vescovi attualmente al governo, non possiamo prendere decisioni, con riferimento all’Occidente, che siano in disaccordo con l’insegnamento dei Santi Padri che ci hanno preceduto, in particolare dei Santi Fozio di Costantinopoli e Marco di Efeso.

Alla luce di questi principi, pur essendo il più giovane tra i Primati, in quanto capo della parte libera e autonoma della Chiesa di Russia, ritengo mio dovere esprimere la nostra categorica protesta contro l’azione di Vostra Santità, in riferimento alla Sua contestuale e solenne dichiarazione con il Papa di Roma in merito alla revoca della sentenza di scomunica emessa dal Patriarca Michele Cerulario nel 1054.

Abbiamo sentito molte espressioni di perplessità quando Vostra Santità, di fronte al mondo intero, ha compiuto qualcosa di completamente nuovo e insolito rispetto ai Suoi predecessori, nonché incoerente con il X Canone dei Santi Apostoli, durante l’incontro con il Papa di Roma, Paolo VI, a Gerusalemme. Abbiamo appreso che, in seguito, molti monasteri del Sacro Monte Athos si sono rifiutati di menzionare il Suo nome durante le funzioni religiose. Diciamolo francamente, la confusione è stata grande. Ma ora Vostra Santità si spinge ancora oltre quando, solo per Sua decisione, insieme ai Vescovi del Suo Sinodo, annulla la decisione del Patriarca Michele Cerulario, accettata da tutto l’Oriente Ortodosso. In questo modo, Vostra Santità agisce in contrasto con l’atteggiamento accettato da tutta la nostra Chiesa nei confronti del Cattolicesimo romano. Non si tratta di questa o quella valutazione del comportamento del Cardinale Umberto. Non si tratta di una controversia personale tra il Papa e il Patriarca, che potrebbe essere facilmente risolta dal loro reciproco perdono cristiano; no! L’essenza del problema sta nella deviazione dall’Ortodossia che si è radicata nella Chiesa Romana nel corso dei secoli, a partire dalla dottrina dell’infallibilità del Papa, formulata definitivamente nel Concilio Vaticano I. La dichiarazione di Vostra Santità e del Papa riconosce a buon diritto che il vostro gesto di “perdono reciproco” non è sufficiente a porre fine alle divergenze, sia antiche che più recenti. Ma, più di questo, il vostro gesto pone un segno di uguaglianza tra errore e verità. Per secoli, tutta la Chiesa Ortodossa ha creduto a buon diritto di non aver violato alcuna dottrina dei Santi Concili Ecumenici; mentre la Chiesa di Roma ha introdotto numerose innovazioni nel suo insegnamento dogmatico. Quanto più tali innovazioni venivano introdotte, tanto più profonda sarebbe diventata la separazione tra Oriente e Occidente. Le deviazioni dottrinali di Roma nell’XI secolo non contenevano ancora gli errori che furono aggiunti in seguito. Pertanto, la cancellazione della scomunica reciproca del 1054 poteva avere un significato a quel tempo; ma ora è solo una prova di indifferenza nei confronti degli errori più importanti, vale a dire nuove dottrine estranee alla Chiesa antica, alcune delle quali, essendo state smascherate da San Marco di Efeso, furono la ragione per cui la Chiesa rigettò l’Unione di Firenze.

Dichiariamo fermamente e categoricamente:

Nessuna unione della Chiesa Romana con noi è possibile finché non rinuncerà alle sue nuove dottrine e nessuna comunione nella preghiera può essere ristabilita con essa senza una decisione di tutte le Chiese, il che, tuttavia, sarà difficilmente possibile prima della liberazione della Chiesa di Russia, che attualmente è costretta a vivere nelle catacombe. La gerarchia che ora è sotto il Patriarca Alessio non può esprimere la vera voce della Chiesa russa perché è sotto il pieno controllo del governo ateo. Anche i Primati di alcune altre Chiese nei paesi dominati dai comunisti non sono liberi.

Considerando che il Vaticano non è solo un centro religioso, ma anche uno Stato, e che i rapporti con esso hanno anche una natura politica, come è evidente dalla visita del Papa alle Nazioni Unite, si deve tenere conto della possibilità di un’influenza, in un certo senso, delle autorità atee nella questione della Chiesa di Roma. La storia testimonia che i negoziati con gli eterodossi sotto la pressione di fattori politici non hanno mai portato alla Chiesa altro che confusione e scismi. Pertanto riteniamo necessario dichiarare che la nostra Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia, così come, certamente, la Chiesa Russa che attualmente si trova nelle catacombe, non acconsentirà ad alcun “dialogo” con altre confessioni e rifiuta a priori qualsiasi compromesso con esse, ritenendo l’unione con esse possibile solo se accettano la fede Ortodossa così come è stata finora mantenuta nella Santa Chiesa Cattolica e Apostolica. Fino a quando ciò non si verifica, la scomunica proclamata dal Patriarca Michele Cerulario è tuttora valida e il suo annullamento da parte di Vostra Santità è un atto illegale e nullo.

Certamente non ci opponiamo a relazioni benevole con i rappresentanti di altre confessioni, purché la verità dell’Ortodossia non venga tradita. Pertanto, la nostra Chiesa ha accolto a tempo debito l’invito a inviare i propri osservatori al Concilio Vaticano II, così come era solita inviare osservatori alle Assemblee del Consiglio Ecumenico delle Chiese, al fine di ottenere informazioni di prima mano sui lavori di queste assemblee, senza alcuna partecipazione alle loro deliberazioni.

Apprezziamo la cortese accoglienza dei nostri osservatori e stiamo studiando con interesse i loro resoconti, che mostrano come molti cambiamenti siano stati introdotti nella Chiesa di Roma. Ringrazieremo Dio se questi cambiamenti contribuiranno ad avvicinarla all’Ortodossia. Tuttavia, se Roma ha molto da cambiare per tornare all'”espressione della Fede degli Apostoli”, la Chiesa Ortodossa, che ha mantenuto tale Fede impeccabile fino ad ora, non ha nulla da cambiare.

La Tradizione della Chiesa e l’esempio dei Santi Padri ci insegnano che la Chiesa non dialoga con coloro che si sono separati dall’Ortodossia. Piuttosto, la Chiesa rivolge loro un monologo invitandoli a tornare al suo gregge attraverso il rifiuto di qualsiasi dottrina dissenziente. Un vero dialogo implica uno scambio di opinioni con la possibilità di persuadere i partecipanti a raggiungere un accordo. Come si può comprendere dall’Enciclica “Ecclesiam Suam”, Papa Paolo VI interpreta il dialogo come un piano per la nostra unione con Roma con l’aiuto di una formula che, tuttavia, ne lascerebbe inalterate le dottrine, e in particolare la dottrina dogmatica sulla posizione del Papa nella Chiesa. Tuttavia, qualsiasi compromesso con l’errore è estraneo alla storia della Chiesa Ortodossa e all’essenza della Chiesa. Non potrebbe portare armonia nelle confessioni di fede, ma solo un’illusoria unità esteriore, simile alla conciliazione delle comunità protestanti dissidenti nel movimento ecumenico.

Che un simile tradimento contro l’Ortodossia non si insinui tra noi.

Chiediamo sinceramente a Vostra Santità di porre fine alla confusione, perché la via che avete scelto di seguire, anche se vi portasse all’unione con i cattolici romani, provocherebbe uno scisma nel mondo Ortodosso. Sicuramente anche molti dei vostri figli spirituali preferiranno la fedeltà all’Ortodossia all’idea di un’unione di compromesso con gli eterodossi senza la loro piena armonia con noi nella verità.

Chiedendo le vostre preghiere, sono l’umile servitore di Vostra Santità,

+ Metropolita Filarete

Presidente del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia


A Protest to Patriarch Athenagoras

On the Lifting of the Anathemas of 1054

December 2/ 15 1965

Your Holiness,

We have inherited a legacy from the Holy Fathers that everything in the Church should be done in a legal way, unanimously, and conforming to ancient Traditions. If any of the bishops and even primates of one of the autocephalous churches does something which is not in agreement with the teaching of the whole Church, every member of the Church may protest against it. The 15th Canon of the First and Second Council of Constantinople of the year 861 describes as “worthy to enjoy the honour which befits them among Orthodox Christians” those bishops and clergymen who secede from communion even with their patriarch if he publicly preaches heresy and openly teaches it in church. In that way we are all guardians of the truth of the Church, which was always protected through the care that nothing of general importance for the Church would be done without the consent of all.

Therefore our attitude toward various schisms outside of the local limits of particular autocephalous churches was never determined otherwise than by the common consensus of these churches.

If in the beginning our separation from Rome was declared in Constantinople, then later on it became a matter of concern to the whole Orthodox world. None of the autocephalous churches, and specifically not the highly esteemed Church of Constantinople from which our Russian Church has received the treasure of Orthodoxy, may change anything in this matter without the foregoing consent of everybody. Moreover we, the bishops ruling at present, may not make decisions with reference to the West which would disagree with the teaching of the Holy Fathers who lived before us, specifically the Saints Photios of Constantinople and Mark of Ephesus.

In the light of these principles, although being the youngest of the primates, as the head of the free autonomous part of the Church of Russia, we regard it our duty to state our categorical protest against the action of Your Holiness with reference to your simultaneous solemn declaration with the Pope of Rome in regard to the removal of the sentence of excommunication made by Patriarch Michael Cerularius in 1054.

We heard many expressions of perplexity when Your Holiness in the face of the whole world performed something quite new and uncommon to your predecessors as well as inconsistent with the 10th Canon of the Holy Apostles at your meeting with the Pope of Rome, Paul VI, in Jerusalem. We have heard that after that, many monasteries on the Holy Mount of Athos have refused to mention your name at religious services. Let us say frankly, the confusion was great. But now Your Holiness is going even further when, only by your own decision with the bishops of your Synod, you cancel the decision of Patriarch Michael Cerularius accepted by the whole Orthodox East. In that way Your Holiness is acting contrary to the attitude accepted by the whole of our Church in regard to Roman Catholicism. It is not a question of this or that evaluation of the behaviour of Cardinal Humbert. It is not a matter of a personal controversy between the Pope and the Patriarch which could be easily remedied by their mutual Christian forgiveness; no, the essence of the problem is in the deviation from Orthodoxy which took root in the Roman Church during the centuries, beginning with the doctrine of the infallibility of the Pope which was definitively formulated at the First Vatican Council. The declaration of Your Holiness and the Pope with good reason recognises your gesture of “mutual pardon” as insufficient to end both old and more recent differences. But more than that, your gesture puts a sign of equality between error and truth. For centuries all the Orthodox Church believed with good reason that it has violated no doctrine of the Holy Ecumenical Councils; whereas the Church of Rome has introduced a number of innovations in its dogmatic teaching. The more such innovations were introduced, the deeper was to become the separation between the East and the West. The doctrinal deviations of Rome in the eleventh century did not yet contain the errors that were added later. Therefore, the cancellation of the mutual excommunication of 1054 could have been of meaning at that time; but now it is only an evidence of indifference in regard to the most important errors, namely new doctrines foreign to the ancient Church, of which some, having been exposed by St. Mark of Ephesus, were the reason why the Church rejected the Union of Florence.

We declare firmly and categorically:

No union of the Roman Church with us is possible until it renounces its new doctrines, and no communion in prayer can be restored with it without a decision of all churches, which, however, can hardly be possible before the liberation of the Church of Russia which at present has to live in catacombs. The hierarchy which is now under Patriarch Alexis cannot express the true voice of the Russian Church because it is under full control of the godless government. Primates of some other churches in countries dominated by communists also are not free.

Whereas the Vatican is not only a religious center but also a state, and whereas relations with it have also a political nature, as is evident from the visit of the Pope to the United Nations, one must reckon with the possibility of an influence in some sense of the godless authorities in the matter of the Church of Rome. History testifies to the fact that negotiations with the heterodox under pressure of political factors never brought the Church anything but confusion and schisms. Therefore we find it necessary to make a statement that our Russian Orthodox Church Outside of Russia as well as, certainly, the Russian Church which is at present in the catacombs, will not consent to any “dialogues” with other confessions and beforehand rejects any compromise with them, finding union with them possible only if they accept the Orthodox Faith as it is maintained until now in the Holy, Catholic, and Apostolic Church. While this has not happened, the excommunication proclaimed by the Patriarch Michael Cerularius is still valid, and the canceling of it by Your Holiness is an act both illegal and void.

Certainly we are not opposed to benevolent relations with representatives of other confessions as long as the truth of Orthodoxy is not betrayed. Therefore our Church in due time accepted the invitation to send its observers to the Second Vatican Council, as well as it used to send observers to the Assemblies of the World Council of Churches, in order to have firsthand information in regard to the work of these assemblies without any participation in their deliberations.

We appreciate the kind reception of our observers, and we are studying with interest their reports showing that many changes are being introduced into the Roman Church. We will thank God if these changes will serve the cause of bringing it closer to Orthodoxy. However, if Rome has much to change in order to return to the “expression of the Faith of the Apostles,” the Orthodox Church, which has maintained that Faith impeccable up to now, has nothing to change.

The Tradition of the Church and the example of the Holy Fathers teach us that the Church holds no dialogue with those who have separated themselves from Orthodoxy. Rather than that, the Church addresses to them a monologue inviting them to return to its fold through rejection of any dissenting doctrines.

A true dialogue implies an exchange of views with a possibility of persuading the participants to attain an agreement. As one can perceive from the Encyclical “Ecclesiam Suam,” Pope Paul VI understands the dialogue as a plan for our union with Rome with the help of some formula which would, however, leave unaltered its doctrines, and particularly its dogmatic doctrine about the position of the Pope in the Church. However, any compromise with error is foreign to the history of the Orthodox Church and to the essence of the Church. It could not bring a harmony in the confessions of the Faith, but only an illusory outward unity similar to the conciliation of dissident Protestant communities in the ecumenical movement.

May such treason against Orthodoxy not enter between us.

We sincerely ask Your Holiness to put an end to the confusion, because the way you have chosen to follow, even if it would bring you to a union with the Roman Catholics, would provoke a schism in the Orthodox world. Surely even many of your spiritual children will prefer faithfulness to Orthodoxy instead of the idea of a compromising union with the heterodox without their full harmony with us in the truth.

Asking for your prayers, I am your Holiness’ humble servant,

+ Metropolitan PHILARET
President of the Synod of Bishops of the Russian
Orthodox Church Outside of Russia




Il Battesimo dei Santi Padri

P. Theologos, monaco athonita rumeno

FONTE: https://www.chilieathonita.ro/en/2023/01/10/baptism-the-most-dangerous-service-fr-theologos/?fbclid=IwY2xjawJkZjJleHRuA2FlbQIxMQABHqgrNKRZcOj6b_DZhg8HbGSmEivuDRNW9ZXUxFtYW1C78NcyCCq9h6Murts3_aem_n4zTHQ4fVEcj-86KdhMVvw

“Vedete, il battesimo segna l’inizio dell’unione, la porta d’accesso all’unione, alla condivisione, alla comunicazione e alla comunione: ecco perché il battesimo si compie attraverso tre immersioni nel nome della Santissima Trinità, il che significa che enfatizza in modo assoluto la dimensione comunitaria e unitaria della Chiesa. La Chiesa è unitaria per eccellenza: l’unità non è solo una caratteristica della Chiesa, ma la sua stessa essenza. Per sottolineare ancora di più, questa unità nasce dalla luce dell’amore, non dall’isolamento di una forza dittatoriale.

Poiché parliamo della morte di questo mondo, la morte dal regno oscuro della solitudine, significa che dobbiamo scomparire da questa esistenza. Questa morte è simboleggiata dall’immersione, e questo simbolo non è una metafora, è qualcosa di molto concreto. Nel battesimo avviene questa morte per immersione, non fisicamente, ma spiritualmente. E poiché l’anima è di gran lunga più importante del corpo, naturalmente questa morte, gradita a Dio, ha un’importanza maggiore della nostra eventuale dipartita fisica. Ma se l’anima non muore a questo mondo, non potrà vivere nella vita a venire, se non con grande difficoltà, come solo il buon Dio sa. Capite? Quindi, il battesimo è cruciale, fratelli. Questa morte simboleggiata dall’immersione ci chiama a risorgere dall’acqua. Per evitare che risorgiamo in solitudine, l’atto del risorgere e dell’immersione viene ripetuto tre volte. Persino la parola “battesimo” – βάπτιση in greco – significa immersione, sommersione. Capite? Vedete che il battesimo è l’ingresso, l’immersione nell’unità vivificante, che ci libera dal dominio della solitudine. Questa transizione dalla morte alla vita è potentemente simboleggiata dall’acqua in cui siamo “sepolti” e da cui risorgiamo, o in altre parole, risorgiamo. Perché nell’acqua? Perché l’acqua, fisicamente, ci dà la vita. Ogni creatura vivente ha bisogno di acqua per sopravvivere. Per quanto ne so, non esiste cibo che sostenga universalmente tutti gli esseri, tranne l’acqua. Quindi, l’acqua rappresenta giustamente la nuova vita: una vita fluida, scorrevole e trasparente, in cui ci immergiamo e ne usciamo come esseri umani rinnovati. […]

Questa è in realtà la fede: fare ciò che Dio ci dice attraverso la Chiesa e il consenso dei Santi Padri, non ciò che la nostra mente evoca, secondo il modo in cui ognuno di noi pensa che sia giusto. Fratelli, vi dico questo con amore. Fratelli, quando diciamo che dobbiamo essere fedeli, ci riferiamo alla Chiesa che ci ha dato i Santi e la Sacra Tradizione come via per la santificazione. La Sacra Tradizione ci ha fornito innumerevoli scritti da cui imparare all’interno della Chiesa. […]

Obbediamo ai Santi Padri e troveremo grazia. Permettetemi di condividere un caso. C’è, è ancora vivo, non dirò il suo nome, un padre che è professore universitario in una rinomata facoltà di teologia in Romania, un grande specialista del Nuovo Testamento, forse il più grande del Paese, che a un certo punto arrivò in un villaggio della Transilvania dove doveva battezzare un bambino. Era inverno, gli abitanti del villaggio gli chiesero di battezzare un bambino. L’uomo gioì e disse: “Gloria a Dio! Portate il fonte battesimale!”. Gli abitanti del villaggio balzarono in piedi allarmati: “Padre! Volete uccidere il nostro bambino! Volete annegare il nostro bambino!”. Ora, fratelli, sia chiaro, il battesimo dei bambini è una pratica da circa 2000 anni, giusto? Non stiamo parlando di 2000 anni di infanticidi, siamo seri. Stiamo parlando di miliardi di bambini che, se il battesimo fosse stato pericoloso, sarebbero morti. Capito?

Ma torniamo al battesimo: come dicevo, la gente era inorridita, eppure il padre professore rimase fermo sulla sua posizione, nonostante tutto. Passò del tempo e il bambino si ammalò. Sapete, i bambini possono ammalarsi a causa di influenze demoniache. A un certo punto, vedendo le condizioni del bambino, la gente disse al prete: “Padre, sa cosa? Siamo persone ragionevoli: ecco l’accordo, fai come diciamo noi, aspergilo per non farlo annegare e ti daremo un maiale!”… E il padre rispose: “No, non ci credo! Non è così malato; questa non è una situazione estrema, non è il caso”. Disse: “Guarda, ecco l’accordo” e rimase fermo nella sua posizione. I parenti si consultarono tra loro e decisero: “Se succede qualcosa al bambino, uccideremo il prete”. E portarono il fonte battesimale, tutti armati di asce, pronti a tagliare la testa al padre se le cose fossero andate male. Era un battesimo… fratelli, cosa posso dirvi? Come nella Striscia di Gaza. E alla fine, tutti gli abitanti del villaggio sentirono una tale grazia e gioia per il Santo Spirito che discese durante il battesimo che dissero al padre professore: “Padre, d’ora in poi fai così e ti daremo anche il maiale!”. Capito? È una grazia immensa. […]

Aspergere, fratelli, è una concessione. Si fa solo in situazioni particolari. Naturalmente, in situazioni estreme – ad esempio, se la vita del bambino è in pericolo – allora chiunque può battezzare, qualsiasi ortodosso: si prende acqua, o in mancanza di acqua, sabbia o persino aria, e si pronuncia la formula: “Il servo di Dio, [nome], è battezzato nel nome del Padre. Amen! E del Figlio! Amen! E dello Spirito Santo! Amen!”. Sappiate che molte anime sono state salvate in questo modo!”

AGGIUNGIAMO NOI ALCUNE TRACCE DALLA SCRITTURA E DALLA TRADIZIONE APOSTOLICA

Giovanni 3,23 : «23 Anche Giovanni stava battezzando a Enon, presso Salim, perché là c’era molta acqua; e la gente veniva a farsi battezzare».

Atti 8,36-39: «36 Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?». 37 38 Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. 39 Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino».

Romani 6,3-5: «3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. 5 Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua»

Didaché: “Riguardo al battesimo, battezza in questo modo: Dopo aver detto prima tutte queste cose, battezza nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito in acqua viva. Ma se non hai acqua viva, battezza in altra acqua, e se non puoi farlo nell’acqua fredda, fallo in quella calda. Ma se non hai né l’uno né l’altro, versa tre volte l’acqua sul capo, nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito. Ma prima del battesimo digiuni il battezzatore, il battezzato e chiunque altro può: ordinerai ai battezzati di digiunare uno o due giorni prima”.

Lettera di Barnaba: “Notate che ha designato nel contempo l’acqua e la croce. Egli questo vuol significare: beati coloro che, avendo sperato nella croce, scesero nell’acqua, e indica la mercede a suo tempo. Allora, promette, darò. Per il presente dice che le foglie non cadranno a significare che ogni parola che uscirà dalla loro bocca nella fede e nell’amore, sarà per la conversione e la speranza di molti” […] Questo significa che noi discendiamo nell’acqua pieni di peccati e di lordura e ne risaliamo portando i frutti nel cuore, avendo nello spirito il timore e la speranza in Gesù”.

Il Pastore di Erma: “Spiegami ancora, signore”. “Che vuoi sapere?”. “Perché avendo questi spiriti, le pietre estratte dal fondo furono collocate nella costruzione della torre?”. “Avevano bisogno, per essere vivificate, di passare per l’acqua. Non potevano entrare altrimenti nel regno di Dio se non morivano alla vita precedente. Questi morti presero il sigillo del figlio di Dio ed entrarono nel regno di Dio. Infatti, disse, l’uomo prima che porti il nome del figlio di Dio è morto. Quando poi prende il sigillo, lascia la morte e riprende la vita. Il sigillo è l’acqua, gli uomini discendono morti nell’acqua e risalgono vivi. Anche ad essi fu annunziato questo sigillo e lo usarono per entrare nel regno di Dio”

San Giustino martire: “Sono condotti da noi dove c’è dell’acqua e sono rigenerati secondo la rigenerazione con cui noi stessi fummo rigenerati; «nel nome del Padre» di tutte le cose, Dio Signore, «e di Gesù Cristo nostro salvatore e dello Spirito Santo» fanno il bagno nell’acqua”

Cirillo di Gerusalemme: “disceso in stato di morte perché peccatore, risalirai vivificato nella giustizia; perché, piantato all’albero della morte con il Salvatore, sarai ritenuto degno di risorgere con lui. Come infatti Gesù, caricatesi le spalle dei peccati di tutto il mondo, morì per uccidere la morte e farti risorgere nella giustizia, così anche tu, disceso nell’acqua e in un certo modo sepolto nell’acqua come dentro la roccia, risorgerai per camminare in novità di vita”

dello stesso Cirillo: “Presi per mano, siete stati accompagnati alla santa piscina del divino lavacro, come Cristo deposto dalla croce nella tomba qui di fronte.
Qui foste interrogati uno ad uno se credevate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e voi avete fatto la salutare confessione di fede. Per tre volte siete stati immersi nell’acqua e per ciascuna delle tre ne siete riemersi, per simboleggiare i tre giorni della sepoltura di Cristo, imitando cioè con questo rito il nostro Salvatore che passò tre giorni e tre notti nel seno della terra. Con la prima emersione dall’acqua avete celebrato il ricordo del primo giorno da Cristo passato nel sepolcro, come con la prima immersione ne avete confessato la prima notte passata nel sepolcro: come chi è nella notte non vede e chi invece è nel giorno gode la luce, anche voi mentre prima immersi nella notte non vedevate nulla, riemergendo invece vi siete trovati in pieno giorno. Mistero della morte e della nascita, quest’acqua di salvezza è stata per voi tomba e genitrice. Si può adattare a voi per antitesi quel che diceva Salomone per altre circostanze: «C’è un tempo per nascere e un tempo per morire». Per voi invece il tempo per morire coincide col tempo per nascere, un solo e medesimo tempo ha realizzato entrambi gli eventi.

Ippolito di Roma: “Un diacono discenda nell’acqua insieme con colui che deve essere battezzato. Quando questi discende nell’acqua, colui che battezza gli imponga la mano sul capo chiedendo: «Credi in Dio Padre onnipotente?». Colui che viene battezzato risponda: «Credo». Lo battezzi allora una prima volta tenendogli la mano sul capo. Poi chieda: «Credi in Cristo Gesù, figlio di Dio, che è nato per mezzo dello Spirito Santo dalla vergine Maria, è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, è morto ed è risorto il terzo giorno, vivo dai morti, è salito nei cieli, siede alla destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti?». Quando colui che è battezzato avrà risposto: «Credo», lo battezzi una seconda volta, poi ancora chieda: «Credi nello Spirito Santo e nella santa Chiesa e nella risurrezione della carne?». Il battezzato risponda: «Credo». Così sia battezzato per la terza volta.




San Basilio: Discorso ascetico (I – II)

L’uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio; ma il peccato rovinò la bellezza dell’immagine trascinando l’anima verso desideri passionali. Ora, Dio, che creò l’uomo, è la vera vita. Pertanto, quando l’uomo perse la sua somiglianza con Dio, perse la sua partecipazione alla vera vita; separato ed estraniato da Dio com’è, è impossibile per lui godere della beatitudine della vita divina. Torniamo quindi alla grazia [che era nostra] all’inizio e dalla quale ci siamo alienati con il peccato, e adorniamoci di nuovo con la bellezza dell’immagine di Dio, essendo resi simili al nostro Creatore attraverso la quiete delle nostre passioni. Colui che, al meglio delle sue capacità, imita dentro di sé la semplicità della natura divina raggiunge una somiglianza con Dio stesso; ed essendo reso simile a Dio nel modo suddetto, raggiunge anche in pieno una parvenza della vita divina e dimora continuamente in una beatitudine senza fine. Se dunque, vincendo le nostre passioni, riacquistiamo l’immagine di Dio e se la somiglianza con Dio ci dona la vita eterna, dedichiamoci a questa ricerca prima di ogni altra, affinché la nostra anima non sia mai più schiava di alcun vizio, ma il nostro intelletto resti saldo e invincibile sotto gli assalti della tentazione, affinché diventiamo partecipi della beatitudine divina.

Ora, un’alleata dello zelo di coloro che aspirano debitamente a questo dono è la verginità. La grazia della verginità, tuttavia, non consiste solo nell’astenersi dalla procreazione di figli, ma tutta la nostra vita, condotta e carattere morale dovrebbero essere vergini, manifestando in ogni azione l’integrità richiesta alla vergine. È possibile, in effetti, commettere fornicazione nel parlare, essere colpevoli di adulterio attraverso l’occhio, essere corrotti attraverso l’udito, ricevere contaminazione nel cuore e trasgredire i limiti della temperanza per mancanza di controllo nel prendere parte a cibo e bevande. Ma colui che si mantiene sotto controllo in tutte queste questioni, secondo la regola della verginità, mostra veramente in sé la grazia della verginità pienamente sviluppata e nella sua perfezione.

Se, quindi, desideriamo, reprimendo le nostre passioni, di adornare la natura della nostra anima con l’impronta della bellezza della somiglianza di Dio, affinché anche la vita eterna possa essere nostra per mezzo di essa, prestiamo attenzione a noi stessi per non fare nulla di indegno della nostra promessa e quindi incorrere nel giudizio pronunciato su Anania. (Atti 5,1-5) Era in potere di Anania non dedicare la sua proprietà a Dio all’inizio; ma consacrò i suoi beni a Dio con un voto in vista della gloria umana, affinché potesse essere oggetto di ammirazione per gli uomini a causa della sua munificenza, e trattenne anche una parte del prezzo. Ciò provocò il dispiacere del Signore contro di lui (di cui Pietro era l’intermediario) a tal punto che non gli fu dato tempo per il pentimento. Di conseguenza, prima di fare una promessa di vivere la vita religiosa, chiunque lo desideri può legittimamente e lecitamente seguire la via del mondo e sottomettersi liberamente al giogo del matrimonio. Quando, tuttavia, per suo consenso, un uomo è stato reso soggetto a una pretesa precedente, dovrebbe riservarsi a Dio come una specie di sacra offerta votiva, nel timore di essere condannato per sacrilegio contaminando di nuovo, con un normale modo di vivere, il corpo consacrato a Dio con voto. E dico questo non solo con un tipo di passione in mente, come alcuni pensano, che vorrebbero preservare l’integrità della verginità con la custodia del solo corpo, ma con riferimento a ogni manifestazione di un’inclinazione passionale.

Chi si riservasse a Dio non può essere contaminato da alcuna emozione che abbia il sapore di questo mondo. L’ira, l’invidia, il rancore, l’inganno, l’insolenza, l’arroganza, il parlare fuori luogo, l’indolenza nella preghiera, il desiderio di beni che non si possiedono, la negligenza nell’osservare i comandamenti, l’ostentazione nel vestire, la vana considerazione del proprio aspetto, gli incontri e le conversazioni al di sopra di ciò che è necessario e appropriato, tutte queste cose devono essere evitate con la massima cura da chi si è dedicato a Dio mediante la verginità, perché cedere a una di queste cose è quasi pericoloso quanto cadere in un peccato espressamente proibito. Tutto ciò che scaturisce dalle passioni rovina in qualche modo la purezza dell’anima ed è un impedimento nel raggiungimento della vita divina. Chi ha rinunciato al mondo, quindi, deve tenere la sua attenzione fissa su queste considerazioni, in modo da non contaminare in alcun modo se stesso, il vaso di Dio, con un uso corrotto. Questo fatto, inoltre, dovrebbe essere tenuto particolarmente a mente: colui che ha scelto la via degli angeli, oltrepassando i confini della natura umana, ha assunto un modo di vita spirituale. Ora, questo è il carattere speciale della natura angelica: essere liberi dal giogo del matrimonio, non essere distratti da alcuna bellezza creata, ma essere costantemente intenti al volto divino. Di conseguenza, se colui che è stato elevato al rango della dignità angelica soffre la contaminazione delle passioni umane, assomiglia alla pelle di un leopardo, il cui pelo non è né interamente bianco né interamente nero, ma poiché è macchiato di colori diversi non è considerato né nero né bianco. Lascia che queste parole, quindi, in modo molto generale, servano come un’esortazione a coloro che hanno scelto la vita di castità e disciplina.

Ma poiché dovremmo discutere anche di caratteristiche particolari in questa connessione, è anche necessario registrare brevemente i seguenti punti. Coloro che sono separati dalla vita ordinaria nel mondo e seguono un regime che si avvicina di più alla vita divina non dovrebbero intraprendere questa disciplina di loro spontanea volontà né come solitari. È appropriato che un tale stile di vita abbia un testimone, affinché sia ​​libero da sospetti vili. Proprio come la legge spirituale vorrebbe che non meno di dieci prendessero parte alla pasqua mistica, così coloro che praticano la vita spirituale in comune dovrebbero propriamente superare piuttosto che essere inferiori a questo numero. Dovrebbe esserci un leader nominato per comandare in questo ammirevole stile di vita, che è stato scelto in preferenza al resto dopo un esame approfondito della sua vita e del suo carattere e della sua condotta costantemente buona. Anche l’età dovrebbe essere presa in considerazione quando deve essere accordato un onore speciale. È in qualche modo in linea con la natura dell’uomo che ciò che è più invecchiato sia più degno di rispetto. Inoltre, questo capo dovrebbe esercitare tale autorità, e i fratelli dovrebbero obbedire solo volontariamente, con sottomissione e umiltà, da impedire a chiunque nella comunità di contraddire la sua volontà quando impartisce un ordine che potrebbe contribuire all’onore e alla perfezione della vita religiosa.

Come, secondo l’Apostolo, l’autorità stabilita da Dio non deve essere contrastata (perché egli dichiara che coloro che resistono all’ordinanza di Dio sono condannati, (Rom 13,1-2), così è giusto anche in questo caso che il resto della comunità sia convinto che tale potere è delegato al superiore non accidentalmente ma per volontà divina. Così, con un membro che raccomanda tutto ciò che è utile e proficuo per l’anima e gli altri che ricevono i suoi buoni consigli con docilità, il progresso secondo Dio è senza impedimento. Poiché è in ogni modo appropriato che la comunità sia obbediente e sottomessa a un superiore, è quindi della massima importanza che colui che è scelto come guida in questo stato di vita sia tale che la sua vita possa servire da modello di ogni virtù a coloro che guardano a lui, e, come dice l’Apostolo, che sia “sobrio, prudente, di buona condotta, un maestro”. (1 Tim 3,2) Di conseguenza, sono dell’opinione che si debba esaminare il suo modo di vivere, e non solo se ha raggiunto la vecchiaia in senso cronologico (perché i tratti giovanili del carattere possono coesistere con i capelli grigi e le rughe). Si dovrebbe indagare, soprattutto, se il suo carattere e i suoi modi siano diventati grigi per decoro, così che tutto ciò che ha detto e fatto possa rappresentare una legge e uno standard per la comunità. È opportuno, inoltre, che coloro che conducono la vita monastica prendano in considerazione il loro sostentamento, come prescrive l’Apostolo, così che coloro che lavorano con le loro mani possano mangiare il loro pane con onore. (1 Ts 3,12) E il lavoro dovrebbe essere assegnato sotto la direzione di un membro anziano ben noto per la santità della vita, che volgerà a frutto le opere delle loro mani procurandosi le necessità con queste in modo da adempiere al comando di guadagnarsi il pane con sudore e fatica. (Gn 3,19) La reputazione del resto dei fratelli dovrebbe essere mantenuta incontaminata e irreprensibile non essendo obbligati ad andare in giro in pubblico per assicurarsi le necessità della vita. La migliore regola e standard per una vita ben disciplinata è questa: essere indifferenti al piacere o al dolore della carne, ma evitare l’immoderazione in entrambe le direzioni, in modo che il corpo non possa essere né disordinato dall’obesità né reso malaticcio e quindi incapace di eseguire i comandi. Lo stesso danno all’anima, in effetti, deriva da entrambi i tipi di eccesso: quando la carne non è sottomessa, il vigore naturale ci fa precipitare a capofitto sulla scia dei nostri impulsi vergognosi; d’altra parte, quando il corpo è rilassato, indebolito dal torpore, è costretto dal dolore. Con il corpo in tali condizioni, l’anima non è libera di alzare lo sguardo verso l’alto, appesantita com’è in compagnia della malattia del corpo, ma è, per forza, completamente occupata dalla sensazione del dolore e intenta a se stessa.

Il nostro uso [dei beni materiali], quindi, dovrebbe essere regolato dal bisogno. Anche il vino non dovrebbe essere ritenuto un abominio se è preso per scopi curativi e non è desiderato oltre la necessità. Così, allo stesso modo, ogni altra cosa dovrebbe servire ai bisogni e non alle cupidigie di coloro che conducono una vita ascetica. Il tempo della preghiera dovrebbe coprire l’intera vita, ma poiché c’è un bisogno assoluto a certi intervalli di interrompere il piegamento del ginocchio e il canto dei salmi, le ore stabilite per la preghiera dai santi dovrebbero essere osservate. Il potente Davide dice: “Mi sono alzato a mezzanotte per lodarti
a motivo dei tuoi giusti giudizi.” (Sal 119,62) e troviamo Paolo e Sila che seguono il suo esempio, perché lodavano Dio in prigione a mezzanotte. (Atti 16,25)

Quindi anche lo stesso Profeta dice: “A sera, a mattina e a mezzogiorno. (Sal 55,18) Inoltre, la venuta del Santo Spirito avvenne all’ora terza, come apprendiamo negli Atti quando, rispondendo ai farisei che schernivano i discepoli per la diversità delle lingue, Pietro disse che non erano ubriachi coloro che dicevano queste parole: «Poiché è solo l’ora terza» (At 2,15). Ancora, l’ora nona ricorda la Passione del Signore, che ebbe luogo affinché noi vivessimo. (Mt 27,45; Mc 15,33-34)

Ma poiché Davide dice: «Sette volte al giorno ti ho lodato per i giudizi della tua giustizia» (Sal 119,164) e i tempi della preghiera che sono stati menzionati non compongono questa ripartizione settupla, la preghiera di mezzogiorno deve essere divisa, recitandone una parte prima del pasto di mezzogiorno e l’altra dopo. In questo modo, la lode quotidiana a Dio in sette volte distribuita durante l’intero periodo del giorno può diventare un modello anche per noi. Gli ingressi ai monasteri dovrebbero essere sbarrati alle donne e non dovrebbero entrare nemmeno tutti gli uomini, ma solo quelli a cui è consentito dal superiore. Spesso, la mancanza di discriminazione nei confronti dei visitatori introduce nel cuore una serie di conversazioni inopportune e racconti infruttuosi, e dalle chiacchiere oziose deriva l’ulteriore discesa verso pensieri oziosi e inutili. Questa, quindi, dovrebbe essere la regola per tutti: solo il superiore deve essere interrogato e solo lui deve dare la risposta riguardo a questioni che richiedono una parola; ma gli altri non devono rispondere a quei chiacchieroni che sprecano il loro tempo in discorsi vani, per evitare di essere trascinati con loro in una serie di parole oziose.

Dovrebbe esserci una stanza comune per tutti e niente dovrebbe essere definito privato o personale per alcun individuo, né mantello, né scarpe, né qualsiasi altra cosa necessaria per il corpo. L’uso di questi articoli dovrebbe essere sotto l’autorità del superiore, in modo che gli articoli del magazzino comune possano essere assegnati a ciascuno secondo le sue necessità, secondo le indicazioni del superiore.

La legge della carità non consente amicizie particolari o gruppi esclusivi nella vita comunitaria, perché un affetto particolare inevitabilmente arreca un grande danno all’unione comunitaria. Di conseguenza, tutti dovrebbero considerarsi l’un l’altro con uguale affetto e uno stesso grado di carità dovrebbe prevalere nell’intero gruppo. Se qualcuno per qualsiasi motivo dovesse avere un affetto smisurato per un compagno religioso, sia esso fratello o parente o chiunque altro, dovrebbe essere punito come uno che opera a detrimento del bene comune; perché un eccesso di affetto per un singolo individuo comporta una forte mancanza nei confronti degli altri. Le sanzioni imposte a chi è ritenuto colpevole di una qualsiasi colpa dovrebbero essere proporzionate all’offesa, [ad esempio], proibendo al trasgressore di unirsi alla salmodia con i suoi fratelli, proibendogli di prendere parte alla preghiera comune o escludendolo dalla tavola comune. In questa materia, colui che è responsabile della disciplina generale determinerà la pena del trasgressore in base alla gravità della sua colpa. Il ministero alla comunità nel suo insieme dovrebbe essere svolto da due monaci che si alternano successivamente durante la settimana nell’assumersi la piena responsabilità degli affari necessari, in modo che la ricompensa dell’umiltà possa appartenere a tutti in comune e che sia impossibile per chiunque superare il resto dei suoi fratelli nel prestare servizio; inoltre, che tutti possano avere una tregua a parità di condizioni, poiché lo scambio di lavoro e gli intervalli di riposo impediscono alla stanchezza di affliggere i lavoratori. Il superiore della comunità è autorizzato ad assegnare chi vuole per fare viaggi necessari all’estero e a nominare coloro che rimarranno a casa e si occuperanno delle faccende domestiche. Spesso, il bel fiore della giovinezza sboccia in qualche modo nei corpi dei giovani, anche se sono stati molto zelanti nell’affliggersi nella pratica della continenza, e diventa l’occasione di desiderio sfrenato per coloro che incontrano per caso. Se, quindi, un fratello è giovane per quanto riguarda il vigore del suo corpo, dovrebbe tenerne nascosti il ​​fascino e la grazia finché non raggiunge un’età della vita in cui può mostrarsi decorosamente.

I fratelli non dovrebbero tradire alcun segno di rabbia, di mancanza di perdono, o di invidia, o di contesa, sia nel comportamento, nei gesti, nelle parole, nello sguardo dell’occhio, nell’espressione del volto, o in qualsiasi cosa utilizzata per suscitare l’ira di un compagno. Se qualcuno dovesse commettere una di queste colpe, anche se ha prima sofferto un fastidio di questo tipo, non è per questo sufficientemente giustificato per essersi coinvolto nell’offesa; perché il male in qualsiasi momento venga commesso è male lo stesso. I giuramenti di ogni tipo dovrebbero essere banditi dalla comunità monastica. Lascia che un cenno del capo o un assenso verbale prendano il posto di un giuramento da parte sia dell’oratore che dell’ascoltatore. Se qualcuno non dovesse fidarsi di una semplice affermazione, fa un’accusa contro la propria coscienza come uno che è insincero nel parlare, e per questo motivo dovrebbe essere chiamato a rendere conto del suo misfatto dal superiore ed essere punito con una punizione salutare. Quando il giorno è finito e ogni fatica del corpo e della mente è giunta al termine, ognuno, prima di ritirarsi, dovrebbe esaminare la propria coscienza nell’intimità del proprio cuore. E se è accaduto qualcosa di sconveniente, un pensiero proibito o una parola oziosa, negligenza nella preghiera o disattenzione nella salmodia o desiderio della vita ordinaria del mondo, la colpa non dovrebbe essere nascosta, ma confessata pubblicamente, in modo che attraverso le preghiere della comunità la malattia di colui che è caduto preda di un tale male possa essere curata.

La vita ascetica ha un solo scopo, la salvezza dell’anima, e tutto ciò che può contribuire a questo fine deve essere osservato con altrettanta paura che un comando divino. Gli stessi comandamenti di Dio, in effetti, non hanno altro scopo se non la salvezza di colui che gli obbedisce. Pertanto, coloro che intraprendono la vita ascetica devono entrare nella via della filosofia, spogliati di tutte le cose mondane e materiali allo stesso modo in cui coloro che entrano nel bagno si tolgono tutti i loro vestiti. La cosa più importante, di conseguenza, e la preoccupazione principale per il cristiano dovrebbe essere lo spogliarsi dei vari e diversi movimenti delle passioni verso il male da cui l’anima è contaminata. In secondo luogo, la rinuncia ai beni mondani è un obbligo per colui che aspira a questo sublime modo di vivere, in quanto l’ansia e la sollecitudine per gli interessi materiali generano molta distrazione per l’anima. Ogni volta, quindi, che un gruppo di persone che mirano allo stesso obiettivo di salvezza adotta la vita in comune, questo principio sopra tutti gli altri deve prevalere tra loro che ci sia in tutti un solo cuore, una sola volontà, un solo desiderio e che l’intera comunità sia, come ingiunge l’Apostolo, un solo corpo composto da diverse membra. (1 Cor 12,12) Ora questo non può essere realizzato in nessun altro modo che mediante l’applicazione della regola che nulla deve essere appropriato all’uso esclusivo di nessuno, né mantello, né vaso, né qualsiasi altra cosa che sia utile alla vita comune, in modo che ciascuno di questi articoli possa essere assegnato a un bisogno e non a un proprietario. Proprio come un indumento che è troppo piccolo non è adatto a una persona grande o uno che è troppo ampio per una figura più esile, ma ciò che è propriamente adattato all’individuo è utile e appropriato, così tutto il resto letto, copertura, indumenti caldi, calzature dovrebbe appartenere a chi ha strettamente bisogno di queste cose, e non a un proprietario. Come chi è malato usa i medicinali e non chi è sano, così anche chi ha bisogno di cose destinate al benessere del corpo dovrebbe goderne e non esclusivamente chi vive nel lusso.

Inoltre, poiché i modi degli uomini sono vari e non tutti sono d’accordo su ciò che è utile, così, per evitare la confusione derivante dal fatto che ognuno si comporti secondo il suo capriccio privato, dovrebbe esserci qualcuno posto in autorità sugli altri che sia stato dichiarato, a giudizio di tutti, eminente in intelligenza, stabilità e rigore di vita, affinché le sue buone qualità possano essere di comune possesso di tutti coloro che seguono il suo esempio. Se diversi pittori dovessero raffigurare i lineamenti di un volto, tutti i dipinti sarebbero simili, perché sarebbero somiglianze di uno stesso individuo; similmente, se molti tipi di carattere sono intenti all’imitazione di un modello, tutti porteranno ugualmente la buona impronta della sua vita. Di conseguenza, quando è stato scelto un superiore, ogni volontà privata cederà il passo e tutti, senza eccezione, seguiranno l’esempio del loro capo in obbedienza al precetto apostolico che ordina a ogni anima di essere soggetta a poteri superiori e avverte che «quelli che resistono si procurano la dannazione». (Rom 13,1-2) La vera e perfetta obbedienza dei sudditi al loro superiore si dimostra non solo astenendosi da ogni azione sconveniente in accordo con il suo consiglio, ma anche non facendo nemmeno ciò che è approvato senza il suo consenso. Ora, la continenza e ogni mortificazione corporale hanno un certo valore, ma, se un uomo seguendo il suo capriccio privato fa ciò che è gradito a se stesso e non presta attenzione al consiglio del suo superiore, la sua colpa sarà più grande del bene che fa; «perché chi resiste all’autorità, resiste all’ordinanza di Dio». (Rom 13,1-2) Una ricompensa più grande, inoltre, è accordata all’obbedienza che alla virtù della continenza. Così, anche, tutti dovrebbero avere la stessa carità reciproca, di uguale grado, l’uno per l’altro, come un uomo sente naturalmente per le membra del suo corpo nel desiderare un’uguale sanità in tutte le sue parti, poiché il dolore di ogni membro porta un disagio simile a tutto il corpo. Nel caso dei nostri corpi, tuttavia, sebbene il dolore di ogni membro afflitto tocchi in egual misura tutto il corpo, alcuni membri sono considerati più importanti di altri (perché non proviamo la stessa cosa rispetto al nostro occhio e al nostro dito del piede, anche se il dolore è ugualmente grande in entrambi). Anche così, una simpatia e un amore simili dovrebbero essere accordati a tutti coloro che vivono insieme in comunità da parte di ciascuno dei membri; ma ci sarà una stima più alta, e opportunamente, per coloro che contribuiscono al servizio più grande.

Poiché è un obbligo che si amino l’un l’altro con affetto assolutamente uguale, i gruppi esclusivi e le fazioni sono un danno per la comunità; perché chi ama uno più degli altri tradisce la sua mancanza di amore perfetto per quegli altri. Pertanto, le liti indecorose e l’affetto particolare dovrebbero essere banditi dal monastero, perché l’inimicizia è generata dalle dispute e dall’amicizia particolare e dalla fazione sorgono sospetti e gelosie. In ogni caso, la perdita dell’uguaglianza è l’origine e il fondamento dell’invidia e dell’odio da parte di coloro che ne sono disprezzati. Per questo motivo abbiamo ricevuto un comando dal Signore di imitare la bontà di Colui che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti. (Mt 5,45) Come, quindi, Dio concede una quota di luce imparzialmente a tutti, così i suoi seguaci dovrebbero inviare un raggio di carità ugualmente brillante per tutti allo stesso modo; perché, ovunque l’amore venga meno, l’odio lo soppianta completamente. Ma se, come dice Giovanni, «Dio è carità», (1 Gv 4,16) il Diavolo è necessariamente odio. Come chi ha amore ha di conseguenza Dio, così chi ha odio nutre il Diavolo dentro di sé.

L’amore di tutti verso tutti, quindi, dovrebbe essere uguale e imparziale, e a ogni individuo dovrebbe essere data la sua appropriata misura di onore. Per coloro che sono così uniti, inoltre, la parentela di sangue non richiederà in alcun modo un grado maggiore di amore e nemmeno il legame di sangue nel caso di un fratello, figlio o figlia secondo la carne susciterà un affetto più caldo per questo parente di sangue che per il resto. Chi segue la natura in queste questioni rende evidente che non è ancora del tutto ritirato dalla natura, ma è ancora soggetto al governo della carne. Anche le chiacchiere oziose e le distrazioni inopportune derivanti dal discorrere tra loro dovrebbero essere proibite. Se, tuttavia, è coinvolto qualcosa che conduce all’avanzamento spirituale, questo solo dovrebbe essere detto e anche ciò che è utile dovrebbe essere espresso in modo ordinato in un momento opportuno da tali persone che hanno il diritto di parlare. Se si tratta di un inferiore, dovrebbe attendere la direzione del suo superiore; ma i sussurri, una parola all’orecchio, i segni fatti con un cenno del capo, tutto questo dovrebbe essere messo fuorilegge, perché il sussurro genera sospetto di calunnia e i segni fatti con un cenno sono la prova per un fratello di qualcosa di segreto e malizioso, e tali cose diventano la base di odio e sospetto. Ogni volta che è necessaria una conversazione, tuttavia, lasciamo che le esigenze della situazione determinino il volume della voce, in modo che conversiamo con qualcuno vicino a portata di mano a bassa voce e parliamo più forte a uno più lontano. Chiunque nel dare un consiglio o un ordine usi un tono molto forte e penetrante, dà un’impressione di arroganza e non dovrebbe essere in una comunità religiosa. L’uscita dal monastero, inoltre, non è consentita se non per un dovere o un’emergenza.

Poiché non ci sono conventi solo per uomini ma anche per donne che professano la verginità, tutto ciò che è stato detto si applica ugualmente ad entrambi i sessi. È necessario tenere presente una cosa, tuttavia: questo stile di vita esige da parte delle donne un decoro maggiore e più segnalato nell’osservanza della povertà, del silenzio, dell’obbedienza e della carità fraterna, una maggiore severità riguardo all’andare in giro in pubblico, più cautela in materia di conoscenze, maggiore cura nel preservare l’affetto reciproco ed evitare gruppi faziosi; perché in tutti questi aspetti la vita delle donne che professano la verginità dovrebbe mostrare uno zelo più eccellente. Colei che è incaricata del mantenimento della disciplina non dovrebbe cercare ciò che può essere gradito alle sue sorelle, né dovrebbe essere ansiosa della loro gratitudine per ciò che è di loro gradimento, ma dovrebbe sempre essere grave, severa, dignitosa. Dovrebbe tenere presente che deve rendere conto a Dio per le indebite violazioni della disciplina nella vita comune. Né la singola sorella dovrebbe cercare di ricevere dalla sua superiora ciò che è dolce e gradevole, ma ciò che è utile e benefico. Non dovrebbe contestare gli ordini che le vengono dati (perché tale pratica diventa abituale e porta alla ribellione), ma come riceviamo i comandi del Signore senza fare domande, sapendo che tutta la Scrittura è divinamente ispirata e di beneficio per noi, così anche i membri della confraternita dovrebbero accettare senza distinzione i comandamenti della superiora. Dovrebbero eseguire tutto ciò che è diretto, non con spirito di tristezza e costrizione, ma con alacrità, affinché la loro obbedienza possa ottenere una ricompensa. È loro dovere accettare non solo ciò che è prescritto nel modo di una rigida disciplina, ma, se la loro direttrice dovesse proibire il digiuno o esortarle a prendere cibo per ripristinare le loro forze o se dovesse prescrivere qualsiasi altro rilassamento richiesto dalla necessità, dovrebbero adempiere a tutto allo stesso modo, convinte che le sue parole siano legge. Ogni volta che è necessario parlare per ragioni di necessità, sia con un uomo o con qualcuno che ricopre una posizione di autorità o con un’altra persona che è in grado di essere utile riguardo a una certa questione, la superiora dovrebbe essere quella che parla, alla presenza di una o due sorelle il cui stile di vita e la cui età rendano sicuro per loro l’apparire e il parlare in pubblico. Se qualche idea utile viene in mente a qualcuno in privato, tuttavia, dovrebbe riferirla alla sua superiora e tramite quest’ultima verrà detto tutto ciò che deve essere detto.




Atanasio Mitilinaios: Il cristianesimo non è una religione

Cosa il cristianesimo non è.

“Il cristianesimo non è una religione. In verità, il cristianesimo non è una religione. Questa affermazione è vera, ma non dice cos’è. In effetti, il cristianesimo non è una religione, è una posizione, uno stile di vita. Anche questo è corretto, ma solo per metà, e vedremo perché tra poco.

Quindi, prima di tutto, il cristianesimo non è una religione. Questo suona strano a prima vista. Il cristianesimo non è una religione? Cosa significa “religione” [θρησκεία]? Se cerchi “religione” in un’enciclopedia troverai una spiegazione di cosa sia la religione, ma solo nella misura in cui ciò è possibile, perché non possiamo conoscere la profondità e l’ampiezza di cosa sia la religione …

La religione è una tendenza innata dell’uomo a cercare Dio per dipendere da Lui, per avere un senso di sicurezza fisica e metafisica sapendo di dipendere da Dio. Cioè, se avverto un pericolo, dirò all’istante: “Dio, aiutami”. (Questo “Dio aiutami” non è detto solo dai cristiani, ma da tutti gli altri di qualsiasi religione, dai pagani e da altri. “Mio Dio” , dicono, ma chi è questo Dio? )

In secondo luogo, cerchiamo Dio per quello che chiamiamo un senso metafisico di sicurezza, perché io, l’uomo, alla fine morirò. Se so o credo che vivrò dopo la morte, come sarà questa vita dopo la morte? Quindi cerco una risposta e una garanzia della vita dopo la morte…

Quindi quando una persona affronta la morte, prova una certa insicurezza; non sa cosa accadrà. Quindi, la fede in Dio fornisce un senso di sicurezza, sia fisica che metafisica. Ecco perché l’apostolo Paolo disse agli ateniesi nel suo discorso all’Areopago di cercare il Signore, affinché potessero forse provare qualcosa per Lui e trovarlo (Atti 17:27).

Prestate attenzione a questo punto: cercare Dio. Sottolineo questa frase, cercare Dio , cioè lo sforzo dell’uomo per trovare Dio. Cerca Dio per trovare Dio. Di chi è lo sforzo? Non di Dio per trovare l’uomo, ma dell’uomo per trovare Dio.

Che lo chiamiamo religione o sentimento religioso, Dio ha impiantato questo nelle profondità dell’anima umana, così che se l’uomo si allontana da Dio, se se ne va, se si allontana da Lui (come quando [Adamo] cadde nel peccato e si allontanò da Dio) non potrà mai dimenticare Dio e Lo cercherà sempre, anche se in modo distorto.

Cioè, può credere che un oggetto sia Dio, che si tratti di un fulmine, di un fiume, della mucca (la mucca sacra degli indiani) o di qualsiasi altra cosa possa essere…

Dio dice: “Se vuoi andartene, vai dove vuoi”. L’uomo va e va e va, ma è legato a Dio dallo spago. E ora cosa succede? O Dio tira lo spago e avvicina l’uomo, o l’uomo raccoglie lo spago per trovare Dio. Questo è chiamato il sentimento religioso innato instillato nell’uomo da Dio, affinché l’uomo cerchi Dio e Lo trovi.

Ripeterò ciò che l’apostolo Paolo disse agli ateniesi: cercare il Signore, affinché possano forse sentire per Lui e trovarlo. Guarda i verbi. Il verbo “ cercare ” [ζητεῖν]; il verbo “ sentire ” [ψηλαφίζω]; e il verbo “ trovare ” [ευρίσκω]. Questi verbi significano che l’uomo si muove per trovare Dio.

La religione, tuttavia, come affermato, è la ricerca di Dio da parte dell’uomo, un’apertura dell’uomo a Dio. In altre parole, l’uomo cerca di trovare Dio, anche se l’apertura di quest’uomo a Dio è compromessa, se è nebbiosa, se non è chiara.

Ecco perché l’apostolo Paolo scrive, affinché possano sentire . Notate, questo verbo dell’apostolo Paolo è caratteristico. Cosa significa “sentire”? Significa che tasto con la mano per trovare un oggetto se non riesco a vedere, o se è buio, e sentendo “vedrò” la forma dell’oggetto, e così via.

(Ecco perché prima vi ho detto che l’uomo cerca di trovare Dio, sente per Dio. Infatti, ci sono alcuni che, pur essendo cristiani, lasciano la piena luce della verità e vi dicono: “Sto cercando Dio” . Questo è condannabile.

Molte volte pensiamo che sia una grande affermazione. Sta cercando , dice. Perché stai cercando? Non c’è bisogno di cercare. Finché Dio non si è rivelato a voi, cercare è degno di lode, ma nel momento in cui conoscete Dio, perché cercarlo? )

Quindi c’è oscurità nello spazio, e dal modo in cui sento un oggetto traggo conclusioni diverse, perché non ho un quadro completo dell’oggetto. Ecco perché, figli, ci sono diverse percezioni di Dio nel campo della religione.

Ecco perché. Qualcuno vi dirà: “Dio è trascendente” , come diceva Platone. Qualcun altro vi dirà: “Dio è natura” , come dice il panteismo (farà di tutto ciò che esiste “Dio”). Tutte queste percezioni mostrano che noi umani siamo cercatori, che siamo aperti a Dio, ma questa apertura è limitata, è nebbiosa, non è chiara, come vi ho detto. Il cristianesimo è l’opposto. Sappiamo dove siamo…

Nell’Antico Testamento,figli, la parola “religione” si trova solo nella Sapienza di Salomone e in 4 Maccabei. Vi citerò solo un caso perché entrambi sono essenzialmente la stessa cosa, lo stesso concetto.

Nella Sapienza di Salomone (14,27) – fate attenzione – dice:

Poiché la religione degli idoli senza nome è sempre l’inizio, la causa e la fine di ogni male.

Quindi, come chiama la religione? Qualcosa che si riferisce agli idoli. Hai notato? Il termine “religione” si riferisce all’idolatria. Inoltre, nelle cosiddette religioni naturali o inventate, queste religioni create dall’uomo, il sentimento religioso è innato, ma la costruzione è umana. Questo è ciò che è la religione. Nell’Antico Testamento questo è molto chiaro.

(Forse andrai a cercare dove si trovano queste istanze, in 4 Maccabei, capitoli 5 e 6, e dopo aver letto, mi dirai: lì non si parla di idolatria, ma della religione ebraica. Sì, ma chi lo dice? Antioco Epifane, un pagano, che parla a Eleazar, il maestro dei sette Maccabei, e chiama il monoteismo dell’ebraismo una religione.)

Quindi, il significato della parola “religione” nell’Antico Testamento significa religione pagana. Nel Nuovo Testamento la parola “religione” ricorre solo tre volte. Un caso ha il significato di pratica ebraica esterna, a cui si fa riferimento in Atti 26,5 [ “…secondo la setta più stretta della nostra religione, sono vissuto come fariseo”. ].

Il secondo caso si riferisce al culto demoniaco, dove l’apostolo Paolo in Colossesi 2,18 scrive, “culto degli angeli”, sullo gnosticismo, una religione pagana.

E il terzo, menzionato da San Giacomo, il fratello di Dio (1,27), riguarda la filantropia, ciò che è la religione pura, “visitare le vedove e gli orfani”. [«La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri dal mondo».]

Ma il concetto di religione non può essere esaurito con la filantropia. In altre parole, se compio atti filantropici, non posso dire di essere una persona religiosa.

Così vediamo che sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento la parola “religione” non corrisponde a ciò che è nel Cristianesimo o anche nell’Ebraismo, come rivelazione di Dio…

Se chiedessimo a Gesù Cristo cosa direbbe delle religioni del mondo, cosa risponderebbe? Pensi che Cristo potrebbe rispondere a questo? Cristo ha risposto, figli.

Ascoltate cosa dice in Giovanni 10,8: «Tutti coloro che sono venuti prima di me…» (tutti coloro che sono venuti prima di me con lo scopo di chiamare le persone a una religione, cioè, per renderle come pecore, per renderle un gregge; quindi, tutte le religioni che fanno questo) «Tutti coloro che sono venuti prima di me…»

(Chi sono questi, Signore? Dicci chi è venuto prima di Te? Buddha, Confucio e non so chi altro, chiunque abbia avanzato affermazioni come fondatori di religioni)… «sono ladri e briganti».

Hai sentito come Cristo chiama tutti questi fondatori di religioni? Ladri e rapinatori. Sai perché? Perché l’obiettivo che volevano era l’uomo, tuttavia poiché non erano veri, alla fine abusano dell’uomo spiritualmente e finiscono per essere ladri; rubano l’anima umana. E ladri, perché occupano l’esistenza umana, la personalità umana.

Sono ladri e rapinatori. «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere…» (10,10) Che lo capisca o no, il ladro viene per rubare, uccidere e distruggere. «…Sono venuto…» (fate attenzione: tutti questi ladri e rapinatori non sono paragonabili a Me, l’unico Dio, Gesù Cristo )

«…Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (affinché le persone abbiano la vita, la vita eterna, la vita in abbondanza).

Quindi vediamo qui, figli, che in effetti il ​​cristianesimo non è una religione. Che cos’è? Il cristianesimo è una rivelazione.

* Beato Anziano Atanasio Mitilinaios (Archimandrita ortodosso-greco – 1927/2006)




PRELEST: THE ORTHODOX WORD – 1965 – Vol. 1, No. 4, p. 155

di I. M. KONTZEVICH

Il cammino verso la trasfigurazione, e in effetti la ricerca della verità a qualsiasi livello, incontrano ostacoli – non tanto spesso un’opposizione diretta quanto una sottile seduzione satanica – di cui ogni Cristiano Ortodosso dovrebbe essere consapevole.

Il principale pericolo nell’intraprendere un percorso ascetico è la possibilità di essere soggetti all’autoinganno o prelest. “Tutte le forme di prelest”, dice il Vescovo Ignazio, “a cui è soggetto l’atleta della preghiera derivano dal fatto che il pentimento non è stato posto a fondamento della preghiera, che il pentimento non è stato reso l’anima e lo scopo della preghiera. Colui che tenta di accedere alle nozze del Figlio di Dio non in abiti nuziali puliti e luminosi, che sono stati tessuti con il pentimento, ma indossando degli stracci, in uno stato di autoinganno e di peccaminosità, viene gettato nelle tenebre esteriori; nell’inganno[1] demoniaco”. L’umiltà è la compagna costante della santità; l’umiltà con cui San Simeone il Nuovo Teologo riconosce la sua imperfezione e si pente dei suoi peccati e delle sue cadute passate, serve a garantire che la sua esperienza mistica sia completamente priva di elementi di prelest e di orgoglio spirituale. Nella letteratura ascetica ci sono innumerevoli avvertimenti dati a coloro che iniziano la vita monastica, per non permettere loro di soccombere a false visioni, per non farsi sedurre, per non scambiare un angelo delle tenebre per un angelo della luce. Allo stesso modo troviamo in San Simeone ammonizioni a non fidarsi della varietà di rumori, voci, apparizioni spaventose, visioni di luce percettibile, odori fragranti e così via, che si avvicinano all’asceta durante la preghiera… Insieme all’umiltà, il mistico è protetto dal pericolo di cadere in una sorta di falso misticismo di un legame segreto con la Chiesa”.

Tutte  le varie forme di autoinganno o prelest rientrano in due categorie e procedono, in primo luogo, da un’attività difettosa della mente e, in secondo luogo, da un’attività difettosa del cuore (sentimento): “È un orgoglio stolto desiderare e sforzarsi di ricevere visioni spirituali con una mente non purificata dalle passioni e non rinnovata e ricreata dalla mano destra del Santo Spirito; è lo stesso tipo di orgoglio e di stoltezza per il cuore desiderare e sforzarsi di godere dei sentimenti divini, quando è ancora del tutto inadatto ad essi” (Vescovo Ignazio).

Il primo tipo di prelest, a causa dell’eccitazione della mente e dell’immaginazione, finisce spesso con la pazzia e il suicidio; il secondo, che si chiama fantasia, anche se finisce più raramente in modo così tragico – perché la fantasia, anche se porta la mente alle più spaventose illusioni, non la getta ancora nel delirio come nel primo caso – è comunque altrettanto rovinoso. L’asceta, cercando di accendere nel suo cuore l’amore per Dio e trascurando il pentimento, si sforza di raggiungere un sentimento di delizia, di estasi, e come risultato ottiene esattamente il contrario: “entra in comunione con Satana e si infetta di odio per il Santo Spirito”.

“La fantasia”, in vari gradi, si trova ovunque: “Chiunque non abbia uno spirito contrito, che riconosca in sé alcun tipo di merito e di valore; chiunque non si attenga interamente all’insegnamento della Chiesa Ortodossa, ma su una tradizione o un’altra abbia elaborato il proprio giudizio arbitrario o abbia seguito un insegnamento non ortodosso, si trova in questo stato di prelest. Il grado di prelest è determinato dal grado di deviazione e di ostinazione nella deviazione” (Vescovo Ignazio).

Nello stato decaduto, tra tutti i sentimenti solo uno può essere utilizzato nell’adorazione invisibile: il dolore per i peccati, per la peccaminosità, per le cadute, per la nostra dannazione, che si chiama lutto, pentimento, contrizione dello spirito, ecc. «Il sacrificio a Dio è uno spirito contrito: un cuore contrito e umiliato non sarà disprezzato da Dio» (Sal 50,17)”. (Vescovo Ignazio)

Citiamo un esempio caratteristico di prelest derivante dall’eccitazione della mente e dell’immaginazione, tratto dalle parole del Vescovo Ignazio:

Un monaco lo visitò e gli disse: “Padre, prega per me, dormo e mangio molto”. Mentre diceva questo, il vescovo Ignazio sentì un calore che usciva da lui. Per chiarire lo stato spirituale del monaco, il vescovo Ignazio, gli chiese di istruirlo nella preghiera e, orrore, questo monaco cominciò a insegnargli un “metodo di preghiera estatica e visionaria”. “In seguito, è apparso chiaro che il monaco non conosceva affatto l’insegnamento dei Santi Padri sulla preghiera. Nel corso della nostra conversazione gli dissi”, racconta ancora il vescovo Ignazio:

“Senti, Starets, se vai a vivere a Pietroburgo, non prendere assolutamente una stanza al piano superiore, ma cerca di prenderne una al piano terra.

‘Per quale motivo mi dici questo?’ rispose il monaco.

‘Perché, rispose il vescovo, se mai gli angeli pensassero di sequestrarti e trasportarti da Pietroburgo all’Athos e ti prendessero da un piano superiore, se ti facessero cadere saresti ucciso; ma se ti prendessero dal piano terra e ti facessero cadere, ti faresti solo del male’.

‘Se tu sapessi, rispose il monaco, quante volte, mentre ero in preghiera, mi è venuto il vivido pensiero che gli angeli mi avrebbero portato via e messo sull’Athos’.

Si scoprì che questo schima-ieromonaco indossava catene, non dormiva quasi mai, mangiava poco e sentiva un tale calore nel corpo che non aveva bisogno di vestiti caldi in inverno. Verso la fine della conversazione mi venne in mente di prendere la seguente strada: Cominciai a chiedere al monaco, essendo un digiunatore e un asceta, di provare il metodo insegnato dai Santi Padri, in base al quale la mente durante la preghiera si libera da ogni tipo di fantasia, si assorbe interamente nell’attenzione alle parole della preghiera, è confinata e trattenuta, come si esprime San Giovanni della Scala (Gradino 28, 17), nelle parole della preghiera, mentre allo stesso tempo il cuore esprime il suo accordo con la mente per mezzo del sentimento di salvezza dell’anima, del dolore per i peccati, come disse San Marco l’Asceta: “Quando la mente prega senza distrarsi, il cuore è contento: Un cuore contrito e umiliato Dio non lo disprezzerà” (Filocalia, vol. 1). Quando l’avrai provato tu stesso”, dissi al monaco, ‘informami del risultato della tua esperienza, perché sarebbe terribile per me, con la vita distratta che conduco, intraprendere un tale esercizio’.

Il monaco accettò. Dopo qualche giorno, venne da me e mi disse: ‘Che cosa mi hai fatto? Ebbene, quando ho provato a pregare con attenzione, confinando la mente nelle parole della preghiera, tutte le mie visioni sono scomparse e non riesco più a riprenderle’. Conversando con il monaco non ho notato quell’audacia e quella fiducia in sé stesso che si notavano in lui durante il nostro primo incontro e che di solito si notano nelle persone che sono in uno stato di autoinganno, che si credono sante o che progrediscono spiritualmente. Il monaco espresse il desiderio di ascoltare i miei poveri consigli. Quando gli consigliai di non distinguersi dagli altri con l’apparenza, perché questo porta alla presunzione, si tolse le catene e me le consegnò. Allo stesso tempo mi disse che sul Monte Athos molti, anche tra coloro che godono di una reputazione di santità, usano il metodo di preghiera che lui aveva usato e lo insegnano anche agli altri” (Vescovo Ignazio).

Nota dell’editore: l’esempio di prelest sopra citato, tratto dalla vita monastica, non deve far supporre che sia un pericolo solo per i monaci e gli asceti: ha un’influenza molto potente anche a livelli elementari dell’ascensione spirituale. Nell’ulteriore selezione che segue dallo stesso saggio, il vescovo Ignazio descrive l’ingannevolezza dell’IMITAZIONE DI CRISTO di Tommaso da Kempis, un manuale religioso cattolico ancora molto popolare in Occidente, anche se ormai considerato “vecchio stile” dai modernisti cattolici che sono passati ad altre forme di prelest.

“In questo libro promana l’unzione dello spirito maligno, che lusinga il lettore, intossicandolo con il veleno della falsità… Il libro conduce il lettore alla comunione con Dio senza una precedente purificazione attraverso il pentimento; per questo motivo trova una particolare simpatia tra gli appassionati, coloro che non conoscono la via del pentimento, non sono preservati dall’autoinganno e dal prelest, non hanno come base autorevole l’insegnamento dei Santi Padri della Chiesa Ortodossa. Il libro produce un forte effetto sul sangue e sui nervi, li eccita, ed è per questo che è particolarmente gradito alle persone schiave della sensualità: con questo libro possono divertirsi senza rinunciare ai piaceri della sensualità. La presunzione di sé, la raffinata sensualità e la vanità sono messe in scena dal libro al posto dell’azione della Grazia Divina… Tramite questo le persone carnali entrano in estasi per un piacere e un’intossicazione e non sperimentano la crocifissione della carne con le sue passioni e i suoi desideri, bensì l’adulazione del loro stato decaduto”.


[1] Ndt. prelest nell’originale




28 Febbraio

28 Febbraio secondo l’antico calendario della Chiesa

Questo santo era un prete ad Alessandria nello stesso periodo in cui Dioscoro l’eretico era patriarca di Alessandria. Dioscoro era uno dei leader dell’eresia monofisita, che insegnava che c’era una natura in Cristo [umana] e non due nature [umana e divina]. Anche Marciano e Plucheria regnarono a quel tempo come imperatore e imperatrice. Questo uomo santo e devoto Proterio si oppose a Dioscoro per il quale sopportò molte miserie. Quindi fu convocato il quarto concilio ecumenico [Calcedonia, 451 d.C.] in cui fu condannata l’eresia monofisita, Dioscoro rimosso dal trono patriarcale e bandito in esilio. Proterio, questo vero credente, fu eletto al suo posto. Governò la Chiesa con zelo e amore; un vero seguace di Cristo. Tuttavia, i seguaci di Dioscoro non cessarono di creare disordini ad Alessandria. Al momento di uno di questi sanguinosi disordini, Proterio lasciò la città con l’intenzione di starne temporaneamente lontano. Lungo la strada, il profeta Isaia gli apparve in una visione e disse: “Torna in città, ti sto aspettando per prenderti”. Proterio tornò ad Alessandria ed entrò nella chiesa. Dopo aver sentito ciò, gli eretici infuriati si precipitarono nella chiesa, afferrarono il patriarca e lo pugnalarono dappertutto con i coltelli. Anche altri sei cristiani furono uccisi con Proterio. Così, Proterio, questo meraviglioso pastore del gregge di Cristo, ricevette la corona del martirio per la verità dell’Ortodossia nell’anno 457 d.C.

Basilio era un compagno e un compagno di ascesi di San Procopio Decapolitoa. Basilio seguì fedelmente il suo maestro Procopio sia in tempi di pace che in tempo di persecuzione. Soffrì molte difficoltà da parte degli iconoclasti e quando gli iconoclasti furono sconfitti, Basilio, secondo la Provvidenza di Dio, tornò insieme a Procopio al suo monastero dove nel digiuno e nella preghiera visse una lunga vita di ascetismo. Morì serenamente nell’anno 747 d.C.

Nestor era il vescovo di Magydos in Panfilia. Si distinse per la sua grande mansuetudine. Durante il regno di Decio, fu processato e crudelmente torturato per Cristo. Prima di morire, vide in una visione un agnello sacrificale, che interpretò come un segno del suo imminente sacrificio. Fu torturato dall’Eparca [governatore] Publio e alla fine fu crocifisso a Perga, la capitale della provincia, nell’anno 250 d.C.

visse come un “matto per Cristo” nella città di Pskov durante il regno dello zar Ivan il Terribile e morì il 28 febbraio 1576 d.C.

DUE NATURE

Due nature, il Signore ha unito,

Che Egli non separa più:

Umano e Divino,

Che Egli non separa più:

Dio e Uomo – Unica Persona

In entrambi i rispetti; immutato

Il Dio-Uomo e Salvatore,

Ciò che è separato – l’Unificatore,

Interprete degli eterni misteri,

Fondatore del regno dei santi,

All’uomo, Dio si è avvicinato,

Il tempo sollevato, l’eternità discesa

Della Santa Trinità, Cristo la tromba

Delle Due Nature, Cristo il mistero:

Il vero Dio si è fatto uomo,

È rimasto in alto e scende in basso,

Non è caduto o inciampato,

Ma si è avvolto nella carne.

Questo è amore santo, puro,

Amore eterno, eternamente lo stesso:

Un gigante che ha sollevato, con il suo mignolo,

e cio è incomprensibile alla mente.

“I pazzi per Cristo” si distinguevano per la loro rara impavidità. Il Beato Nicola correva per le strade di Pskov fingendo follia rimproverando la gente per i loro peccati nascosti e profetizzando ciò che sarebbe accaduto loro. Quando Ivan il Terribile entrò a Pskov, l’intera città era in preda alla paura e al terrore del Terribile Zar. Come benvenuto allo Zar, pane e sale furono posti davanti a ogni casa, ma la gente non si fece vedere. Quando il sindaco della città presentò allo Zar pane e sale su un vassoio davanti alla chiesa, lo Zar spinse via il vassoio e il pane e il sale caddero a terra. In quel momento, il Beato Nicola apparve davanti allo Zar con una lunga camicia legata con una corda, saltellando su un bastone come un bambino e poi gridò: “Ivanuska, Ivanuska, mangia pane e sale e non sangue umano”. I soldati si precipitarono fuori per catturarlo, ma lui fuggì e si nascose. Lo Zar, venendo a conoscenza di questo Beato Nicola, chi e cosa fosse, gli fece visita nel suo povero alloggio. Era la prima settimana del digiuno [la prima settimana di Quaresima]. Dopo aver sentito che lo zar sarebbe venuto a fargli visita, Nicola trovò un pezzo di carne cruda e quando lo zar entrò nei suoi alloggi, si inchinò e gli offrì la carne. “Mangia Ivanusha, mangia!” Con rabbia, il terribile zar rispose: “Sono cristiano e non mangio carne durante la stagione del digiuno”. Allora l’uomo di Dio gli rispose rapidamente: “Ma tu fai anche di peggio: ti nutri di carne e sangue degli uomini, dimenticando non solo la Quaresima ma anche Dio!” Questa lezione entrò profondamente nel cuore dello zar Ivan e lui, vergognandosi, lasciò immediatamente Pskov dove aveva intenzione di perpetrare un grande massacro.

Contemplare il Signore Gesù come Pane di vita: «Io sono il Pane di vita» (Gv 6,48).

1. Come Pane di cui l’anima si nutre e vive;

2. Come Pane di cui la mente si nutre e si illumina;

3. Come Pane di cui il cuore si nutre e si nobilita.

Sul nutrimento dell’anima

“Io sono il pane della vita” (Giovanni 6:48).

Così parlò il Signore Gesù alla generazione affamata dell’uomo. Questa parola si è realizzata nel corso dei secoli per i numerosi seguaci di Cristo che hanno ricevuto il Signore come nutrimento delle loro anime. Un giovane disperato che era vicino al suicidio si confessò a un padre spirituale. Il padre spirituale lo ascoltò attentamente e gli disse: “Figlio mio, sei tu il colpevole della tua sventura. La tua anima è morta di fame. Durante tutta la tua vita, hai imparato solo come nutrire il tuo corpo, ma non hai mai pensato che l’anima richiedesse nutrimento; più grande e più spesso di quello di cui il corpo ha bisogno. La tua anima è sul punto di morire di fame. Figlio mio, prendi e bevi Cristo [Santa Comunione]. Solo questo può ristorare la tua anima dalla morte. Ogni giorno e continuamente prendi e bevi Cristo. Egli è il pane vivificante delle nostre anime”. Il giovane ascoltò l’anziano e tornò alla vita.

Fratelli, nutriamo la nostra anima con Cristo affinché la nostra anima possa essere viva e sana. Nutriamo continuamente la nostra mente con i pensieri di Cristo affinché la nostra mente possa essere illuminata e chiara. Nutriamo continuamente il nostro cuore con l’amore di Cristo affinché il nostro cuore possa essere pieno e gioioso. Nutriamo continuamente la nostra volontà con i comandamenti di Cristo e l’esempio di Cristo affinché la nostra volontà, ogni minuto, possa compiere buone azioni. Lasciamo che i pensieri di Cristo siano i nostri pensieri e l’amore di Cristo il nostro amore e la buona volontà di Cristo la nostra buona volontà. Nutriamo continuamente le nostre anime con Cristo il Signore; con la nostra anima prendiamo continuamente parte di Lui e beviamo Lui! Non c’è Pane più nutriente di Lui; non c’è bevanda più dolce di Lui. Nella Santa Comunione, Egli si dona completamente a noi: Corpo e Sangue. Ma la Santa Comunione è un avvertimento che le nostre anime devono essere continuamente nutrite da Lui; prendiamo continuamente parte di Lui e beviamo di Lui proprio come respiriamo continuamente. O, nostro Dio e Dolce Signore, risveglia le nostre anime affinché siano continuamente nutrite da Te e rimangano vive. Tu sei il nostro Pane di Vita.

A Te sia sempre rese gloria e grazia. Amen.




Cinque personalità che hanno contribuito alla fondazione del Patriarcato rumeno

Martedì 04 febbraio 2025, la Chiesa ortodossa rumena celebra 100 anni dalla sua elevazione al rango di Patriarcato. Questo evento storico non avrebbe potuto aver luogo senza il contributo di personalità significative per l’ortodossia rumena.

Tra le persone che hanno contribuito alla proclamazione del Patriarcato ci sono gerarchi della Chiesa ortodossa rumena, rappresentanti del Patriarcato ecumenico e il re del Paese.

Il patriarca Miron Cristea, primo patriarca della Chiesa ortodossa rumena. Fonte della foto: pubblico dominio

La figura centrale nell’elevazione della Chiesa ortodossa rumena al rango di Patriarcato è il Metropolita Primate Miron Cristea, che divenne il primo Patriarca della Romania.

Sebbene l’elevazione al rango di Patriarcato sia avvenuta il 4 febbraio 1925, l’intronizzazione del primo patriarca ebbe luogo il 1° novembre 1925. Durante questo periodo, il Patriarcato rumeno fu riconosciuto dallo Stato e dal Patriarcato ecumenico.

Nel suo primo discorso da Patriarca, Miron Cristea ha sottolineato l’idea fondamentale che “l’unità spirituale di milioni di credenti ortodossi rumeni accrescerà lo spirito vivificante per il nostro popolo e il loro Paese e formerà, dal coagulo spirituale, il cemento più solido per la coesione del Paese e il suo normale sviluppo futuro verso un’unità nazionale sempre più forte”.

Metropolita Pimen Gerogescu. Fonte della foto: pubblico dominio

Il metropolita Pimen Georgescu della Moldavia fu colui che redasse la proposta di elevare la Chiesa ortodossa rumena al rango di Patriarcato.

Nella storica giornata del 4 febbraio 2025, per motivi di salute non ha potuto partecipare alla riunione del Santo Sinodo.

Seguendo l’ordine gerarchico, la proposta è stata letta dal metropolita Nectarie Cotlariuc di Bucovina. L’atto è stato firmato da sette gerarchi del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa rumena.

La proposta era la seguente: “La metropolia di Ungro-Vlachia, con sede metropolitana a Bucarest, dovrebbe essere elevata al rango di Patriarcato, e il metropolita di Ungro-Vlachia, in quanto primate della Romania, che è anche presidente di diritto del Santo Sinodo, dovrebbe portare il titolo di Patriarca della Chiesa ortodossa nazionale rumena con residenza a Bucarest”.

Vescovo Bartolomeu Stanescu di Ramnic, Noul Severin. Fonte della foto: pubblico dominio

Il vescovo Bartolomeu di Râmnicu Stănescu ha ricevuto dal Santo Sinodo della Chiesa ortodossa rumena lo status di referente per redigere l’atto di istituzione del Patriarcato rumeno.

“Il popolo rumeno istituisce da oggi in poi, attraverso la propria sovranità, politica ed ecclesiastica, il Patriarcato per la Chiesa ortodossa rumena, riconoscendo al Metropolita di Bucarest del Paese il titolo di Patriarca di Romania, in luogo del titolo finora attribuitogli di Primate di Romania”, si legge nel documento fondativo del Patriarcato rumeno.

Secondo il Patriarcato rumeno, il vescovo Bartolomeu Stănescu, insieme ai vescovi Nectarie di Bucovina e Luciano di Roman, sono stati incaricati di redigere l’atto di notifica alle altre Chiese sorelle. Atti e documenti.

Patriarca ecumenico Basilio III. Fonte della foto: pubblico dominio

Il riconoscimento dell’elevazione della Chiesa ortodossa rumena al rango di Patriarcato è legato alla personalità del Patriarca ecumenico Basilio III.

Il 23 settembre 1925 una delegazione del Patriarcato ecumenico si recò a Bucarest per firmare il Tomos di riconoscimento del Patriarcato rumeno. La delegazione era composta dai metropoliti Gioacchino di Calcedonia e Germano di Sardeona, accompagnati dal Gran Dragomanno del Patriarcato ecumenico, Spiru Constantinidis.

“Ci congratuliamo vivamente con Vostra Beatitudine per la nuova dignità di alto onore, che, con decisione unanime, è riconosciuta dal nostro Santo e venerabile Sinodo”, afferma il Tomos del Patriarcato ecumenico.

La firma di questo atto è avvenuta a Bucarest il 27 settembre.

Il Patriarca Basilio III inviò anche una lettera enciclica a tutte le Chiese ortodosse autocefale, annunciando il riconoscimento del Patriarcato rumeno.

Re Ferdinando I. Fonte foto: pubblico dominio

Fu re Ferdinando I, che regnò tra il 1914 e il 1927, a promulgare la Legge per l'”Elevazione dell’Arcivescovado e della Sede Metropolitana di Valacchia Ungherese, da Primate di Romania, a Sede Patriarcale”.

L’articolo due di questa legge prevedeva: “L’attuale Arcivescovo e Metropolita di Valacchia-Ungheria, Sua Santità DD Miron Cristea, diventa, nella sua qualità di Primate di Romania, Patriarca della Chiesa ortodossa rumena”.

Questa legge fu promulgata a Bucarest il 23 febbraio 1925 dal re Ferdinando I e registrata nella Gazzetta Ufficiale numero 44, in data 25 febbraio 1925.

Un secolo dopo questo evento storico, la Chiesa ortodossa rumena ha proclamato il 2025 “Anno di omaggio al centenario del Patriarcato rumeno” e “Anno commemorativo dei padri spirituali e confessori ortodossi rumeni del XX secolo”.

Informazioni estratte dal volume “Patriarcato rumeno. Atti e documenti”, Archim. Tit Simedrea, Tipografia dei libri della Chiesa, 1926. 




Padre Kosmas Aghiorita

Il Monaco Kosmas, nel mondo Papapetrou Andreas, è nato a Gribovo il 10 marzo 1952. I suoi genitori Georgios e Demetra erano uomini semplici con profonda fede in Dio. Il giovane Kosmas si distingueva sin da piccolo per il suo amore per lo studio. Si è diplomato con lode nel paese natale, alle elementari e alle medie. Iscrittosi alla Facoltà di Lettere di Atene si è laureato con lode proseguendo con gli studi post-laurea a Roma. Fin da giovane era chiaro il suo ampio e inquieto spirito, che non poteva essere soddisfatto da una vita convenzionale e “solita”. Era in cerca dell’assoluto, della completezza di vita e di libertà. Leggendo le Vite dei Santi e conoscendo monaci virtuosi, ha desiderato ardentemente di seguire la loro vita, una vita vicino a Dio, ascetica, senza distrazioni, in preghiera e astinenza. Così, abbandonando la vanità del mondo, prese la grande decisione e nel 1984 [1], all’età di 32 anni, si recò al Monte Athos, al Monastero della Megistis Lavras, dove dopo un anno e mezzo, il 17 gennaio 1986 è diventato monaco prendendo il nome Kosmas. La scelta del nome non fu casuale. Considerava san Kosmas d’Etolia (l’athonita) come suo Santo Patrono, il quale in condizioni molto difficili durante la metà del XVIII secolo poté, partendo dal Monte Athos, trasmettere la fiaccola della fede ortodossa e dell’amore per Dio, alla maggior parte dei luoghi della Grecia, sotto gli Ottomani. Grazie al lavoro missionario dell’athonita Neomartire Kosmas di Etolia, gran parte della popolazione è rimasta cristiana e ortodossa. Padre Kosmas rimase all’interno del monastero della Megistis Lavras come monaco per un anno e mezzo. Infiammato dal desiderio dell’esichia e dopo aver trascorso un altro anno e mezzo di ascesi nel deserto del monte Athos, nel 1989 si stabilì nella Kalìvi di San Basilio e di San Teofilo il Mirovlita nella regione desertica di Kapsala [2],presso i limiti del Monastero del Pantocratore in rigorosa ascesi e sofferenze. Aveva un legame particolare con il noto monaco athonita, l’anziano Paisios. Quando padre Kosmas incontrò per la prima volta il p. Paisios, allora lui, senza conoscerlo, lo guardò e disse: “Che bel posto che è la Calabria, padre Kosmas!”. Padre Kosmas rimase sorpreso; da allora cominciò con maggior zelo ad interessarsi e a studiare. Frutto dei suoi studi fu la pubblicazione dell’originale testo greco con la traduzione della vita di San Luca il Grammatico nel 1992 [3] e il testo originale della vita di S. Elia il Giovane (il Siciliano), con un’introduzione, la traduzione in greco moderno e la traduzione in italiano a fianco di Stefano dell’Isola, nel 1993 [4].

Grazie alle iniziative di p. Kosmas è stata celebrata il 2 febbraio del 1993 la Divina Liturgia nella piccola antica chiesa di San Giovanni Crisostomo a Gerace di Calabria, rimasta chiusa da secoli. Alla sua presenza, il filologo calabrese Domenico Minuto lesse in italiano un discorso di p. Cosmas che cominciava così: “Siamo venuti qui dalla terraferma opposta, seguendo le stesse strade che hanno percorso le icone della Theotokos, una delle quali, l’Odighìtria (la Madonna dell’Itria) di Gerace, è arrivata qui alla riva. Gli stessi percorsi hanno fatto i Santi di Calabria, che andavano dove li guidava lo Spirito di Dio. Del resto, questo mare ci unisce, piuttosto che dividerci” [5]. Questo stesso Spirito di Dio ha portato p. Kosmas, dopo un breve soggiorno nel deserto del Monte Athos, ad andare l’anno successivo, nell’autunno del 1994, in Calabria dove rimase per undici anni consecutivi fino alla fine del 2005. Con la benedizione del suo padre spirituale si stabilì tra le rovine del monastero di San Giovanni il Mietitore (Theristìs) a Bivongi [6]. Con molte fatiche ha restaurato il tempio abbandonato, vivendo in condizioni molto difficili. In un testo relativo al quel periodo riferisce quanto segue: “Quando sono venuto a vivere tra le rovine del Monastero sono rimasto incantato dalla solitudine … desideravo che ritornassero a sentirsi i nostri canti, la lingua greca…” [7]. Ha scritto confessandosi: “Ricordo con nostalgia i primi anni nel monastero, quando la chiesa era ancora scoperta del tetto, dove le colombe avevano il nido. Senza acqua, senza elettricità. Ma la grazia del Santo era evidente… Ho preferito il ruolo del sagrestano che del missionario. Qui hanno vissuto molti santi…” [8]. Sul ritorno dell’Ortodossia in Italia, p. Kosmas dice lapidariamente: “Sono tre i fattori che hanno permesso e stimolato il ritorno dell’Ortodossia. Il primo è stato il forte desiderio di alcuni illuminati, che hanno sviluppato rapporti con la Grecia e in particolare con la Santa Montagna. Il secondo è l’Europa Unita, che permette il movimento facile e trasparente tra i cittadini degli stati membri… Il terzo fattore è la desacralizzazione del mondo Occidentale, che cerca disperatamente il sacro… La nostra presenza in un luogo che in passato era nutrito di testi filocalici è benaccetta e suscita varie discussioni, buone curiosità e interessanti ricerche” [9].

Riguardo all’opera di p. Kosmas in Italia ci sono sicuramente molte persone con ricca esperienza personale che avrebbero molto da dire dell’umile monaco, di colui che prestava servizio ai santi, che serviva tutti indistintamente con disinteresse e colmo di amore. Pochi mesi dopo il suo allontanamento ingiusto e doloroso dall’Italia, p. Kosmas è tornato a Kapsala nell’estate del 2006 e, in particolare, alla Kalìvi dell’Isòdia della Theotokos. In questa storica dipendenza monastica del Monastero del Pantocratore hanno vissuto nel passato dei grandi personaggi come San Nicodemo l’Aghiorita, San Macario di Corinto e San Nifon di Chios. In questa umile Kalìvi, della quale è stato l’Anziano [10], è spirato il 12 dicembre 2010. Fino alla fine, il suo desiderio e l’amore per i suoi fratelli in Italia bruciava il suo cuore. Di recente Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, gli aveva affidato ancora una volta il caso di San Giovanni il Mietitore, che per p. Kosmas era l’opera della sua vita. Questa fu una rivincita morale per lui, anche se non visse abbastanza per vedere la completa restaurazione. [11]

In uno dei suoi ultimi testi scritti, confessa coraggiosamente ed anche profeticamente: “Tutte le bellezze di questo mondo mi han lasciato un residuo d’amarezza di languore… Oltre una festa, oltre il piacere estetico, oltre un piacere superiore carnale, il nostro Dio è sempre in nostra attesa nell’aldilà quando stanchi del sentimento inappagato proviamo la solitudine gelida… C’è sempre una finestra oscura ma vera, che ci mostra se vogliamo vedere le cose diversamente. Non aver paura delle finestre e non cancellare dalla memoria una morte improvvisa di un tuo concittadino, perché perderai un prezioso campo visivo. Le sfortune sono vicine, pronte a creare una spaccatura nel cemento della fiducia che abbiamo in noi stessi. È attraverso queste “orribili” spaccature che giunge Dio, il quale ama e rispetta la nostra solitudine. Niente è più forte della disperazione” [12]. E in un altro testo dice ancora: “Rifletto sull’opera di Cirillo e Metodio, che esteriormente è fallita, ma ha avuto degli effetti duraturi. Rifletto sulle umiliazioni e le persecuzioni che hanno subito”.

Infatti, nostro concittadino e nostro fratello del monastero p. Kosmas non dovrebbe essere cancellato dalla nostra memoria. La sua morte improvvisa ci apre un prezioso campo visivo. La sua opera, crediamo, avrà degli effetti duraturi. Accese la candela del monachesimo athonita e della nostra tradizione ortodossa dopo molti secoli in Italia e ora, libero nel cielo, privo da ogni dolore, tristezza e sospiro, continua la sua missione: pregare per i fratelli che ha tanto amato.

Eterna sia la memoria del servo di Dio, Kosmas monaco!

Le sue preghiere siano con noi!

[1] Il 6 giugno 1984, come da Certificato della Grande Lavra n. 436/7-8-1987.

[2] Con la Lettera n. 272/1991 del Sacro Monastero del Pantocratore è stato annunciato alla Sacra Comunità la sua assunzione, come monaco. In una sua lettera al Monastero del Pantocratore del 15 luglio 1991, p. Kosmas afferma che egli risiede “da due anni nel semi-diroccato Kellìon di San Teofilo il Mirovlita, di Kapsala”.

[3] Prima edizione per le edizioni St. Kemetsetzidis nel 1992. Edizione riveduta pubblicata dalle edizioni Mygdonia, 1998 (prima edizione) e 2002 (seconda edizione).

[4] Presso le edizioni Akritas, in Biblioteca Agiologica (Αγιολογική Βιβλιοθήκη), n. 5, in collaborazione con la casa editrice Giuseppe Pontari.

[5] Cfr. “Athos e Gerace” («Άθως και Ιέραξ»), in Òssios Gregorios 18 (1993), p. 60. Riferimento all’articolo di p. Antonios Pinakoulas, “Cosmas monaco. L’ultimo viaggiatore morto”, in Sinaxi 117, gennaio-marzo 2011, p. 102.

[6] Il 20 febbraio 1995 il Consiglio Comunale di Bivongi ha ceduto unanimemente la Basilica bizantina di San Giovanni il Mietitore al monaco athonita Kosmas: «Art. 1: Il Complesso della Basilica Bizantina di San Giovanni Theristìs viene concesso in uso al fine di consentire al Monaco Kosmas AGHIORITA (al secolo Andreas PAPAPETROU, nato a Ioannina il 10 Marzo 1952, cittadino greco) ed agli altri monaci la pratica della vita ascetica scandita dalle officiature ed attività previste dalla Tradizione aghiorita».

[7] V. “Pensieri e Meditazione nella Magna Grecia” («Λογισμοί και Διαλογισμοίστην Μεγάλη Ελλάδα»), Nea Estia 1829, gennaio 2010, par. 5 e 6.

[8] V. sopra, Nea Estia 1834, giugno 2010, par. 54 e 53. Inoltre, nella Prefazione della Vita e dell’Ufficio di San Giovanni il Mietitore, nel novembre del 1995 (v. Nicodemo Nicterinos, Vita e Ufficio di San Giovanni il Mietitore, ed. Sacro Monastero di San Giovanni il Mietitore, Atene 2003, p. 13), p. Kosmas scrive in un testo intitolato “In mezzo alle rovine”: “siamo tornati a casa nostra [nota: cioè, siamo giunti nella nostra terra] e ci hanno accolto amorevolmente i santi del luogo, le macerie e i sospiri sotterranei dei nostri antenati imbavagliati”.

[9] Kosmas Monaco, “La presenza ortodossa in Magna Grecia”, Sacro Monastero di San Giovanni il Mietitore, 2003, p. 6.

[10] Anziano: colui che presiede la Kalìvi

[11] Padre Kosmas scrive da Bivongi, in una lettera indirizzata al Patriarca Ecumenico con data 9 novembre 2010, un mese prima della sua morte: “Il passaggio comodo e senza ostacoli attraverso il Monastero alle nostre terre, è per me una grande consolazione… Noi preghiamo e aspettiamo la soluzione del problema secondo la legge statale e quella ecclesiastica. Ci auguriamo che il Suo intervento sia decisivo”. Nelle ultime note trovate nel suo ufficio, dopo la sua morte, esprime il suo disagio per l’andamento giudiziario del caso ecclesiastico: “Il problema del Sacro Monastero del Mietitore rimane aperto. I monaci rumeni che sono entrati nel monastero irregolarmente secondo i canoni ecclesiastici, nel luglio del 2008, si rifiutano di lasciarlo anche se il Metropolita d’Italia e il Patriarcato Ecumenico hanno richiesto loro di partire. Purtroppo il caso sarà giudicato in primavera presso la Corte Suprema in Italia dopo il ricorso della Sacra Metropoli. Dico purtroppo, perché un’ecclesiastica ques[tione]…”. Queste furono le sue ultime parole.

[12] C. Monaco, “Lettera dal Monte Athos”, in O Papoulakos, 43, luglio-settembre 2010, pp. 1-2.




Un mantra del secondo secolo che glorifica Maria dalla Cina

A molti sembra impossibile che nella Cina del secondo secolo esistesse un poema circolare che glorificava Maria come “virtuosa madre del Figlio dell’uomo”: “Figlio dell’uomo” è un’espressione che Gesù prese per sé dal profeta Daniele e che non ha equivalenti altrove. Anche la menzione di un singolo Dio nel mezzo del politeismo è molto significativa e il significato completo testimonia anche la natura inequivocabilmente cristiana dell’iscrizione e quindi la presenza precoce del cristianesimo in Cina.

Il caso era aperto dal simposio del 2012, quando David Linxin He (Max Planck Institut, Monaco) delineò lo stato della questione in quel momento. Al convegno del 2021, organizzato in Vaticano dal Pontificio Consiglio per le Scienze Storiche, ebbe modo di riferire sui progressi della ricerca. Il suo contributo si trova in Inchiesta sulla storia dei primi secoli della Chiesa/A Survey of the History of the Early Centuries of the Church , Roma, IBS (Libreria Editrice Vaticana), 2024, a cura di Enrico dal Covolo e Maxime K. Yevadian, pp. 599-611.

Ecco i risultati della sua ricerca.

C’è un disco di specchio in bronzo da 13,4 cm (collezione privata), mostrato in varie pubblicazioni nel 2009. Proviene sicuramente dalla tomba di una principessa: si può vedere la rottura in due, in conformità con l’usanza che lo specchio della persona che lo ha usato debba essere sepolto con lei e rotto in due. Lo specchio ha un piccolo foro attraverso il quale può essere appeso a una corda, a differenza degli specchi romani, che erano attaccati a un manico. Il confronto con altri specchi che raffigurano anche animali più o meno immaginari, con il loro stile o tipo di iscrizione, lo datano sicuramente a un “periodo abbastanza breve dalla fine del tardo Han all’inizio dei Tre Regni”, vale a dire nel secondo secolo d.C. Ciò che ci interessa qui è l’iscrizione: nota Linxin He, nel suo contributo, “Uno specchio che rende grazie alla Vergine Maria?”

Qui viene fornito in sequenza, tuttavia fin dal primo studio del professor Jacques Grange des Rattes, i ricercatori hanno capito che i caratteri devono essere letti in gruppi di tre (o equivalenti di tre):

作 神 镜– rendere divino lo specchio.

zuo4 – non solo creare, produrre, ma anche nel senso di
 (昨) zha4 – 1) improvviso, improvvisamente, bruscamente, rapidamente, inaspettatamente, 2) per la prima volta, 3) di recente, appena accaduto, proprio ora.

shen2 – 1) spiriti celesti o santi, divinità; 2) Spirito Supremo: Dio; 3) Principio vitale superiore. 4) vitalità; spinta; energia; movimento. 5) prodigioso; meraviglioso; soprannaturale; miracoloso.

申 shen1 – 1) parlare, dire; far sapere, esporre, esprimere, raccontare; 2) informare un superiore per iscritto.

jing4 – specchio. Oppurejing4 – completamento, fine; realizzare, infine, interamente.

Lettura alternativa:作申竟– recentemente – la parola/scritture – adempiono, cioè, le Scritture si sono appena adempiute .

尊 一 帝– adorare/benedire l’unico Dio.
zun1 – rispettare, onorare, venerare
yi1 – uno solo
di4 – imperatore, sovrano, divinità, sovrano del Cielo

德 母 目 人 子– Madre virtuosa testimone Figlio dell’uomo (qui due parole sono scritte con due caratteri perché sono estranee alla cultura cinese, infrangendo la regola dei tre caratteri per strofa).
de2 – vurtuoso, benevolo, buono
mu3 – 1) madre; 2) mt lady, signora; 3) fonte, origine
mu4 – osserva, testimonia ciò che è stato visto

ren2 – man
zi3 – figlio (ordine sia in cinese che in inglese, ad esempio, il padre di John) 

有 玉 赫 – c’è una giada splendente/lei ha un Re splendente
 : You3 – avere (un ricercatore ha paragonato questo caratterecon il sanscrito भाव , bhāva , che indica la continuità della vita e della morte).
yu – giada, come la giada, owang – Re
he4 – brillante, rosso incandescente, splendente, sgargiante

志 重 须 育– forte volontà, importante – dover – sollevare
zhi4 – 1) intenzione, volontà, risoluzione, tendere a un obiettivo 2) notare, contrassegnare
zhong4 – 1) aspettare, un momento, ritardare, rimandare, fermare, cessare, richiedere, 2) avere bisogno o pesante, serio, dare importanza a, o
chong2 – raddoppiare, ripetere, di nuovo; ricominciare/o, numerosi
xu1 – il piccolo carattere aggiunto prima della lettera – falloir, devoir
yu4 – 1) dare alla luce, generare, produrre; 2) allevare, nutrire, educare, istruire, addestrare

Possibile lettura:志 重 须 育– l’obiettivo è importante, devi insegnare/ Incarnarlo era la tua pesante missione

Se vogliamo articolare le cinque strofe con un significato, partendo dalla lettura di Jacques Grange “Le profezie si sono compiute”, abbiamo:

Le profezie si sono avverate.
Benedetto sia l’Unico Dio!
La Madre virtuosa rende testimonianza al Figlio dell’Uomo.
Ha ricevuto il Re della Luce.
Incarnarlo era la sua pesante missione.

Se leggiamo “per fare uno specchio divino”, abbiamo:

Rispecchiando il divino
Adorando l’unico Dio
La Madre virtuosa rende testimonianza al Figlio dell’Uomo
C’è una giada che lo contrassegna brillantemente
Dobbiamo insegnare.

Il che è piuttosto allusivo, ma in ogni caso rimanda a «un messaggio evangelico che rivela una particolare attenzione alla “madre virtuosa” e alla sua missione» (p. 607).

Nel settimo secolo, sotto la dinastia Tang, il cristianesimo divenne noto come 景教Jingjiao , la “Religione luminosa della luce”.

Gentile Dottore,
questa mattina mi è giunta la notizia che quattro giorni fa, il 28 maggio, è stato scoperto uno specchio di bronzo.
È datato 200-300 d.C. Sul retro ci sono 16 caratteri cinesi:

作神镜         Fai uno specchio santo
尊一帝         Adora l’unico Dio
德母目人子  Vergine Madre che guarda il Figlio dell’Uomo
有玉赫         Con splendore di giada
志 N oted
重须育(?)      Di: Chong Xuyu(?)

(L’autore dell’e-mail ha avuto difficoltà a riconoscere l’ultimo carattere:).

Per brevità, un ricercatore ha proposto una divisione in sei strofe che terminano con il tono 4; questo non tiene conto del fatto che è stato aggiunto il carattereXu1, ma offre un significato (da verificare):

昨神镜 – zuo4 shen2 jing4

尊一帝 – zun1 yi1 di4

徳母目 – de2 mu3 mu4

人子有 – ren2 zi3 you3/4

玉赫志 – yu4 he4 zhi4

重须育 – zhong4 xu1 yu4

Insegnamento importante:
Tu sei lo specchio di Dio,
sii benedetta fra tutti.
Madre virtuosa, che hai visto
Colui-che-È il Figlio dell’Uomo,
il Re risplendente.

FONTE:




“UN NUOVO SANTO ORTODOSSO”: THE ORTHODOX WORD – 1965 – Vol. 1, No. 1, p. 32-34

1829-1908

Il 19 Ottobre (1 Novembre) 1964, nella Cattedrale dedicata all’Icona della Madre di Dio del Segno nella città di New York, il Vescovo della Chiesa Ortodosso Russa al di fuori della Russia (ROCOR) ha canonizzato solennemente un nuovo Santo della Chiesa Ortodossa: San Giovanni di Kronstadt.

Questo Santo, morto di recente nel 1908 dopo una lunga vita di servizio alla Chiesa come parroco e guida spirituale dei fedeli, era famoso già in vita per l’abbondanza della Grazia divina che si manifestava attraverso di lui, in particolare nelle guarigioni miracolose dei malati. Continuò a fare miracoli anche dopo la sua morte e tra i fedeli russi dell’emigrazione è stato a lungo venerato come un santo. La sua canonizzazione, la prima che la Chiesa ortodossa russa ha compiuto nei difficili anni successivi alla Rivoluzione, risponde a questa venerazione popolare e alla convinzione dei Vescovi, condivisa da molti fedeli, che i tempi fossero ormai maturi per questo atto.

Questo grande Santo ha avuto un ruolo speciale nella vita del popolo russo ortodosso. È stato un profeta che ha previsto la caduta dell’Impero russo e l’esilio dei fedeli russi. Vedendo la causa spirituale di questa caduta nella mondanità e nella mancanza di una fede viva, così diffuse nell’ultimo periodo dell’Impero, chiamò i fedeli ortodossi al pentimento e a una rinnovata consapevolezza della loro vocazione e responsabilità cristiana.
Il suo appello è ancora oggi ascoltato e se il popolo russo ortodosso disperso in esilio in tutto il mondo è rimasto un unico popolo – anche se solo come un residuo – e fedele alla Santa Ortodossia, è in parte dovuto al suo esempio ancora vivo e alle sue sante preghiere.

L’importanza di San Giovanni per il popolo russo è quindi indiscusso. Ma c’è qualcosa di straordinario nella sua canonizzazione: non è avvenuta in Russia, ma in America. Per i russi credenti, a dire il vero, non c’è nulla di strano in questo. La terra russa è asservita e il maggior numero di fedeli e la sede del Sinodo dei Vescovi della libera Chiesa ortodossa russa si trovano ora in America; come spesso in passato, anche ora il riconoscimento di un Santo russo universale inizia a livello regionale, essendo il suo aperto riconoscimento da parte dell’intero popolo russo necessariamente rimandato a un futuro indefinito. Per i non russi, tuttavia, è il suo significato più ampio che interessa.

Fino ad oggi, si potrebbe dire, San Giovanni è appartenuto al popolo russo ortodosso; ma ora, pur rimanendo il patrono spirituale del popolo russo sofferente, è diventato un Santo della Chiesa ortodossa universale di Cristo, e il suo santo esempio di vita in Cristo è stato presentato al mondo intero. Non è un caso che la sua canonizzazione sia avvenuta al di fuori della Russia; egli stesso aveva previsto che il popolo russo sarebbe stato disperso all’estero e che le Chiese Ortodosse sarebbero state erette in tutto il mondo come testimonianza della verità cristiana davanti a un mondo incredulo. A questo mondo incredulo, in tutte le lingue in cui le sue parole sono state e saranno ancora tradotte, egli rivolge ora il messaggio che rivolse al popolo russo durante la sua vita. Questo mondo, con la sua imponente struttura esteriore che lo fa sembrare ad alcuni così sicuro, in realtà sta vacillando, le sue fondamenta stanno marcendo a causa dell’amor proprio e dell’incredulità di cui sono pieni anche coloro che pensano di sconfiggerlo. La sua caduta è vicina e la stessa bestia del comunismo senza Dio che una volta ha inghiottito la santa terra russa ora è pronta a divorare il resto del mondo e, completando ora ciò che ha iniziato allora, a sterminare gli ultimi cristiani e a guidare l’umanità apostata nella sua adorazione dell’Anticristo. Questo, forse, è ciò che ci aspetta se non torniamo sul sentiero della retta vita cristiana. Molti potrebbero obiettare che questi pensieri, così come quelli relativi alla Seconda Venuta di Cristo e al terribile Giudizio Universale, che secondo San Giovanni potrebbe essere alle porte, sono troppo “negativi”. Ma se la nostra risposta a questi pensieri e avvertimenti è giusta, se è cristiana, saremo riempiti non di paura e terrore, ma di pentimento lacrimevole, di zelo per condurre una vita veramente cristiana, di fiducia nel nostro Signore che è con noi in tutte le nostre prove, fino al martirio stesso (e soprattutto allora), e di fervida speranza nel Regno dei Cieli che è la nostra vera casa e non l’istabile dimora terrena.

San Giovanni ci richiama a nient’altro che alla fede cristiana semplice e profonda. In un’epoca in cui troppi pastori predicano un “nuovo cristianesimo” che è solo mondanità mascherata, la sua è una voce rara e necessaria: non per i soli russi, non per i soli cristiani ortodossi, ma per il mondo intero, se solo lo si ascolta.

Santo di Cristo, Giovanni di Kronstadt, prega Dio per noi.